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Galileo Galilei
Il Saggiatore
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Il saggiatore
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Il
saggiatore
Io non ho mai potuto
intendere
,
Illustrissimo
Signore
, onde sia
nato
che tutto quello che de' miei
studi
, per
aggradire
o
servire
altrui, m'è
convenuto
metter
in
publico
, abbia
incontrato
in molti una certa
animosità
in
detrarre
,
defraudare
e
vilipendere
quel poco di
pregio
che, se non per l'
opera
, almeno per l'
intenzion
mia m'
era
creduto
di
meritare
. Non prima fu
veduto
alle
stampe
il mio
Nunzio
Sidereo
,dove si
dimostrarono
tanti
nuovi
e
meravigliosi
discoprimenti
nel
cielo
, che pur
doveano
esser
grati
agli
amatori
della
vera
filosofia
, che
tosto
si
sollevaron
per mille
bande
insidiatori
di quelle
lodi
dovute
a così
fatti
ritrovamenti
: né
mancaron
di quelli che, solo per
contradir
a' miei
detti
, non si
curarono
di
recar
in
dubbio
quanto fu
veduto
a lor
piacimento
e
riveduto
più
volte
da gli
occhi
loro.
Imposemi
il
Serenissimo
Gran
Duca
Cosimo
II, di
gloriosa
memoria
mio
signore
, ch'io
scrivessi
il mio
parere
delle
cagioni
del
galleggiare
o
affondarsi
le
cose
nell'
acqua
; e, per
sodisfar
a così
fatto
comandamento
, avendo
disteso
in
carta
quanto m'
era
sovvenuto
oltre alla
dottrina
d'
Archimede
, che per
avventura
è quanto di
vero
in
effetto
circa sì fatta
materia
poteva
dirsi
, eccoti subito
piene
tutte le
stamperie
d'
invettive
contro del mio
Discorso
;né avendo
punto
riguardo
che quanto da me fu
prodotto
fusse
confermato
e
concluso
con
geometriche
dimostrazioni
,
contradissero
al mio
parere
, né s'
avvidero
(tanto ebbe
forza
la
passione
) che '
l
contradire
alla
geometria
è un
negare
scopertamente
la
verità
. Le
Lettere
delle
Macchie
Solari
e da quanti e per quante
guise
fur
combattute
? e quella
materia
che
doverebbe
dar
tanto
campo
d'
aprir
gl'
intelletti
ad
ammirabili
speculazioni
, da molti, o non
creduta
o poco
stimata
, del tutto è stata
vilipesa
e
derisa
; da altri, per non
volere
acconsentire
a' miei
concetti
, sono state
prodotte
contro di me
ridicole
ed
impossibili
opinioni
; ed alcuni,
costretti
e
convinti
dalle mie
ragioni
,
ànno
cercato
spogliarmi
di quella
gloria
ch'
era
pur mia, e,
dissimulando
d'aver
veduto
gli
scritti
miei,
tentarono
dopo di me farsi
primieri
inventori
di
meraviglie
così
stupende
.
Tacerò
d'alcuni miei
privati
discorsi
,
dimostrazioni
e
sentenze
, molte di esse da me non
publicate
alle
stampe
, tutte state
malamente
impugnate
o
disprezzate
come da nulla; non
mancando
anco queste d'essersi
talora
abbattute
in alcuni che con
bella
destrezza
si sieno
ingegnati
di farsi con esse
onore
, come
inventate
da i loro
ingegni
.
Io potrei di tali
usurpatori
nominar
non pochi; ma voglio
ora
passarli
sotto
silenzio
,
avvenga
che de'
primi
furti
men
grave
castigo
prender
si
soglia
che de i
susseguenti
. Ma non voglio già più
lungamente
tacere
il
furto
secondo
, che con troppa
audacia
mi ha voluto fare quell'istesso che già molti
anni
sono mi fece l'altro, d'
appropriarsi
l'
invenzione
del mio
compasso
geometrico
, ancor ch'io molti
anni
innanzi l'avessi a gran
numero
di
signori
mostrato
e
conferito
, e finalmente
fatto
publico
colle
stampe
: e
siami
per questa
volta
perdonato
se, contro alla mia
natura
, contro al
costume
ed
intenzion
mia, forse troppo
acerbamente
mi
risento
ed
esclamo
colà
dove per molti
anni
ho
taciuto
. Io
parlo
di
Simon
Mario
Guntzehusano
, che fu quello che già in
Padova
, dove allora io mi
trovava
,
traportò
in
lingua
latina
l'
uso
del
detto
mio
compasso
, ed
attribuendoselo
lo fece ad un suo
discepolo
sotto suo
nome
stampare
, e subito, forse per
fuggir
il
castigo
, se n'
andò
alla
patria
sua,
lasciando
il suo
scolare
, come si dice, nelle
peste
; contro il quale mi fu
forza
, in
assenza
di
Simon
Mario
,
proceder
nella
maniera
ch'è
manifesto
nella
Difesa
ch'allora
feci
e
publicai
. Questo istesso, quattro
anni
dopo la
publicazione
del mio
Nunzio
Sidereo
,
avvezzo
a volersi
ornar
dell'altrui
fatiche
, non si è
arrossito
nel farsi
autore
delle
cose
da me
ritrovate
ed in quell'
opera
publicate
; e
stampando
sotto
titolo
di
Mundus
Iovialis
etc., ha
temerariamente
affermato
, sé aver avanti di me
osservati
i
pianeti
Medicei
, che si
girano
intorno a
Giove
. Ma perché di
rado
accade
che la
verità
si
lasci
sopprimer
dalla
bugia
, ecco ch'egli medesimo nell'
istessa
sua
opera
, per sua
inavvertenza
e poca
intelligenza
, mi
dà
campo
di
poterlo
convincere
con
testimoni
irrefragabili
e
manifestamente
far
palese
il suo
fallo
,
mostrando
ch'egli non solamente non
osservò
le
dette
stelle
avanti di me, ma non le
vide
né anco
sicuramente
due
anni
dopo: e
dico
di più, che molto
probabilmente
si può
affermare
ch'ei non l'ha
osservate
già mai. E ben ch'io da molti
luoghi
del suo
libro
cavar
potessi
evidentissime
prove
di quanto
dico
,
riserbando
l'altre ad altra
occasione
, voglio, per non
diffondermi
soverchiamente
e
distrarmi
dalla mia
principale
intenzione
,
produrre
un
luogo
solo.
Scrive
Simon
Mario
nella
seconda
parte
del suo
Mondo
Gioviale
,alla
considerazione
del
sesto
fenomeno
, d'aver con
diligenza
osservato
, come i quattro
pianeti
gioviali
non mai si
trovano
nella
linea
retta
parallela
all'
eclittica
se non quando sono nelle
massime
digressioni
da
Giove
; ma che quando son fuori di queste, sempre
declinano
con
notabil
differenza
da
detta
linea
;
declinano
,
dico
, da quella sempre verso
settentrione
quando sono nelle
parti
inferiori
de' lor
cerchi
, ed all'
opposito
piegano
sempre verso
austro
quando sono nelle
parti
superiori
: e per
salvar
cotal
apparenza
,
statuisce
i lor
cerchi
inclinati
dal
piano
dell'
eclittica
verso
austro
nelle
parti
superiori
, e verso
borea
nell'
inferiori
. Or questa sua
dottrina
è
piena
di
fallacie
, le quali
apertamente
mostrano
e
testificano
la sua
fraude
.
E prima, non è
vero
che i quattro
cerchi
delle
Medicee
inclinino
dal
piano
dell'
eclittica
; anzi sono eglino ad esso sempre
equidistanti
.
Secondo
, non è
vero
che le medesime
stelle
non sieno mai tra di loro
puntualmente
per
linea
retta
se non quando si
ritrovano
costituite
nelle
massime
digressioni
da
Giove
; anzi
talora
accade
ch'esse in qualunque
distanza
, e
massima
e
mediocre
e
minima
, si
veggono
per
linea
esquisitamente
retta
, ed
incontrandosi
insieme
, ancor che sieno di
movimenti
contrarii
e
vicinissime
a
Giove
, si
congiungono
puntualmente
, sì che due
appariscono
una
sola
. E finalmente, è
falso
che quando
declinano
dal
piano
dell'
eclittica
,
pieghino
sempre verso
austro
quando sono nelle
metà
superiori
de i lor
cerchi
, e verso
borea
quando sono nell'
inferiori
; anzi in alcuni
tempi
solamente fanno lor
declinazioni
in
cotal
guisa
, ed in altri
tempi
declinano
al
contrario
, cioè verso
borea
quando sono ne
mezi
cerchi
superiori
, e verso
austro
nell'
inferiori
. Ma
Simon
Mario
, per non aver né
inteso
né
osservato
questo
negozio
, ha
inavvertentemente
scoperto
il suo
fallo
.
Ora
il
fatto
sta così.
Sono i quattro
cerchi
de i
pianeti
Medicei
sempre
paralleli
piano
dell'
eclittica
; e perché noi siamo nell'istesso
piano
collocati
,
accade
che qualunque
volta
Giove
non
averà
latitudine
, ma si
troverà
esso ancora sotto l'
eclittica
, i
movimenti
d'esse
stelle
ci si
mostreranno
fatti
per una stessa
linea
retta
, e le lor
congiunzioni
fatte in
qualsivoglia
luogo
saranno sempre
corporali
, cioè senza veruna
declinazione
. Ma quando il medesimo
Giove
si
troverà
fuori del
pian
dell'
eclittica
,
accaderà
che se la sua
latitudine
sarà da esso
piano
verso
settentrione
,
restando
pure
i quattro
cerchi
delle
Medicee
paralleli
all'
eclittica
, le
parti
loro
superiori
a noi, che sempre siamo nel
piano
dell'
eclittica
, si
rappresenteranno
piegar
verso
austro
rispetto
all'
inferiori
, che ci si
mostreranno
più
boreali
; ed all'
incontro
, quando la
latitudine
di
Giove
sarà
australe
, le
parti
superiori
de i medesimi
cerchietti
ci si
mostreranno
più
settentrionali
dell'
inferiori
: sì che le
declinazioni
delle
stelle
si
vedranno
fare il
contrario
quando
Giove
ha
latitudine
boreale
, di quello che faranno quando
Giove
sarà
australe
; cioè nel
primo
caso
si
vedranno
declinar
verso
austro
quando saranno nelle
metà
superiori
de' lor
cerchi
, e verso
borea
nelle
inferiori
; ma nell'altro
caso
declineranno
per l'
opposito
, cioè verso
borea
nelle
metà
superiori
, e verso
austro
nelle
inferiori
; e tali
declinazioni
saranno maggiori e
minori
,
secondo
che la
latitudine
di
Giove
sarà maggiore o
minore
.
Ora
,
scrivendo
Simon
Mario
d'aver
osservato
come le
dette
quattro
stelle
sempre
declinano
verso
austro
quando sono nelle
metà
superiori
de' lor
cerchi
; adunque tali sue
osservazioni
furon fatte in
tempo
che
Giove
aveva
latitudine
boreale
: ma quando io
feci
le mie
prime
osservazioni
Giove
era
australe
, e tale stette per lungo
tempo
, né si fece
boreale
, sì che le
latitudini
delle quattro
stelle
potessero
mostrarsi
come
scrive
Simone
, se non più di due
anni
dopo: adunque, se pur egli già mai le
vide
ed
osservò
, ciò non fu se non due
anni
dopo di me.
Eccolo dunque già dalle sue stesse
deposizioni
convinto
di
bugia
d'avere avanti di me fatte
cotali
osservazioni
. Ma io di più
aggiungo
e
dico
, che molto più
probabilmente
si può
credere
ch'egli già mai non le facesse: già ch'egli
afferma
non l'avere
osservate
né
vedute
disposte
tra di loro in
linea
retta
isquisitamente
se non mentre si
ritrovano
nelle
massime
distanze
da
Giove
; e
pure
la
verità
è che quattro
mesi
interi
, cioè da
mezo
febraio
a
mezo
giugno
del
1611
, nel qual
tempo
la
latitudine
di
Giove
fu pochissima o nulla, la
disposizione
di esse quattro
stelle
fu sempre per
linea
retta
in tutte le loro
posizioni
. E
notisi
, appresso, la
sagacità
colla quale egli vuole
mostrarsi
anteriore
a me. Io
scrissi
nel mio
Nunzio
Sidereo
d'aver fatta la mia prima
osservazione
alli 7 di
gennaio
dell'
anno
1610
,
seguitando
poi l'altre nelle
seguenti
notti
:
vien
Simon
Mario
, ed
appropriandosi
l'
istesse
mie
osservazioni
,
stampa
nel
titolo
del suo
libro
, ed anco per entro l'
opera
, aver
fatto
le sue
osservazioni
fino
dell'
anno
1609
, onde altri possa far
concetto
della sua
anteriorità
: tuttavia la più
antica
osservazione
ch'ei
produca
poi per fatta da sé, è la
seconda
fatta da me; ma la
pronunzia
per fatta nell'
anno
1609
, e
tace
di far
cauto
il
lettore
come, essendo egli
separato
dalla
Chiesa
nostra, né avendo
accettata
l'
emendazion
Gregoriana
, il
giorno
7 di
gennaio
del
1610
di noi
cattolici
è l'istesso che il
dì
28 di
decembre
del
1609
di loro
eretici
. E questa è tutta la
precedenza
delle sue
finte
osservazioni
. Si
attribuisce
anco
falsamente
l'
invenzione
de' loro
movimenti
periodici
, da me con
lunghe
vigilie
e
gravissime
fatiche
ritrovati
, e
manifestati
nelle mie
Lettere
Solari
,ed anco nel
trattato
che
publicai
delle
cose
che stanno sopra l'
acqua
,
veduto
dal
detto
Simone
, come si
raccoglie
chiaramente
dal suo
libro
, di dove
indubitabilmente
egli ha
cavato
tali
movimenti
.
Ma in troppo
lunga
digressione
, fuori di quello che forse
richiedeva
la
presente
opportunità
, mi
trovo
d'
essermi
lasciato
trascorrere
. Però,
ritornando
su '
l
nostro
cominciato
discorso
,
seguirò
di
dire
che, per tante
chiarissime
prove
non mi
restando
più
luogo
alcuno da
dubitare
d'un
mal
affetto
ed
ostinato
volere
contro dell'
opere
mie, aveva meco stesso
deliberato
di
starmene
cheto
affatto, per
ovviare
in me medesimo alla
cagion
di quei
dispiaceri
sentiti
nell'esser
bersaglio
a sì
frequenti
mordacità
, e
togliere
altrui
materia
d'
essercitare
sì
biasmevol
talento
. È ben
vero
che non mi sarebbe
mancata
occasione
di
metter
fuori altre mie
opere
, forse non meno
inopinate
nelle
filosofiche
scuole
e di non
minor
conseguenza
nella
natural
filosofia
delle
publicate
fin
ora
: ma le
dette
cagioni
ànno
potuto tanto, che solo mi son
contentato
del
parere
e del
giudicio
d'alcuni
gentil
'
uomini
, miei
reali
e
sincerissimi
amici
,
co
' quali
communicando
e
discorrendo
de i miei
pensieri
, ho
goduto
di quel
diletto
che ne
reca
il poter
conferire
quel che di
mano
in
mano
ne
somministra
l'
ingegno
,
scansando
nel medesimo
tempo
la
rinovazion
di quelle
punture
per avanti da me
sentite
con tanta
noia
.
Ànno
ben questi
signori
,
amici
miei,
mostrando
in non
piccola
parte
d'
applaudere
a i miei
concetti
,
procurato
con
varie
ragioni
di
ritirarmi
da così
fatto
proponimento
. E
primieramente
ànno
cercato
persuadermi
ch'io
dovessi
poco
apprezzare
queste tanto
pertinaci
contradizzioni
, quasi che in
effetto
, tutte in
fine
ritornando
contro de i loro
autori
,
rendesser
più
viva
e più
bella
la mia
ragione
, e
desser
chiaro
argomento
che non
vulgari
fussero
i miei
componimenti
,
allegandomi
una
commune
sentenza
, che la
vulgarità
e la
mediocrità
, come poco o non
punto
considerate
, son
lasciate
da
banda
, e solamente
colà
si
rivolgono
gli
umani
intelletti
ove si
scopre
la
meraviglia
e l'
eccesso
, il quale poi nelle
menti
mal
temperate
fa
nascer
tosto
l'
invidia
, e appresso, con essa, la
maldicenza
. E ben che tali e
somiglianti
ragioni
,
addottemi
dall'
autorità
di questi
signori
,
fusser
vicine
al
distogliermi
dal mio
risoluto
pensiero
del non più
scrivere
, nulladimeno
prevalse
il mio
desiderio
di
viver
quieto
senza tante
contese
; e così
stabilito
nel mio
proposito
, mi
credetti
in questa
maniera
d'aver
ammutite
tutte le
lingue
, che
ànno
finora
mostrato
tanta
vaghezza
di
contrastarmi
. Ma
vano
m'è
riuscito
questo
disegno
, né
co
'
l
tacer
ho potuto
ovviare
a questa mia così
ostinata
influenza
, dell'aver a esserci sempre chi
voglia
scrivermi
contro e
prender
rissa
con esso meco.
Non m'è
giovato
lo
starmi
senza
parlare
, ché questi, tanto
vogliolosi
di
travagliarmi
, son
ricorsi
a far mie l'altrui
scritture
; e su quelle avendomi
mosso
fiera
lite
, si sono
indotti
a far cosa che, a mio
credere
, non
suol
mai
seguire
senza
dar
chiaro
indizio
d'
animo
appassionato
fuor
di
ragione
. E perché non
dee
aver potuto il
signor
Mario
Guiducci
, per
convenienza
e
carico
di suo
officio
,
discorrer
nella sua
Academia
e poi
publicare
il suo
Discorso
delle
Comete
,senza che
Lottario
Sarsi
,
persona
del tutto
incognita
, abbia per questo a
voltarsi
contro di me, e, senza
rispetto
alcuno di tal
gentil
uomo
, farmi
autore
di quel
Discorso
, nel quale non ho altra
parte
che la
stima
e l'
onore
da esso
fattomi
nel
concorrere
col mio
parere
, da lui
sentito
ne'
sopradetti
ragionamenti
avuti con que'
signori
,
amici
miei,
co
' quali il
signor
Guiducci
si
compiacque
spesso
di
ritrovarsi
? E quando
pure
tutto quel
Discorso
delle
Comete
fusse
stato
opera
di mia
mano
(ché,
dovunque
sarà
conosciuto
il
signor
Mario
, ciò non potrà mai
cadere
in
pensiero
), che
termine
sarebbe
stato
questo del
Sarsi
, mentre io
mostrassi
così voler
essere
sconosciuto
,
scoprirmi
la
faccia
e
smascherarmi
con tanto
ardire
? Per la qual cosa,
trovandomi
astretto
da questo
inaspettato
e tanto
insolito
modo di
trattare
, vengo a
romper
la mia già
stabilita
risoluzione
di non mi far più
vedere
in
publico
coi miei
scritti
; e
procurando
giusta
mia possa che almeno
sconosciuta
non
resti
la
disconvenienza
di questo
fatto
,
spero
d'aver a fare
uscir
voglia
ad alcuno di
molestare
(come si dice) il
mastino
che
dorme
, e voler
briga
con chi si
tace
.
E ben ch'io m'
avvisi
che questo
nome
, non mai più
sentito
nel
mondo
, di
Lotario
Sarsi
serva
per
maschera
di chi che sia che
voglia
starsene
sconosciuto
, non mi starò, come ha
fatto
esso
Sarsi
, a
imbrigar
in altro per voler
levar
questa
maschera
, non mi
parendo
né
azzione
punto
imitabile
, né che possa in alcuna cosa
porgere
aiuto
o
favore
alla mia
scrittura
. Anzi mi
do
ad
intendere
che '
l
trattar
seco come con
persona
incognita
sia per
dar
campo
a far più
chiara
la mia
ragione
, e
porgermi
agevolezza
ond'io
spieghi
più
libero
il mio
concetto
. Perché io ho
considerato
che molte
volte
coloro che
vanno
in
maschera
, o son
persone
vili
che sotto quell'
abito
voglion
farsi
stimar
signori
e
gentiluomini
, e in tal
maniera
per qualche lor
fine
valersi
di quella
onorevolezza
che
porta
seco la
nobiltà
; o
talora
son
gentiluomini
che
deponendo
, così
sconosciuti
, il
rispettoso
decoro
richiesto
a lor
grado
, si fanno
lecito
, come si
costuma
in molte
città
d'
Italia
, di poter d'ogni cosa
parlare
liberamente
con ognuno,
prendendosi
insieme
altrettanto
diletto
che ognuno, sia chi si
voglia
, possa con essi
motteggiare
e
contender
senza
rispetto
. E di questi
secondi
credendo
io che
debba
esser quegli che si
cuopre
con questa
maschera
di
Lottario
Sarsi
(ché quando
fusse
de'
primi
, in poco
gusto
gli
tornerebbe
d'aver voluto così
spacciarla
per la maggiore), mi
credo
ancora che, sì come così
sconosciuto
egli si è
indotto
a
dir
cosa contro di me che a
viso
aperto
se ne sarebbe forse
astenuto
, così non gli
debba
dovere
esser
grave
che,
valendomi
del
privilegio
conceduto
contro le
maschere
, possa
trattar
seco
liberamente
, né mi sia né da lui né da altri per esser
pesata
ogni
parola
ch'io per
avventura
dicessi
più
libera
ch'ei non vorrebbe.
Ed ho voluto,
Illustrissimo
Signore
, ch'ella sia prima d'ogn'altro lo
spettator
di questa mia
replica
;
imperciocché
, come
intendentissima
e, per le sue
qualità
nobilissime
,
spogliata
d'
animo
parziale
,
giustamente
sarà per
apprender
la
causa
mia, né
lascerà
di
reprimer
l'
audacia
di quelli che,
mancando
d'
ignoranza
ma non d'
affetto
appassionato
(ché de gli altri poco
debbo
curare
), volessero
appo
del
vulgo
, che non
intende
,
malamente
stravolger
la mia
ragione
. E ben che
fusse
mia
intenzione
, quando prima
lessi
la
scrittura
del
Sarsi
, di
comprendere
in una
semplice
lettera
inviata
a
V.
S.
Illustrissima
le
risposte
, tuttavia, nel venire al
fatto
, mi sono in
maniera
moltiplicate
tra le
mani
le
cose
degne
d'esser
notate
che in essa
scrittura
si
contengono
, che di lungo
intervallo
m'è
stato
forza
passar
i
termini
d'una
lettera
. Ho nondimeno
mantenuta
l'
istessa
risoluzione
di
parlar
con
V.
S.
