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Luigi Pirandello
Una giornata
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Una giornata
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Una
giornata
Strappato
dal
sonno
, forse per
sbaglio
, e
buttato
fuori dal
treno
in una
stazione
di
passaggio
. Di
notte
; senza nulla con me.
Non
riesco
a
riavermi
dallo
sbalordimento
. Ma ciò che più mi
impressiona
è che non mi
trovo
addosso
alcun
segno
della
violenza
patita
; non solo, ma che non ne ho neppure un'
immagine
, neppur l'
ombra
confusa
d'un
ricordo
.
Mi
trovo
a
terra
, solo, nella
tenebra
d'una
stazione
deserta
; e non
so
a chi
rivolgermi
per
sapere
che m'è
accaduto
, dove sono.
Ho solo
intravisto
un
lanternino
cieco
,
accorso
per
richiudere
lo
sportello
del
treno
da cui sono
stato
espulso
. Il
treno
è subito
ripartito
. E' subito
scomparso
nell'
interno
della
stazione
quel
lanternino
, col
riverbero
vagellante
del suo
lume
vano
. Nello
stordimento
, non m'è nemmeno
passato
per il
capo
di
corrergli
dietro per
domandare
spiegazioni
e far
reclamo
.
Ma
reclamo
di che?
Con
infinito
sgomento
m'
accorgo
di non aver più
idea
d'
essermi
messo
in
viaggio
su un
treno
. Non
ricordo
più affatto di dove sia
partito
, dove
diretto
; e se
veramente
,
partendo
, avessi con me qualche cosa. Mi
pare
nulla.
Nel
vuoto
di questa
orribile
incertezza
,
subitamente
mi
prende
il
terrore
di quello
spettrale
lanternino
cieco
che s'è subito
ritirato
, senza fare alcun
caso
della mia
espulsione
dal
treno
. E' dunque forse la cosa più
normale
che a questa
stazione
si
scenda
così?
Nel
bujo
, non
riesco
a
discernerne
il
nome
. La
città
mi è però certamente
ignota
. Sotto i
primi
squallidi
barlumi
dell'
alba
,
sembra
deserta
. Nella
vasta
piazza
livida
davanti alla
stazione
c'
è un
fanale
ancora
acceso
. Mi ci appresso; mi
fermo
e, non
osando
alzar
gli
occhi
,
atterrito
come sono dall'
eco
che hanno
fatto
i miei
passi
nel
silenzio
, mi
guardo
le
mani
, me le
osservo
per un verso e per l'altro, le
chiudo
, le
riapro
, mi
tasto
con esse, mi
cerco
addosso
, anche per
sentire
come son
fatto
, perché non posso più esser certo nemmeno di questo: ch'io
realmente
esista
e che tutto questo sia
vero
.
Poco dopo,
inoltrandomi
fin
nel
centro
della
città
,
vedo
che a ogni
passo
mi
farebbero
restare
dallo
stupore
, se uno
stupore
più
forte
non mi
vincesse
nel
vedere
che tutti gli altri, pur
simili
a me, ci si
muovono
in
mezzo
senza
punto
badarci
, come se per loro siano le
cose
più
naturali
e più
solite
. Mi
sento
come
trascinare
, ma anche qui senz'
avvertire
che mi si
faccia
violenza
. Solo che io, dentro di me,
ignaro
di tutto, sono quasi da ogni
parte
ritenuto
. Ma
considero
che, se non
so
neppur come, né di dove, né perché ci sia venuto,
debbo
aver
torto
io certamente e
ragione
tutti gli altri che, non solo
pare
lo
sappiano
, ma
sappiano
anche tutto quello che fanno
sicuri
di non
sbagliare
, senza la
minima
incertezza
, così
naturalmente
persuasi
a fare come fanno, che m'
attirerei
certo la
maraviglia
, la
riprensione
,
fors
'anche l'
indignazione
se, o per il loro
aspetto
o per qualche loro
atto
o
espressione
, mi
mettessi
a
ridere
o mi
mostrassi
stupito
. Nel
desiderio
acutissimo
di
scoprire
qualche cosa, senza
farmene
accorgere
,
debbo
di
continuo
cancellarmi
dagli
occhi
quella certa
permalosità
che di
sfuggita
tante
volte
nei loro
occhi
hanno i
cani
. Il
torto
è mio, il
torto
è mio, se non
capisco
nulla, se non
riesco
ancora a
raccapezzarmi
. Bisogna che mi
sforzi
a far le
viste
d'esserne anch'io
persuaso
e che m'
ingegni
di far come gli altri, per quanto mi
manchi
ogni
criterio
e ogni
pratica
nozione
, anche di quelle
cose
che
pajono
più
comuni
e più
facili
.
