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Luigi Pirandello
Scialle nero

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V

La gente che passava a piedi o a cavallo o coi carri per lo stradone polveroso, si fermava a domandare a Spatolino che cosa facesse.
- Un tabernacolo.
- Chi ve l'ha ordinato?
E lui, cupo, alzando un dito al cielo:
- L'Ecce Homo.
Non rispose altrimenti, per tutto il tempo che durò la fabbrica. La gente rideva o scrollava le spalle.
- Giusto qua? - gli domandava però qualcuno, guardando verso il cancello della villa.
A nessuno veniva in mente che il notajo potesse avere ordinato quel tabernacolo: tutti, invece, ignorando che quel pezzo di terra appartenesse pure al Ciancarella, e conoscendo il fanatismo religioso di Spatolino, pensavano che questi, o per incarico del vescovo o per voto della Società Cattolica, costruisse quel tabernacolo, per far dispetto al vecchio usurajo. E ne ridevano.
Intanto, come se Dio veramente fosse sdegnato di quella fabbrica, capitarono a Spatolino, lavorando, tutte le disgrazie. Già, quattro giorni a sterrare, prima di trovare il pancone per le fondamenta; poi liti lassù alla cava, per la pietra; liti per la calce, liti col fornaciajo; e infine, nell'assettar la centina per costruir l'arco, cade la centina e per miracolo non accoppa il ragazzo calcinajo.
All'ultimo, la bomba. Il Ciancarella, proprio nel giorno che Spatolino doveva mostrargli il tabernacolo bell'e finito, un colpo apoplettico, di quelli genuini, e in capo a tre ore, morto.
Nessuno allora poté più levar dal capo a Spatolino che quella morte improvvisa del notajo fosse la punizione di Dio sdegnato. Ma non credette, dapprima, che lo sdegno divino dovesse rovesciarsi anche su lui, che - pur di contraggenio - s'era prestato a innalzare quella fabbrica maledetta.
Lo credette quando, recatosi dai Montoro, eredi del notajo, per aver pagata l'opera sua, s'udì rispondere che nulla essi ne sapevano e che non volevano perciò riconoscere quel debito non comprovato da nessun documento.
- Come! - esclamò Spatolino. - E il tabernacolo dunque per chi l'ho fatto io?
- Per l'Ecce Homo.
- Di testa mia?
- Oh insomma, - gli dissero quelli, per cavarselo di torno. - Noi crederemmo di mancare di rispetto alla memoria di nostro zio supponendo anche per un momento ch'egli abbia potuto davvero darti un incarico così contrario al suo modo di pensare e di sentire. Non risulta da nulla. Che vuoi dunque da noi? Tienti il tabernacolo; e, se non t'accomoda, ricorri al tribunale.
Ma subito, come no? ricorse al tribunale, Spatolino. Poteva forse perdere? Potevano forse credere sul serio i giudici che egli avesse costruito di testa sua un tabernacolo? E poi c'era il servo, per testimonio, il servo del Ciancarella appunto, ch'era venuto a chiamarlo per incarico del padrone; e don Lagàipa c'era, con cui era andato a consigliarsi quel giorno stesso; c'era la moglie poi, a cui egli l'aveva detto, e i manovali che avevano lavorato con lui, tutto quel tempo. Come poteva perdere?
Perdette, perdette, sissignori. Perdette, perché il servo del Ciancarella, passato ora al servizio dei Montoro, andò a deporre che aveva chiamatoSpatolino per incarico del padrone, sant'anima; ma non certo perché il padrone, sant'anima, avesse in mente di dargli l'incarico di costruire quel tabernacolo , bensì perché dal giardiniere, ora morto, (guarda combinazione!) aveva sentito dire che Spatolino aveva lui l'intenzione di costruire un tabernacolo proprio , dirimpetto al cancello, e aveva voluto avvertirlo che il pezzo di terra dall'altra parte dello stradone gli apparteneva, e che dunque si fosse guardato bene dal costruirvi una minchioneria di quel genere. Soggiunse che anzi, avendo egli un giorno detto al padrone, sant'anima, che Spatolino, non ostante il divieto, scavava di con tre manovali, il padrone, sant'anima, gli aveva risposto: - E lascialo scavare, non lo sai ch'è matto? Cerca forse il tesoro per terminare la chiesa di Santa Caterina! - A nulla giovò la testimonianza di don Lagàipa, notoriamente ispiratore a Spatolino di tante altre follie. Che più? Gli stessi manovali deposero che non avevano veduto mai il Ciancarella e che la mercede giornaliera l'avevano ricevuta sempre dal capomastro.