Illustrissima
ed a lei
scrivere
, qualunque si sia poi
riuscita
la
forma
di questa mia
risposta
; la quale ho
voluta
intitolare
col
nome
di
Saggiatore
,
trattenendomi
dentro la medesima
metafora
presa
dal
Sarsi
. Ma perché m'è
paruto
che, nel
ponderare
egli le
proposizioni
del
signor
Guiducci
, si sia
servito
d'una
stadera
un poco troppo
grossa
, io ho voluto
servirmi
d'una
bilancia
da
saggiatori
, che sono così
esatte
che
tirano
a meno d'un
sessantesimo
di
grano
: e con questa
usando
ogni
diligenza
possibile
, non
tralasciando
proposizione
alcuna
prodotta
da quello, farò di tutte i lor
saggi
; i quali
anderò
per
numero
distinguendo
e
notando
,
acciò
, se mai
fussero
dal
Sarsi
veduti
e gli venisse
volontà
di
rispondere
, ei possa tanto più
agevolmente
farlo, senza
lasciare
indietro
cosa veruna.
Ma venendo
ormai
alle
particolari
considerazioni
, non sarà per
avventura
se non
bene
(
acciò
che niente
rimanga
senza esser
ponderato
)
dir
qualche cosa intorno all'
inscrizzion
dell'
opera
, la quale il
signor
Lottario
Sarsi
intitola
Libra
Astronomica
e
Filosofica
;
rende
poi nell'
epigramma
, ch'ei
soggiunge
, la
ragion
che lo
mosse
a così
nominarla
, la qual è che l'
istessa
cometa
, col
nascere
e
comparir
nel
segno
della
Libra
, volle
misteriosamente
accennargli
ch'ei
dovesse
librar
con
giusta
lance
e
ponderar
le
cose
contenute
nel
trattato
delle
comete
publicato
dal
signor
Mario
Guiducci
. Dove io
noto
come il
Sarsi
comincia
, tanto presto che più non
era
possibile
, a
tramutar
con gran
confidenza
le
cose
(
stile
mantenuto
poi in tutta la sua
scrittura
) per
accommodarle
alla sua
intenzione
. Gli
era
caduto
in
pensiero
questo
scherzo
sopra la
corrispondenza
della sua
Libra
colla
Libra
celeste
, e perché gli
pareva
che
argutamente
venisse la sua
metafora
favoreggiata
dall'
apparizion
della
cometa
, quando ella
fusse
comparita
in
Libra
,
liberamente
dice quella in tal
luogo
esser
nata
; non
curando
di
contradire
alla
verità
, ed anco in certo modo a sé medesimo,
contradicendo
al suo proprio
Maestro
, il quale nella sua
Disputazione
, alla
fac
. 7,
conclude
così: "
Verum
,
quæcunque
tandem
ex his prima
cometæ
lux
fuerit
, illi semper
Scorpius
patria
est"; e
dodici
versi
più a
basso
: "
Fuerit
hoc sane, cum in
Scorpio
, hoc est in
Martis
præcipua
domo
,
natus
sit"; e poco di sotto: "Ego, quo ad me
attinet
,
patriam
eius
inquiro
, quam
Scorpium
fuisse
affirmo
,
cunctis
etiam
assentientibus
." Adunque molto più
proporzionatamente
, ed anco più
veridicamente
, se
riguarderemo
la sua
scrittura
stessa, l'avrebbe egli potuta
intitolare
L'
astronomico
e
filosofico
scorpione
,
costellazione
dal nostro
sovran
poeta
Dante
chiamata
figura
del
freddo
animale
che colla
coda
percuote
la
gente
e
veramente
non vi
mancano
punture
contro di me, e tanto più
gravi
di quelle degli
scorpioni
, quanto questi, come
amici
dell'
uomo
, non
feriscono
se prima non vengono
offesi
e
provocati
, e quello
morde
me che mai né pur col
pensiero
non lo
molestai
. Ma mia
ventura
, che
so
l'
antidoto
e
rimedio
presentaneo
a
cotali
punture
!
Infragnerò
dunque e
stropiccerò
l'istesso
scorpione
sopra le
ferite
, onde il
veleno
risorbito
dal proprio
cadavero
lasci
me
libero
e
sano
.
1. Or
vegniamo
al
trattato
, e sia il
primo
saggio
intorno ad alcune
parole
del
proemio
, cioè da "Unus, quod
sciam
",
fino
a "
Doluimus
". Il qual
proemio
sarà però da noi qui
registrato
intero
, per
total
compitezza
del
testo
latino
, al quale non vogliamo che
manchi
pur un
iota
.
Tribus
in
cælo
facibus
insolenti
lumine
,
anno
superiore
,
fulgentibus
, nemo
hebeti
adeo
ingenio
ac
plumbeis
oculis
fuit, qui
utramque
in
illas
aciem
non
intenderit
aliquando,
miratusque
non sit
insueti
fulgoris
eo
tempore
feracitatem
. Sed quoniam est
vulgus
, ut
sciendi
avidissimum
, ita ad
rerum
causas
investigandas
minus
aptum
, ab
iis
propterea sibi
tantarum
rerum
scientiam
,
iure
veluti
suo,
exposcebat
, ad quos
cæli
mundique
totius
contemplatio
maxime
pertineret
.
Philosophorum
igitur
astronomorumque
Academias
consulendas
illico
censuit
. Quid
igitur
nostra hæc
Gregoriana
, quæ, et
disciplinarum
et
Academicorum
multitudine
nobilis
, se inter
cæteras
designari
omnium
oculis
, se
maxime
consuli
, ab se
responsa
expectari
,
facile
intelligebat
?
Committere
enimvero
non
potuit
, ne in
re
, quamquam
dubia
, suo
saltem
muneri
et
postulantium
votis
utcumque
satisfaceret
.
Præstitere
hoc ii, quibus ex
munere
id
oneris
incumbebat
; nec
male
, si
summorum
etiam
capitum
suffragium
spectes
. Unus, quod
sciam
,
Disputationem
nostram, et quidem
paulo
acrius
,
improbavit
Galilæus
."
Nelle quali
ultime
parole
, cioè "Unus, quod
sciam
", egli
afferma
che noi
agramente
abbiamo
tassata
la
Disputazion
del suo
Maestro
. Al che io non
veggo
per
ora
che
occorra
risponder
cosa alcuna,
avvenga
che il suo
detto
è
assolutamente
falso
; poi che, per
diligenza
usata
in
cercar
nella
scrittura
del
signor
Mario
il
luogo
(già ch'egli nol
cita
), non l'ho
saputo
ritrovare
. Ma intorno a questo avremo più a
basso
altre
occasioni
di
parlare
.
2.
Seguita
appresso (e sia il
secondo
saggio
): "
Doluimus
primum
, quod
magni
nominis
viro
hæc
displicerent
; deinde
consolationis
loco
fuit, ab eodem
Aristotelem
ipsum,
Tychonem
,
aliosque
, non
multo
mitius
hac in
disputatione
habitos
: ut sane non aliæ
iis
texendæ
forent
apologiæ
, quibus
communis
cum
summis
ingeniis
causa
satis
, vel ipsis
silentibus
, apud
æquos
æstimatores
pro se ipsa
peroraret
."
Qui dice, aver da
principio
sentito
dolore
che quel
Discorso
mi sia
dispiaciuto
, ma
soggiunge
essergli
stato
poi in
luogo
di
consolazione
il
veder
l'istesso
Aristotile
,
Ticone
ed altri esser con
simile
asprezza
tassati
; onde non erano di
mestieri
altre
difese
a quelli che nell'
accuse
fussero
a
parte
con
ingegni
eminentissimi
, la
causa
stessa de' quali, anco nel lor
silenzio
, appresso
giusti
giudici
assai da per se stessa
parlava
e si
difendeva
. Dalle quali
parole
mi
par
di
raccorre
che, per
giudicio
del
Sarsi
, di quelli che
intraprendono
a
impugnar
autori
d'
ingegno
eminentissimo
si
debba
far così poca
stima
, che né anco
metta
conto
che alcuno si
ponga
alla
difesa
de gli
oppugnati
, la
sola
autorità
de' quali
basta
a
mantener
loro il
credito
appresso gl'
intendenti
. E qui voglio che
V.
S.
Illustrissima
noti
come il
Sarsi
, qual se ne sia la
causa
, o
elezzione
o
inavvertenza
,
aggrava
non poco la
reputazion
del
P.
Grassi
suo
precettore
,
principale
scopo
del quale nel suo
Problema
fu d'
impugnar
l'
opinion
d'
Aristotile
intorno alle
comete
, come nella sua
scrittura
apertamente
si
vede
e l'istesso
Sarsi
replica
e
conferma
in questa, alla
fac
. 7; di modo che se i
contradittori
a gli
uomini
grandissimi
devono
esser
trapassati
, il
P.
Grassi
doveva
esser un di questi. Tuttavia noi non solamente non l'abbiamo
trapassato
, ma ne abbiamo
fatto
la medesima
stima
che de gl'
ingegni
eminentissimi
,
accoppiandolo
con quelli; sì che in
cotal
particolare
altrettanto viene egli da noi
essaltato
, quanto dal suo
discepolo
abbassato
. Io non
veggo
che il
Sarsi
possa per sua
scusa
addurre
altro, se non che il suo
senso
sia
stato
che degli
oppositori
a gl'
ingegni
eminentissimi
si
devono
ben
lasciar
da
banda
i
volgari
, ma all'
incontro
pregiar
quegli ch'essi ancora sono
eminentissimi
, tra i quali egli abbia
inteso
di
riporre
il suo
Maestro
, e noi altri tra i
popolari
, onde per
cotal
rispetto
quello che al
Maestro
suo si
conveniva
fare, a noi sia
stato
di
biasimo
.
3.
Segue
appresso (e sia il
terzo
saggio
): "Sed quando
sapientissimis
etiam
viris
operæ
pretium
visum
est ut esset
saltem
aliquis, qui
Galilæi
disputationem
,
tum
in
iis
quibus
aliena
oppugnat
,
tum
etiam in
iis
quibus sua
promit
,
paulo
diligentius
expenderet
; utrumque mihi
paucis
agendum
statui
."
Il
senso
di queste
parole
,
continuato
con quello delle
precedenti
, mi
par
ch'
importi
questo: che de'
contradittori
a gl'
ingegni
eminentissimi
non si
debba
, come già si è
detto
, far
conto
, ma
trapassargli
sotto
silenzio
, e se pur si
dovesse
lor
rispondere
, si
dia
il
carico
a
persone
più
tosto
basse
, ch'altrimenti; e che però nel nostro
caso
sia
paruto
a
uomini
sapientissimi
che sia ben
fatto
che non l'istesso
P.
Grassi
o altro d'
egual
reputazione
, ma che "
saltem
aliquis"
rispondesse
al
Galilei
. E sin qui io non
dico
né
replico
altro, ma,
conoscendo
e
confessando
la mia
bassezza
,
inclino
il
capo
alla
sentenza
d'
uomini
tali. Ben mi
maraviglio
non poco che il
Sarsi
di proprio
moto
si abbia
eletto
d'esser quel "
saltem
aliquis" ch'
abbracci
e si
sbracci
a tale
impresa
che, per
giudicio
d'
uomini
sapientissimi
e suo, non
doveva
esser
deferita
in altri che in qualche
soggetto
assai
basso
, né
so
ben
intendere
come, essendo
naturale
instinto
d'ognuno l'
attribuire
a se stesso più
tosto
più che
manco
del
merito
,
ora
il
Sarsi
avvilisca
tanto la sua
condizione
, che s'
induca
a
spacciarsi
per un "
saltem
aliquis". Questo
inverisimile
mi ha
tenuto
un
pezzo
sospeso
, e finalmente m'ha
fatto
verisimilmente
credere
ch'in queste sue
parole
possa esser un poco d'
error
di
stampa
, e che dov'è
stampato
"ut esset
saltem
aliquis qui
Galilæi
disputationem
diligentius
expenderet
", si
debba
leggere
"ut esset qui
saltem
aliqua in
Galilæi
disputatione
paulo
diligentius
expenderet
": la qual
lettura
io tanto
reputo
esser la
vera
e
legittima
, quanto ella
puntualmente
si
assesta
a tutto '
l
resto
del
trattato
, e l'altra
mal
s'
aggiusta
alla
stima
ch'io pur voglio
credere
che il
Sarsi
faccia
di se stesso.
Vedrà
dunque
V.
S.
Illustrissima
, nell'
andar
meco
essaminando
la sua
scrittura
, quanto sia
vero
questo ch'io
dico
, cioè ch'egli delle
cose
scritte
dal
signor
Mario
ha solamente
essaminato
"aliqua", anzi
pure
"
saltem
aliqua", cioè alcune
minuzie
di poco
rilievo
alla
principale
intenzione
,
trapassando
sotto
silenzio
le
conclusioni
e le
ragioni
principali
: il che ha egli
fatto
perché
conosceva
in
coscienza
di non poter non le
lodare
e
confessar
vere
, che sarebbe poi
stato
contro alla sua
intenzione
, che fu solamente di
dannare
ed
impugnare
, com'egli stesso
scrive
alla
fac
. 42 con queste
parole
: "Atque hæc de
Galilæi
sententia
, in
iis
quæ
cometam
immediate
spectant
,
dicta
sint.
Plura
enim
dici
vetat
ipsemet
, qui, in
bene
longa
disputatione
, quid
sentiret
paucis
admodum
atque
involutis
verbis
exposuit
,
nobisque
plura
in illum
afferendi
locum
præclusit
. Qui enim
refelleremus
quæ ipse nec
protulit
, neque nos
divinare
potuimus
?" Nelle quali
parole
, oltre al
vedersi
la già
detta
intenzion
di
confutar
solamente, io
noto
due altre
cose
: l'una è, ch'ei
simula
di non aver
intese
molte
cose
per
essere
(
dic
'egli) state
scritte
oscuramente
, che vengon a esser quelle nelle quali non ha
trovato
attacco
per la
contradizzione
; l'altra, ch'egli dice non aver potuto
confutar
le
cose
ch'io non ho
profferite
né egli ha potute
indovinare
: tuttavia
V.
S.
Illustrissima
vedrà
come la
verità
è che la maggior
parte
delle
cose
ch'ei
prende
a
confutare
sono delle non
profferite
da noi, ma
indovinate
o
vogliam
dire
immaginate
da esso.
4. "
Rem
quamplurimis
pergratam
me
facturum
sperans
, quibus
Galilæi
factum
nullo
nomine
probari
potuit
: quod tamen in hac
disputatione
ita
præstabo
, ut
abstinendum
mihi ab
iis
verbis
perpetuo
duxerim
, quæ
exasperati
magis
atque
iracundi
animi
, quam
scientiæ
,
indicia
sunt. Hunc ego
respondendi
modum aliis, si qui
volent
,
facile
concedam
.
Agite
igitur
, quando ille etiam per
internuncios
atque
interpretes
rem
agi
iubet
, ut propterea non ipse per se, sed per
Consulem
Academiæ
Marium
sui
secreta
animi
omnibus
exposuerit
,
liceat
etiam nunc mihi, non quidem
Consuli
, sed tamen
mathematicarum
disciplinarum
studioso
, ea quæ ex
Horatio
Grassio
Magistro
meo de
nuperrimis
eiusdem
Galilæi
inventis
audierim
, non uni tantum
Academiæ
, sed
reliquis
etiam omnibus qui
latine
norunt
,
exponere
. Neque hic
miretur
Marius
,
Consule
se
prætermisso
, cum
Galilæo
rem
transigi
.
Primum
, enim,
Galilæus
ipse, in
litteris
ad
amicos
Romam
datis
,
satis
aperte
disputationem
illam
ingenii
sui
fœtum
fuisse
profitetur
; deinde, cum idem
Marius
peringenue
fateatur
, non sua se
inventa
, sed quæ
Galilæo
veluti
dictante
excepisset
,
summa
fide
protulisse
,
patietur
,
arbitror
, non
inique
, cum
Dictatore
potius me de
iisdem
, quam cum
Consule
,
interim
disputare
."
In tutto questo
restante
del
proemio
io
noto
primamente
, come il
Sarsi
pretende
d'aver
fatto
cosa
grata
a molti colla sua
impugnazione
: e questo forse può essergli
accaduto
con alcuni che non abbiano per
avventura
letta
la
scrittura
del
signor
Mario
, ma se ne sieno
stati
all'
informazion
sua; la quale venendo fatta
privatamente
e (come si dice) a
quattr'
occhi
, quanto e quanto sarà ella stata
lontana
dalle
cose
scritte
, poi che in questa
publica
e
stampata
ei non s'
astiene
d'
apportar
in
campo
moltissime
cose
come
scritte
dal
signor
Mario
, le quali non furon mai né nella sua
scrittura
né pur nella nostra
imaginazione
?
Soggiunge
poi, volersi
astenere
da quelle
parole
che
danno
indizio
più
tosto
d'
animo
innasprito
ed
adirato
, che di
scienza
: il che quanto egli abbia
osservato
,
vedremo
nel
progresso
. Ma per
ora
noto
la sua
confessione
, d'
essere
internamente
innasprito
ed in
collera
, perché quando ei non
fusse
tale, il
trattar
di questo volersi
astenere
sarebbe
stato
non
dirò
a
sproposito
, ma
superfluo
, perché dove non è
abito
o
disposizione
, l'
astinenza
non ha
luogo
.
A quello ch'egli
scrive
appresso, di voler come
terza
persona
riferir
quelle
cose
ch'egli ha
intese
dal
P.
Orazio
Grassi
, suo
precettore
, intorno agli
ultimi
miei
trovati
, io
assolutamente
non
credo
tal cosa, e
tengo
per
fermo
che il
detto
Padre
non abbia mai né
dette
né
pensate
né
vedute
scritte
dal
Sarsi
tali
fantasie
, troppo
lontane
per ogni
rispetto
dalle
dottrine
che si
apprendono
nel
Collegio
dove il
P.
Grassi
è
professore
, come
spero
di far
chiaramente
conoscere
. E già, senza
punto
allontanarmi
di qui, chi sarebbe quello che, avendo pur qualche
notizia
della
prudenza
di quei
Padri
, si potesse
indurre
a
credere
che alcuno di essi avesse
scritto
e
publicato
, ch'io in
lettere
private
,
scritte
a
Roma
ad
amici
,
apertamente
mi
fussi
fatto
autore
della
scrittura
del
signor
Mario
? cosa che non è
vera
; e quando
vera
fusse
stata, il
publicarla
non poteva non
dar
qualche
indizio
d'aver
piacere
di
sparger
qualche
seme
onde tra
stretti
amici
potesse
nascer
alcun'
ombra
di
diffidenza
. E quali
termini
sono il
prendersi
libertà
di
stampar
gli altrui
detti
privati
? Ma è
bene
che
V.
S.
Illustrissima
sia
informata
della
verità
di questo
fatto
.
Per tutto il
tempo
che si
vide
la
cometa
, io mi
ritrovai
in
letto
indisposto
, dove,
sendo
frequentemente
visitato
da
amici
,
cadde
più
volte
ragionamento
delle
comete
, onde m'
occorse
dire
alcuno de' miei
pensieri
, che
rendevano
piena
di
dubbi
la
dottrina
datane
sin qui. Tra gli altri
amici
vi fu più
volte
il
signor
Mario
, e
significommi
un
giorno
aver
pensiero
di
parlar
nell'
Academia
delle
comete
, nel qual
luogo
, quando così mi
fusse
piaciuto
, egli avrebbe
portate
, tra le
cose
ch'egli aveva
raccolte
da altri
autori
e quelle che da per sé aveva
immaginate
, anco quelle che aveva
intese
da me, già ch'io non ero in
istato
di
potere
scrivere
: la qual
cortese
offerta
io
reputai
a mia
ventura
, e non pur l'
accettai
, ma ne lo
ringraziai
e me gli
confessai
obligato
. In tanto e di
Roma
e d'altri
luoghi
, da altri
amici
e
padroni
che forse non
sapevano
della mia
indisposizione
, mi veniva con
instanza
pur
domandato
se in tal
materia
avevo alcuna cosa da
dire
: a' quali io
rispondevo
, non aver altro che qualche
dubitazione
, la quale anco non potevo,
rispetto
all'
infermità
,
mettere
in
carta
; ma che
bene
speravo
che potesse
essere
che in breve
vedessero
tali miei
pensieri
e
dubbi
inseriti
in un
discorso
d'un
gentiluomo
amico
mio, il quale per
onorarmi
aveva
preso
fatica
di
raccorgli
ed
inserirgli
in una sua
scrittura
. Questo è quanto è
uscito
da me, il che è anco in più
luoghi
stato
scritto
dal medesimo
signor
Mario
; sì che non
occorreva
che il
Sarsi
, con
aggiungere
a
vero
,
introducesse
mie
lettere
, né
mettesse
il
signor
Mario
a sì
piccola
parte
della sua
scrittura
(nella quale egli ve l'ha molto maggior di me), che lo
spacciasse
per
copista
. Or, poi che così gli è
piaciuto
, e così
segua
; ed intanto il
signor
Mario
, in
ricompensa
dell'
onor
fattomi
,
accetti
la
difesa
della sua
scrittura
.
5. E
ritornando
al
trattato
,
rilegga
V.
S.
Illustrissima
l'
infrascritte
parole
: "
Dolet
igitur
,
primo
, se in
Disputatione
nostra
male
habitum
, cum de
tubo
optico
ageremus
nullum
cometæ
incrementum
afferente
, ex quo
deduceremus
eundem
a nobis quam
longissime
distare
.
Ait
enim,
multo
ante
palam
affirmasse
se, hoc
argumentum
nullius
momenti
esse. Sed
affirmarit
licet: nunquid eius
illico
ad
Magistrum
meum
pronunciata
referrent
venti
? Licet enim
summorum
virorum
dicta
plerunque
fama
divulget
, huius tamen
dicti
(quid
faciat
?) ne
syllaba
quidem ad nos
pervenit
. Et
quanquam
dissimulavit
,
novit
id tamen
multorum
etiam
testimonio
,
novit
benevolentissimum
in se
Magistri
mei
animum
, et qua
privatis
in
sermonibus
, qua
publicis
in
disputationibus
,
effusum
plane
in
laudes
ipsius. Illud certe
negare
non potest,
neminem
ab illo unquam proprio
nomine
compellatum
, neque se
verbis
ullis
speciatim
designatum
. Si qua tamen ipsius
animum
pulsaret
dubitatio
,
meminisse
etiam
poterat
,
perhonorifice
olim se hoc in
Romano
Collegio
ab eiusdem
Mathematicis
acceptum
, et cum de
Mediceis
sideribus
tuboque
optico
, illo
audiente
et (qua fuit
modestia
) ad
laudes
suas
erubescente
,
publice
est
disputatum
, et cum postea ab alio, eodem
loco
atque
frequentia
, de
iis
quæ
aquis
insident
disserente
,
perpetuo
Galilæus
acroamate
celebratus
est. Quid ergo
causæ
fuerit
nescimus
,
cur
ei, contra,
adeo
viluerit
huius
Romani
Collegii
dignitas
, ut eiusdem
Magistros
et
logicæ
imperitos
diceret
, et
nostras
de
cometis
positiones
futilibus
ac
falsis
innixas
rationibus
, non
timide
pronunciaret
."