Non
so
da che
parte
rifarmi
, che
via
prendere
, che cosa
mettermi
a fare.
Possibile
però ch'io sia già tanto
cresciuto
,
rimanendo
sempre come un
bambino
e senz'aver
fatto
mai nulla? Avrò forse
lavorato
in
sogno
, non
so
come. Ma
lavorato
ho certo;
lavorato
sempre, e molto, molto.
Pare
che tutti lo
sappiano
, del
resto
, perché tanti si
voltano
a
guardarmi
e più d'uno anche mi
saluta
, senza ch'io lo
conosca
.
Resto
dapprima
perplesso
, se
veramente
il
saluto
sia
rivolto
a me; mi
guardo
accanto; mi
guardo
dietro. Mi avranno
salutato
per
sbaglio
? Ma no,
salutano
proprio me.
Combatto
,
imbarazzato
, con una certa
vanità
che vorrebbe e pur non
riesce
a
illudersi
, e
vado
innanzi come
sospeso
, senza potermi
liberare
da uno
strano
impaccio
per una cosa - lo
riconosco
-
veramente
meschina
: non sono
sicuro
dell'
abito
che ho
addosso
; mi
sembra
strano
che sia mio; e
ora
mi
nasce
il
dubbio
che
salutino
quest'
abito
e non me. E io intanto con me, oltre a questo, non ho più altro!
Torno
a
cercarmi
addosso
. Una
sorpresa
.
Nascosta
nella
tasca
in
petto
della
giacca
tasto
come una
bustina
di
cuojo
. La
cavo
fuori, quasi certo che non
appartenga
a me ma a quest'
abito
non mio. E'
davvero
una
vecchia
bustina
di
cuojo
,
gialla
scolorita
slavata
, quasi
caduta
nell'
acqua
di un
ruscello
o d'un
pozzo
e
ripescata
. La
apro
, o,
piuttosto
, ne
stacco
la
parte
appiccicata
, e vi
guardo
dentro. Tra poche
carte
ripiegate
,
illeggibili
per le
macchie
che l'
acqua
v'ha fatte
diluendo
l'
inchiostro
,
trovo
una
piccola
immagine
sacra
,
ingiallita
, di quelle che nelle
chiese
si
regalano
ai
bambini
e,
attaccata
ad essa quasi dello stesso
formato
e anch'essa
sbiadita
, una
fotografia
. La
spiccico
, la
osservo
. Oh! E' la
fotografia
di una
bellissima
giovine
, in
costume
da
bagno
, quasi
nuda
, con tanto
vento
nei
capelli
e le
braccia
levate
vivacemente
nell'
atto
di
salutare
.
Ammirandola
, pur con una certa
pena
, non
so
, quasi
lontana
,
sento
che mi viene da essa l'
impressione
, se non proprio la
certezza
, che il
saluto
di queste
braccia
, così
vivacemente
levate
nel
vento
, sia
rivolto
a me. Ma per quanto mi
sforzi
, non
arrivo
a
riconoscerla
. E' mai
possibile
che una
donna
così
bella
mi sia potuta
sparire
dalla
memoria
,
portata
via
da tutto quel
vento
che le
scompiglia
la
testa
? Certo, in questa
bustina
di
cuojo
caduta
un
tempo
nell'
acqua
, quest'
immagine
, accanto all'
immagine
sacra
, ha il
posto
che si
dà
a una
fidanzata
.
