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Congregazione per le Chiese Orientali Conferenza Stampa “Il Giubileo e le Chiese Orientali Cattoliche” IntraText CT - Lettura del testo |
MONS. MICHEL
BERGER
CONSULTORE DELLA CONGREGAZIONE PER LE CHIESE ORIENTALI
Le memorie cristiane orientali che arricchiscono il patrimonio della città di Roma sono talmente numerose da far pensare che essa possa essere considerata un frammento d'Oriente sulle rive del Tevere. Sin dalle origini Roma si presenta come depositaria di un'eredità orientale. Alle radici della sua cultura si innesta il popolo etrusco venuto dalla lontana Lidia nel cuore dell'Asia Minore. Pure l'arte e la religione dei Romani si rifanno esplicitamente alla lezione della mitologia greca, assumendo ulteriori elementi propriamente orientali (egiziani, greci ecc.).
E' chiaramente dal Medio Oriente, dove nacque, che il Cristianesimo raggiunse il cuore dell'impero romano e la stessa Roma, "caput mundi". Rilevando la dimensione universale di Roma, s. Ireneo sottolineava che i santi Pietro e Paolo, Corifei degli Apostoli, dopo aver ricevuto la luce divina in Oriente, l’avevano portata a Roma, cristianizzando la città con la loro parola e il loro martirio.
Nel primo millennio numerosi furono i successori di Pietro, anch’essi originari dall'Oriente. Dal VII al IX secolo le circostanze politiche ed ecclesiali comportarono un grande afflusso di Orientali, soprattutto monaci, a Roma. Tra la lunga teoria dei santi e degli uomini di cultura orientali venuti a Roma ci limitiamo a ricordare, nel secolo IX, i Santi fratelli Cirillo e Metodio, oriundi di Tessalonica, chiamati gli "Apostoli degli Slavi".
Nel secondo millennio, due grandi figure di uomini di Chiesa e di umanisti bizantini influenti al Concilio d'Unione di Firenze (1439), i Metropoliti Bessarione di Nicea e Isidoro di Kiev, divenuti tutti e due cardinali e ambedue seppelliti a Roma, meritano di essere specialmente menzionati a causa del ruolo importante che hanno svolto nella diffusione delle culture greca e bizantina a Roma, in Italia e altrove.
Oltre i numerosi tesori orientali raccolti nei santuari maggiori di Roma (S. Pietro, S. Paolo fuori le Mura, S. Maria Maggiore ecc.), sono da ricordare le antiche testimonianze del monachesimo orientale. Infatti da sempre Roma ha accolto monaci venuti dall’Oriente come pellegrini, ambasciatori o rifugiati. Gli insediamenti monastici non furono rari all'epoca della Chiesa del primo millennio. Essi costituiscono uno degli aspetti più affascinanti dell'apertura della Città eterna alla luce dell'Oriente. Il più celebre dei monasteri orientali a Roma, S. Saba, fu fondato sull’Aventino, verso la fine del sec. VI o all’inizio del sec. VII, da monaci orientali venuti dall’omonimo monastero in Palestina. Tuttora vivente, è sorta all'alba del secolo XI la Badia di Santa Maria di Grottaferrata, proprio quando le tradizioni monastiche orientali stavano progressivamente tramontando nelle regioni romane. La vita monastica, inserita nella linea cenobitica si svolgeva – e si svolge ancor oggi - nel contesto delle tradizioni culturali, spirituali e liturgiche della Chiesa greca. E’ opportuno ricordare il contributo che le prime generazioni monastiche diedero all'agiografia, all'innografia e alla musica bizantina. Essendo l'unico monastero di rito greco esistente a Roma, la badia di Grottaferrata costituisce un patrimonio inalienabile di inestimabile significato religioso e culturale, che arricchisce la stessa Chiesa di Roma, manifestandone l'universalità.