Sopra i quali
particolari
scritti
io
primieramente
dico
di non m'esser mai
lamentato
d'
essere
stato
maltrattato
nel
Discorso
del
P.
Grassi
, nel quale son
sicuro
che Sua
Reverenza
non
applicò
mai il
pensiero
alla
persona
mia per
offendermi
; e quando
pure
,
dato
e non
concesso
, io avessi avuta
opinione
che il
P.
Grassi
nel
tassar
quelli che
facevan
poca
stima
dell'
argomento
preso
dal poco
ricrescer
la
cometa
, avesse voluto
comprender
me ancora, non però
creda
il
Sarsi
che questo mi
fusse
stato
causa
di
disgusto
e di
querimonia
. Sarebbe forse ciò
accaduto
quando la mia
opinion
fusse
stata
falsa
, e per tale
scoperta
e
publicata
; ma
sendo
il
detto
mio
verissimo
, e
falso
l'altro, la
moltitudine
de'
contradittori
, e
massime
di tanto
valore
quanto è il
P.
Grassi
, poteva più
tosto
accrescermi
il
gusto
che il
dolore
,
atteso
che più
diletta
il
restar
vittorioso
di
prode
e
numeroso
essercito
, che di pochi e
debili
inimici
. E perché degli
avvisi
che da molte
parti
d'
Europa
andavano
(come
scrive
il
Sarsi
) al suo
Maestro
, alcuni nel
passar
di qua
lasciavano
ancora a noi
sentire
come
generalmente
tutti i più
celebri
astronomi
facevano gran
fondamento
sopra
cotale
argomento
, né
mancavano
anco ne' nostri
contorni
e nella
città
stessa
uomini
della medesima
opinione
, io al
primo
motto
, che di ciò
intesi
, molto
chiaramente
mi
lasciai
intendere
che
stimavo
questo
argomento
vanissimo
, di che molti si
burlavano
, e tanto più, quando in
favor
loro
apparve
l'
autorevole
attestazione
e
confermazione
del
matematico
del
Collegio
Romano
: il che non
negherò
che mi
fusse
cagione
d'un poco di
travaglio
,
atteso
che
trovandomi
posto
in
necessità
di
difendere
il mio
detto
da tanti altri
contradittori
, i quali, per esser
stati
fatti
forti
da un tanto
aiuto
, più
imperiosamente
mi si
levavano
contro, non
vedevo
modo di poter
contradire
a quelli senza
comprendervi
anco il
P.
Grassi
. Fu adunque non mia
elezzione
, ma
accidente
necessario
, ben che
fortuito
, che
indirizzò
la mia
impugnazione
anco in quella
parte
dov'io meno avrei voluto. Ma che io
pretendessi
mai (come
soggiunge
il
Sarsi
) che tal mio
parere
dovesse
esser
repentinamente
portato
da'
venti
sino a
Roma
, come
suole
accadere
delle
sentenze
degli
uomini
celebri
e
grandi
,
eccede
veramente
d'assai i
termini
della mia
ambizione
.
Bene
è
vero
che la
lettura
della
Libra
m'ha
fatto
pur anco alquanto
maravigliare
, che tal mio
detto
non
penetrasse
a gli
orecchi
del
Sarsi
. E non è egli
degno
di
meraviglia
, che
cose
le quali io già mai non
dissi
, né pur
pensai
, delle quali gran
numero
è
registrato
nel suo
Discorso
,gli sieno state
riportate
, e che d'altre
dette
da me mille
volte
non gliene sia pur
giunta
una
sillaba
? Ma forse i
venti
, che
conducono
le
nuvole
, le
chimere
e i
mostri
che in essi
tumultuariamente
si
vanno
figurando
, non
ànno
poi
forza
di
portar
le
cose
sode
e
pesanti
.
Dalle
parole
che
seguono
mi
par
comprendere
che il
Sarsi
m'
attribuisca
a gran
mancamento
il non aver con altrettanta
cortesia
contracambiata
l'
onorevolezza
fattami
da'
Padri
del
Collegio
in
lezzioni
publiche
fatte sopra i miei
scoprimenti
celesti
e sopra i miei
pensieri
delle
cose
che stanno su l'
acqua
. E qual cosa
doveva
io fare? Mi
risponde
il
Sarsi
:
Laudare
e
approvar
il
Discorso
del
P.
Grassi
. Ma,
signor
Sarsi
, già che le
cose
tra voi e me s'
ànno
a
bilanciare
e, come si dice,
trattar
mercantilmente
, io vi
dimando
, se quei
Reverendi
Padri
stimarono
per
vere
le
cose
mie, o pur l'
ebber
per
false
. Se le
conobbero
vere
e come tali le
lodarono
, con troppo
grand'
usura
ridomandereste
ora
il
prestato
, quando voleste che io avessi con
pari
lode
a
essaltar
le
cose
conosciute
da me per
false
. Ma se le
reputaron
vane
e pur l'
essaltarono
, posso ben
ringraziarli
del
buono
affetto
; ma assai più
grato
mi sarebbe
stato
che m'avessero
levato
d'
errore
e
mostratami
la
verità
,
stimando
io assai più l'
utile
delle
vere
correzzioni
, che la
pompa
delle
vane
ostentazioni
: e perché l'istesso
credo
di tutti i
buoni
filosofi
, però né per l'uno né per l'altro
capo
mi
sentivo
in
obligo
. Mi
direte
forse ch'io
dovevo
tacere
. A questo
rispondo
,
primamente
, che troppo
strettamente
ci eravamo
posti
in
obligo
, il
signor
Mario
ed io, avanti la
publicazion
della
scrittura
del
P.
Grassi
, di
lasciar
vedere
i nostri
pensieri
; sì che il
tacere
poi sarebbe
stato
un
tirarsi
addosso
un
disprezzo
e quasi
derision
generale
. Ma più
soggiungo
, che mi sarei anco
sforzato
, e forse l'avrei
impetrato
, che il
signor
Guiducci
non
publicasse
il suo
Discorso
,quando in esso
fusse
stato
cosa
pregiudiciale
alla
degnità
di quel
famosissimo
Collegio
o d'alcun suo
professore
; ma quando l'
opinioni
impugnate
da noi sono state tutte d'altri prima che del
matematico
professore
del
Collegio
, non
veggo
perché il solo avergli Sua
Reverenza
prestato
l'
assenso
avesse a
metter
noi in
obligo
di
dissimulare
ed
ascondere
il
vero
per
favoreggiare
e
mantenere
vivo
uno
errore
. La
nota
, dunque, di poco
intendente
di
logica
cade
sopra
Ticone
ed altri che
ànno
commesso
l'
equivoco
in quell'
argomento
; il quale
equivoco
si è da noi
scoperto
non per
notare
o
biasimare
alcuno, ma solo per
cavare
altrui d'
errore
e per
manifestare
il
vero
: e tale
azzione
non
so
che mai possa esser
ragionevolmente
biasimata
. Non ha, dunque, il
Sarsi
causa
di
dire
che sia appresso di me
avvilita
la
degnità
del
Collegio
Romano
. Ma
bene
, all'
incontro
, quando la
voce
del
Sarsi
uscisse
di quel
Collegio
, avrei io
occasion
di
dubitare
che la
dottrina
e la
reputazion
mia, non solo di
presente
ma forse in ogni
tempo
, sia stata in assai
vile
stima
, poi che in questa
Libra
niuno de' miei
pensieri
viene
approvato
, né ci si
legge
altro che
contradizzioni
accuse
e
biasimi
, ed oltre a quel ch'è
scritto
(se si
deve
prestar
credenza
al
grido
) uno
aperto
vanto
di poter
annichilar
tutte le
cose
mie. Ma sì come io non
credo
questo, né che alcuno di questi
pensieri
abbia
stanza
in quel
Collegio
, così mi
vo
immaginando
che il
Sarsi
abbia dalla sua
filosofia
il poter
egualmente
lodare
e
biasimare
,
confermare
e
ributtar
, le medesime
dottrine
,
secondo
che la
benevolenza
o la
stizza
lo
traporta
: e fammi in questo
luogo
sovvenir
d'un
lettor
di
filosofia
a mio
tempo
nello
Studio
di
Padova
, il quale essendo, come talvolta
accade
, in
collera
con un suo
concorrente
,
disse
che quando quello non avesse
mutato
modi
,
avria
sotto
mano
mandato
a
spiar
l'
opinioni
tenute
da lui nelle sue
lezzioni
, e che in sua
vendetta
avrebbe sempre
sostenute
le
contrarie
.
6. Or
legga
V.
S.
Illustrissima
: "Sed ne
tempus
querelis
frustra
teramus
,
principio
, illud non
video
, quam
iure
Magistro
meo
obiiciat
ac
veluti
vitio
vertat
, quod
nimirum
in
Tychonis
verba
iurasse
eiusdemque
vana
machinamenta
omni ex
parte
secutus
videatur
.
Quanquam
enim hoc
plane
falsum
est, cum,
præter
argumentandi
modos
ac
rationes
quibus
cometæ
locus
inquireretur
, nihil aliud in
Disputatione
nostra
reperiat
in quo
Tychonem
, ut
expressa
verba
testantur
,
sectatus
sit;
interna
vero
ipsius
animi
sensa
,
astrologus
licet
Lynceus
, ne
optico
quidem suo
telescopio
introspexerit
;
age
tamen,
detur
,
Tychoni
illum
adhæsisse
. Quantum
tandem
istud est
crimen
? Quem potius
sequeretur
?
Ptolemæum
? cuius
sectatorum
iugulis
Mars
,
propior
iam
factus
,
gladio
exerto
imminet
?
Copernicum
? at qui
pius
est
revocabit
omnes ab illo potius, et
damnatam
nuper
hypothesim
damnabit
pariter
ac
reiiciet
. Unus
igitur
ex omnibus
Tycho
supererat
, quem nobis
ignotas
inter
astrorum
vias
ducem
adscisceremus
.
Cur
igitur
Magistro
meo ipse
succenseat
, qui illum non
aspernatur
?
Frustra
hic
Senecam
invocat
Galilæus
,
frustra
hic
luget
nostri
temporis
calamitatem
, quod
vera
ac certa
mundanarum
partium
dispositio
non
teneatur
,
frustra
sæculi
huius
deplorat
infortunium
, si
nil
habeat
quo hanc ipsam
ætatem
, hoc
saltem
nomine
eius
suffragio
miseram
,
fortunet
magis
".
Da quanto il
Sarsi
scrive
in questo
luogo
, mi
par
di
comprendere
ch'ei non abbia con
debita
attenzione
letto
non solo il
Discorso
del
signor
Mario
, ma né anco quello del
P.
Grassi
, poi che e dell'uno e dell'altro
adduce
proposizioni
che in quelli non si
ritrovano
. Ben è
vero
che per
aprirsi
la
strada
a poter
riuscire
a
toccarmi
non
so
che di
Copernico
, egli avrebbe avuto
bisogno
che le vi
fussero
state
scritte
; onde, in
difetto
, l'ha
volute
supplir
del suo.
E prima, non si
trova
nella
scrittura
del
signor
Mario
buttato
, come si dice, in
occhio
, né
attribuito
a
mancamento
al
P.
Grassi
l'aver
giurato
fedeltà
a
Ticone
e
seguitate
in tutto e per tutto le sue
vane
machinazioni
. Ecco i
luoghi
citati
dal
Sarsi
. Alla
fac
. 18: "Appresso verrò al
professor
di
matematica
del
Collegio
Romano
, il quale in una sua
scrittura
ultimamente
publicata
pare
che
sottoscriva
ad ogni
detto
d'esso
Ticone
,
aggiungendovi
anco qualche
nuova
ragione
a
confermazion
dell'istesso
parere
". L'altro
luogo
a
fac
. 38: "Il
matematico
del
Collegio
Romano
ha
parimente
per quest'
ultima
cometa
ricevuto
la medesima
ipotesi
; e a così
affermare
, oltre a quel poco che n'è
scritto
dall'
Autore
, che
consuona
colla
posizion
di
Ticone
, m'
induce
ancora il
vedere
in tutto il
rimanente
dell'
opera
quanto ei
concordi
coll'altre
ticoniche
immaginazioni
". Or
vegga
V.
S.
Illustrissima
se qui s'
attribuisce
cosa veruna a
vizio
e
mancamento
. Di più, è ben
chiarissimo
che non si
trattando
in tutta l'
opera
d'altro che de gli
accidenti
attenenti
alle
comete
, de' quali
Ticone
ha
scritto
sì gran
volume
, il
dire
che il
matematico
del
Collegio
concorda
coll'altre
immaginazioni
di
Ticone
, non s'
estende
ad altre
posizioni
ch'a quelle ch'
appartengono
alle
comete
; sì che il
chiamar
ora
in
paragon
di
Ticone
,
Tolomeo
e
Copernico
, i quali non
trattaron
mai d'
ipotesi
attenenti
a
comete
, non
veggo
che ci abbia
luogo
opportuno
.
Quello poi che dice il
Sarsi
, che nella
scrittura
del suo
Maestro
non vi si
trova
altro, in che egli abbia
seguito
Ticone
,
fuor
che le
dimostrazioni
per
ritrovare
il
luogo
della
cometa
, sia
detto
con sua
pace
, non è
vero
; anzi nessuna cosa vi è meno, che
simile
dimostrazione
.
Tolga
Iddio
che il
P.
Grassi
avesse in ciò
imitato
Ticone
, né si
fusse
accorto
, quanto nel modo d'
investigar
la
distanza
della
cometa
per l'
osservazioni
fatte in due
luoghi
differenti
in
Terra
, si
mostri
bisognoso
della
notizia
de'
primi
elementi
delle
matematiche
. Ed acciocché
V.
S.
Illustrissima
vegga
ch'io non
parlo
così senza
fondamento
,
ripigli
la
dimostrazion
ch'egli
comincia
alla
fac
. 123 del
trattato
della
cometa
del
1577
, ch'è nell'
ultima
parte
de' suoi
Proginnasmi
: nella quale volendo egli
provare
com'ella non
fusse
inferiore
alla
Luna
per la
conferenza
dell'
osservazioni
fatte da sé in
Uraniburg
e da
Tadeo
Agecio
in
Praga
, prima,
tirata
la
subtesa
AB all'
arco
dell'
orbe
terrestre
che
media
tra i
detti
due
luoghi
, e
traguardando
dal
punto
A la
stella
fissa
posta
in D,
suppone
l'
angolo
DAB
esser
retto
; il che è molto
lontano
dal
possibile
, perché,
sendo
la
linea
AB
corda
d'un
arco
minor
di
gradi
6 (come
Ticon
medesimo
afferma
) bisogna,
acciò
che il
detto
angolo
sia
retto
, che la
fissa
D sia
lontana
dal
zenit
di A meno di
gradi
3; cosa ch'è tanto
falsa
, quanto che la sua
minima
distanza
è più di
gradi
48, essendo, per
detto
dell'istesso
Ticone
, la
declinazion
della
fissa
D, ch'è l'
Aquila
o vogliamo
dire
l'
Avvoltoio
, di
gradi
7.52 verso
borea
, e la
latitudine
di
Uraniburg
gradi
55.54. In oltre egli
scrive
, la medesima
stella
fissa
da i due
luoghi
A e
B
vedersi
nel medesimo
luogo
dell'
ottava
sfera
, perché la
Terra
tutta, non che la
piccola
parte
AB, non ha
sensibil
proporzione
coll'
immensità
d'essa
ottava
sfera
. Ma
perdonimi
Ticone
: la
grandezza
e
piccolezza
della
Terra
non ha che fare in questo
caso
, perché il
vedersi
da ogni sua
parte
la medesima
stella
nell'istesso
luogo
deriva
dall'
essere
ella
realmente
nell'
ottava
sfera
, e non da altro; in quel modo a
punto
che i
caratteri
che sono sopra questo
foglio
, già mai
rispetto
al medesimo
foglio
non
muteranno
apparenza
di
sito
, per qualunque
grandissima
mutazion
di
luogo
che
faccia
l'
occhio
di
V.
S.
Illustrissima
che gli
riguarda
: ma ben uno
oggetto
posto
tra l'
occhio
e la
carta
, al
movimento
della
testa
varierà
l'
apparente
sito
rispetto
a'
caratteri
, sì che il medesimo
carattere
ora
se gli
vedrà
dalla
destra
,
ora
dalla
sinistra
,
ora
più
alto
, ed
ora
più
basso
; ed in
cotal
guisa
mutano
apparente
luogo
i
pianeti
nell'
orbe
stellato
,
veduti
da
differenti
parti
della
Terra
, perché da quello sono
lontanissimi
; e quello che in questo
caso
opera
la
piccolezza
della
Terra
, è che, facendo i più
lontani
da noi
minor
varietà
d'
aspetto
, ed i più
vicini
maggiore, finalmente per uno
lontanissimo
la
grandezza
della
Terra
non
basti
a far tal
varietà
sensibile
. Quello poi che
soggiunge
accadere
conforme
alle
leggi
de gli
archi
e delle
corde
,
vegga
V.
S.
Illustrissima
quant'ei sia da tali
leggi
lontano
, anzi
pure
da'
primi
elementi
di
geometria
. Egli dice, le due
rette
AD,
BD
esser
perpendicolari
alla AB: il che è
impossibile
, perché la
sola
retta
che viene dal
vertice
è
perpendicolare
sopra la
tangente
e le sue
parallele
, e queste non vengono
altramente
dal
vertice
, né l'AB è
tangente
o ad essa
parallela
. In oltre, ei le
domanda
parallele
, e appresso dice che le si
vanno
a
congiungere
nel
centro
: dove, oltre alla
contradizzione
dell'esser
parallele
e
concorrenti
, vi è che,
prolungate
,
passano
lontanissime
dal
centro
. E finalmente
conclude
, che venendo dal
centro
alla
circonferenza
sopra i
termini
dell'AB,
elle
sono
perpendicolari
: il che è tanto
impossibile
, quanto che delle
linee
tirate
dal
centro
a tutti i
punti
della
corda
AB,
sola
quella che
cade
nel
punto
di
mezo
gli è
perpendicolare
, e quelle che
cascano
ne gli
estremi
termini
sono più di tutte l'altre
inclinate
ed
oblique
.
Vegga
dunque
V.
S.
Illustrissima
a quali e quante
essorbitanze
avrebbe il
Sarsi
fatto
prestar
l'
assenso
dal suo
Maestro
, quando
vero
fusse
ciò ch'in questo
proposito
ha
scritto
, cioè che quello abbia
seguitate
le
ragioni
e
modi
di
dimostrar
di
Ticone
nel
ricercar
il
luogo
della
cometa
.
Vegga
di più il medesimo
Sarsi
quant'io
meglio
di lui, senza
adoperar
astrologia
né
telescopio
, abbia
penetrato
, non
dirò
i
sensi
interni
dell'
animo
suo, perché per
ispiar
questi io non ho né
occhi
né anco
orecchi
, ma i
sensi
della sua
scrittura
, i quali son pur tanto
chiari
e
manifesti
, che
bisogno
non ci è de gli
occhi
lincei
,
gentilmente
introdotti
dal
Sarsi
,
credo
per
ischerzare
un poco sopra la nostra
Academia
. E perché e
V.
S.
Illustrissima
ed altri
principi
e
signori
grandi
son meco a
parte
nello
scherzo
, io, per la
dottrina
di sopra
insegnatami
dal
Sarsi
, non
curando
molto i suoi
motti
, me la
passerò
sotto l'
ombra
loro, o, per
meglio
dire
,
illustrerò
l'
ombra
mia col loro
splendore
.
Ma
tornando
al
proposito
,
vegga
com'egli di
nuovo
vuol
pure
ch'io abbia
reputato
gran
mancamento
nel
P.
Grassi
l'aver egli
aderito
alla
dottrina
di
Ticone
, e
risentitamente
domanda
: Chi ei
doveva
seguitare
? forse
Tolomeo
, la cui
dottrina
dalle
nuove
osservazioni
in
Marte
è
scoperta
per
falsa
? forse il
Copernico
, dal quale più presto si
deve
rivocar
ognuno, mercé dell'
ipotesi
ultimamente
dannata
? Dove io
noto
più
cose
e prima,
replico
ch'è
falsissimo
ch'io abbia mai
biasimato
il
seguitar
Ticone
, ancor che con
ragione
avessi potuto farlo, come pur finalmente
dovrà
restar
manifesto
a i suoi
aderenti
per l'
Antiticone
del
signor
cavalier
Chiaramonte
; sì che quanto qui
scrive
il
Sarsi
, è molto
lontano
dal
proposito
; e molto più
fuor
del
caso
s'
introducono
Tolomeo
e
Copernico
, de' quali non si
trova
che
scrivessero
mai
parola
attenente
a
distanze
,
grandezze
,
movimenti
e
teoriche
di
comete
, delle quali
sole
, e non d'altro, si è
trattato
, e con altrettanta
occasione
vi si potevano
accoppiare
Sofocle
, e
Bartolo
, o
Livio
.
Parmi
, oltre a ciò, di
scorgere
nel
Sarsi
ferma
credenza
, che nel
filosofare
sia
necessario
appoggiarsi
all'
opinioni
di qualche
celebre
autore
, sì che la
mente
nostra, quando non si
maritasse
col
discorso
d'un altro, ne
dovesse
in tutto
rimanere
sterile
ed
infeconda
; e forse
stima
che la
filosofia
sia un
libro
e una
fantasia
d'un
uomo
, come l'
Iliade
e l'
Orlando
furioso
,
libri
ne' quali la meno
importante
cosa è che quello che vi è
scritto
sia
vero
.