Torno
a
cercare
nella
bustina
e, più
sconcertato
che con
piacere
, nel
dubbio
che non m'
appartenga
,
trovo
in un
ripostiglio
segreto
un
grosso
biglietto
di
banca
, chi
sa
da quanto
tempo
lì
riposto
e
dimenticato
,
ripiegato
in quattro, tutto
logoro
e qua e
là
bucherellato
sul
dorso
delle
ripiegature
già
lise
.
Sprovvisto
come sono di tutto, potrò
darmi
ajuto
con esso? Non
so
con qual
forza
di
convinzione
, l'
immagine
ritratta
in quella
piccola
fotografia
m'
assicura
che il
biglietto
è mio. Ma
c'
è da
fidarsi
d'una
testolina
così
scompigliata
dal
vento
?
Mezzogiorno
è già
passato
;
casco
dal
languore
: bisogna che
prenda
qualcosa, ed entro in una
trattoria
.
Con
maraviglia
, anche qui mi
vedo
accolto
come un
ospite
di
riguardo
, molto
gradito
. Mi si
indica
una
tavola
apparecchiata
e si
scosta
una
seggiola
per
invitarmi
a
prender
posto
. Ma io son
trattenuto
da uno
scrupolo
.
Fo
cenno
al
padrone
e,
tirandolo
con me in
disparte
, gli
mostro
il
grosso
biglietto
logorato
.
Stupito
, lui lo
mira
;
pietosamente
per lo
stato
in cui è
ridotto
, lo
esamina
; poi mi dice che senza
dubbio
è di gran
valore
ma
ormai
da molto
tempo
fuori di
corso
. Però non
tema
:
presentato
alla
banca
da uno come me, sarà certo
accettato
e
cambiato
in altra più
spicciola
moneta
corrente
.
Così
dicendo
il
padrone
della
trattoria
esce
con me fuori dell'
uscio
di
strada
e m'
indica
l'
edificio
della
banca
lì
presso.
Ci
vado
, e tutti anche in quella
banca
si
mostrano
lieti
di farmi questo
favore
. Quel mio
biglietto
- mi
dicono
- è uno dei pochissimi non
rientrati
ancora alla
banca
, la quale da qualche
tempo
a questa
parte
non
dà
più
corso
se non a
biglietti
di
piccolissimo
taglio
. Me ne
danno
tanti e poi tanti, che ne
resto
imbarazzato
e quasi
oppresso
. Ho con me solo quella
naufraga
bustina
di
cuojo
.
Ma mi
esortano
a non
confondermi
.
C'
è
rimedio
a tutto. Posso
lasciare
quel mio
danaro
in
deposito
alla
banca
, in
conto
corrente
.
Fingo
d'aver
compreso
; mi
metto
in
tasca
qualcuno di quei
biglietti
e un
libretto
che mi
dànno
in
sostituzione
di tutti gli altri che
lascio
, e
ritorno
alla
trattoria
. Non vi
trovo
cibi
per il mio
gusto
;
temo
di non
poterli
digerire
. Ma già si
dev'
esser
sparsa
la
voce
ch'io, se non proprio
ricco
, non sono certo più
povero
; e infatti,
uscendo
dalla
trattoria
,
trovo
una
automobile
che m'
aspetta
e un
autista
che si
leva
con una
mano
il
berretto
e
apre
con l'altra lo
sportello
per farmi
entrare
. Io non
so
dove mi
porti
. Ma com'ho un'
automobile
, si
vede
che, senza
saperlo
, avrò anche una
casa
. Ma sì, una
bellissima
casa
,
antica
, dove certo tanti prima di me hanno
abitato
e tanti dopo di me
abiteranno
. Sono proprio miei tutti questi
mobili
? Mi ci
sento
estraneo
, come un
intruso
. Come questa
mattina
all'
alba
la
città
,
ora
anche questa
casa
mi
sembra
deserta
; ho di
nuovo
paura
dell'
eco
che i miei
passi
faranno,
movendomi
in tanto
silenzio
. D'
inverno
, fa
sera
prestissimo
; ho
freddo
e mi
sento
stanco
. Mi faccio
coraggio
; mi
muovo
;
apro
a
caso
uno degli
usci
;
resto
stupito
di
trovar
la
camera
illuminata
, la
camera
da
letto
, e, sul
letto
, lei, quella
giovine
del
ritratto
,
viva
, ancora con le due
braccia
nude
vivacemente
levate
, ma questa
volta
per
invitarmi
ad
accorrere
a lei e per
accogliermi
tra esse,
festante
.