Spatolino scappò via dalla sala del tribunale come levato di cervello; non tanto per la perdita del suo capitaluccio, buttato , nella costruzione di quel tabernacolo; non tanto per le spese del processo a cui, per giunta, era stato condannato; quanto per il crollo della sua fede nella giustizia divina.
- Ma dunque, - andava dicendo, - dunque non c'è più Dio?
Istigato da don Lagàipa, s'appellò. Fu il tracollo. Il giorno che gli arrivò la notizia che anche in Corte d'appello aveva perduto, Spatolino non fiatò: con gli ultimi soldi che gli erano rimasti in tasca, comprò un metro e mezzo di tela bambagina rossa, tre sacchi vecchi e ritornò a casa.
- Fammi una tonaca! - disse alla moglie, buttandole i tre sacchi in grembo.
La moglie lo guardò, come se non avesse inteso.
- Che vuoi fare?
- T'ho detto: fammi una tonaca... No? Me la faccio da me.
In men che non si dica, sfondò due sacchi e li cucì insieme, per lungo; fece, a quello di su, uno spacco davanti; col terzo sacco fece le maniche e le cucì intorno a due buchi praticati nel primo sacco, a cui chiuse la bocca per un tratto di qua e di , per modo che vi restasse il largo per il collo. Ne fece un fagottino, prese la tela bambagina rossa e, senza salutar nessuno, se n'andò.
Circa un'ora dopo, si sparse per tutto il paese la notizia che Spatolino, impazzito, s'era impostato da statua di Cristo alla colonna, , nel tabernacolo nuovo, su lo stradone, dirimpetto alla villa del Ciancarella.
- Come impostato? che vuol dire?
- Ma sì, lui, da Cristo, dentro il tabernacolo!
- Dite davvero?
- Davvero!
E tutto un popolo accorse a vederlo, dentro il tabernacolo, dietro il cancello, insaccato in quella tonaca con le marche del droghiere ancora stampate, la tela bambagia rossa su le spalle a mo' di mantello, una corona di spine in capo, una canna in mano.
Teneva la testa bassa, inclinata da un lato, e gli occhi a terra. Non si scompose minimamente né alle risa, né ai fischi, né a gli urli indiavolati della folla che cresceva a mano a mano. Più d'un monello gli tirò qualche buccia; parecchi, , sotto il naso, gli lanciarono crudelissime ingiurie: lui, sordo, immobile, come una vera statua; solo che sbatteva di tanto in tanto le palpebre.
valsero a smuoverlo le preghiere, prima, le imprecazioni, poi, della moglie accorsa con le altre donne del vicinato, né il pianto dei figliuoli. Ci volle l'intervento di due guardie che, per porre fine a quella gazzarra, forzarono il cancelletto del tabernacolo e trassero Spatolino in arresto.
- Lasciatemi stare! Chi più Cristo di me? - si mise allora a strillare Spatolino, divincolandosi. - Non vedete come mi beffano e come m'ingiuriano? Chi più Cristo di me? Lasciatemi! Questa è casa mia! Me la son fatta io, col mio danaro e con le mie mani! Ci ho buttato il sangue mio! Lasciatemi, giudei!
Ma que' giudei non vollero lasciarlo prima di sera.
- A casa! - gli ordinò il delegato. - A casa, e giudizio, bada!
- Sì, signor Pilato, - gli rispose Spatolino, inchinandosi.
E, quatto quatto, se ne ritornò al tabernacolo. Di nuovo, , si parò da Cristo; vi passò tutta la notte, e più non se ne mosse.
Lo tentarono con la fame; lo tentarono con la paura, con lo scherno; invano.
Finalmente lo lasciarono tranquillo, come un povero matto che non faceva male a nessuno.




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