Signor
Sarsi
, la cosa non
istà
così. La
filosofia
è
scritta
in questo
grandissimo
libro
che
continuamente
ci sta
aperto
innanzi a gli
occhi
(io
dico
l'
universo
), ma non si può
intendere
se prima non s'
impara
a
intender
la
lingua
, e
conoscer
i
caratteri
, ne' quali è
scritto
. Egli è
scritto
in
lingua
matematica
, e i
caratteri
son
triangoli
,
cerchi
, ed altre
figure
geometriche
, senza i quali
mezi
è
impossibile
a
intenderne
umanamente
parola
; senza questi è un
aggirarsi
vanamente
per un
oscuro
laberinto
. Ma
posto
pur anco, come al
Sarsi
pare
, che l'
intelletto
nostro
debba
farsi
mancipio
dell'
intelletto
d'un altr'
uomo
(
lascio
stare ch'egli, facendo così tutti, e se stesso ancora,
copiatori
,
loderà
in sé quello che ha
biasimato
nel
signor
Mario
), e che nelle
contemplazioni
de'
moti
celesti
si
debba
aderire
ad alcuno, io non
veggo
per qual
ragione
ei s'
elegga
Ticone
,
anteponendolo
a
Tolomeo
e a
Nicolò
Copernico
, de' quali due abbiamo i
sistemi
del
mondo
interi
e con
sommo
artificio
costrutti
e
condotti
al
fine
; cosa ch'io non
veggo
che
Ticone
abbia fatta, se già al
Sarsi
non
basta
l'aver
negati
gli altri due e
promessone
un altro, se ben poi non
esseguito
. Né meno dell'aver
convinto
gli altri due di
falsità
, vorrei che alcuno lo
riconoscesse
da
Ticone
: perché, quanto a quello di
Tolomeo
, né
Ticone
né altri
astronomi
né il
Copernico
stesso potevano
apertamente
convincerlo
,
avvenga
che la
principal
ragione
,
presa
da i
movimenti
di
Marte
e di
Venere
, aveva sempre il
senso
in
contrario
; al quale
dimostrandosi
il
disco
di
Venere
nelle due
congiunzioni
e
separazioni
dal
Sole
pochissimo
differente
in
grandezza
da se stesso, e quel di
Marte
perigeo
a
pena
3 o 4
volte
maggiore che quando è
apogeo
, già mai non si sarebbe
persuaso
dimostrarsi
veramente
quello 40 e questo 60
volte
maggiore nell'uno che nell'altro
stato
, come
bisognava
che
fusse
quando le
conversioni
loro
fussero
state intorno al
Sole
,
secondo
il
sistema
Copernicano
; tuttavia ciò esser
vero
e
manifesto
al
senso
, ho
dimostrato
io, e
fattolo
con
perfetto
telescopio
toccar
con
mano
a chiunque l'ha voluto
vedere
. Quanto poi all'
ipotesi
Copernicana
, quando per
beneficio
di noi
cattolici
da più
sovrana
sapienza
non
fussimo
stati
tolti
d'
errore
ed
illuminata
la nostra
cecità
, non
credo
che tal
grazia
e
beneficio
si
fusse
potuto
ottenere
dalle
ragioni
ed
esperienze
poste
da
Ticone
. Essendo, dunque,
sicuramente
falsi
li due
sistemi
, e nullo quello di
Ticone
, non
dovrebbe
il
Sarsi
riprendermi
se con
Seneca
desidero
la
vera
costituzion
dell'
universo
. E ben che la
domanda
sia
grande
e da me molto
bramata
, non però tra
ramarichi
e
lagrime
deploro
, come
scrive
il
Sarsi
, la
miseria
e
calamità
di questo
secolo
, né pur si
trova
minimo
vestigio
di tali
lamenti
in tutta la
scrittura
del
signor
Mario
; ma il
Sarsi
,
bisognoso
d'
adombrare
e
dar
appoggio
a qualche suo
pensiero
ch'ei
desiderava
di
spiegare
, lo
va
da se stesso
preparando
, e
somministrandosi
quegli
attacchi
che da altri non gli sono
stati
porti
. E quando pur io
deplorassi
questo nostro
infortunio
, io non
veggo
quanto
acconciamente
possa
dire
il
Sarsi
,
indarno
essere
sparse
le mie
querele
, non avendo io poi modo né
facoltà
di
tor
via
tal
miseria
, perché a me
pare
che
appunto
per questo avrei
causa
di
querelarmi
, ed all'
incontro
le
querimonie
allora non ci
avrebbon
luogo
, quando io potessi
tor
via
l'
infortunio
.
7. Ma
legga
ormai
V.
S.
Illustrissima
. "Et quoniam hoc
loco
atque hoc ad
disputationem
ingressu
confutanda
ea mihi sunt quæ
minoris
ponderis
videntur
, illud ab
homine
perhumano
,
qualem
illum omnes
norunt
,
expectassem
profecto
nunquam
, ut, vel ipso
Catone
severior
,
lepores
quosdam
ac
sales
,
apposite
a nobis inter
dicendum
usurpatos
,
fastidiose
adeo
aversaretur
, ut
irrideret
potius, ac
diceret
naturam
poëticis
non
delectari
. At ego,
proh
, quantum ab hac
opinione
distabam
!
naturam
poëtriam
ad hanc usque
diem
existimavi
. Illa certe
vix
unquam
poma
fructusque
ullos
parit
, quorum
flores
,
veluti
ludibunda
, non
præmittat
.
Galilæum
vero
quis unquam
adeo
durum
existimasset
, ut a
severioribus
negotiis
festiva
aliqua eorum
condimenta
longe
ableganda
censeret
? Hoc enim
Stoici
potius est, quam
Academici
.
Attamen
iure
is
quidem nos
arguat
, si
gravissimas
quæstiones
iocis
ac
salibus
eludere
, potius quam
explicare
,
tentaremus
; at
vero
,
rationum
inter
gravissimarum
pondera
,
lepide
aliquando ac
salse
iocari
quis
vetat
?
Vetat
enimvero
Academicus
. Non
paremus
. Et si illi nostra hæc
urbanitas
non
sapit
?
Plures
habemus
, non minus
eruditos
, quos
delectat
. Neque enim hic fuit
sensus
virorum
, et
genere
et
doctrina
clarissimorum
, qui nostræ
disputationi
interfuere
, quibus
sapienter
omnino
factum
visum
est, ut
cometes
,
triste
infaustumque
vulgo
portentum
,
placido
aliquo
verborum
lenimento
tractaretur
, ac
prope
mitigaretur
. Sed hæc
levia
sunt,
inquis
. Ita est; ac proinde
leviter
diluenda
."
Da quanto qui è
scritto
in poche
parole
sbrigandomi
,
dico
che né il
signor
Mario
né io siamo così
austeri
, che gli
scherzi
e le
soavità
poetiche
ci abbiano a far
nausea
: di che ci sieno
testimoni
l'altre
vaghezze
interserite
molto
leggiadramente
dal
P.
Grassi
nella sua
scrittura
, delle quali il
signor
Mario
non ha pur
mosso
parola
per
tassarle
; anzi con gran
gusto
si son
letti
i
natali
, la
cuna
, le
abitazioni
, i
funerali
della
cometa
, e l'essersi
accesa
per far
lume
all'
abboccamento
e
cena
del
Sole
e di
Mercurio
; né pur ci ha
dato
fastidio
che i
lumi
fussero
accesi
20
giorni
dopo
cena
, né meno il
sapere
che dov'è il
Sole
, le
candele
son
superflue
ed
inutili
, e ch'egli non
cena
, ma
desina
solamente, cioè
mangia
di
giorno
, e non di
notte
, la quale
stagione
gli è del tutto
ignota
: tutte queste
cose
senza veruno
scrupolo
si sono
trapassate
, perché,
dette
in
cotal
guisa
, non ci
ànno
lasciato
nulla da
desiderare
nella
verità
del
concetto
sotto
cotali
scherzi
contenuto
, il quale, per esser per sé
noto
e
manifesto
, non avea
bisogno
d'altra più
profonda
dimostrazione
. Ma che in una
questione
massima
e
difficilissima
, qual è il volermi
persuadere
trovarsi
realmente
, e
fuor
di
burle
, in
natura
un
particolare
orbe
celeste
per le
comete
, mentre che
Ticone
non si può
sviluppar
nell'
esplicazion
della
difformità
del
moto
apparente
di essa
cometa
, la
mente
mia
debba
quietarsi
e
restar
appagata
d'un
fioretto
poetico
, al quale non
succede
poi
frutto
veruno, questo è quello che il
signor
Mario
rifiuta
, e con
ragione
e con
verità
dice che la
natura
non si
diletta
di
poesie
:
proposizion
verissima
, ben che il
Sarsi
mostri
di non la
credere
, e
finga
di non
conoscer
o la
natura
o la
poesia
, e di non
sapere
che alla
poesia
sono in
maniera
necessarie
le
favole
e
finzioni
, che senza quelle non può
essere
; le quali
bugie
son poi tanto
abborrite
dalla
natura
, che non meno
impossibil
cosa è il
ritrovarvene
pur una, che il
trovar
tenebre
nella
luce
. Ma
tempo
è
ormai
che
vegniamo
a
cose
di
momento
maggiore; però
legga
V.
S.
Illustrissima
quel che
segue
.
8. "
Venio
nunc ad
graviora
.
Tribus
potissimum
argumentis
cometæ
locum
indagandum
censuit
Magister
meus:
primum
quidem, per
parallaxis
observationes
; deinde, ex
incessu
eiusdem ac
motu
; denique, ex
iis
quæ
tubo
optico
in illo
observarentur
.
Conatur
Galilæus
singulis
abrogare
fidem
,
eaque
suis
momentis
privare
. Cum enim
ostendissemus
,
cometam
, ex
variis
diversorum
locorum
observationibus
,
parvam
admodum
passum
esse
aspectus
diversitatem
, ac propterea supra
Lunam
statuendum
,
ait
ille,
argumentum
ex
parallaxi
desumptum
nihil
habere
ponderis
, nisi prius
statuatur
, sint ne illa quæ
observantur
vera
unoque
loco
consistentia
, an
vero
in
speciem
apparentia
ac
vaga
. Recte
is
quidem; sed non erat his
opus
. Quid enim, si
statutum
iam id
haberetur
? Certe, cum
certamen
nobis
præsertim
esset cum
Peripateticis
, quorum
sententia
quamplurimos
etiam nunc
sectatores
recenset
,
frustra
ex
apparentium
numero
cometas
exclusissemus
, cum
nullius
nostrum
animum
pulsaret
hæc
dubitatio
. Sane
Galilæus
ipse, dum adversus
Aristotelem
disputat
, non
acriori
ac
validiori
utitur
argumento
, quam ex
parallaxi
desumpto
.
Cur
igitur
,
simili
atque eadem prorsus in
caussa
, nobis eodem
uti
libere
non
liceret
?"
Per
conoscer
quanto sia il
momento
delle
cose
qui
scritte
,
basterà
restringere
in
brevità
quello che dice il
signor
Mario
e questo che gli viene
opposto
.
Scrisse
il
signor
Mario
in
generale
: "Quelli che per
via
della
paralasse
voglion
determinar
circa '
l
luogo
della
cometa
,
ànno
bisogno
di
stabilir
prima, lei esser cosa
fissa
e
reale
, e non un'
apparenza
vaga
,
atteso
che la
ragion
della
paralasse
conclude
ben negli
oggetti
reali
, ma non negli
apparenti
", com'egli
essemplifica
in molti
particolari
;
aggiunge
poi, la
mancanza
di
paralasse
rendere
incompatibili
le due
proposizioni
d'
Aristotile
, che sono, che la
cometa
sia un
incendio
, ch'è cosa tanto
reale
, e sia in
aria
molto
vicina
alla
Terra
. Qui si
leva
su il
Sarsi
, e dice: "Tutto sta
bene
, ma è
fuor
del
caso
nostro, perché noi
disputiamo
contro
Aristotile
, e
vana
sarebbe stata la
fatica
in
provar
che la
cometa
non
fusse
una
apparenza
, poi che noi
convegniamo
con lui in
tenerla
cosa
reale
, e come di cosa
reale
il nostro
argomento
,
preso
dalla
paralasse
,
conclude
; anzi (
soggiunge
egli) l'
avversario
stesso non si
serve
d'
argomento
più
valido
contro
Aristotile
; e se ei se ne
serve
, perché nell'
istessa
causa
non ce ne possiamo
liberamente
servir
noi ancora?" Or qui io non
so
quel che il
Sarsi
pretenda
, né in qual cosa ei
pensa
d'
impugnare
il
signor
Mario
, poi che ambedue
dicono
le medesime
cose
, cioè che la
ragione
della
paralasse
non
vale
nelle
pure
apparenze
, ma
val
ben ne gli
oggetti
reali
, ed in
conseguenza
val
contro
Aristotile
, mentr'ei vuole che la
cometa
sia cosa
reale
. Qui, se si
debbe
dire
il
vero
con
pace
del
Sarsi
, non si può
dir
altro se non ch'egli,
co
'
l
palliare
il
detto
del
signor
Mario
, ha voluto
abbarbagliar
la
vista
al
lettore
, sì che gli
resti
concetto
che il
signor
Mario
abbia
parlato
a
sproposito
; perché a voler che l'
obbiezzioni
del
Sarsi
avessero
vigore
,
bisognerebbe
che, dove il
signor
Mario
,
parlando
in
generale
a tutto il
mondo
, dice: "A chi vuol che l'
argomento
della
paralasse
militi
nella
cometa
,
convien
che
provi
prima, quella esser cosa
reale
",
bisognerebbe
,
dico
, che avesse
detto
: "Se il
P.
Grassi
vuole che l'
argomento
della
paralasse
militi
contro
Aristotile
, che
tiene
la
cometa
esser cosa
reale
, e non
apparente
, bisogna che prima
provi
che la
cometa
sia cosa
reale
, e non
apparente
"; e così il
detto
del
signor
Mario
sarebbe
veramente
, quale il
Sarsi
lo vorrebbe far
apparire
, un
grandissimo
sproposito
. Ma il
signor
Mario
non ha mai né
scritte
né
pensate
queste
sciocchezze
.
9. "Sed
confutandæ
etiam
fuerint
Anaxagoræ
,
Pythagoræorum
atque
Hippocratis
opiniones
. Nemo tamen ex
iis
,
cometam
vanum
omni ex
parte
oculorum
ludibrium
affirmarat
.
Anaxagoras
enim
stellarum
verissimarum
congeriem
esse
dixit
; cum
Aeschylo
Hippocrates
nihil a
Pythagoræis
dissentit
:
Aristoteles
profecto
, cum
eorundem
Pythagoræorum
sententiam
exposuisset
, qua
dicerent
cometam
unum esse
errantium
siderum
,
tardissim
ead
nos
accedens
ac
citissime
fugiens
,
subdit
: "
Similiter
autem his et qui sub
Hippocrate
Chio
et
discipulo
eius
Aeschylo
enunciaverunt
; sed
comam
non ex se ipso
aiunt
habere
, sed
errantem
, propter
locum
, aliquando
accipere
,
refracto
nostro
visu
ab
humore
attracto
ab ipso ad
Solem
."
Galilæus
vero
, in ipso suæ
disputationis
exordio
, dum
eorumdem
placita
recenset
,
asserit
dixisse
illos,
cometam
stellam
quandam
fuisse
, quæ,
Terris
aliquando
propior
facta
,
quosdam
ab eadem ad se
vapores
extraheret
, e quibus sibi, non
caput
, sed
comam
decenter
aptaret
. Minus
igitur
, ut hoc
obiter
dicam
, ad
rem
facit
, dum postea ex his
iisdem
locis
probat
,
Pythagoræos
etiam
existimasse
cometam
ex
refractione
luminis
extitisse
; illi enim nihil in
cometis
vanum
,
præter
barbam
,
existimarunt
.
Intelligit
ergo, nulli horum
visum
unquam
fuisse
,
cometam
, si de eiusdem
capite
loquamur
,
inane
quiddam ac
mere
apparens
dicendum
. Quare, cum hac in
re
, ad hoc usque
tempus
,
convenirent
omnes, quid erat
causæ
,
cur
facem
hanc
lucidissimam
larvis
illis ac
fictis
colorum
ludibriis
spoliaremus
, ab
eaque
crimen
illud
averteremus
, quod ei nullus
hominum
, quorum
habenda
foret
ratio
,
obiecisset
?
Cardanus
enim ac
Telesius
, ex quibus aliquid ad hanc
rem
desumpsisse
videtur
Galilæus
,
sterilem
atque
infelicem
philosophiam
nacti
, nulla ab ea
prole
beati
,
libros
posteris
, non
liberos
,
reliquerunt
. Nobis
igitur
ac
Tychoni
satis
sit, apud eos non
perperam
disputasse
, apud quos
nunquam
vani
ac
fallacis
spectri
cometes
incurrit
suspicionem
; hoc est, ipso
Galilæo
teste
, apud omnium,
quotquot
adhuc fuerunt,
philosophorum
Academias
. Quod si quis modo
inventus
est, qui hæc
phænomena
inter
mere
apparentia
reponenda
diserte
docuerit
,
ostendam
huic ego suo
loco
,
ni
fallor
, quam
longe
cometæ
ab
iride
,
areis
et
coronis
,
moribus
ac
motibus
distent
,
quibusque
argumentis
conficiatur
,
cometem
, si
comam
excluseris
, non ad
Solis
imperium
nutumque
, quod
apparentibus
omnibus
commune
est,
agi
, sed
liberum
moveri
protinus
ac
circumferri
quo sua illum
natura
impulerit
traxeritque
."
Qui volendo anco in
universale
mostrar
, la
dubitazion
promossa
dal
signor
Mario
esser
vana
e
superflua
, dice, niuno
autore
antico
o
moderno
,
degno
d'esser avuto in
considerazione
, aver mai
stimato
la
cometa
potere
esser una
semplice
apparenza
, e che per ciò al suo
Maestro
, il quale solo con questi
disputava
e di questi
soli
aspirava
alla
vittoria
, niun
mestier
faceva di
rimuoverla
dal
numero
de'
puri
simulacri
. Al che io
rispondendo
,
dico
primieramente
che il
Sarsi
ancora con
simil
ragione
poteva
lasciare
stare il
signor
Mario
e me, poi che
siam
fuori del
numero
di quegli
antichi
e
moderni
contro i quali il suo
Maestro
disputava
, ed abbiamo avuta
intenzione
di
parlar
solamente con quelli (sieno
antichi
o
moderni
) che
cercano
con ogni
studio
d'
investigar
qualche
verità
in
natura
,
lasciando
in tutto e per tutto ne' lor
panni
quegli che solo per
ostentazione
in
strepitose
contese
aspirano
ad esser con
pomposo
applauso
popolare
giudicati
non
ritrovatori
di
cose
vere
, ma solamente
superiori
a gli altri; né
doveva
mettersi
con tanta
ansietà
per
atterrar
cosa che né a sé né al suo
Maestro
era
di
pregiudicio
.
Doveva
secondariamente
considerare
, che molto più è
scusabile
uno a chi in alcuna
professione
non
cade
in
mente
qualche
particolare
attenente
a quella, e
massime
quando né anco a mille altri, che abbiano
professato
il medesimo, è
sovvenuto
, che quegli a cui venga in
mente
, e
presti
l'
assenso
a cosa che sia
vana
ed
inutile
in quell'
affare
; ond'ei poteva e
doveva
più
tosto
confessare
che al suo
Maestro
, com'anco a nessun de' suoi
antecessori
, non
era
passato
per la
mente
il
concetto
che la
cometa
potesse
essere
una
apparenza
, che
sforzarsi
per
dichiarar
vana
la
considerazion
sovvenuta
a noi: perché quello, oltre che
passava
senza niuna
offesa
del suo
Maestro
,
dava
indizio
d'una
ingenua
libertà
, e questo, non potendo
seguire
senza
offesa
della mia
reputazione
(quando gli
fusse
sortito
l'
intento
),
dà
più
tosto
segno
d'
animo
alterato
da qualche
passione
. Il
signor
Mario
, con
isperanza
di far cosa
grata
e
profittevole
agli
studiosi
del
vero
,
propose
con ogni
modestia
, che per l'
avvenire
fusse
bene
considerare
l'
essenza
della
cometa
, e s'ella potesse esser cosa non
reale
, ma solo
apparente
, e non
biasimò
il
P.
Grassi
né altri, che per l'
addietro
non l'
avesser
fatto
. Il
Sarsi
si
leva
su, e con
mente
alterata
cerca
di
provare
, la
dubitazione
essere
stata
fuor
di
proposito
, ed esser di più
manifestamente
falsa
; tuttavia per
trovarsi
, come si dice, in utrumque
paratus
,in ogni
evento
ch'ella
apparisse
pur
degna
di qualche
considerazione
, per
ispogliarmi
di quella
lode
che
arrecar
mi potesse, la
predica
per cosa
vecchia
del
Cardano
e del
Telesio
, ma
disprezzata
dal suo
Maestro
come
fantasia
di
filosofi
deboli
e di niun
seguito
; ed in tanto
dissimula
, e non
sente
con quanta poca
pietà
egli
spoglia
e
denuda
coloro di tutta la
reputazione
, per
ricoprire
un
piccolissimo
neo
di quella del suo
Maestro
. Se voi,
Sarsi
, vi
fate
scolare
di quei
venerandi
Padri
nella
natural
filosofia
, non vi
fate
già nella
morale
, perché non vi sarà
creduto
. Quello che abbiano
scritto
il
Cardano
e '
l
Telesio
, io non l'ho
veduto
, ma per altri
riscontri
, che
vedremo
appresso, posso
facilmente
conghietturare
che il
Sarsi
non abbia ben
penetrato
il
senso
loro. In tanto non posso
mancare
, per
avvertimento
suo e per
difesa
di quelli, di
mostrar
quanto
improbabilmente
ei
conclude
la lor poca
scienza
della
filosofia
dal
piccol
numero
de' suoi
seguaci
. Forse
crede
il
Sarsi
, che de'
buoni
filosofi
se ne
trovino
le
squadre
intere
dentro ogni
ricinto
di
mura
? Io,
signor
Sarsi
,
credo
che
volino
come l'
aquile
, e non come gli
storni
. È ben
vero
che quelle, perché son
rare
, poco si
veggono
e meno si
sentono
, e questi, che
volano
a
stormi
,
dovunque
si
posano
,
empiendo
il
ciel
di
strida
e di
rumori
,
metton
sozzopra
il
mondo
. Ma pur
fussero
i
veri
filosofi
come l'
aquile
, e non più
tosto
come la
fenice
.
Signor
Sarsi
,
infinita
è la
turba
de gli
sciocchi
, cioè di quelli che non
sanno
nulla; assai son quelli che
sanno
pochissimo di
filosofia
; pochi son quelli che ne
sanno
qualche
piccola
cosetta
; pochissimi quelli che ne
sanno
qualche
particella
; un solo
Dio
è quello che la
sa
tutta. Sì che, per
dir
quel ch'io voglio
inferire
,
trattando
della
scienza
che per
via
di
dimostrazione
e di
discorso
umano
si può da gli
uomini
conseguire
, io
tengo
per
fermo
che quanto più essa
participerà
di
perfezzione
, tanto
minor
numero
di
conclusioni
prometterà
d'
insegnare
, tanto
minor
numero
ne
dimostrerà
, ed in
conseguenza
tanto meno
alletterà
, e tanto
minore
sarà il
numero
de' suoi
seguaci
: ma, per l'
opposito
, la
magnificenza
de'
titoli
, la
grandezza
e
numerosità
delle
promesse
,
attraendo
la
natural
curiosità
de gli
uomini
e
tenendogli
perpetuamente
ravvolti
in
fallacie
e
chimere
, senza mai far loro
gustar
l'
acutezza
d'una
sola
dimostrazione
, onde il
gusto
risvegliato
abbia a
conoscer
l'
insipidezza
de' suoi
cibi
consueti
, ne
terrà
numero
infinito
occupato
; e gran
ventura
sarà d'alcuno che,
scorto
da
straordinario
lume
naturale
, si
saprà
torre
da i
tenebrosi
e
confusi
laberinti
ne i quali si sarebbe coll'
universale
andato
sempre
aggirando
e tuttavia più
avviluppando
. Il
giudicar
dunque dell'
opinioni
d'alcuno in
materia
di
filosofia
dal
numero
de i
seguaci
, lo
tengo
poco
sicuro
. Ma ben ch'io
stimi
,
piccolissimo
poter esser il
numero
de i
seguaci
della
miglior
filosofia
, non però
concludo
, pel
converso
, quelle
opinioni
e
dottrine
esser
necessariamente
perfette
, le quali
ànno
pochi
seguaci
; imperocché io
intendo
molto
bene
, potersi da alcuno
tenere
opinioni
tanto
erronee
, che da tutti gli altri
restino
abbandonate
.
