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Luigi Pirandello
Scialle nero

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VII

Uscito dalla casa del Chiarenza e sbarazzatosi con una furiosa scrollata di spalle del Trigona che voleva dimostrargli, tutto dolente, la sua buona intenzione, don Mattia Scala si recò prima in casa d'un suo amico avvocato per esporgli il caso di cui era vittima e domandargli se, potendo agire giudiziariamente per il riconoscimento del suo credito, sarebbe riuscito a impedire al Chiarenza di pigliar possesso del podere.
L'avvocato non comprese nulla in principio, sopraffatto dalla concitazione con cui lo Scala aveva parlato. Si provò a calmarlo, ma invano.
- Insomma, prove, documenti, ne avete?
- Non ho un corno!
- E allora andate a farvi benedire! Che volete da me?
- Aspettate, - gli disse don Mattia, prima d'andarsene. - Sapreste, per caso, indicarmi dove sta di casa l'ingegnere Scelzi, della Società delle Zolfare di Comitini?
L'avvocato gl'indicò la via e il numero della casa, e don Mattia Scala, ormai deciso, vi andò difilato.
Lo Scelzi era uno di quegli ingegneri che, passando ogni mattina per la via mulattiera innanzi al cancello della villa per recarsi alle zolfare della vallata, lo avevano con maggior insistenza sollecitato per la cessione del sottosuolo. Quante volte lo Scala, per chiasso, non lo aveva minacciato di chiamare i cani per farlo scappare!
Quantunque di domenica lo Scelzi non ricevesse per affari, si affrettò a lasciar passare nello studio l'insolito visitatore.
- Voi, don Mattia? Qual buon vento?
Lo Scala con le enormi sopracciglia aggrottate si piantò di fronte al giovine ingegnere sorridente, lo guardò negli occhi, e rispose:
- Sono pronto.
- Ah! benissimo! Cedete?
- Non cedo. Voglio contrattare. Sentiamo i patti.
- E non li sapete? - esclamò lo Scelzi. - Ve li ho ripetuti tante volte...
- Avete bisogno di far altri rilievi lassù? - domandò don Mattia, cupo, impetuoso.
- Eh no! Guardate... - rispose l'ingegnere indicando la grande carta geologica appesa alla parete, ov'era tracciato per cura del R. Corpo delle Miniere tutto il campo minerale della regione. Fissò col dito un punto nella carta e aggiunse: - È qui: non c'è bisogno d'altro...
- E allora possiamo contrattare subito?
- Subito?... Domani. Domattina stesso io ne parlerò al Consiglio d'Amministrazione. Intanto, se volete, qua, ora, possiamo stendere insieme la proposta, che sarà senza dubbio accettata, se voi non ponete avanti altri patti.
- Ho bisogno di legarmi subito! - scattò lo Scala. - Tutto, tutto distrutto, è vero?... sarà tutto distrutto lassù?
Lo Scelzi lo guardò meravigliato: conosceva da un pezzo l'indole strana, impulsiva, dello Scala; ma non ricordava d'averlo mai veduto così.
- Ma i danni del fumo, - disse saranno previsti nel contratto e compensati...
- Lo so! Non me n'importa! - soggiunse lo Scala. - Le campagne, dico, le campagne, tutte distrutte... è vero?
- Eh... - fece lo Scelzi, stringendosi nelle spalle.
- Questo, questo cerco! questo voglio! - esclamò allora don Mattia, battendo un pugno sulla scrivania. - Qua, ingegnere: scrivete, scrivete! Né io né lui! Lo brucio... Scrivete. Non vi curate di quello che dico.
Lo Scelzi sedette innanzi alla scrivania e si mise a scrivere la proposta, esponendo prima, man mano, i patti vantaggiosi, tante volte già respinti sdegnosamente dallo Scala, che ora, invece, cupo, accigliato, annuiva col capo, a ognuno.
Stesa finalmente la proposta, l'ingegnere Scelzi non seppe resistere al desiderio di conoscere il perché di quella risoluzione improvvisa, inattesa.
- Mal'annata?
- Ma che mal'annata! Quella che verrà, - gli rispose lo Scala - quando avrete aperto la zolfara!
Sospettò allora lo Scelzi che don Mattia Scala avesse ricevuto tristi notizie del figliuolo scomparso: sapeva che, alcuni mesi addietro, egli aveva rivolto una supplica a Roma perché, per mezzo degli agenti consolari, fossero fatte ricerche dovunque. Ma non volle toccar quel tasto doloroso.
Lo Scala, prima d'andarsene, raccomandò di nuovo allo Scelzi di sbrigar la faccenda con la massima sollecitudine.
- A tamburo battente, e legatemi bene!
Ma dovettero passar due giorni per la deliberazione del Consiglio della Società delle zolfare, per la scrittura dell'atto presso il notajo, per la registrazione dell'atto stesso: due giorni tremendi per don Mattia Scala. Non mangiò, non dormì, fu come in un continuo delirio, andando di qua e di dietro allo Scelzi, a cui ripeteva di continuo:
- Legatemi bene! Legatemi bene!
- Non dubiti, - gli rispondeva sorridendo l'ingegnere. - Adesso non ci scappa più!
Firmato alla fine e registrato il contratto di cessione, don Mattia Scala uscì come un pazzo dallo studio notarile; corse al fondaco, all'uscita del paese, dove, nel venire, tre giorni addietro, aveva lasciato la giumenta; cavalcò e via.
Il sole era al tramonto. Per lo stradone polveroso don Mattia s'imbatté in una lunga fila di carri carichi di zolfo, i quali dalle lontane zolfare della vallata, di dalla collina che ancora non si scorgeva, si recavano, lenti e pesanti, alla stazione ferroviaria sotto il paese.
Dall'alto della giumenta, lo Scala lanciò uno sguardo d'odio a tutto quello zolfo che cigolava e scricchiolava continuamente a gli urti, ai sobbalzi dei carri senza molle.
Lo stradone era fiancheggiato da due interminabili siepi di fichidindia, le cui pale, per il continuo transito di quei carri, eran tutte impolverate di zolfo.
Alla loro vista, la nausea di don Mattia si accrebbe. Non si vedeva che zolfo, da per tutto, in quel paese! Lo zolfo era anche nell'aria che si respirava, e tagliava il respiro, e bruciava gli occhi.
Finalmente, a una svolta dello stradone, apparve la collina tutta verde. Il sole la investiva con gli ultimi raggi.
Lo Scala vi fissò gli occhi e strinse nel pugno le briglie fino a farsi male. Gli parve che il sole salutasse per l'ultima volta il verde della collina. Forse egli, dall'alto di quello stradone, non avrebbe mai più riveduto la collina, come ora la vedeva. Fra vent'anni, quelli che sarebbero venuti dopo di lui, da quel punto dello stradone, avrebbero veduto un colle calvo, arsiccio, livido, sforacchiato dalle zolfare.
"E dove sarò io, allora?" pensò, provando un senso di vuoto, che subito lo richiamò al pensiero del figlio lontano, sperduto, randagio per il mondo, se pure era ancor vivo. Un impeto di commozione lo vinse, e gli occhi gli s'empirono di lagrime. Per lui, per lui egli aveva trovato la forza di rialzarsi dalla miseria in cui lo aveva gettato il Chiarenza, quel ladro infame che ora gli toglieva la campagna.
- No, no! - ruggì, tra i denti, al pensiero del Chiarenza. - Né io né lui!
E spronò la giumenta, come per volare a distruggere d'un colpo la campagna che non poteva più esser sua.
Era già sera, quando pervenne ai piedi della collina. Dové girarla per un tratto, prima d'imboccar la via mulattiera. Ma era sorta la luna, e pareva che a mano a mano raggiornasse. I grilli, tutt'intorno, salutavano freneticamente quell'alba lunare.
Attraversando le campagne, lo Scala si sentì pungere da un acuto rimorso, pensando ai proprietarii di quelle terre, tutti suoi amici, i quali in quel momento non sospettavano certo il tradimento ch'egli aveva fatto loro.
Ah, tutte quelle campagne sarebbero scomparse tra breve: neppure un filo d'erba sarebbe più cresciuto lassù; e lui, lui sarebbe stato il devastatore della verde collina! Si riportò col pensiero al balcone della sua prossima cascina, rivide il limite della sua angusta terra, pensò che gli occhi suoi ora avrebbero dovuto arrestarsi , senza più scavalcare quel muro di cinta e spaziar lo sguardo nella terra accanto: e si sentì come in prigione, quasi più senz'aria, senza più libertà in quel campicello suo, col suo nemico che sarebbe venuto ad abitare . No! No!
- Distruzione! distruzione! Né io né lui! Brucino!
E guardò attorno gli alberi, con la gola stretta d'angoscia: quegli olivi centenarii, dal grigio poderoso tronco stravolto, immobili, come assorti in un sogno misterioso nel chiarore lunare. Immaginò come tutte quelle foglie, ora vive, si sarebbero aggricciate ai primi fiati agri della zolfara, aperta come una bocca d'inferno; poi sarebbero cadute; poi gli alberi nudi si sarebbero anneriti, poi sarebbero morti, attossicati dal fumo dei forni. L'accetta, , allora. Legna da ardere, tutti quegli alberi...
Una brezza lieve si levò, salendo la luna. E allora le foglie di tutti quegli alberi, come se avessero sentito la loro condanna di morte, si scossero quasi in un brivido lungo, che si ripercosse su la schiena di don Mattia Scala, curvo su la giumenta bianca.





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