3.
Antropologia e interventi in campo biomedico
Quali
criteri morali si devono applicare per chiarire i problemi posti oggi
nell'ambito della biomedicina? La risposta a questo interrogativo suppone
un'adeguata concezione della natura della persona umana nella sua dimensione
corporea. Infatti, è soltanto nella linea della sua vera
natura che la persona umana può realizzarsi come "totalità
unificata"(9): ora questa natura e nello stesso tempo corporale e
i spirituale. In forza della sua unione sostanziale con un'anima spirituale, il
corpo umano non può essere considerato solo come un
complesso di tessuti, organi e funzioni, ne può essere
valutato alla stessa stregua del corpo degli animali, ma è
parte costitutiva della persona che attraverso di esso si manifesta e si
esprime. La legge morale naturale esprime e prescrive le finalità,
i diritti e i doveri che si fondano sulla natura corporale e spirituale della
persona umana. Pertanto essa non può essere
concepita come normatività semplicemente biologica, ma deve essere
definita come l'ordine razionale secondo il quale l'uomo è
chiamato dal Creatore a dirigere e regolare la sua vita e i suoi atti e, in
particolare, a usare e disporre del proprio corpo(10). Una prima
conseguenza può essere dedotta da tali principi: un
intervento sul corpo umano non raggiunge soltanto i tessuti, gli organi e le
loro funzioni, ma coinvolge anche a livelli diversi la stessa persona; comporta
quindi un significato e una responsabilità morali,
in modo implicito forse, ma reale. Giovanni Paolo II ribadiva con forza
all'Associazione medica mondiale: "Ogni persona umana, nella sua
singolarità irrepetibile, non è
costituita soltanto dallo spirito ma anche dal corpo, cosi nel corpo e
attraverso il corpo viene raggiunta la persona stessa nella sua realtà
concreta. Rispettare la dignità dell'uomo comporta di conseguenza
salvaguardare questa identità dell'uomo corpore et anima unus, come
affermava il Concilio Vaticano II (Cost. Gaudium et Spes, n. 14, 1). È
sulla base di questa visione antropologica che si devono trovare i criteri
fondamentali per le decisioni da prendere, quando si tratta d'interventi non
strettamente terapeutici, per esempio gli interventi miranti al miglioramento
della condizione biologica umana"(11). La biologia e la medicina
nelle loro applicazioni concorrono al bene integrale della vita umana quando
vengono in aiuto della persona colpita da malattia e infermità
nel rispetto della sua dignità di creatura di Dio. Nessun biologo o
medico può ragionevolmente pretendere, in forza
della sua competenza scientifica, di decidere dell'origine e del destino degli
uomini. Questa non ma si deve applicare in maniera particolare nell'ambito
della sessualità e della procreazione, dove l'uomo e la
donna pongono in atto i valori fondamentali dell'amore e della vita. Dio, che è
amore e vita, ha inscritto nell'uomo e nella donna la vocazione a una
partecipazione speciale al suo mistero di comunione personale e alla sua opera
di Creatore e di Padre(12). Per questo il matrimonio possiede specifici
beni e valori di unione e di procreazione senza possibilità
di confronto con quelli che esistono nelle forme inferiori della vita. Tali
valori e significati di ordine personale determinano dal punto di vista morale
il senso e i limiti degli interventi artificiali sulla procreazione e
sull'origine della vita umana . Questi interventi non sono da rifiutare in
quanto artificiali. Come tali essi testimoniano le possibilità
dell'arte medica, ma si devono valutare sotto il profilo morale in riferimento
alla dignità della persona umana, chiamata a
realizzare la vocazione divina al dono dell'amore e al dono della vita.
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