Ora
, da qual de' due
fonti
derivi
la
scarsità
de'
seguaci
de' due
autori
nominati
dal
Sarsi
per
infecondi
e
derelitti
, io non lo
so
, né ho
fatto
studio
tale nell'
opere
loro, che mi potesse
bastar
per
giudicarle
.
Ma
tornando
alla
materia
,
dico
che troppo
tardi
mi
par
che il
Sarsi
voglia
persuaderci
che il suo
Maestro
, non perché non gli
cadesse
in
mente
, ma perché
disprezzò
come cosa
vanissima
il
concetto
che la
cometa
potess
'
essere
un
puro
simulacro
, e che in questi non
milita
l'
argomento
della
paralasse
, non ne fece
menzione
:
tarda
,
dico
, è
cotale
scusa
, perché quand'egli
scrisse
nel suo
Problema
:"
Statuo
,
rem
quamcunque
inter
firmamentum
et
Terram
constitutam
, si
diversis
e
locis
spectetur
,
diversis
etiam
firmamenti
partibus
responsuram
",
chiaramente
si
dimostrò
, non gli esser venuto in
mente
l'
iride
e l'
alone
, i
parelii
ed altre
reflessioni
, che a tal
legge
non
soggiacciono
, le quali ei
doveva
nominare
ed
eccettuare
, e
massime
ch'egli stesso,
lasciando
Aristotile
,
inclina
all'
opinione
del
Kepplero
, che la
cometa
possa
essere
una
reflessione
. Ma
seguendo
più avanti, mi
par
di
vedere
che il
Sarsi
faccia
gran
differenza
dal
capo
della
cometa
alla sua
barba
o
chioma
, e che quanto alla
chioma
possa esser
veramente
ch'ella sia un'
illusione
della nostra
vista
e una
apparenza
, e che tale l'abbiano
stimata
ancora quei
Pittagorici
nominati
da
Aristotile
; ma quanto al
capo
stima
che sia
necessariamente
cosa
reale
, e che niuno l'abbia mai
creduto
altrimenti. Or qui vorrei io una
bene
specificata
distinzione
tra quello che il
Sarsi
intende
per
reale
e quello ch'egli
stima
apparente
, e qual cosa sia quella che fa esser
reale
quello ch'è
reale
, e
apparente
quello ch'è
apparente
: perché, s'egli
chiama
il
capo
reale
per esser in una
sostanza
e
materia
reale
, io
dico
che anco la
chioma
è tale; sì che chi
levasse
via
quei
vapori
ne' quali si fa la
reflession
della
vista
nostra al
Sole
, sarebbe
tolta
parimente
la
chioma
, come al
tor
via
delle
nuvole
si
toglie
l'
iride
e l'
alone
: e s'ei
domanda
la
chioma
finta
perché senza la
reflession
della
vista
al
Sole
ella non sarebbe, io
dico
che anco del
capo
seguirebbe
l'istesso; sì che tanto la
chioma
quanto il
capo
non son altro che
reflession
di
raggi
in una
materia
,
qualunqu
'ella si sia; e che in quanto
reflessioni
sono
pure
apparenze
, in quanto alla
materia
son cosa
reale
. E se il
Sarsi
ammette
che alla
mutazion
di
luogo
del
riguardante
faccia
o possa far
mutazion
di
luogo
la
generazion
della
chioma
nella
materia
, io
dico
che del
capo
ancora può nel medesimo modo
seguir
l'istesso; e non
credo
che quei
filosofi
antichi
stimassero
altrimenti, perché, se,
verbigrazia
,
avesser
creduto
il
capo
esser
realmente
una
stella
per se stessa,
lucida
e
consistente
, e solo la
chioma
apparente
,
avrebber
detto
che quando per l'
obliquità
della
sfera
non si fa la
refrazzion
della nostra
vista
al
Sole
, non si
vede
più la
chioma
, ma sì ben la
stella
, ch'è
capo
della
cometa
; il che non
dissero
, ma
dissero
che in tutto non si
vedeva
cometa
:
segno
evidente
, la
generazion
d'ambedue esser l'
istessa
. Ma
detto
o non
detto
che ciò sia da gli
antichi
,
vien
messo
in
considerazione
adesso
dal
signor
Mario
con assai
sensate
ragioni
di
dubitare
, le quali
devono
esser
ponderate
, come
pure
fa ancora l'istesso
Sarsi
; e noi a suo
luogo
anderemo
considerando
quanto egli ne
scrive
.
10. Intanto
segua
V.
S.
Illustrissima
di
leggere
: "Eadem prorsus
ratione
respondendum
mihi est ad ea quæ
argumento
ex
motu
desumpto
obiiciuntur
. Nos enim ex eo, quod
loca
cometæ
singulis
diebus
respondentia
in
plano
, ad modum
horologii
,
descripta
in una
recta
linea
reperirentur
,
motum
illum in
circulo
maximo
fuisse
necessario
inferebamus
:
obiicit
autem
Galilæus
, "non
deduci
id
necessario
; quia, si
incessus
cometæ
revera
in
linea
recta
fuisset
, sic etiam
loca
ipsius, ad modum
horologii
descripta
,
lineam
rectam
constituissent
; non tamen
fuisset
motus
hic in
circulo
maximo
". Sed quamvis
verissimum
sit,
motum
etiam per
lineam
rectam
repræsentari
debuisse
rectum
; cum tamen adversus eos
lis
esset, qui vel de
cometæ
motu
circulari
nihil
ambigerent
, vel quibus
rectus
hic
motus
nunquam
venisset
in
mentem
, hoc est contra
Anaxagoram
,
Pythagoræos
,
Hippocratem
et
Aristotelem
, atque illud tantum
quæreretur
, an
cometes
, qui in
orbem
agi
credebatur
,
maiores
an potius
minores
lustraret
orbes
; non
inepte
, sed prorsus
necessario
, ex
motu
in
linea
recta
apparente
inferebatur
circulus
ex
motu
descriptus
maximus
fuisse
: nemo enim adhuc
motum
hunc
rectum
et
perpendicularem
invexerat
. Quamvis enim
Keplerus
ante
Galilæum
, in
appendicula
de
motu
cometarum
, per
lineas
rectas
eundem
motum
explicare
contendat
, ille tamen
nihilominus
vidit
, in
quales
sese
difficultates
indueret
: quare neque ad
Terram
perpendicularem
esse
voluit
motum
hunc, sed
transversum
; neque
æqualem
, sed in
principio
ac
fine
remissiorem
,
celerrimum
in
medio
;
eumque
præterea
fulciendum
Terræ
ipsius
motu
circulari
existimavit
, ut omnia
cometarum
phænomena
explicaret
; quæ nobis
catholicis
nulla
ratione
permittuntur
. Ego
igitur
opinionem
illam, quam
pie
ac
sancte
tueri
non
liceret
, pro nulla
habendam
duxeram
. Quod si postea,
paucis
mutatis
,
motum
hunc
rectum
cometis
tribuendum
putavit
Galilæus
, id quam non recte
præstiterit
inferius
singillatim
mihi
ostendendum
erit.
Intelligat
interim
, nihil nos contra
logicæ
præcepta
peccasse
, dum ex
motu
in
linea
recta
apparente
orbis
maximi
partem
eodem
descriptam
fuisse
deduximus
. Quid enim
opus
fuerat
motum
illum
rectum
et
perpendicularem
excludere
, quem in
cometis
nusquam
reperiri
constabat
?"
Aveva il
signor
Guiducci
, con quell'
onestissimo
fine
d'
agevolar
la
strada
agli
studiosi
del
vero
,
messo
in
considerazione
l'
equivoco
che
prendevano
quegli che, dall'
apparir
la
cometa
mossa
per
linea
retta
,
argumentavano
il
movimento
suo esser per
cerchio
massimo
,
avvertendogli
che, se
bene
era
vero
che il
moto
per
cerchio
massimo
sempre
appariva
retto
, non
era
però
necessariamente
vero
il
converso
, cioè che il
moto
che
apparisse
retto
fusse
per
cerchio
massimo
, come venivano ad aver
supposto
quegli che dall'
apparente
moto
retto
inferivano
, la
cometa
muoversi
per
cerchio
massimo
: tra i quali
era
stato
il
P.
Grassi
, il quale, forse
quietandosi
nell'
autorità
di
Ticone
, che prima aveva
equivocato
,
trapassò
quello che forse non avrebbe
passato
quando non avesse avuto tal
precursore
; il che
rende
assai
scusabile
appresso di me il
piccolo
errore
del
Padre
, il quale
credo
anco che dell'
avvertimento
del
signor
Mario
abbia
fatto
capitale
e
tenutogliene
buon
grado
.
Vien
ora
il
Sarsi
, e
continuando
nel suo già
impresso
affetto
, s'
ingegna
di far
apparir
l'
avvertimento
innavvertenza
e poca
considerazione
,
credendo
in
cotal
guisa
salvar
il suo
Maestro
: ma a me
pare
che ne
segua
contrario
effetto
(quando però il
Padre
prestasse
il suo
assenso
alle
scuse
e
difese
del
Sarsi
), e che per
ischivare
un
error
solo,
incorrerebbe
in molti.
E prima,
seguitando
il
Sarsi
di
reputar
vano
e
superfluo
l'
avvertir
quelle
cose
che né esso né altri ha
avvertite
, dice che,
disputando
il suo
Maestro
con
Aristotile
e con
Pittagorici
, che mai non avevano
introdotto
per le
comete
movimento
retto
,
fuor
del
caso
sarebbe
stato
ch'avesse
tentato
di
rimuoverlo
. Ma se noi ben
considereremo
, questa
scusa
non
solleva
punto
il
Padre
: perché non avendo mai li medesimi
avversari
introdotto
per le
comete
il
moto
per
cerchi
minori
, altrettanto
resta
superfluo
il
dimostrar
ch'
elle
si
muovono
per
cerchi
massimi
. Bisogna dunque al
Sarsi
, o
trovar
che quegli
antichi
abbiano
scritto
, le
comete
muoversi
per
cerchi
minori
, o
confessare
che il suo
Maestro
sia del
pari
stato
superfluo
nel
considerare
il
moto
per
cerchio
massimo
, come sarebbe
stato
nel
considerare
il
retto
.
Anzi (e sia per la
seconda
instanza
), stando pur nella
regola
del
Sarsi
, assai maggior
mancamento
è
stato
il
lasciar
senza
considerazione
il
moto
retto
, poi che pur v'
era
il
Kepplero
che
attribuito
l'aveva alle
comete
, ed il medesimo
Sarsi
lo
nomina
. Né mi
pare
che la
scusa
ch'egli
adduce
sia del tutto
sofficiente
, cioè che per
tirarsi
tale
opinion
del
Kepplero
in
conseguenza
la
mobilità
della
Terra
,
proposizione
la quale
piamente
e
santamente
non si può
tenere
, egli per ciò la
reputava
per niente; perché questo
doveva
più
tosto
essergli
stimolo
a
distruggerla
e
manifestarla
per
impossibile
: e forse non è
mal
fatto
il
dimostrar
anco con
ragioni
naturali
, quando ciò si possa, la
falsità
di quelle
proposizioni
che son
dichiarate
repugnanti
alle
Scritture
Sacre
.
Terzo
,
resta
ancor
manchevole
la
scusa
del
Sarsi
, perché non solamente il
moto
veramente
retto
apparisce
per
linea
retta
, ma qualunque altro,
tuttavolta
che sia
fatto
nel medesimo
piano
nel quale è l'
occhio
del
riguardante
; il che fu
pure
accennato
dal
signor
Mario
: sì che
bisognerà
al
Sarsi
trovar
modo di
persuaderci
che né anco alcuno altro
movimento
,
fuor
del
circolare
, sia mai
caduto
in
mente
ad alcuno potersi
assegnare
alle
comete
; il che non
so
quanto
acconciamente
gli potesse
succedere
; perché, quando niuno altro l'avesse
detto
, l'ha
pure
egli stesso
scritto
pochi
versi
di sotto, quando, per
difesa
della
digression
dal
Sole
di più di 90
gradi
, ei
dà
luogo
al
moto
non
circolare
, ed
ammette
quello per
linea
ovata
, anzi pur,
bisognando
, per
qualsivoglia
linea
irregolare
ancora. È dunque
necessario
, o che l'istesso
movimento
sia or
circolare
or
ovale
or del tutto
irregolare
,
secondo
il
bisogno
del
Sarsi
, o ch'ei
confessi
la
difesa
pel suo
Maestro
esser
difettosa
.
Quarto
, ma che sarà quando io
ammetta
, il
moto
della
cometa
esser, non solo per
commune
opinione
, ma
veramente
e
necessariamente
,
circolare
?
Stimerà
forse il
Sarsi
, esser perciò dal suo
Maestro
o da altri, dall'
apparir
quello per
retta
linea
,
concludentemente
dimostrato
esser per
cerchio
massimo
?
So
che il
Sarsi
ha sin
ora
creduto
di sì, e si è
ingannato
, ed io lo
trarrei
d'
errore
, quando
credessi
di non gli
dispiacere
; e per ciò fare l'
interrogherei
, quali nella
sfera
ei
domanda
cerchi
massimi
.
So
che mi
risponderebbe
, quelli che
passando
per lo
centro
di quella (ch'è anco il
centro
della
Terra
), la
dividono
in due
parti
uguali
. Io gli
soggiungerei
: "Adunque i
cerchi
descritti
da
Venere
, da
Mercurio
e da'
pianeti
Medicei
non sono altrimenti
cerchi
massimi
, anzi
piccolissimi
, avendo questi per lor
centro
Giove
, e quelli il
Sole
; tuttavia se s'
osserverà
quali si
mostrino
i
movimenti
loro, gli
troveremo
apparir
per
linee
rette
; il che
avviene
per esser l'
occhio
nostro nel
medesino
piano
nel quale son anco i
cerchi
descritti
dalle
nominate
stelle
."
Concludiamo
per tanto che dall'
apparirci
un
moto
retto
altro non si può
concludere
salvo che l'esser
fatto
, non per la
circonferenza
d'un
cerchio
massimo
più che per quella d'un
minore
, ma solamente esser
fatto
nel
piano
che
passa
per l'
occhio
, cioè nel
piano
d'un
cerchio
massimo
; e che in se stesso quel
moto
può esser
fatto
per
linea
circolare
, ed anco per qual si
voglia
altra quanto si
voglia
irregolare
, ché sempre
apparirà
retto
; e che però, non essendo le due
proposizioni
già da noi
essaminate
convertibili
, il
prender
l'una per l'altra è un
equivocare
, ch'è poi
peccare
in
logica
.
Se io
credessi
che il
Sarsi
non
fusse
per
volermene
male
, vorrei che noi gli
conferissimo
un'altra
simil
fallacia
, la quale
veggo
ch'è da
grandissimi
uomini
trapassata
, e forse l'istesso
Sarsi
non vi ha
fatto
reflessione
; ma non vorrei fargli
dispiacere
col
mostrargli
di non l'aver io ancora, con tanti altri più
perspicaci
di me,
trascorsa
. Ma sia come si
voglia
, la voglio
conferire
a
V.
S.
Illustrissima
. È
stato
con
arguta
osservazion
notato
, che l'
estremità
della
coda
, il
capo
delle
comete
ed il
centro
del
disco
del
Sole
si
scorgono
sempre
secondo
la medesima
linea
retta
; dal che si è
preso
gagliarda
conghiettura
,
detta
coda
essere
un
distesa
refrazzione
del
lume
solare
,
diametralmente
opposta
al
Sole
;
ned
è, per quanto io
sappia
, sin qui
caduto
in
considerazione
ad alcuno, come il
mostrarcisi
il
Sole
e tutto il
tratto
della
cometa
in
linea
retta
non
concluda
che
necessariamente
la
linea
retta
tirata
per l'
estremità
della
coda
e pel
capo
della
cometa
vada
,
prolungata
, a
terminar
nel
Sole
. Per
apparir
tre o più
termini
in
linea
retta
,
basta
che sieno
collocati
nel medesimo
piano
che l'
occhio
: e così, per
essempio
,
Marte
o la
Luna
talora
si
vederanno
in
mezo
direttamente
tra due
stelle
fisse
, ma non perciò la
linea
retta
che
congiungesse
le due
stelle
passerebbe
per
Marte
o per la
Luna
. Dall'
apparir
, dunque, la
coda
della
cometa
direttamente
opposta
al
Sole
, altro non si può
necessariamente
concludere
, che l'esser nel medesimo
piano
coll'
occhio
.
Or sia, nel
quinto
luogo
,
notata
certa,
dirò
così,
incostanza
nelle
parole
verso il
fine
delle
lette
da
V.
S.
Illustrissima
e da me
essaminate
; dove il
Sarsi
si
prende
assunto
di voler più a
basso
mostrare
quanto
malamente
io, cioè il
signor
Mario
, abbia
attribuito
alla
cometa
il
moto
retto
, e poi, tre
versi
più a
basso
, dice non esser
bisogno
alcuno d'
escluder
questo
moto
retto
, il qual
era
certo e
manifesto
già mai non
ritrovarsi
nelle
comete
. Ma se l'
impossibilità
di questo
moto
è certa e
manifesta
, a che
proposito
mettersi
a volerla
escludere
? ed in qual modo è ella certa e
manifesta
, se, per
detto
del
Sarsi
, nessuno l'ha pur mai non solamente
confutata
, ma né anco
considerata
? Al
Kepplero
solo,
dic
'egli, è tal
moto
venuto in
considerazione
. Ma il
Kepplero
non lo
confuta
, anzi l'
introduce
per
possibile
e
vero
.
Parmi
che '
l
Sarsi
,
sentendosi
di non poter far altro,
cerchi
d'
avviluppare
il
lettore
: ma io
cercherò
di
disfare
i
viluppi
.
11
. "Sed dum illud præterea hoc
loco
nobis
obiicit
: "Si
cometes
circa
Solem
ageretur
, cum
integro
quadrante
ab eodem
Sole
recesserit
,
futurum
aliquando ut ad
Terram
usque
descenderet
", non
venit
illi in
mentem
fortasse
, non uno modo circa
Solem
cometam
agi
potuisse
. Quid enim, si
circulus
, quo
vehebatur
,
eccentricus
Soli
fuisset
, et
maiori
sui
parte
aut supra
Solem
existente
, aut ad
septentrionem
vergente
? Quid, si
motus
circularis
non
fuisset
, sed
ellipticus
, et quidem
summa
imaque
parte
compressus
,
longe
vero
exporrectus
in
latera
? Quid, si ne
ellipticus
quidem, sed omnino
irregularis
, cum
præsertim
, ex ipsius
Galilæi
systemate
, nullo
plane
impedimento
cometis
,
quocunque
liberet
,
moveri
licuerit
? Ut sane propterea
timendum
non esset, ne
cometarum
lucem
Tellus
aut
Tartarus
e
propinquo
visurus
umquam
foret
."
Qui,
primieramente
, se io
ammetto
l'
accusa
che mi
dà
il
Sarsi
di poco
considerato
, mentre non mi siano venuti in
mente
i
diversi
moti
ch'
attribuir
si possono alla
cometa
, non
so
com'egli potrà
scolpare
dalla medesima
nota
il suo
Maestro
, il quale non
considerò
il potersi ella
muover
di
moto
retto
; e s'egli
scusa
il suo
Maestro
col
dire
che tal
considerazione
sarebbe stata
superflua
, non
sendo
stato
da niun altro
autore
introdotto
tal
movimento
, non
veggo
di
meritar
d'
essere
accusato
io, ma sì ben nell'istesso modo
debbo
essere
scusato
, non si
trovando
autor
nessuno ch'abbia
introdotti
questi
moti
stranieri
ch'
ora
nomina
il
Sarsi
. In oltre,
signor
Sarsi
,
toccava
al vostro
Maestro
, e non a me, a
pensare
a questi
movimenti
per li quali si potesse
render
convenevol
ragione
delle
digressioni
così
grandi
della
cometa
; e se alcuno ve n'è
accommodato
a tal
bisogno
,
doveva
nominarlo
e quel solo
accettare
, e non
lasciarlo
sotto
silenzio
e
introdurre
con
Ticone
il
semplice
circolare
intorno al
Sole
,
inettissimo
a
salvar
cotale
apparenza
, e voler poi che non esso ma noi avessimo
commesso
fallo
, in non
indovinare
ch'ei potesse
internamente
aver
dato
ricetto
a
pensieri
diversissimi
da quello ch'aveva
scritto
. Di più, il
signor
Mario
non ha mai
detto
che non sia in
natura
modo alcuno di
salvar
la
digressione
d'una
quarta
(anzi se tal
digressione
è stata, ben
chiara
cosa è che ci è anco il modo com'ella è stata); ma ha
detto
: "Nell'
ipotesi
ricevuta
dal
Padre
non si può far tal
digressione
senza che la
cometa
tocchi
la
Terra
, e anco la
penetri
."
Vana
, dunque, è sin qui la
scusa
del
Sarsi
. Ma
fors
'ei
pretende
ch'ogni
leggiera
scusa
si
debba
ammettere
per lo suo
Maestro
, ma che per me ogni più
gagliarda
resti
invalida
; e se questo è, io
volentieri
mi
quieto
, e
liberamente
gliel
concedo
.
E vengo, nel
secondo
luogo
, a
produrre
altra
scusa
per me (
vestito
della
persona
del
signor
Mario
); e con
ingenuità
confessando
, non m'esser venuti in
mente
i
movimenti
per
eccentrici
o per
linee
ovali
o per altre
irregolari
,
dico
ciò
essere
accaduto
perch'io non
soglio
dar
orecchio
a'
concetti
che non
ànno
che fare in quel
proposito
di che si
tratta
. E che vuol fare il
Sarsi
del
moto
intorno al
Sole
in una
figura
ovale
, per far
digredir
la
cometa
una
quarta
?
cred
'egli forse che, coll'
allungar
per un verso e
stringer
per l'altro tal
figura
, gli possa
succedere
l'
intento
? certo no, quando anco ei l'
allungasse
in
infinito
. E la medesima
impossibilità
cade
nell'
eccentrico
che sia per la
minor
parte
sotto il
Sole
. E per
intelligenza
del
Sarsi
,
V.
S.
