La villa del Ciancarella era tutta murata come una fortezza, e aveva il cancello su lo stradone provinciale. Il vecchio, che pareva un rospaccio calzato e vestito, oppresso da una cisti enorme su la nuca, che lo obbligava a tener sempre giù e piegato da un lato il testone raso, vi abitava solo, con un servitore; ma aveva molta gente di campagna ai suoi ordini, armata, e due mastini che incutevano paura, solo a vederli. Spatolino sonò la campana. Subito quelle due bestiacce s'avventarono furibonde alle sbarre del cancello, e non si quietarono neppure quando il servitore accorse a rincorare Spatolino che non voleva entrare. Bisognò che il padrone, il quale prendeva il caffè nel chioschetto d'edera, a un lato della villa, in mezzo al giardino, li chiamasse col fischio. - Ah, Spatolino! Bravo, - disse il Ciancarella. - Siedi lì. E gl'indicò uno degli sgabelli di ferro disposti, giro giro, nel chioschetto. Ma Spatolino rimase in piedi, col cappelluccio roccioso e ingessato tra le mani. - Tu sei un indegno figlio, è vero? - Sissignore, e me ne vanto: della Madonna Addolorata. Che comandi ha da darmi? - Ecco, - disse Ciancarella; ma, invece di seguitare, si recò la tazza alle labbra e trasse tre sorsi di caffè. - Un tabernacolo - (e un altro sorso). - Come dice? - Vorrei costruito da te un tabernacolo - (ancora un sorso). - Un tabernacolo, Vossignoria? - Sì, su lo stradone, di fronte al cancello - (altro sorso, l'ultimo; posò la tazza, e - senza , asciugarsi le labbra - si levò in piedi. Una goccia di caffè gli scese da un angolo della bocca di tra gl'irti peli della barba non rifatta da parecchi giorni). - Un tabernacolo, dunque, non tanto piccolo, perché ci ha da entrare una statua, grande al vero, di Cristo alla colonna. Alle pareti laterali ci voglio allogare due bei quadri, grandi: di qua, un Calvario; di là, una Deposizione. Insomma, come un camerotto agiato, su uno zoccolo alto un metro, col cancelletto di ferro davanti, e la croce su, s'intende. Hai capito? Spatolino chinò più volte il capo, con gli occhi chiusi; poi, riaprendo gli occhi e traendo un sospiro, disse: - Ma Vossignoria scherza, è vero? - Scherzo? Perché? - Io credo che Vossignoria voglia scherzare. Mi perdoni. Un tabernacolo, Vossignoria, all'Ecce Homo? Ciancarella si provò ad alzare un po' il testone raso, se lo tenne con una mano e rise in un suo modo speciale, curiosissimo, come se frignasse, per via di quei malanno che gli opprimeva la nuca. - Eh che! - disse. - Non ne son forse degno, secondo te? - Ma nossignore, scusi! - s'affrettò a negare Spatolino, stizzito, infiammandosi. - Perché dovrebbe Vossignoria commettere così, senza ragione, un sacrilegio? Si lasci pregare, e mi perdoni se parlo franco. Chi vuol gabbare, Vossignoria? Dio, no; Dio non lo gabba; Dio vede tutto, e non si lascia gabbare da Vossignoria. Gli uomini? Ma vedono anche loro e sanno che Vossignoria... - Che sanno, imbecille? - gli gridò il vecchio, interrompendolo. - E che sai tu di Dio, verme di terra? Quello che te n'hanno detto i preti! Ma Dio... Vah, vah, vah, io mi metto a ragionare con te, adesso... Hai fatto colazione? - Nossignore. - Brutto vizio, caro mio! dovrei dartela io, ora, eh? - Nossignore. Non prendo nulla. - Ah, - esclamò Ciancarella con uno sbadiglio. - Ah! I preti, figliuolo, i preti ti hanno sconcertato il cervello. Vanno predicando, è vero? che io non credo in Dio. Ma sai perché? perché non do loro da mangiare. Ebbene, sta' zitto: ne avranno, quando verranno a consacrare il nostro tabernacolo. Voglio che sia una bella festa, Spatolino. Perché mi guardi così? Non credi? O vuoi sapere come mi sia venuto in mente? In sogno, figliuolo! Ho avuto un sogno, l'altra notte. Ora certo i preti diranno che Dio m'ha toccato il cuore. Dicano pure; non me n'importa nulla! Dunque, siamo intesi, eh? Parla... smuoviti... Sei allocchito? - Sissignore, - confessò Spatolino, aprendo le braccia. Ciancarella, questa volta, si prese la testa con tutt'e due le mani, per ridere a lungo. - Bene, - poi disse. - Tu sai com'io tratto. Non voglio impicci di nessun genere. So che sei un bravo operajo e che fai le cose ammodo e onestamente. Fa' da te, spese e tutto, senza seccarmi. Quando avrai finito, faremo i conti. Il tabernacolo... hai capito come lo voglio? - Sissignore. - Quando ti metterai all'opera? - Per me, anche domani. - E quando potrà esser finito? Spatolino stette un po' a pensare. - Eh, - poi disse, - se dev'essere così grande, ci vorrà almeno..., che so, un mese. - Sta bene. Andiamo ora a vedere insieme il posto. La terra, dall'altra parte dello stradone, apparteneva pure al Ciancarella, che la lasciava incolta, in abbandono: l'aveva acquistata per non aver soggezioni lì davanti alla villa; e permetteva che i pecoraj vi conducessero le loro greggiole a pascolare, come se fosse terra senza padrone. Per costruirvi il tabernacolo non si doveva dunque chieder licenza a nessuno. Stabilito il posto, lì, proprio dirimpetto al cancello, il vecchio rientrò nella villa, e Spatolino, rimasto solo, - fififì... fififì... fififì... - non la finì più. Poi s'avviò. Cammina e cammina, si ritrovò, quasi senza saperlo, dinanzi la porta di don Lagàipa, ch'era il suo confessore. Si ricordò, dopo aver bussato, che il prete era da parecchi giorni a letto, infermo: non avrebbe dovuto disturbarlo con quella visita mattutina; ma il caso era grave; entrò.