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Galileo Galilei
Lettere
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XXII. A ELIA DIODATI IN PARIGI (Arcetri, 7 marzo 1634)
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XXII
. A
ELIA
DIODATI
IN
PARIGI
(
Arcetri
, 7
marzo
1634
)
Vengo
ora
alla sua
lettera
: e perché ella
replicatamente
mi
domanda
qualche
ragguaglio
de' miei
passati
travagli
, non posso se non
sommariamente
dirgli
, che da che fui
chiamato
a
Roma
sino al
presente
, sono, la
Dio
grazia
,
stato
di
sanità
meglio
che da molti
anni
in qua. Fui
ritenuto
a
Roma
in
carcere
5
mesi
, e la
carcere
fu la
casa
del
Sig.
Amb.
di
Toscana
; dal quale e dalla
Signora
sua
consorte
fui
visto
e
trattato
in modo, che con
affetto
maggiore non avrebbero potuto
trattare
i
padri
loro.
Spedita
che fu la mia
causa
,
restai
condennato
in
carcere
all'
arbitrio
di Sua
Santità
; e fu la
carcere
il
palazzo
e
giardino
del
G.
Duca
alla
Trinità
de'
Monti
per alcuni
giorni
, ma pur
permutata
poi in
Siena
in
casa
Monsig
.
Arcivescovo
, dove
parimenti
stetti 5
mesi
,
trattato
da
padre
di Sua
Sig.
a
Ill
.a e in
continue
visite
della
nobiltà
di quella
città
; dove
composi
un
trattato
di un
argomento
nuovo
, in
materia
di
meccaniche
,
pieno
di molte
specolazioni
curiose
ed
utili
. Di
Siena
mi fu
permesso
tornarmene
alla mia
villa
, dove ancora mi
trovo
, con
divieto
di
scendere
alla
città
; e questa
esclusione
mi
vien
fatta per
tenermi
assente
dalla
Corte
e da i
Principi
. Ma
tornato
alla
villa
in
tempo
che la
Corte
era
a
Pisa
, venuto il
G.
Duca
in
Firenze
, due
giorni
dopo il suo
arrivo
mi
mandò
uno
staffieri
ad
avvisare
come
era
per
strada
per venire a
visitarmi
; e
mez
'
ora
dopo
arrivò
con un solo
gentil
'
uomo
in una
piccola
carrozzina
, e
smontato
in
casa
mia si
trattenne
a
ragionar
meco in
camera
mia con
estrema
soavità
poco
manco
di 2
ore
.
Stante
dunque il non aver
patito
punto
nelle due
cose
, che
sole
devono
da noi esser sopra tutte l'altre
stimate
,
dico
nella
vita
e nella
reputazione
(come in questa il
raddoppiato
affetto
dei
Padroni
e di tutti gl'
amici
mi
accertano
), i
torti
e l'
ingiustizie
, che l'
invidia
e la
malignità
mi hanno
machinato
contro, non mi hanno
travagliato
né mi
travagliano
. Anzi (
restando
illesa
la
vita
e l'
onore
) la
grandezza
dell'
ingiurie
mi è più presto di
sollevamento
, ed è come una
spezie
di
vendetta
, e l'
infamia
ricade
sopra i
traditori
e i
costituiti
nel più
sublime
grado
dell'
ignoranza
,
madre
della
malignità
, dell'
invidia
, della
rabbia
e di tutti gli altri
vizii
e
peccati
scelerati
e
brutti
. Bisogna che gl'
amici
assenti
si
contentino
di queste
generalità
, perché i
particolari
, che sono moltissimi,
eccedono
di troppo il
potere
esser
racchiusi
in una
lettera
. Di tanto si
contenti
V.
S., e si
quieti
e
consoli
nel mio
essere
ancora in
stato
di poter
ridurre
al
netto
le altre mie
fatiche
e
pubblicarle
.
L'
avviso
che
tiene
V.
S. d'
Argentina
, mi è
piaciuto
assai, e
riconosco
l'
onore
dall'
intercessione
e
indefessa
vigilanza
sua.
Arei
auto
gusto
che '
l
mio
Dialogo
fusse
capitato
in
Lovanio
in
mano
del
Fromondo
, il quale tra i
filosofi
non
assoluti
matematici
mi
par
dei
men
duri
. In
Venezia
un tal D.
Antonio
Rocco
ha
stampato
in
difesa
dei
placiti
d'
Aristotele
, contro a quelle
imputazioni
che io gl'
oppongo
nel
Dialogo
: è
purissimo
peripatetico
, e
remotissimo
dall'
intender
nulla di
matematica
né d'
astronomia
,
pieno
di
mordacità
e di
contumelie
. Un altro
iesuita
intendo
avere
stampato
in
Roma
per
provare
la
proposizione
della
mobilità
della
terra
esser
assolutarnente
eretica
; ma questo non l'ho ancora
veduto
.
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