Se a Roma l’influsso orientale e propriamente bizantino nell’arte e la cultura si manifestò già prima, è tuttavia tra la fine dei secoli VI e VIII che tale apporto si fece sempre più sensibile. Questo fenomeno è dovuto in quest’epoca all’alto numero di Papi greci e all’afflusso di popolazioni anch’esse greche e orientali. E' il periodo in cui la colonia greca e orientale dell'Urbe aumenta costantemente e nel corso della persecuzione degli imperatori iconoclasti (secoli VIII e IX) i monasteri orientali diventeranno sempre più numerosi. E’ precisamente durante questo periodo di persecuzione che si afferma sempre più l'impronta greca e orientale a Roma. Numerosi Papi hanno magnificamente ornato di pitture la chiesa diaconale di S. Maria Antiqua al Foro Romano, frequentata da Greci ed altri orientali. Pittori diversi, tra i quali molto probabilmente bizantini, operarono mentre la lotta iconoclasta divampava ormai in pieno. L'origine o l'impronta orientale di molte di queste icone dipinte sui muri è palese, soprattutto per una serie di affreschi del VII e VIII secolo. In alcuni di questi affreschi, realizzati nel tempo dell’ultimo Papa greco Zaccaria, erano riuniti, insieme a martiri romani e orientali, maestri della vita ascetica dell’Oriente come lo stesso S. Saba. Con i suoi Papi siriani e greci, il suo quartiere greco intorno alla chiesa di S. Maria in Cosmedin, Roma era una città fortemente orientalizzata. E' per la lettura di questi stranieri che papa Zaccaria curò la traduzione in greco dei famosi Dialogi di San Gregorio Magno.
Dal secolo IX, epoca in cui rinasceva la persecuzione contro le immagini, i monaci orientali ricominciarono a fuggire verso l'Italia, verso Roma in particolare, accolti in gran numero da papa Pasquale I che istituiva per loro un monastero presso l'antica basilica di S. Prassede. Tre splendide chiese, restaurate e abbellite da Pasquale I (S. Maria in Domnica sul Celio, S. Prassede sull’Esquilino e S. Cecilia in Trastevere), mostrano ancor oggi i loro meravigliosi mosaici quasi intatti e in cui il linguaggio stilistico e i programmi iconografici bizantini sono verosimilmente interpretati da artigiani romani e orientali. L’influsso dell’Oriente cristiano, a Roma soprattutto, sarà una componente essenziale nello sviluppo dell’arte sacra dei secoli successivi.
A Roma l'uso delle icone è attestato da tempi remoti e se ne conservano ancora numerosi esemplari. Queste icone, romane o esportate dai Luoghi Santi della Palestina, sono dipinte ad encausto su tavole lignee, al pari delle tavole contemporanee raccolte nel Monastero di S. Caterina sul Monte Sinai. Alcune di esse, soprattutto icone della Madre di Dio, sono tuttora venerate a Roma, e saranno poi replicate e riprodotte durante il Medioevo, per essere venerate nelle chiese di Roma e del Lazio.
In una sala della Pinacoteca dei Musei Vaticani viene presentata un’apprezzabile collezione di icone di varie scuole ed epoche, alcune di alta qualità, che, insieme ai numerosi manoscritti greci e orientali della Biblioteca Apostolica Vaticana, ad oggetti vari del Museo Sacro o del Tesoro di S. Pietro, costituiscono preziosi cimeli di questo mondo bizantino e cristiano orientale, gelosamente custoditi e incrementati dai Papi nel corso dei secoli.
Quando, a partire dal XVI secolo, chiese orientali, per lo più greche, vengono innalzate in diversi luoghi del territorio italiano per provvedere ai bisogni religiosi delle colonie di rifugiati e commercianti orientali, si procede all'erezione in Roma, sotto il pontificato di Gregorio XIII, di una chiesa specificamente destinata a loro: la chiesa di S. Atanasio dei Greci, sorta in funzione del vicino Collegio dei Greci istituito nel 1577. Malgrado la presenza, soprattutto a partire dalle Crociate, di Armeni come pure di pellegrini e monaci abissini che occuparono il piccolo convento e la chiesa annessa di S. Stefano in Vaticano, è soltanto con la chiesa di S. Atanasio dei Greci che si pensò di costruire ex novo un santuario propriamente orientale.
Molti tra i pittori che vollero rappresentare sui muri delle chiese di Roma, dal XVII al XIX secolo, i santi Padri e Dottori delle Chiese d'Oriente attestano, con la precisione del dettaglio, l'impressione che doveva suscitare sui Romani di allora la presenza dei Gerarchi orientali che officiavano nelle chiese dell'Urbe, come nella già citata chiesa di S. Atanasio dei Greci dove lo stesso Goethe amava, durante il suo soggiorno romano, assistere al fastoso svolgimento della liturgia bizantina in lingua greca.
Già nell’VIII secolo i loro antenati avevano potuto contemplare, come noi stessi ancor oggi, le teorie di santi Gerarchi orientali rivestiti delle loro insegne pontificali, rappresentati sulle pareti di S. Maria Antiqua, ai piedi del Palatino, pegno di una tradizione plurisecolare d'ospitalità con dimensioni universali da cui non si è mai allontanata la cattolicità della Chiesa di Roma.
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