Illustrissima
potrà una
volta
,
incontrandolo
,
proporgli
due tali
linee
rette
AB,
CD
, delle quali la
CD
sia
perpendicolare
all'AB, e
dirgli
che
supponendo
la
retta
DC
esser quella che
va
dall'
occhio
al
Sole
, quella per la quale si ha da
vedere
la
cometa
digredita
90
gradi
, bisogna che di
necessità
sia la DA o
vero
DB
, essendo
communemente
conceduto
, il
moto
apparente
della
cometa
esser nel
piano
d'un
cerchio
massimo
: lo
preghi
poi, che per nostro
ammaestramento
egli
descriva
l'
eccentrico
o l'
ovato
nominati
da lui, per li quali
movendosi
la
cometa
possa
abbassarsi
tanto ch'ella venga
veduta
per la
linea
ADB
, perché io
confesso
di non lo
saper
fare. E sin qui vengono
esclusi
due de'
proposti
modi
: ci
resta
l'altro
eccentrico
col
centro
declinante
a
destra
o a
sinistra
della
linea
DC
, e la
linea
irregolare
. Quanto all'
eccentrico
, è
vero
che non è del tutto
impossibile
a
disegnarsi
in
carta
in
maniera
che
causi
la
cercata
digressione
; ma
dico
bene
al
Sarsi
che s'ei si
metterà
a
delinear
il
Sole
cogli
orbi
di
Mercurio
e di
Venere
attorno
, e di più la
Terra
circondata
dall'
orbe
della
Luna
, come di
necessità
convien
fare l'uno e l'altro, e poi si
porrà
a volervi
ingarbare
un tale
eccentrico
per la
cometa
,
credo
certo che se gli
rappresenteranno
tali
essorbitanze
e
mostruosità
, che quando
bene
con tale
scusa
ei potesse
sollevare
il suo
Maestro
, si
spaventerebbe
a farlo. Quanto poi alle
linee
irregolari
, non è
dubbio
nessuno che non solamente questa, ma
qualsivoglia
altra
apparenza
si può
salvare
: ma voglio
avvertire
il
Sarsi
che l'
introdur
tal
linea
non pur non
gioverebbe
alla
causa
del suo
Maestro
, ma più
gravemente
gli
pregiudicherebbe
, e questo non solamente perch'ei non l'ha
nominata
mai, anzi
accettò
la
linea
circolare
regolarissima
, per così
dire
, sopra ogn'altra, ma perché maggior
leggerezza
sarebbe stata il
proporla
; il che potrebbe
intendere
il
Sarsi
medesimo,
tuttavolta
ch'ei
considerasse
che cosa
importi
linea
irregolare
.
Chiamansi
linee
regolari
quelle che, avendo la loro
descrizzione
una,
ferma
e
determinata
, si possono
definire
, e di loro
dimostrare
gli
accidenti
e
proprietà
: e così la
spirale
è
regolare
, e si
definisce
nascer
da due
moti
uniformi
, l'un
retto
e l'altro
circolare
; così l'
ellittica
,
nascendo
dalla
sezzion
del
cono
e del
cilindro
, etc. Ma le
linee
irregolari
son quelle che, non avendo
determinazion
veruna, sono
infinite
e
casuali
, e perciò
indefinibili
, né di esse si può, in
conseguenza
,
dimostrar
proprietà
alcuna, né in
somma
saperne
nulla. Sì che il voler
dire
"Il tale
accidente
accade
mercé di una
linea
irregolare
" è il medesimo che
dire
"Io non
so
perché ei s'
accaggia
"; e l'
introduzzione
di tal
linea
non è
punto
migliore
delle
simpatie
,
antipatie
,
proprietà
occulte
,
influenze
ed altri
termini
usati
da alcuni
filosofi
per
maschera
della
vera
risposta
, che sarebbe "Io non lo
so
",
risposta
tanto più
tollerabile
dell'altre, quant'una
candida
sincerità
è più
bella
d'un'
ingannevol
doppiezza
. Fu dunque molto più
avveduto
il
P.
Grassi
a non
propor
cotali
linee
irregolari
come
bastanti
a
soddisfare
al
quesito
, che il suo
scolare
a
nominarle
.
È ben
vero
, s'io
devo
liberamente
dire
il mio
parere
, che io
credo
che il
Sarsi
medesimo abbia
benissimo
ed
internamente
compresa
l'
inefficacia
delle sue
risposte
, e che poco
fondamento
ci abbia
fatto
sopra; il che
conghietturo
io dall'
essersene
con gran
brevità
spedito
, ancor che il
punto
fusse
principalissimo
nella
materia
che si
tratta
, e le
difficoltà
promosse
dal
signor
Mario
gravissime
: ed egli di se medesimo mi è buon
testimonio
mentre, alla
fac
. 16,
parlando
di certo
argomento
usato
dal suo
Maestro
,
scrive
: "
Cæterum
, quanti hoc
argumentum
apud nos esset,
satis
arbitror
ex eo
poterat
intelligi
, quod
paucis
adeo
ac
plane
ieiune
propositum
fuerit
, cum prius
reliqua
duo
longe
accuratius
ac
fusius
fuissent
explicata
." E con qual
brevità
e quanto
sobriamente
egli abbia
tocco
questo,
veggasi
, oltre all'altre
cose
, dal non aver pur fatte le
figure
degli
eccentrici
e dell'
ellissi
introdotte
per
salvare
il tutto; dove che più a
basso
incontreremo
un
mar
di
disegni
inseriti
in un lungo
discorso
, per
riprovar
poi una
esperienza
che in
ultimo
non
reca
pure
un
minimo
ristoro
alla
principale
intenzione
che si ha in quel
luogo
. Ma, senz'
andar
più
lontano
,
entri
pur
V.
S.
Illustrissima
in un
oceano
di
distinzioni
,
sillogismi
ed altri
termini
logicali
, e
troverà
esser fatta dal
Sarsi
stima
grandissima
di cosa che,
liberamente
parlando
, io
stimo
assai meno della
lana
caprina
.
12. "Sed quando
Magistro
meo
logicæ
imperitiam
Galilæus
obiecit
,
patiatur
experiri
nos, quam
exacte
eiusdem ipse
facultatis
leges
servaverit
: neque hoc
multis
; uno enim aut
altero
exemplo
contenti
erimus.
Dixeramus
,
stellas
tubo
inspectas
minimum
, ad
sensum
,
incrementum
suscepisse
. "Sed cum
stellæ
,
inquit
ille,
quamplurimæ
, quæ
perspicacissimos
quosque
oculos
fugiunt
, per
tubum
conspiciantur
, non
insensibile
, sed
infinitum
potius,
incrementum
ab illo
accepisse
dicendæ
erunt
; nihil enim atque aliquid
infinito
plane
distant
intervallo
." Ex eo
igitur
, quod aliquid
videatur
cum prius non
videretur
,
infert
Galilæus
obiecti
incrementum
infinitum
,
incrementum
,
inquam
,
apparens
saltem
,
quantitatis
. At ego, neque
infinitum
, neque
incrementum
quidem
ullum
,
inferri
posse
existimo
. Et
primo
quidem, quamquam
verum
sit,
iter
hoc quod est
videri
, et hoc quod est non
videri
,
distantiam
esse
infinitam
, una
saltem
ex
parte
, atque hæc
duo
proportionem
illam
habere
quam nihil atque aliquid, hoc est
proportionem
prorsus
nullam
; cum tamen id quod non erat, esse
incipit
,
crescere
aut
augeri
non
dicitur
, quod
augmentum
omne aliquid semper ante
supponat
, neque
mundum
, cum
primum
a
Deo
creatus
est,
infinite
auctum
dicimus
, cum nihil
antea
præfuisset
: est enim
augeri
,
fierialiquid
maius
, cum prius esset minus. Quare ex eo, quod aliquid prius non
videretur
,
videatur
autem postea,
inferri
non potest, ne in
ratione
quidem
visibilis
,
augmentum
infinitum
. Sed hoc
interim
nihil
moror
;
vocetur
augmentum
transitus
de non esse ad esse:
ulterius
pergo
. Ipse tamen, cum ex eo quod
stellæ
,
antea
non
visæ
, per
tubum
inspectæ
fuerint
,
intulit
a
tubo
illas
infinitum
incrementum
accepisse
,
meminisse
debuerat
,
affirmasse
se
alibi
tubum
eundem
in eadem
proportione
augere
omnia. Si ergo
stellas
, quas
nudis
oculis
videmus
,
auget
in certa ac
determinata
proportione
,
puta
in
centupla
,
illas
etiam
minimas
, quæ
oculos
fugiunt
, cum in
aspectum
profert
, in eadem
proportione
augebit
: non
igitur
infinitum
erit
illarum
incrementum
, hoc enim
nullam
admittit
proportionem
.
Secundo
, ad hoc, ut inter
visibile
et non
visibile
intercedat
augmentum
infinitum
in
apparenti
quantitate
, id enim
significat
vox
incrementi
ab illo
usurpata
,
necesse
est
ostendere
inter
quantitatem
visam
et non
visam
distantiam
esse
infinitam
in
ratione
quanti; alioquin
nunquam
inferetur
hoc
augmentum
infinitum
. Si quis enim ita
argumentetur
: "Cum quid
transit
de non
visibili
ad
visibile
,
augetur
infinite
; sed
stellæ
transeunt
de non
visibili
ad
visibile
; ergo
augentur
infinite
",
distinguenda
erit
maior
:
augentur
infinite
in
ratione
visibilis
, esto;
augentur
in
ratione
quanti,
negatur
. Sic enim etiam
consequens
eadem
distinctione
solvetur
:
augentur
in
ratione
visibilis
, non autem in
ratione
quanti. Ex quibus
apparet
,
terminum
incrementi
non eodem modo
sumi
in
maiori
propositione
atque in
consequentia
; in illa siquidem pro
incremento
visibilitatis
accipitur
, in hac
vero
pro
augmento
quantitatis
: hoc autem quam
logicæ
legibus
consentaneum
sit,
videat
Galilæus
.
Tertio
,
aio
ne
ullum
quidem,
augmentum
inde
inferri
posse.
Logicorum
enim
lex
est,
quotiescumque
effectus
aliquis a
pluribus
causis
haberi
potest,
male
ex
effectu
ipso unam tantum
illarum
inferri
:
verbi
gratia
, cum
calor
haberi
possit
ab
igne
, a
motu
, a
Sole
, aliisque
causis
,
male
quis
inferet
, Hic
calor
est, ergo ab
igne
. Cum ergo hoc, quod est
videri
aliquid cum prius non
videretur
, a
multis
etiam
causis
pendere
possit
, non
poterit
ex illa
visibilitate
una tantum
illarum
causarum
deduci
. Posse autem hunc
effectum
a
pluribus
causis
haberi
,
apertissimum
esse
arbitror
:
manente
enim,
primum
,
obiecto
ipso
immutato
, si vel
potentia
visiva
augeatur
in se ipsa, vel
impedimentum
aliquod
auferatur
, si
adsit
, vel
instrumento
aliquo,
qualia
sunt
specilla
, eadem
potentia
fortior
evadat
, vel certe,
immutata
potentia
,
obiectum
ipsum aut
illuminetur
clarius
aut
propius
accedat
ad
visum
aut eius denique
moles
excrescat
; unum ex his
satis
erit ad
eumdem
effectum
producendum
. Cum ergo
infertur
, ex eo quod
stellæ
videantur
, cum prius
laterent
,
infinitum
illas
augmentum
accepisse
, ad
logicorum
normam
id minus recte
colligitur
, quod aliæ
causæ
omissæ
sint ex quibus idem
effectus
haberi
poterat
. Sane nihil est quod
tubo
hoc
incrementum
tribuat
Galilæus
; si enim vel
clausos
tantum
oculos
semel
aperiat
,
augeri
omnia
infinite
æque
vere
pronunciabit
, cum prius non
viderentur
, modo
videantur
. Quod si
dicat
, sibi de
iis
tantum
loquendum
fuisse
, quæ a
tubo
haberi
possent
, cum
solum
hic de
tubo
ageretur
,
potuisse
proinde se alias
causas
omittere
;
respondeo
, ne id quidem ad
rectam
argumentationem
satis
esse:
tubus
enim ipse non uno tantum modo ea, quæ sine illo non
videntur
, in
conspectum
profert
;
primo
quidem,
obiecta
sub
maiori
angulo
ad
oculum
ferendo
, ex quo
fit
ut
maiora
videantur
;
secundo
,
radios
ac
species
in unum
cogendo
, ex quo
fit
ut
efficacius
agant
: horum autem
alterum
satis
est ad hoc, ut
videantur
ea quæ prius
aspectum
fugiebant
. Non
licuit
ergo ex hoc
effectu
alteram
tantum
illarum
causarum
inferre
.
Quarto
, ne id quidem
logicorum
legibus
congruit
,
stellas
, si per
tubum
non
augentur
, ab eodem,
singulari
sane eiusdem
prærogativa
instrumenti
,
illuminari
. Ex quibus
videtur
Galilæus
duobus
his
membris
adæquate
specillorum
effecta
partiri
, quasi
diceret
:
Specillum
vel
stellas
auget
, vel
easdem
illuminat
; non
auget
, ergo
illuminat
.
Lex
tamen alia
logicorum
est, in
divisione
membra
omnia
dividentia
includi
debere
: sed in hac
Galilæi
divisione
neque omnia
specilli
effecta
includuntur
, neque ea quæ
numerantur
eius propria sunt;
illuminatio
enim, ut ipse quidem
existimat
,
tubi
effectus
esse non potest; et
specierum
aut
radiorum
coactio
, quæ proprie a
specillis
habetur
, ab eodem
omittitur
:
vitiosa
igitur
fuit eiusdem
divisio
. Nec
plura
hic
addo
:
pauca
autem hæc, quæ uno
ferme
loco
forte
inter
legendum
offendi
,
adnotare
volui
, aliis
interim
omissis
, ut
intelligat
,
disputationem
suam
ea
culpa
non
vacare
, quam ipse in aliis
repræhendit
.
Sed quid (
libet
enim hoc
loco
rem
Galilæo
adhuc
inauditam
non
omittere
), quid,
inquam
, si quam ipse
prærogativam
tubo
suo
tribuere
non
audet
, illam ego
eidem
tribuendam
esse
ostendero
?
Tubus
,
inquit
, vel
obiecta
auget
, vel certe,
occulta
quadam
atque
inaudita
vi, eadem scilicet
illuminat
. Ita est:
tubus
luminosa
omnia
magis
illuminat
. Hoc si
ostendero
,
næ
ego
magnam
me apud
Galilæum
initurum
gratiam
spero
; dum
tubum
, cuius
amplificatione
merito
gloriatur
, hac etiam
inaudita
prærogativa
donavero
.
Age
igitur
,
tubo
eodem ideo
augeri
dicimus
obiecta
, quia hæc ab eo ad
oculum
feruntur
maiori
angulo
, quam cum sine
tubo
conspiciuntur
; quæcumque autem sub
maiori
angulo
conspiciuntur
, ea
maiora
videntur
, ex
opticis
: sed
tubus
idem
luminosorum
species
et
dispersos
radios
dum
cogit
et ad unum
fere
punctum
colligit
,
conum
visivum
, seu
piramidem
luminosam
qua
obiecta
lucida
spectantur
,
longe
lucidiorem
efficit
, et proinde
luminosa
obiecta
splendidiore
piramide
ad
oculum
vehit
: ergo
pari
ratione
dicetur
tubus
stellas
illuminare
,
sicuti
easdem
augere
dicitur
. Quemadmodum enim
angulus
maior
vel
minor
, sub quo
res
conspicitur
,
rem
maiorem
minoremve
ostendit
, ita
piramis
magis
minusve
luminosa
, per quam
corpus
luminosum
aspicitur
, idem
obiectum
lucidum
magis
aut minus
monstrabit
.
Fieri
autem
lucidiorem
piramidem
opticam
ex
radiorum
coactione
,
satis
manifeste
et
experientia
et
ratio
ipsa
ostendunt
. Hæc siquidem
docet
,
lumen
idem, quo
minori
compræhenditur
spatio
, eo
magis
illuminare
locum
in quo est; at
radii
in unum
coacti
lumen
idem
minori
spatio
claudunt
; ergo et hoc idem
magis
illuminant
.
Experientia
vero
idem
probabitur
, si
lentem
vitream
Soli
exponamus
;
videbimus
enim in
radiis
ad unum
punctum
coactis
, non
solum
ligna
comburi
et
plumbum
liquescere
, sed
oculos
eo
lumine
, utpote
clarissimo
,
pene
excæcari
. Quare
assero
, tam
vere
dici
stellas
tubo
illuminari
, quam
easdem
eodem
tubo
augeri
.
Bene
igitur
est ac
perbeate
tubo
huic nostro, quando
stellas
ipsas
ac
Solem
,
clarissima
lumina
,
illustrare
etiam
clarius
per me iam potest. "
Qui, come
vede
V.
S.
Illustrissima
, in
contracambio
dell'
equivoco
nel quale il
P.
Grassi
era
, come il
signor
Guiducci
avverte
,
incorso
,
seguendo
l'
orme
di
Ticone
e d'altri, vuole il
Sarsi
mostrare
, me aver altrettanto, o più,
errato
in
logica
; mentre che per
mostrare
, l'
augumento
del
telescopio
esser nelle
stelle
fisse
quale negli altri
oggetti
, e non
insensibile
o nullo, come aveva
scritto
il
Padre
, si
argumentò
in
cotal
forma
: "Molte
stelle
del tutto
invisibili
a
qualsivoglia
vista
libera
si
rendon
visibilissime
col
telescopio
; adunque tale
augumento
si
doverebbe
più
tosto
chiamare
infinito
che nullo." Qui
insorge
il
Sarsi
, e con
lunghissime
contese
fa
forza
di
dichiararmi
pessimo
logico
, per aver
chiamato
tale
ingrandimento
infinito
: alle quali tutte, perché
ormai
sento
grandissima
nausea
da quelle
altercazioni
nelle quali io altresì nella mia
fanciullezza
, mentr'ero ancor sotto il
pedante
, con
diletto
m'
ingolfavo
,
risponderò
breve e
semplicemente
,
parermi
che il
Sarsi
apertamente
si
mostri
quale egli
tenta
di
mostrar
me, cioè poco
intendente
di
logica
, mentr'ei
piglia
per
assoluto
quello ch'è
detto
in
relazione
. Mai non si è
detto
, l'
accrescimento
nelle
stelle
fisse
esser
infinito
; ma avendo
scritto
il
Padre
, quello esser nullo, ed il
signor
Mario
avvertitolo
, ciò non esser
vero
, poi che moltissime
stelle
di
totalmente
invisibili
si
rendono
visibilissime
,
soggiunse
, tale
accrescimento
doversi
più
tosto
chiamare
infinito
che nullo. E chi è così
semplice
che non
intenda
che
chiamandosi
il
guadagno
di mille, sopra cento di
capitale
,
grande
, e non nullo, il medesimo sopra
diece
,
grandissimo
, e non nullo, e' non
intenda
,
dico
, che l'
acquisto
di mille sopra il niente più
tosto
si
deva
chiamare
infinito
che nullo? Ma quando il
signor
Mario
ha
parlato
dell'
accrescimento
assoluto
,
sa
pur il
Sarsi
, ed in molti
luoghi
l'ha
scritto
, ch'egli ha
detto
, esser come di tutti gli altri
oggetti
veduti
coll'istesso
strumento
; sì che quando in questo
luogo
ei vuol
tassar
il
signor
Mario
di poca
memoria
,
dicendo
ch'ei si
doveva
pur
ricordare
d'avere altra
volta
detto
che il medesimo
strumento
accresceva
tutti gli
oggetti
nella medesima
proporzione
, l'
accusa
è
vana
. Anzi, quando anco senz'altra
relazione
il
signor
Mario
l'avesse
chiamato
infinito
, non avrei
creduto
che si
fusse
per
trovar
alcuno così
cavilloso
, che vi si
fusse
attaccato
, essendo un modo di
parlare
tutto il
giorno
usitato
il
porre
il
termine
d'
infinito
in
luogo
del
grandissimo
.
Largo
campo
avrà il
Sarsi
di
mostrarsi
maggior
logico
di tutti gli
scrittori
del
mondo
, ne i quali io l'
assicuro
ch'ei
troverà
la
parola
infinito
presa
delle
diece
volte
le nove in
vece
di
grande
o
grandissimo
.Ma più,
signor
Sarsi
, se il
Savio
si
leverà
contro di voi e
dirà
: "
Stultorum
infinitus
est
numerus
", qual
partito
sarà il vostro? vorrete voi forse
ingaggiarla
seco, e
sostener
la sua
proposizione
esser
falsa
,
provando
, anco coll'
autorità
dell'
istessa
Scrittura
, che il
mondo
non è
eterno
, e che, essendo
stato
creato
in
tempo
, non possono
essere
né
essere
stati
uomini
infiniti
, e che, non
regnando
la
stoltizia
se non tra gli
uomini
, non può
accadere
che quel
detto
sia mai
vero
, quando ben tutti gli
uomini
presenti
e
passati
ed anco,
dirò
, i
futuri
fussero
sciocchi
, essendo
impossibile
che gl'
individui
umani
, quando anco la
durazion
del
mondo
fusse
per
essere
eterna
, sieno già mai
infiniti
?
Ma
ritornando
alla
materia
, che
diremo
dell'altra
fallacia
con tanta
sottigliezza
scoperta
dal
Sarsi
, nel
chiamar
noi
accrescimento
quello d'un
oggetto
che d'
invisibile
si fa, col
telescopio
,
visibile
? il quale,
dic
'egli, non si può
chiamare
accrescimento
, perché l'
accrescimento
suppone
prima qualche
quantità
, e l'
accrescersi
non è altro che di
minore
farsi maggiore. A questo
veramente
io non
saprei
che altro
dirmi
, per
iscusa
del
signor
Mario
, se non ch'egli se n'
andò
alla
buona
, come si dice; e
credendo
che la
facoltà
del
telescopio
colla quale ei ci
rappresenta
quelli
oggetti
i quali senz'esso non
iscorgevamo
,
fusse
la medesima che quella colla quale anco i
veduti
avanti ci
rappresenta
maggiori assai, e
sentendo
che questa
communemente
si
chiamava
uno
accrescimento
della
specie
o dell'
oggetto
visibile
, si
lasciò
traportare
a
chiamare
quella ancora nell'istesso modo; la quale, come
ora
ci
insegna
il
Sarsi
, si
doveva
chiamar
non
accrescimento
, ma
transito
dal non
essere
all'
essere
. Sì che quando,
verbigrazia
, l'
occhiale
ci fa da una gran
lontananza
legger
quella
scrittura
della quale senz'esso noi non
veggiamo
se non i
caratteri
maiuscoli
, per
parlar
logicamente
si
deve
dire
che l'
occhiale
ingrandisce
le
maiuscole
, ma quanto alle
minuscole
fa lor far
transito
dal non
essere
all'
essere
. Ma se non si può senza
errore
usar
la
parola
accrescimento
dove non si
supponga
prima alcuna cosa in
atto
, che
debba
riceverlo
, forse che la
parola
transito
o
trapasso
non verrà troppo più
veridicamente
usurpata
dal
Sarsi
dove non sieno due
termini
, cioè quello
donde
si
parte
e l'altro dove si
trapassa
. Ma chi
sa
che il
signor
Mario
non avesse ed abbia
opinione
che degli
oggetti
, ancor che
lontanissimi
, le
specie
pure
arrivino
a noi, ma sotto
angoli
così
acuti
che
restino
al
senso
nostro
impercettibili
e come
nulle
, ancor ch'
elle
veramente
sieno qualche cosa (perché, s'io
devo
dire
il mio
parere
,
stimo
che quando
veramente
elle
fusser
niente, non
basterebbon
tutti gli
occhiali
del
mondo
a farle
diventar
qualche cosa); sì che le
specie
altresì delle
stelle
invisibili
sieno, non meno che quelle delle
visibili
,
diffuse
per l'
universo
, e che in
conseguenza
si possa anco di quelle, con
buona
grazia
del
Sarsi
e senza
error
di
logica
,
predicar
l'
accrescimento
? Ma perché
vo
io
mettendo
in
dubbio
cosa della quale io ho
necessaria
e
sensata
prova
? Quel
fulgore
ascitizio
delle
stelle
non è
realmente
intorno alle
stelle
, ma è nel nostro
occhio
; sì che dalla
stella
vien
la
sola
sua
specie
,
nuda
e
terminatissima
.
