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Alfred Fernand Omont, prima classe, 40 anni.
Ci vogliono abilità, memoria, destrezza e molta calma per
giocare seriamente una partita di bridge. Ci vuole anche un poco di buona
sorte, questo è chiaro: ma è la calma, soprattutto, a decidere la sorte del
gioco. Di questo almeno era convinto Alfred Omont, mercante di cotone di Le
Havre, impegnato come ogni sera al Café Parisien con i suoi tre compagni di
gioco. Omont era, per dir così, un veterano delle traversate atlantiche – era al
suo tredicesimo viaggio per mare – e mai avrebbe pensato che nella traversata è
inclusa la possibilità – remota, s’intende, molto molto remota – del naufragio.
No, per Omont le navi partono e arrivano esattamente come i treni (e al
deragliamento di un treno, si capisce, Omont non aveva mai dedicato neppure un
pensiero). L’essenziale, ad ogni modo, è mantenere la calma più profonda: per
giocare bene una partita di bridge, e vincerla, non ci si deve distrarre, né
emozionare, né soprattutto si deve rivolgere altrove i propri pensieri. Poco
prima di mezzanotte sentì distintamente un colpo sordo, ma non se ne preoccupò,
convinto com’era che si trattasse di un’onda. Attraverso gli oblò del caffè
vide qualcosa di biancastro passare rapidamente nella notte nera e subito
scomparire, e un po’ d’acqua macchiare i vetri: come se un’apparizione
fuggevole e inconsueta avesse fatto capolino nella serata, sfiorando il suo
gioco assorto, e subito dopo, senza lasciar traccia né eco, fosse rapidamente
scomparsa, risucchiata dalla notte silenziosa e stellata che era tornata a
distendersi dietro gli oblò adesso un poco bagnati. Fu tra i primi a salvarsi.
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