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Luigi Pirandello
Scialle nero

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V

Niente: né un rigo di testamento, né un appunto pur che fosse in qualche registro o in qualche pezzetto di carta volante.
E non bastava il danno: toccavano per giunta a don Mattia Scala le beffe degli amici. Eh già, perché infatti, Nocio Butera, per esempio, avrebbe facilmente immaginato, che don Filippino Lo Cìcero sarebbe morto a quel modo, ucciso dalla scimmia.
- Tu, Tino Làbiso, che ne dici, eh? Può essere, è vero? Che bestia! che bestia! che bestia!
E don Mattia si calcava fin sopra gli occhi con le mani afferrate alla tesa il cappellaccio bianco, e pestava i piedi dalla rabbia.
Saro Trigona, finché il cugino non fu sotterrato, dopo gli accertamenti del medico e del pretore, non gli volle dare ascolto, protestando che la disgrazia non gli consentiva di parlar d'affari.
- Sì! Come se la scimmia non gliel'avesse regalata lui, apposta! - si sfogava a dire lo Scala, di nascosto.
Avrebbe dovuto farle coniare una medaglia d'oro, a quella scimmia, e invece - ingrato, - l'aveva fatta fucilare: proprio così, fu-ci-la-re, il giorno dopo, non ostante che il giovane medico, venuto in campagna insieme col pretore, avesse trovato una graziosa spiegazione del delitto incosciente della bestia. Tita, malata di tisi, si sentiva forse mancare il respiro, anche a causa, probabilmente, di quel fazzoletto che il povero don Filippino le aveva legato al collo, forse un po' troppo stretto, o perché se lo fosse stretto lei stessa tentando di slegarselo. Ebbene: forse era saltata sul letto per indicare al padrone dove si sentiva mancare il respiro, , al collo, e gliel'aveva preso con le mani; poi, nell'oppressura, non riuscendo a tirare il fiato, esasperata, forse s'era messa a scavare con le unghie, , nella gola del padrone. Ecco fatto! Bestia era, infine. Che capiva?
E il pretore, serio serio, accigliato, col testone calvo, rosso, sudato, aveva fatto ripetuti segni d'approvazione alla rara perspicacia del giovine medico - tanto carino!
Basta. Sotterrato il cugino, fucilata la scimmia, Saro Trigona si mise a disposizione di don Mattia Scala.
- Caro don Mattia, discorriamo.
C'era poco da discorrere. Lo Scala, con quel suo fare a scatti, gli espose brevemente il suo accordo col Lo Cìcero, e come, aspettando di giorno in giorno che quella maledetta bestiaccia morisse per pigliar possesso, avesse speso nel podere, in più stagioni, col consenso del Lo Cìcero stesso, beninteso, parecchie migliaja di lire, che dovevano per conseguenza detrarsi dalla somma convenuta. Chiaro, eh?
- Chiarissimo! - rispose il Trigona, che aveva ascoltato con molta attenzione il racconto dello Scala, approvando col capo, serio serio, come il pretore. - Chiarissimo! E io, dal canto mio, caro don Mattia, sono disposto a rispettare l'accordo. Fo il sensale; e, voi lo sapete: tempacci! Per collocare una partita di zolfo ci vuol la mano di Dio: la senseria se ne va in francobolli e in telegrammi. Questo, per dirvi che io, con la mia professione, non potrei attendere alla campagna, di cui non so proprio che farmi. Ho poi, come sapete, caro don Mattia, nove figliuoli maschi, che debbono andare a scuola: bestie, uno più dell'altro: ma vanno a scuola. Debbo, dunque, per forza stare in città. Veniamo a noi. C'è un guajo, c'è. Eh, caro don Mattia, pur troppo! Guajo grosso. Nove figliuoli, dicevamo, e voi non sapete, non potete farvi un'idea di quanto mi costino: di scarpe soltanto... ma già, è inutile che stia a farvi il conto! Impazzireste. Per dirvi, caro don Mattia...
- Non me lo dite più, per carità, caro don Mattia, - proruppe lo scala, irritato di quell'interminabile discorso che non veniva a capo di nulla. - Caro don Mattia... caro don Mattia... basta! concludiamo! Ho già perso troppo tempo con la scimmia e con don Filippino!
- Ecco, - riprese il Trigona, senza scomporsi. - Volevo dirvi che ho avuto sempre bisogno di ricorrere a certi messeri, che Dio ne scampi e liberi, per... mi spiego? e, si capisce, mi hanno messo i piedi sul collo. Voi sapete chi porta la bandiera, nel nostro paese, in questa specie d'operazioni...
- Dima Chiarenza? - esclamò subito lo Scala scattando in piedi, pallidissimo. Scaraventò il cappello per terra, si passò furiosamente una mano sui capelli; poi, rimanendo con la mano dietro la nuca, sbarrando gli occhi e appuntando l'indice dell'altra mano, come un'arma, verso il Trigona:
- Voi? - aggiunse. - Voi, da quel boja? da quell'assassino, che mi ha mangiato vivo? Quanto avete preso?
- Aspettate, vi dirò, - rispose il Trigona, con calma dolente, ponendo innanzi una mano. - Non io! perché quel boja, come voi dite benissimo, della mia firma non ha mai voluto saperne...
- E allora... don Filippino? - domandò lo Scala coprendosi il volto con le mani, come per non veder le parole che gli uscivano di bocca.
- L'avallo... - sospirò il Trigona, tentennando il capo amaramente.
Don Mattia si mise a girar per la stanza, esclamando, con le mani per aria:
- Rovinato! Rovinato! Rovinato!
- Aspettate, - ripeté il Trigona. - Non vi disperate. Vediamo di rimediarla. Quanto intendevate di dare voi, a Filippino, per la terra?
- Io? - gridò lo Scala, fermandosi di botto, con le mani sul petto. - Diciotto mila lire, io: contanti! Son circa sei ettari di terra: tre salme giuste, con la nostra misura: sei mila lire a salma, contanti! Dio sa quel che ho penato per metterle insieme: e ora, ora mi vedo sfuggir l'affare, la terra sotto i piedi, la terra che già consideravo mia!
Mentre don Mattia si sfogava così, Saro Trigona si toccava le dita, accigliato, per farsi i conti:
- Diciotto mila... oh, dunque, si dice...
- Piano, - lo interruppe lo Scala. - Diciotto mila, se la buon'anima m'avesse lasciato subito il possesso del fondo. Ma più di sei mila già ce l'ho spese. E questo è conto che si può far subito, sul luogo. Ho i testimoni: quest'anno stesso, ho piantato due migliaja di vitigni americani, spaventosi! e poi...
Saro Trigona si levò in piedi per troncare quella discussione, dichiarando:
- Ma dodici mila non bastano, caro don Mattia. Gliene debbo più di venti mila a quel boja, figuratevi!
- Venti mila lire? - esclamò lo Scala, trasecolando. - E che avete mangiato, denari, voi e i vostri figliuoli?
Il Trigona trasse un lunghissimo sospiro e, battendo una mano sul braccio dello Scala, disse:
- E le mie disgrazie, don Mattia? Non è ancora un mese, che mi è toccato a pagar nove mila lire a un negoziante di Licata, per differenza di prezzo su una partita di zolfo. Lasciatemi stare! Furono le ultime cambiali che mi avallò il povero Filippino, Dio l'abbia in gloria!
Dopo altre inutili rimostranze, convennero di recarsi quel giorno stesso, con le dodici mila lire in mano, dal Chiarenza, per tentare un accordo.




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