Sappiamo
di
sicuro
ch'una
nubilosa
non è altro che uno
aggregato
di molte
stelle
minute
,
invisibili
a noi; con tutto ciò non ci
resta
invisibile
quel
campo
che da loro è
occupato
; ma si
dimostra
in
aspetto
d'una
piazzetta
biancheggiante
, la qual
deriva
dal
congiungimento
de'
fulgori
di che ciascheduna
stellina
s'
inghirlanda
: ma perché questi
irraggiamenti
non sono se non nell'
occhio
nostro, è
necessario
che ciascheduna
specie
di esse
stelline
sia
realmente
e
distintamente
nell'
occhio
. Di qui si
cava
un'altra
dottrina
, cioè che le
nubilose
, ed anco tutta la
Via
Lattea
, in
cielo
non son niente, ma sono una
pura
affezzione
dell'
occhio
nostro; sì che per quelli che
fussero
di
vista
così
acuta
che
potesser
distinguer
quelle
minutissime
stelle
, le
nubilose
e la
Via
Lattea
non
sarebbono
in
cielo
. Queste, come
conclusioni
non
dette
da altri sin
ora
,
credo
che non
sarebbono
ammesse
dal
Sarsi
, e ch'egli pur vorrebbe che il
signor
Mario
avesse
peccato
nel
chiamare
accrescimento
quello che appresso di lui si
deve
dir
transito
dal non
essere
all'
essere
. Ma sia come si
voglia
; io ho
licenza
dal
signor
Mario
(per non
ingaggiar
nuove
liti
) di
conceder
tutta la
vittoria
al
Sarsi
di questo
duello
, e di quello ancora che
segue
appresso, dove il
Sarsi
si
contenta
che la
scoperta
delle
fisse
invisibili
si possa
chiamare
accrescimento
infinito
in
ragion
di
visibile
, ma non già in
ragion
di quanto: tutto questo se gli
conceda
, pur che ei
conceda
a noi che e le
invisibili
e le
visibili
,
crescano
pure
in
ragion
di quel che
piace
al
Sarsi
,
crescono
finalmente in modo che
rendon
totalmente
falso
il
detto
del suo
Maestro
, che
scrisse
ch'
elle
non
crescevano
punto
in veruna
maniera
; sopra il qual
detto
era
fondato
il
terzo
delle
ragioni
, colle quali egli aveva
intrapreso
a
provar
la
primaria
intenzione
del suo
trattato
, cioè il
luogo
della
cometa
.
Ma che
risponderem
noi ad un altro
errore
,
pure
in
logica
, che il
Sarsi
ci
attribuisce
?
Sentiamolo
, e poi
prenderemo
quel
partito
che ci
parrà
più
opportuno
. Non
contento
il
Sarsi
d'aver
mostrato
come il più
volte
già
nominato
scoprimento
delle
fisse
invisibili
non si
deve
chiamare
accrescimento
infinito
,
passa
a
provar
che il
dire
ch'ei
proceda
dal
telescopio
è
grave
errore
in
logica
, le cui
leggi
vogliono che quando un
effetto
può
derivare
da più
cause
,
malamente
da quello se n'
inferisca
una
sola
: e che il
vedersi
quello che prima non si
vedeva
sia un degli
effetti
che posson
depender
da più
cause
, oltre a quella del
telescopio
,
chiaramente
lo
mostra
il
Sarsi
nominandole
ad una ad una; le quali tutte
era
necessario
rimuovere
, e
mostrar
com'
elle
non erano a
parte
nell'
atto
del farci
vedere
col
telescopio
le
stelle
invisibili
. Sì che il
signor
Mario
, per
fuggir
l'
imputazione
del
Sarsi
,
doveva
mostrare
che l'
accostarsi
il
telescopio
all'
occhio
non
era
, prima, uno
accrescere
in se stessa e per se stessa la
virtù
visiva
(che pur è una
causa
per la quale, senz'altro
aiuto
, si può
veder
quel che prima non si poteva);
secondo
,
doveva
mostrar
che la medesima
applicazione
non
era
un
tor
via
le
nuvole
, gli
alberi
, i
tetti
o altri
impedimenti
di
mezo
;
terzo
, ch'ei non
era
un
servirsi
d'un
paio
d'
occhiali
da
naso
ordinarii
(e
vo
, come
V.
S.
Illustrissima
vede
,
numerando
le
cause
poste
dal medesimo
Sarsi
, senz'
alterar
nulla);
quarto
, che questo non è un
illuminar
l'
oggetto
più
chiaramente
;
quinto
, che questo non è un far venir le
stelle
in
Terra
o
salir
noi in
cielo
, onde l'
intervallo
traposto
si
diminuisca
;
sesto
, ch'ei non è un farle
rigonfiare
, onde,
ingrandite
,
divengano
più
visibili
;
settimo
, che questo non è finalmente un
aprir
gli
occhi
chiusi
:
azzioni
tutte, ciascheduna delle quali (ed in
particolar
l'
ultima
) è
bastante
a farci
vedere
quel che prima non
vedevamo
.
Signor
Sarsi
, io non
so
che
dirvi
, se non che voi
discorrete
benissimo
; solo
dispiacemi
che queste
imputazioni
cascano
tutte
addosso
al vostro
Maestro
, senza
toccar
punto
il
signor
Mario
o me. Io vi
domando
se alcune di queste
cause
, da voi
prodotte
come
potenti
a farci
veder
quello che senza lor non si
vederebbe
, come,
verbigrazia
, l'
avvicinarlo
, l'
interpor
vapori
o
cristalli
etc., vi
dimando
,
dico
, se alcuna di queste
cause
può
produr
l'
effetto
dell'
ingrandir
gli
oggetti
visibili
, sì come lo
produce
il
telescopio
ancora. Io
credo
pure
che voi
risponderete
di sì. Ed io vi
soggiungerò
che questo è un
aperto
accusare
di
cattivo
logico
il vostro
Maestro
, il quale,
parlando
in
generale
a tutto il
mondo
,
riconobbe
l'
ingrandimento
della
Luna
e di tutti gli altri
oggetti
dal solo
telescopio
, senza l'
esclusion
di niuna dell'altre
cause
, come per vostra
opinione
sarebbe
stato
in
obligo
di fare; il quale
obligo
non
cade
poi
punto
nel
signor
Mario
,
avvenga
che,
parlando
solo col vostro
Maestro
, e non più a tutto il
mondo
, e volendo
mostrar
falso
quello ch'egli aveva
pronunziato
dell'
effetto
di tale
strumento
, lo
considerò
(né
era
in
obligo
di
considerarlo
altrimenti) nel modo che l'aveva
considerato
il suo
avversario
. Anzi la vostra
nota
di
cattivo
logico
cade
tanto più
gravemente
sopra il vostro
Maestro
, quanto ch'egli in altra
occasione
importantissima
trasgredì
la
legge
:
dico
nell'
inferir
dall'
apparenza
del
moto
retto
la
circolazione
per
cerchio
massimo
, potendo esser del medesimo
effetto
causa
il
movimento
realmente
retto
e qualunque altro
moto
fatto
nell'istesso
piano
dove
fusse
l'
occhio
, delle quali tre
cagioni
potevano con gran
ragione
dubitare
anco gli
uomini
molto
sensati
; anzi l'istesso vostro
Maestro
, per vostro
detto
, non
ricusò
d'
accettare
il
moto
per
linea
ovale
o anco
irregolare
. Ma il
dubitare
se alcuna delle vostre sette
cause
poste
di sopra potesse aver
luogo
nell'
apparizion
delle
stelle
invisibili
, mentre che col
telescopio
si
rimirano
, se io
devo
parlar
liberamente
, non
credo
che potesse
cadere
in
mente
se non a
persone
costituite
nel
sommo
ed
altissimo
grado
di
semplicità
.
Nella quale
schiera
io non però
intendo
,
Illustrissimo
Signore
, di
porre
il
Sarsi
; perché, se ben egli è quello che si è
lasciato
traportare
a far questa
passata
, tuttavia si
vede
ch'ei non ha
parlato
, come si dice, ex
corde
;poi che in
ultimo
quasi quasi si
accommoda
a
concedere
che, non si
trattando
d'altro che del
telescopio
, si potessero
lasciar
da
banda
l'altre
cause
: tuttavia, perché il
conceder
poi questo
apertamente
, si
tirava
in
conseguenza
la
nullità
della sua già fatta
accusa
e del
concetto
, per quella
impresso
forse in alcuno de'
lettori
, d'esser io
cattivo
logico
, per
ovviare
a tutto questo
soggiunge
che né anco tal cosa
basta
ad una
retta
argumentazione
: e la
ragion
è, perché il
telescopio
non in un modo solo fa
veder
quel che non si
vedeva
, ma in due: il
primo
è col
portar
gli
oggetti
a gli
occhi
sotto
angolo
maggiore, per lo che maggiori
appariscono
; l'altro, con l'
unire
i
raggi
e le
specie
, onde più
efficacemente
operano
; e perché l'uno di questi
basta
per far
apparire
quel che non si
scorgeva
, non si
deve
da questo
effetto
inferire
una
sola
di quelle
cause
. Queste sono le sue
precise
parole
, delle quali io non
direi
di
saper
penetrar
l'
intimo
senso
,
avvenga
che egli stia troppo su '
l
generale
, dove mi
par
che
fusse
stato
di
mestieri
dichiararsi
più
specificatamente
, potendo la sua
proposizione
esser
intesa
in più
modi
; de i quali quello ch'è per
avventura
il
primo
a
rappresentarsi
alla
mente
,
contiene
in sé una
manifesta
contradizzione
. Imperocché il
portar
gli
oggetti
sotto maggior
angolo
, onde maggiori
appariscano
, si
rappresenta
effetto
contrario
al
ristringer
insieme
i
raggi
e le
specie
; perché, essendo i
raggi
quelli che
conducono
le
specie
,
par
che non ben si
capisca
come, nel
condurle
, si
ristringano
insieme
ed in un
tempo
formino
angolo
maggiore;
imperò
che,
concorrendo
insieme
linee
a
formare
un
angolo
,
par
che, nel
ristringersi
, l'
angolo
debba
più
tosto
inacutirsi
che farsi maggiore. E se
pure
il
Sarsi
aveva in
fantasia
qualch'altro modo per lo quale potessero i
raggi
, coll'
unirsi
,
formare
angolo
maggiore (il che io non
niego
poter per
avventura
ritrovarsi
),
doveva
dichiararlo
e
distinguerlo
dall'altro, per non
lasciare
il
lettore
tra i
dubbi
e gli
equivoci
. Ma
posto
per
ora
che sieno tali due
modi
d'
operare
nell'
uso
del
telescopio
, io vorrei
sapere
se ei
lavora
sempre con ambedue
insieme
, o pur talvolta coll'uno ed altra
volta
coll'altro
separatamente
, sì che quando ei si
serve
dell'
ingrandimento
dell'
angolo
,
lasci
stare il
ristringimento
de'
raggi
, e quando
ristringe
i
raggi
,
ritenga
l'
angolo
nella sua
primiera
quantità
. S'egli
opera
sempre con ambedue questi
mezi
, gran
semplicità
è quella del
Sarsi
mentre
accusa
il
signor
Mario
per non avere
accettato
e
nominato
l'uno ed
escluso
l'altro; ma s'egli
opera
con un solo,
pure
ha
errato
il
Sarsi
a non lo
nominare
,
escludendo
l'altro, e
mostrar
che quando noi
guardiamo
,
verbigrazia
, la
Luna
, che
ricresce
assaissimo
, ei
lavora
coll'
ingrandimento
dell'
angolo
, ma quando si
guardano
le
stelle
, non s'
ingrandisce
l'
angolo
, ma solamente s'
uniscono
i
raggi
. Io, per quanto posso con
verità
deporre
, nelle
infinite
o, per
meglio
dire
, moltissime
volte
che ho
guardato
con tale
strumento
, non ho mai
conosciuta
diversità
alcuna nel suo
operare
, e però
credo
ch'egli
operi
sempre nell'
istessa
maniera
, e
credo
che il
Sarsi
creda
l'istesso; e come questo sia, bisogna che le due
operazioni
, dell'
ingrandir
l'
angolo
e
ristringer
i
raggi
,
concorrano
sempre
insieme
: la qual cosa
rende
poi in tutto e per tutto fuori del
caso
l'
opposizione
del
Sarsi
; perch'è ben
vero
che quando da un
effetto
il quale può
depender
da più
cause
separatamente
, altri ne
inferisce
una
particolare
,
commette
errore
; ma quando le
cause
sieno tra di loro
inseparabili
, sì che
necessariamente
concorrano
sempre tutte, se ne può ad
arbitrio
inferir
qual più ne
piace
, perché qualunque
volta
sia
presente
l'
effetto
,
necessariamente
vi è anco quella
causa
. E così, per
darne
un
essempio
, chi
dicesse
"Il tale ha
acceso
il
fuoco
, adunque si è
servito
dello
specchio
ustorio
",
errerebbe
, potendo
derivar
l'
accendimento
dal
batter
un
ferro
, dall'
esca
e
fucile
, dalla
confricazion
di due
legni
, e da altre
cause
; ma chi
dicesse
"Io ho
sentito
batter
il
fuoco
al vicino", e
soggiungesse
"Adunque egli ha della
pietra
focaia
", senza
ragione
sarebbe
ripreso
da chi gli
opponesse
che,
concorrendo
a tale
operazione
, oltre alla
pietra
, il
fucile
, l'
esca
e '
l
solfanello
ancora, non si poteva con
buona
logica
inferir
la
pietra
risolutamente
. E così, se l'
ingrandimento
dell'
angolo
e l'
union
de'
raggi
concorron
sempre nell'
operazioni
del
telescopio
, delle quali una è il far
veder
l'
invisibile
, perché da questo
effetto
non si può
inferire
quale delle due
cause
più ne
piace
? Io
credo
di
penetrare
in
parte
la
mente
del
Sarsi
, il quale, s'io non m'
inganno
, vorrebbe che il
lettore
credesse
quello ch'egli stesso
assolutamente
non
crede
, cioè ch'il
veder
le
stelle
, che prima erano
invisibili
,
derivasse
non dall'
ingrandimento
dell'
angolo
, ma dall'
unione
de'
raggi
; sì che, non perché la
specie
di quelle
divenisse
maggiore, ma perché i
raggi
fussero
fortificati
, si
facesser
visibili
; ma non si è voluto
apertamente
scoprire
, perché troppo gli sono
addosso
l'altre
ragioni
del
signor
Mario
taciute
da esso, ed in
particolare
quella del
vedersi
gl'
intervalli
tra
stella
e
stella
ampliati
colla medesima
proporzione
che gli
oggetti
quaggiù
bassi
; i quali
intervalli
non
dovrian
ricrescer
punto
se niente
ricrescessono
le
stelle
, essendo loro così
distanti
da noi come quelle. Ma per
finirla
, io son certo che quando il
Sarsi
volesse venire a
dichiararsi
com'egli
intenda
queste due
operazioni
del
telescopio
,
dico
del
ristringere
i
raggi
e dell'
ingrandir
il loro
angolo
, e'
manifesterebbe
che non solamente si fanno sempre ambedue
insieme
, sì che già mai non
accaggia
unire
i
raggi
senza
ingrandir
l'
angolo
, ma ch'
elle
sono una cosa medesima; e quando egli avesse altra
opinione
, bisogna ch'ei
mostri
che '
l
telescopio
alcune
volte
unisca
i
raggi
senza
ingrandir
l'
angolo
, e che ciò
faccia
egli a
punto
quando si
guardano
le
stelle
fisse
; cosa ch'egli non
mostrerà
in
eterno
, perch'è una
vanissima
chimera
o, per
dirla
più
chiara
, una
falsità
.
Io non
credeva
,
Signor
mio
Illustrissimo
,
dover
consumar
tante
parole
in queste
leggerezze
; ma già che si è
fatto
il più,
facciasi
ancora il meno. E quanto all'altra
censura
di
trasgression
dalle
leggi
logicali
, mentre nella
division
degli
effetti
del
telescopio
il
signor
Mario
ne
pose
uno che non vi è, e ne
trapassò
uno che vi si
doveva
porre
, quando
disse
"Il
telescopio
rende
visibili
le
stelle
o coll'
ingrandir
la loro
specie
o coll'
illuminarle
", in
vece
di
dire
"coll'
ingrandirle
o coll'
unir
le
specie
e i
raggi
", come vorrebbe il
Sarsi
che si
dovesse
dire
; io
rispondo
che il
signor
Mario
non ebbe mai
intenzion
di far
divisione
di quello ch'è una cosa
sola
, quale egli, ed io ancora,
stimiamo
esser l'
operazione
del
telescopio
nel
rappresentarci
gli
oggetti
: e quando ei
disse
"Se il
telescopio
non ci
rende
visibili
le
stelle
coll'
ingrandirle
, bisogna che con qualche
inaudita
maniera
le
illumini
", non
introdusse
l'
illuminazione
come
effetto
creduto
, ma come
manifesto
impossibile
lo
contrappose
all'altro,
acciò
la di lui
verità
restasse
più certa; e questo è un modo di
parlare
usitatissimo
, come quando si
dicesse
"Se gli
inimici
non
ànno
scalata
la
rocca
, bisogna che vi
sian
piovuti
dal
cielo
". Se il
Sarsi
adesso
crede
di poter con
lode
impugnare
questi
modi
di
parlare
, se gli
apre
un'altra
porta
, oltre a quella di sopra dell'
infinito
, da
trionfare
in
duello
di
logica
sopra tutti gli
scrittori
del
mondo
; ma
avvertisca
, nel voler
mostrarsi
gran
logico
, di non
apparer
maggior
sofista
. Mi
par
di
veder
V.
S.
Illustrissima
sogghignare
; ma che vuol ella? Il
Sarsi
era
entrato
in
umore
di
scrivere
in
contradizzione
alla
scrittura
del
signor
Mario
: gli è
stato
forza
attaccarsi
, come noi
sogliamo
dire
, alle
funi
del
cielo
. Io per me non solamente lo
scuso
, ma lo
lodo
, e
parmi
ch'egli abbia
fatto
l'
impossibile
. Ma
tornando
alla
materia
, già è
manifesto
che il
signor
Mario
non ha
posto
l'
illuminare
com'
effetto
creduto
del
telescopio
. Ma che più? l'istesso
Sarsi
confessa
ch'ei l'ha
messo
come
impossibile
. Non è adunque
membro
della
divisione
, anzi, come ho
detto
, non ci è né meno
divisione
. Circa poi all'
unione
delle
specie
e de'
raggi
,
ricordata
dal
Sarsi
come
membro
trapassato
dal
signor
Mario
nella
divisione
, sarebbe
bene
che il
Sarsi
specificasse
come questa è una
seconda
operazion
diversa
dall'altra, perché noi sin qui l'abbiamo
intesa
per una stessa cosa; e quando saremo
assicurati
ch'
elle
sieno due
differenti
e
diverse
operazioni
, allora
intenderemo
d'avere
errato
; ma l'
error
non sarà di
logica
nel
mal
dividere
, ma di
prospettiva
nel non aver ben
penetrati
tutti gli
effetti
dello
strumento
.
Quanto alla
chiusa
, dove il
Sarsi
dice di non voler per
adesso
stare a
registrare
altri
errori
che questi pochi
incontrati
così
casualmente
in un
luogo
solo,
lasciando
da
banda
gli altri, io, prima,
ringrazio
il
Sarsi
del
pietoso
affetto
verso di noi; poi mi
rallegro
col
signor
Mario
, il quale può star
sicuro
di non aver
commesso
in tutto il
trattato
un
minimo
mancamento
in
logica
; perché, se
bene
par
che il
Sarsi
accenni
che ve ne sieno moltissimi altri, tuttavia
crederò
almeno che questi,
notati
e
manifestati
da lui, sieno
stati
eletti
per li maggiori; il
momento
de i quali
lascio
ora
che sia da lei
giudicato
, ed in
conseguenza
la
qualità
degli altri.
Vengo finalmente a
considerar
l'
ultima
parte
, nella quale il
Sarsi
, per farmi un
segnalato
favore
, vuol
nobilitare
il
telescopio
con una
ammirabil
condizione
e
facoltà
d'
illuminar
gli
oggetti
che per esso
rimiriamo
, non meno ch'ei ce gl'
ingrandisca
. Ma prima ch'io
passi
più avanti, voglio
rendergli
grazie
del suo
cortese
affetto
, perché
dubito
che l'
effetto
sia per
obligarmi
assai poco dopo che avremo
considerata
la
forza
della
dimostrazione
portata
per
prova
del suo
intento
: della quale, perché mi
par
che l'
autore
nello
spiegarla
si
vada
, non
so
perché,
ravvolgendo
e più
volte
replicando
le medesime
proposizioni
,
cercherò
di
trarne
la
sostanza
, la qual mi
par
che sia questa.
Il
telescopio
rappresenta
gli
oggetti
maggiori, perché gli
porta
sotto maggiore
angolo
che quando son
veduti
senza lo
strumento
. Il medesimo,
ristringendo
quasi a un
punto
le
specie
de'
corpi
luminosi
ed i
raggi
sparsi
,
rende
il
cono
visivo
, o vogliamo
dire
la
piramide
luminosa
, per la quale si
veggono
gli
oggetti
, di gran
lunga
più
lucida
; e però gli
oggetti
splendidi
di
pari
ci si
rappresentano
ingranditi
e di maggior
luce
illustrati
. Che poi la
piramide
ottica
si
renda
più
lucida
per lo
ristringimento
de i
raggi
, lo
prova
con
ragione
e con
esperienza
.
