Dacché nel paese la consorteria clericale era stata battuta e il partito nuovo, degli scomunicati, aveva invaso i seggi del Comune, Spatolino si sentiva come in mezzo a un campo nemico. Tutti i suoi compagni di lavoro, come tante pecore, s'erano messi dietro ai nuovi caporioni; e stretti ora in corporazione, spadroneggiavano. Con pochi altri operai rimasti fedeli alla santa Chiesa, Spatolino aveva fondato una Società Cattolica di Mutuo Soccorso tra gl'Indegni Figli della Madonna Addolorata. Ma la lotta era impari; e le beffe dei nemici (e anche degli amici) e la rabbia dell'impotenza avevano fatto perdere a Spatolino il lume degli occhi. S'era intestato, come presidente di quella Società Cattolica, a promuovere processioni e luminarie e girandole, nella ricorrenza delle feste religiose, osservate prima e favorite dall'antico Consiglio Comunale, e tra i fischi, gli urli e le risate del partito avversario ci aveva rimesso le spese, per S. Michele Arcangelo, per S. Francesco di Paola, per il Venerdì Santo, per il Corpus Domini e insomma per tutte le feste principali del calendario ecclesiastico. Così il capitaluccio, che gli aveva finora permesso d'assumer qualche lavoro in appalto, s'era talmente assottigliato, ch'egli prevedeva non lontano il giorno che da capomastro muratore si sarebbe ridotto a misero giornante. La moglie, già da un pezzo, non aveva più per lui né rispetto né considerazione: s'era messa a provvedere da sé ai suoi bisogni e a quelli dei figliuoli, lavando, cucendo per conto d'altri, facendo ogni sorta di servizii. Come se lui stesse in ozio per piacere! Ma se la corporazione di quei figli di cane assumeva tutti i lavori! Che pretendeva la moglie? ch'egli rinunziasse alla fede, rinnegasse Dio, e andasse a iscriversi al partito di quelli? Ma si sarebbe fatto tagliar le mani piuttosto! L'ozio intanto lo divorava, gli faceva di giorno in giorno crescere l'orgasmo e il puntiglio, e lo inveleniva contro tutti. Ciancarella, il notajo, non aveva mai parteggiato per nessuno; ma era pur notoriamente nemico di Dio; ne faceva professione, dacché non esercitava più quell'altra del notajo. Una volta, aveva osato finanche d'aizzare i cani contro un santo sacerdote, don Lagàipa, che s'era recato da lui per intercedere in favore d'alcuni parenti poveri, che morivano addirittura di fame, mentr'egli, nella splendida villa che s'era fatta costruire all'uscita del paese, viveva da principe, con la ricchezza accumulata chi sa come e accresciuta da tant'anni d'usura. Tutta la notte Spatolino (per fortuna era d'estate), un po' seduto, un po' passeggiando per il vicoletto deserto, meditò (fififì... fififì... fififì...) su quell'invito misterioso del Ciancarella. Poi, sapendo che questi era solito lasciare il letto per tempo, e sentendo che la moglie già s'eralevata, con l'alba, e sfaccendava per casa, pensò d'avviarsi, lasciando lì fuori la seggiola ch'era vecchia, e nessuno se la sarebbe presa.