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Si diventa marinai così come si diventa operai: per
necessità, raramente per vocazione. L’amore per il mare c’entra poco, e magari
nulla: Robert Hopkins il mare lo detestava. Significava fatica, e sudore, e
disciplina, e turni in ore impossibili e freddo e vento e caldo asfissiante. Ne
avrebbe volentieri fatto a meno, del mare. Si sarebbe volentieri sistemato in
qualche altro modo, Robert Hopkins: magari aprendo una piccola drogheria, come
suo cugino, o cercandosi un impiego come facchino. Che è un lavoro faticoso,
questo Robert Hopkins naturalmente lo sapeva, però gli orari erano sicuri e di
notte, di norma, non veniva in mente a nessuno di farti lavorare. Quando arrivò
a New York – era stato comandato alla scialuppa n° 13, che per un pelo non fu
travolta dalla n° 15, calata in mare troppo presto – la White Star gli ordinò –
ordinò a lui come a tutti i suoi colleghi, s’intende – di tornare in
Inghilterra. Su una nave, naturalmente. E da marinaio, mica da passeggero.
Robert Hopkins, che nel naufragio aveva perso tutto tranne la vita, fece due
conti e decise che con il mare aveva chiuso. Il mare è grande, pensò, ma anche
la terra non è piccola e l’America, poi, è la più grande delle terre. Così si
licenziò, e la White Star – non per punirlo ma perché questa era la procedura –
non gli rimborsò neanche un cent di ciò che aveva perduto. A Robert Hopkins la
cosa non importava: quando si sceglie una strada e se ne abbandona un’altra,
l’importante è che la strada nuova sia meglio della vecchia. Si rivolse alla
Croce rossa, che non contemplava procedure se non quella di compilare un modulo
e mettersi in fila, e ottenne qualche dollaro.
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