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Fabrizio Rondolino
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  • Augusta Goodwin, terza classe, 43 anni.
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Augusta Goodwin, terza classe, 43 anni.

 

Nessuno sa che cosa sia successo quella notte alla famiglia Goodwin. “Prima le donne e i bambini”, dicevano i marinai e gli ufficiali, perché questa era la regola dell’onore britannico: ma nella famiglia Goodwin c’erano una donna e sei bambini. Tutti morti, tutti morti in fondo al mare. Nessuno sa che cosa sia loro successo in quelle ore concitate e terribili. Viaggiavano in terza classe, d’accordo: ma non tutta la terza classe fu condannata al naufragio, non tutta. Nessuno sa quale fu il loro destino mentre altri si salvavano e altri morivano e altri provavano a salvarsi e non ci riuscivano. Chissà che cosa avrà pensato la signora Goodwin, quarantatré anni e un profilo austero, un poco antipatico, rigido e aquilino, madre severa di sei figli condannati a morte. Chissà se si sarà resa conto di ciò che stava accadendo – perché molti non se ne accorsero neppure, e quando se ne accorsero era troppo, troppo tardi – o se invece avrà pensato che le cose si sarebbero aggiustate, in qualche modo si sarebbero aggiustate. Chissà quando è morta, la signora Goodwin: chissà quando ha capito, quando finalmente e infine ha capito che stava morendo, che non c’era salvezza, che il destino era segnato: prima dei suoi sei figli? oppure dopo? Li avrà magari affidati a qualcuno, ad un marinaio o ad una compagna di viaggio, e li avrà visti allontanarsi – magari non tutti, magari soltanto qualcuno, magari i più piccoli – e serenamente li avrà salutati, alleviata dal pensiero che loro, almeno loro si sarebbero salvati. Oppure invece li ha visti morire uno ad uno, più deboli di lei, più indifesi, già condannati.

Lillian A. Goodwin, terza classe, 16 anni.

 

“Io Jessie non la sopporto. Non la sopporto. Non la sopporto. Vuol sempre aver ragione. È lei che vuol decidere sempre tutto. Vuol decidere a che cosa bisogna giocare, e poi vuol decidere come bisogna giocare, e poi vuol decidere quando bisogna smettere. E guai a non fare come dice lei! Se non faccio come dice lei, si mette a strillare e dice che me ne approfitto perché sono più grande, e se non le do ragione corre dalla mamma e le dice che sono stata cattiva con lei. Questa mattina eravamo sul ponte, stavamo giocando alla settimana perché lei voleva a tutti i costi giocare alla settimana, e quando toccava a lei ha tirato il sasso (lo chiamiamo sasso ma in realtà non era proprio un vero sasso, era una piccola scatoletta di latta che mi ero procurata facendo amicizia con una delle cameriere del ristorante), insomma quando toccava a lei, ha tirato il sasso e il sasso, il sasso è finito in mare, guarda un po’, quella peste di Jessie ha tirato in mare la scatoletta. E avevo faticato tanto ad averla… Non fa mai attenzione, questa è la verità, e non le importa nulla se combina un guaio. E infatti anziché scusarsi per il guaio che aveva combinato, s’è messa a strillare che lei non c’entrava niente e che un pesce aveva colpito la nave. Che cosa c’entra il pesce? Non ci sono pesci così grossi. È tutta colpa di Jessie. Sono andata dalla mamma a protestare e la mamma ci ha sgridate tutte e due e per un po’ siamo restate ognuna per conto suo. Poi abbiamo ricominciato a giocare”. Così scriveva Lillian Goodwin nel suo piccolo diario con le pagine verde pallido, finito in mare insieme a lei e a tutta la sua famiglia.




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