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Reverendo Ernest Courtenay Carter, seconda classe, 54
anni.
Bisogna sapere bene che cosa si canta, quando si canta
un inno religioso. Bisogna conoscere le parole e il loro significato. E bisogna
anche sapere chi è l’autore dell’inno, quando l’ha composto, e che altro ha
scritto. Soltanto in questo modo si può davvero rendere gloria a Dio. Così
almeno la pensava il reverendo Ernest Courtenay Carter, pastore anglicano,
vicario della parrocchia di St. Jude, a Whitechapel. Portaci dolcemente alla
luce, per esempio, fu scritto in seguito al naufragio di un veliero nelle
acque fredde dell’Atlantico. E Eterno padre, forte nel salvarci ha anche
un altro titolo: molti lo conoscono come Per coloro che in mare corrono un
pericolo. Di questo parlava il reverendo Carter ad un centinaio di
passeggeri che s’erano radunati nella sala da pranzo della seconda classe, la
sera di domenica 14 aprile, per ascoltare la funzione religiosa. Marion, la
moglie del reverendo, cantava accompagnata al pianoforte da Douglas Norman, e
il reverendo spiegava paziente il significato di ogni inno. L’ultimo che
cantarono fu Ora il giorno è compiuto. Verso le dieci, al termine della
funzione, il cameriere cominciò a servire caffè e pasticcini ai fedeli, e il
reverendo ringraziò per aver potuto usufruire dalla sala da pranzo. “È la prima
volta – disse compiaciuto – che si cantano inni religiosi la domenica sera su
questa nave. Siamo convinti e preghiamo perché non sia l’ultima”. Il reverendo
si disse anche ammirato per la solidità della nave. Poco più di un’ora dopo –
molti fedeli erano già nelle loro cabine – il transatlantico urtò un iceberg.
Il reverendo Carter e sua moglie Marion perirono nel naufragio.
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