E' un
sogno
?
Certo, come in un
sogno
, lei su quel
letto
, dopo la
notte
, la
mattina
all'
alba
, non
c'
è più. Nessuna
traccia
di lei. E il
letto
, che fu così
caldo
nella
notte
, è
ora
, a
toccarlo
,
gelato
, come una
tomba
. E
c'
è in tutta la
casa
quell'
odore
che
cova
nei
luoghi
che hanno
preso
la
polvere
, dove la
vita
è
appassita
da
tempo
, e quel
senso
d'
uggiosa
stanchezza
che per
sostenersi
ha
bisogno
di ben
regolate
e
utili
abitudini
. Io ne ho avuto sempre
orrore
. Voglio
fuggire
. Non è
possibile
che questa sia la mia
casa
. Questo è un
incubo
. Certo ho
sognato
uno dei
sogni
più
assurdi
. Quasi per averne la
prova
,
vado
a
guardarmi
a uno
specchio
appeso
alla
parete
dirimpetto
, e subito ho l'
impressione
d'
annegare
,
atterrito
, in uno
smarrimento
senza
fine
. Da quale
remota
lontananza
i miei
occhi
, quelli che mi
par
d'avere avuti da
bambino
,
guardano
ora
,
sbarrati
dal
terrore
, senza
potersene
persuadere
, questo
viso
di
vecchio
? Io, già
vecchio
? Così subito? E com'è
possibile
?
Sento
picchiare
all'
uscio
. Ho un
sussulto
. M'
annunziano
che sono
arrivati
i miei
figli
.
I miei
figli
?
Mi
pare
spaventoso
che da me siano potuti
nascere
figli
. Ma quando? Li avrò avuti
jeri
.
Jeri
ero ancora
giovane
. E'
giusto
che
ora
, da
vecchio
, li
conosca
.
Entrano
,
reggendo
per
mano
bambini
,
nati
da loro. Subito
accorrono
a
sorreggermi
;
amorosamente
mi
rimproverano
d'
essermi
levato
di
letto
;
premurosamente
mi
mettono
a
sedere
, perché l'
affanno
mi
cessi
. Io, l'
affanno
? Ma sì, loro lo
sanno
bene
che non posso più stare in
piedi
e che sto molto molto
male
.
Seduto
, li
guardo
, li
ascolto
; e mi
sembra
che mi stiano facendo in
sogno
uno
scherzo
.
Già
finita
la mia
vita
?
E mentre sto a
osservarli
, così tutti
curvi
attorno
a me,
maliziosamente
, quasi non
dovessi
accorgermene
,
vedo
spuntare
nelle loro
teste
, proprio sotto i miei
occhi
, e
crescere
,
crescere
non pochi, non pochi
capelli
bianchi
.
-
Vedete
, se non è uno
scherzo
? Già anche voi, i
capelli
bianchi
.
E
guardate
,
guardate
quelli che or
ora
sono
entrati
da quell'
uscio
bambini
: ecco, è
bastato
che si siano
appressati
alla mia
poltrona
: si son
fatti
grandi
; e una, quella, è già una
giovinetta
che si vuol far
largo
per
essere
ammirata
. Se il
padre
non la
trattiene
, mi si
butta
a
sedere
sulle
ginocchia
e mi
cinge
il collo con un
braccio
,
posandomi
sul
petto
la
testina
.
Mi
vien
l'
impeto
di
balzare
in
piedi
. Ma
debbo
riconoscere
che
veramente
non posso più farlo. E con gli stessi
occhi
che avevano
poc'
anzi quei
bambini
,
ora
già così
cresciuti
,
rimango
a
guardare
finché posso, con tanta tanta
compassione
,
ormai
dietro a questi
nuovi
, i miei
vecchi
figliuoli
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