Imperò
che la
ragione
ci
insegna
che il
lume
raccolto
in
minore
spazio
lo
debba
illuminar
più; e l'
esperienza
ci
mostra
che
posta
una
lente
cristallina
al
Sole
, nel
punto
del
concorso
de'
raggi
non solo s'
abbrucia
il
legno
, ma si
liquefà
il
piombo
e si
accieca
la
vista
:
perloché
di
nuovo
conclude
, che con altrettanta
verità
si può
dire
che il
telescopio
illumina
le
stelle
, con quanta si dice ch'ei le
accresce
.
In
ricompensa
della
cortesia
e del
buono
animo
che '
l
Sarsi
ha avuto d'
essaltare
e
maggiormente
nobilitare
questo
ammirabile
strumento
, io non gli posso
dar
altro, per
ora
, che un
totale
assenso
a tutte le
proposizioni
ed
esperienze
sopradette
. Ma mi
duol
bene
oltre modo che l'
essere
esse
vere
gli è di maggior
pregiudicio
che se
fusser
false
; poi che la
principal
conclusione
che per esse
doveva
essere
dimostrata
è
falsissima
, né
credo
che ci sia verso di poter
sostenere
che
gravemente
non
pecchi
in
logica
quegli che da
proposizioni
vere
deduce
una
conclusion
falsa
. È
vero
che il
telescopio
ingrandisce
gli
oggetti
col
portargli
sotto maggior
angolo
;
verissima
è la
prova
che n'
arrecano
i
prospettivi
; non è
men
vero
che i
raggi
della
piramide
luminosa
maggiormente
uniti
la
rendono
più
lucida
, ed in
conseguenza
gli
oggetti
per essa
veduti
;
vera
è la
ragione
che n'
assegna
il
Sarsi
, cioè perché il medesimo
lume
,
ridotto
in
minore
spazio
, l'
illumina
più; e finalmente
verissima
è l'
esperienza
della
lente
, che coll'
unione
de'
raggi
solari
abbrucia
ed
accieca
: ma è poi
falsissimo
che gli
oggetti
luminosi
ci si
rappresentino
col
telescopio
più
lucidi
che senza, anzi è
vero
che li
veggiamo
assai più
oscuri
; e se il
Sarsi
nel
riguardar
,
verbigrazia
, la
Luna
col
telescopio
, avesse una
volta
aperto
l'altr'
occhio
, e con esso
libero
riguardato
pur l'
istessa
Luna
, avrebbe potuto fare il
paragone
senza niuna
fatica
tra lo
splendor
della gran
Luna
vista
con lo
strumento
, e quello della
piccola
,
vista
coll'
occhio
libero
; il che
osservato
, avrebbe
sicuramente
scritto
, la
luce
della
veduta
liberamente
mostrarsi
di gran
lunga
maggiore che quella dell'altra.
Chiarissima
è adunque la
falsità
della
conclusione
:
resta
ora
che
mostriamo
la
fallacia
nel
dedurla
da
premesse
vere
. E qui mi
pare
che al
Sarsi
sia
accaduto
quello che
accaderebbe
ad un
mercante
che, nel
riveder
sopra i suoi
libri
lo
stato
suo,
leggesse
solamente le
facce
dell'avere, e che così si
persuadesse
di star
bene
ed esser
ricco
; la qual
conclusione
sarebbe
vera
quando all'
incontro
non vi
fussero
le
facce
del
dare
. È
vero
,
signor
Sarsi
, che la
lente
, cioè il
vetro
convesso
,
unisce
i
raggi
, e perciò
moltiplica
il
lume
e
favorisce
la vostra
conclusione
; ma dove
lasciate
voi il
vetro
concavo
, che nel
telescopio
è la
contrafaccia
della
lente
, e la più
importante
, perch'è quello appresso del quale si
tiene
l'
occhio
, e per lo quale
passano
gli
ultimi
raggi
, ed è finalmente l'
ultimo
bilancio
e
saldo
delle
partite
? Se la
lente
convessa
unisce
i
raggi
, non
sapete
voi che il
vetro
concavo
gli
dilata
e
forma
il
cono
inverso
? Se voi aveste
provato
a
ricevere
i
raggi
passati
per ambedue i
vetri
del
telescopio
, come avete
osservato
quelli che si
rifrangono
in una
lente
sola
, avreste
veduto
che dove questi s'
uniscono
in un
punto
, quelli si
vanno
più e più
dilatando
in
infinito
, o, per
dir
meglio
, per
ispazio
grandissimo
: la quale
esperienza
molto
chiaramente
si
vede
nel
ricever
sopra una
carta
l'
immagine
del
Sole
, come quando si
disegnano
le sue
macchie
; "sopra la qual
carta
,
secondo
ch'ella più e più si
discosta
dall'
estremità
del
telescopio
, maggiore e maggior
cerchio
vi viene
stampato
dal
cono
de'
raggi
, e quanto si fa tal
cerchio
maggiore, tanto è
men
luminoso
in
comparazione
del
resto
del
foglio
tocco
da'
raggi
liberi
del
Sole
. E quando questa ed ogn'altra
esperienza
vi
fusse
stata
occulta
, mi
resta
pur tuttavia
duro
a
credere
che voi non abbiate alcuna
volta
sentito
dir
questo, ch'è
verissimo
, cioè che i
vetri
concavi
, quanto più
mostrano
l'
oggetto
grande
, tanto più lo
mostrano
oscuro
. Come dunque
mandate
voi di
pari
nel
telescopio
l'
illuminar
coll'
ingrandire
?
Signor
Sarsi
,
rimanetevi
dal voler
cercar
d'
essaltar
questo
strumento
con queste vostre
nuove
facoltà
sì
ammirande
, se non volete
porlo
in
ultimo
dispregio
appresso quelli che sin qui l'
ànno
avuto in poca
stima
. Ed
avvertite
che io in questo
conto
vi ho
passata
come cosa
vera
una
partita
ch'è
falsa
, cioè che la
luce
ingagliardita
mediante l'
union
de'
raggi
,
renda
l'
oggetto
veduto
più
luminoso
. Sarebbe
vero
questo, quando tal
luce
andasse
a
trovar
l'
oggetto
; ma ella
vien
verso l'
occhio
, il che
produce
poi
contrario
effetto
:
imperò
che, oltre all'
offender
la
vista
,
rende
il
mezo
più
luminoso
, ed il
mezo
più
luminoso
fa
apparir
(come
credo
che voi
sappiate
) gli
oggetti
più
oscuri
; ché per questa
sola
cagione
le
stelle
più
risplendenti
si
mostrano
quanto più l'
aria
della
notte
divien
tenebrosa
, e nello
schiarirsi
l'
aria
si
mostrano
più
fosche
. Queste
cose
, come
vede
V.
S.
Illustrissima
, son tanto
manifeste
, che non mi
lasciano
credere
che al
Sarsi
possano
essere
state
incognite
, ma ch'egli più
tosto
per
mostrar
la
vivezza
del suo
ingegno
si sia
messo
a
dimostrare
un
paradosso
, che perch'egli così
internamente
credesse
. Ed in questa
opinione
mi
conferma
l'
ultima
sua
conclusione
, dove, per
mostrar
(
cred
'io) ch'egli ha
parlato
per
ischerzo
,
serra
con quelle
parole
: "
Affermo
dunque, con tanta
verità
dirsi
che il
telescopio
illumina
le
stelle
, con quanta si dice che il medesimo le
ingrandisce
".
V.
S.
Illustrissima
sa
poi che ed egli ed il suo
Maestro
ànno
sempre
detto
, e
dicono
ancora, ch'ei non l'
ingrandisce
punto
; la qual
conclusione
si
sforza
il
Sarsi
di
sostenere
ancora, come
vedremo
, nelle
cose
che
seguono
qui appresso.
13.
Legga
dunque
V.
S.
Illustrissima
: "Ad
tertium
argumentum
propero
, quod
iisdem
mihi
verbis
hoc
loco
referendum
arbitror
; ut
nimirum
omnes
intelligant
, quid illud
tandem
fuerit
, quo se
vehementer
adeo
offensum
profitetur
Galilæus
. Sic enim se
habet
: "Illud,
tertio
loco
, hoc idem
persuadet
: quod
cometa
,
tubo
optico
inspectus
,
vix
ullum
passus
est
incrementum
;
longa
tamen
experientia
compertum
est atque
opticis
rationibus
comprobatum
,
quæcunque
hoc
instrumento
conspiciuntur
,
maiora
videri
quam
nudis
oculis
inspecta
compareant
, ea tamen
lege
, ut minus ac minus
sentiant
ex illo
incrementum
, quo
magis
ab
oculo
remota
fuerint
; ex quo
fit
ut
stellæ
fixæ
, a nobis omnium
remotissimæ
,
nullam
sensibilem
ab illo
recipiant
magnitudinem
. Cum ergo
parum
admodum
augeri
visus
sit
cometa
,
multo
a nobis
remotior
quam
Luna
dicendus
erit, cum hæc
tubo
inspecta
longe
maior
appareat
.
Scio
hoc
argumentum
parvi
apud aliquos
fuisse
momenti
: sed
hi
fortasse
parum
opticæ
principia
perpendunt
, ex quibus
necesse
est huic
eidem
maximam
inesse
vim
ad hoc quod
agimus
persuadendum
." Hic ego
præmittere
,
primum
,
habeo
,
quorsum
huiusmodi
argumentum
Disputationi
nostræ
intextum
fuerit
: non enim
velim
maiori
id apud alios in
pretio
haberi
, quam apud nos; neque ii sumus qui
emptoribus
fucum
faciamus
, sed tanti
merces
nostras
vendimus
quanti
valent
.
Cum
igitur
ad
Magistrum
meum ex
multis
Europæ
partibus
illustrium
astronomorum
observationes
perferrentur
, nemo illorum tunc fuit, qui illud etiam
postremo
loco
non
adderet
,
cometam
a se
longiori
specillo
observatum
vix
ullum
incrementum
suscepisse
, ex qua
observatione
deducerent
, illum
saltem
supra
Lunam
statuendum
; cumque hoc etiam, ut
cætera
,
variis
hominum
inter
frequentium
cœtus
sermonibus
agitaretur
, non
defuere
qui
palam
ac
libere
assererent
,
nullam
huic
argumento
fidem
habendam
,
tubum
hunc
larvas
oculis
ingerere
ac
variis
animum
deludere
imaginibus
, quare,
sicuti
ne ea quidem quæ
cominus
aspicimus
sincera
ac sine
ludificationibus
ostendit
, ita illum
multo
minus ea quæ
longe
a nobis
remota
sunt, non nisi
larvata
atque
deformia
monstraturum
. Ut ergo et
amicorum
observationibus
aliquid
dedisse
videremur
, ac simul eorum
inscitiam
, quibus
instrumentum
hoc nullo erat in
precio
,
publice
redargueremus
, hoc
argumentum
tertio
loco
apponendum
, ac
postrema
ea
verba
, quibus
offensum
se
dicit
Galilæus
,
addenda
,
existimavimus
, de
homine
bene
potius nos
hinc
meritos
, quam
male
,
sperantes
, dum
tubum
hunc, quamvis non
fœtum
,
alumnum
certe ipsius, ab
invidorum
calumniis
tueremur
.
Cæterum
, quanti hoc
argumentum
apud nos esset,
satis
arbitror
ex eo
poterat
intelligi
, quod
paucis
adeo
ac
plane
ieiune
propositum
fuerit
, cum prius
reliqua
duo
longe
accuratius
ac
fusius
fuissent
explicata
. Neque
Galilæum
hæc ipsa
latuerunt
, si quod
res
est
fateri
velit
. Cum enim
rescissemus
, eo illum
argumento
graviter
commotum
, quod
existimaret
se unum
iis
verbis
peti
,
curavit
Magister
meus illi per
amicos
significari
, nihil unquam minus se
cogitasse
, quam ut eum
verbo
vel
scripto
læderet
; cumque
iis
, a quibus hæc
acceperat
,
Galilæus
pacatum
iam atque eorum
dictis
acquiescentem
animum
ostendisset
,
maluit
tamen postea, quantum in se fuit,
amicum
quam
dictum
perdere
."
Intorno alle
cose
qui
scritte
mi si fa da
considerar
, nel
primo
luogo
, qual possa esser la
cagione
per la quale il
Sarsi
abbia
scritto
ch'io
grandemente
mi sia
lamentato
del
P.
Grassi
,
avvenga
che nel
trattato
del
signor
Mario
non vi è pur
ombra
di mie
querele
, né io già mai con alcuno, né anco con me stesso, mi son
doluto
, né meno ho
conosciuto
d'aver
cagion
di
dolermi
; e gran
semplicità
mi
parrebbe
di chi si
dolesse
che
uomini
di gran
nome
fusser
contrari
alle sue
opinioni
, quantunque
volta
egli avesse
modi
facili
ed
evidenti
da poterle
dimostrar
vere
, quali son
sicuro
d'aver io: tal che a me non si
rappresenta
altra
cagione
, se non che '
l
Sarsi
sotto questa
finzione
ha voluto
ascondere
, non
so
già perché, suoi
interni
motivi
che l'
ànno
spinto
a volerla
pigliar
meco; del che ho ben
sentito
qualche
fastidio
, perché più
volentieri
avrei
impiegato
questo
tempo
in qualch'altro
studio
più di mio
gusto
. Che il
P.
Grassi
non avesse
intenzione
d'
offender
me nel
tassar
di poco
intelligenti
quelli che
disprezzavano
l'
argomento
preso
dal poco
ingrandimento
della
cometa
per lo
telescopio
, lo voglio
creder
al
Sarsi
; ma se io per me stesso m'ero già
dichiarato
essere
in quel
numero
, ben mi
doveva
esser
tollerato
ch'io
producessi
mie
ragioni
e
difendessi
la
causa
mia, e tanto più quanto ella
era
giusta
e
vera
. Voglio ancora
ammettere
al
Sarsi
che '
l
suo
Maestro
con
buona
intenzione
si
mettesse
a
sostenere
quell'
opinione
,
credendo
di
conservare
ed
accrescere
la
reputazione
ed il
pregio
del
telescopio
contro alle
calunnie
di quelli che lo
predicavano
per
fraudolente
e per
ingannator
della
vista
, e così
cercavano
di
spogliarlo
de' suoi
ammirabili
pregi
: ma in questo
fatto
, quanto l'
intenzion
del
Padre
mi
par
lodevole
e
buona
, tanto l'
elezzione
e la
qualità
delle
difese
mi si
rappresenta
cattiva
e
dannosa
, mentr'ei vuole contro all'
imposture
de'
maligni
fare
scudo
agli
effetti
veri
del
telescopio
coll'
attribuirgliene
de'
manifestamente
falsi
. Questo non mi
par
buon
luogo
topico
per
persuader
la
nobiltà
di tale
strumento
. Per tanto
piaccia
al
Sarsi
di
scusarmi
se io non vengo, con quella
larghezza
che forse gli
par
che
convenisse
, a
chiamarmi
e
confessarmi
obligato
per li
nuovi
pregi
ed
onori
arrecati
a questo
strumento
. E con qual
ragione
pretend
'egli che in me si
debba
accrescer
l'
obligo
e l'
affezzione
verso di loro per li
vani
e
falsi
attributi
, mentr'eglino, perché io col
dir
cose
vere
gli
traggo
d'
errore
, mi
pronunzian
la
perdita
della loro
amicizia
?
Segue
appresso, e, non
so
quanto
opportunamente
, s'
induce
a
chiamare
il
telescopio
mio
allievo
, ma a
scoprire
insieme
come non è altrimenti mio
figliuolo
. Che
fate
,
signor
Sarsi
? Mentre voi
sete
su '
l
maneggio
d'
interessarmi
in
oblighi
grandi
per li
beneficii
fatti
a questo ch'io
reputavo
mio
figliuolo
, mi venite
dicendo
che non è altro ch'un
allievo
? Che
rettorica
è la vostra? Avrei più
tosto
creduto
che in tale
occasione
voi aveste avuto a
cercar
di
farmelo
creder
figliuolo
, quando ben voi foste
stato
sicuro
che non
fusse
. Qual
parte
io abbia nel
ritrovamento
di questo
strumento
, e s'io lo possa
ragionevolmente
nominar
mio
parto
, l'ho gran
tempo
fa
manifestato
nel mio
Avviso
Sidereo
,
scrivendo
come in
Vinezia
, dove allora mi
ritrovavo
,
giunsero
nuove
che al
signor
conte
Maurizio
era
stato
presentato
da un
Olandese
un
occhiale
, col quale le
cose
lontane
si
vedevano
così
perfettamente
come se
fussero
state molto
vicine
; né più fu
aggiunto
. Su questa
relazione
io
tornai
a
Padova
, dove allora
stanziavo
, e mi
posi
a
pensar
sopra tal
problema
, e la prima
notte
dopo il mio
ritorno
lo
ritrovai
, ed il
giorno
seguente
fabbricai
lo
strumento
, e ne
diedi
conto
a
Vinezia
a i medesimi
amici
co
' quali il
giorno
precedente
ero
stato
a
ragionamento
sopra questa
materia
. M'
applicai
poi subito a
fabbricarne
un altro più
perfetto
, il quale sei
giorni
dopo
condussi
a
Vinezia
, dove con gran
meraviglia
fu
veduto
quasi da tutti i
principali
gentiluomini
di quella
republica
, ma con mia
grandissima
fatica
, per più d'un
mese
continuo
. Finalmente, per
consiglio
d'alcun mio
affezzionato
padrone
, lo
presentai
al
Principe
in
pieno
Collegio
, dal quale quanto ei
fusse
stimato
e
ricevuto
con
ammirazione
,
testificano
le
lettere
ducali
, che ancora sono appresso di me,
contenenti
la
magnificenza
di quel
Serenissimo
Principe
in
ricondurmi
, per
ricompensa
della
presentata
invenzione
, e
confermarmi
in
vita
nella mia
lettura
nello
Studio
di
Padova
, con
dupplicato
stipendio
di quello che avevo per
addietro
, ch'
era
poi più che
triplicato
di quello di
qualsivoglia
altro mio
antecessore
. Questi
atti
,
signor
Sarsi
, non son
seguiti
in un
bosco
o in un
diserto
: son
seguiti
in
Vinezia
, dove se voi allora foste
stato
, non m'avreste
spacciato
così per
semplice
balio
: ma
vive
ancora, per la
Dio
grazia
, la maggior
parte
di quei
signori
,
benissimo
consapevoli
del tutto, da' quali potrete esser
meglio
informato
.
Ma forse alcuno mi potrebbe
dire
, che di non
piccolo
aiuto
è al
ritrovamento
e
risoluzion
d'alcun
problema
l'esser prima in qualche modo
reso
consapevole
della
verità
della
conclusione
, e
sicuro
di non
cercar
l'
impossibile
, e che perciò l'
avviso
e la
certezza
che l'
occhiale
era
di già
stato
fatto
mi
fusse
d'
aiuto
tale, che per
avventura
senza quello non l'avrei
ritrovato
. A questo io
rispondo
distinguendo
, e
dico
che l'
aiuto
recatomi
dall'
avviso
svegliò
la
volontà
ad
applicarvi
il
pensiero
, che senza quello può esser ch'io mai non v'avessi
pensato
; ma che, oltre a questo, tale
avviso
possa
agevolar
l'
invenzione
, io non lo
credo
: e
dico
di più, che il
ritrovar
la
risoluzion
d'un
problema
segnato
e
nominato
, è
opera
di maggiore
ingegno
assai che '
l
ritrovarne
uno non
pensato
né
nominato
, perché in questo può aver
grandissima
parte
il
caso
, ma quello è tutto
opera
del
discorso
. E già noi siamo certi che l'
Olandese
,
primo
inventor
del
telescopio
,
era
un
semplice
maestro
d'
occhiali
ordinari
, il quale
casualmente
,
maneggiando
vetri
di più
sorti
, si
abbatté
a
guardare
nell'istesso
tempo
per due, l'uno
convesso
e l'altro
concavo
,
posti
in
diverse
lontananze
dall'
occhio
, ed in questo modo
vide
ed
osservò
l'
effetto
che ne
seguiva
, e
ritrovò
lo
strumento
: ma io,
mosso
dall'
avviso
detto
,
ritrovai
il medesimo per
via
di
discorso
; e perché il
discorso
fu anco assai
facile
, io lo voglio
manifestare
a
V.
S.
Illustrissima
,
acciò
,
raccontandolo
dove ne
cadesse
il
proposito
, ella possa
render
, colla sua
facilità
, più
creduli
quelli che, col
Sarsi
, volessero
diminuirmi
quella
lode
,
qualunqu
'ella si sia, che mi si
perviene
.
Fu dunque tale il mio
discorso
. Questo
artificio
o
costa
d'un
vetro
solo, o di più d'uno. D'un solo non può
essere
, perché la sua
figura
o è
convessa
, cioè più
grossa
nel
mezo
che verso gli
estremi
, o è
concava
, cioè più
sottile
nel
mezo
, o è
compresa
tra
superficie
parallele
: ma questa non
altera
punto
gli
oggetti
visibili
col
crescergli
o
diminuirgli
; la
concava
gli
diminuisce
, e la
convessa
gli
accresce
bene
, ma gli
mostra
assai
indistinti
ed
abbagliati
; adunque un
vetro
solo non
basta
per
produr
l'
effetto
.
Passando
poi a due, e
sapendo
che '
l
vetro
di
superficie
parallele
non
altera
niente, come si è
detto
,
conclusi
che l'
effetto
non poteva né anco
seguir
dall'
accoppiamento
di questo con alcuno degli altri due. Onde mi
ristrinsi
a
volere
esperimentare
quello che facesse la
composizion
degli altri due, cioè del
convesso
e del
concavo
, e
vidi
come questa mi
dava
l'
intento
: e tale fu il
progresso
del mio
ritrovamento
, nel quale di niuno
aiuto
mi fu la
concepita
opinione
della
verità
della
conclusione
. Ma se il
Sarsi
o altri
stimano
che la
certezza
della
conclusione
arrechi
grand'
aiuto
al
ritrovare
il modo del
ridurla
all'
effetto
,
leggano
l'
istorie
, ché
ritroveranno
essere
stata fatta da
Archita
una
colomba
che
volava
, da
Archimede
uno
specchio
che
ardeva
in
grandissime
distanze
ed altre
macchine
ammirabili
, da altri
essere
stati
accesi
lumi
perpetui
, e cento altre
conclusioni
stupende
; intorno alle quali
discorrendo
, potranno, con poca
fatica
e loro
grandissimo
onore
ed
utile
,
ritrovarne
la
costruzzione
, o almeno, quando ciò lor non
succeda
, ne
caveranno
un altro
beneficio
, che sarà il
chiarirsi
meglio
, che l'
agevolezze
che si
promettevano
da quella
precognizione
della
verità
dell'
effetto
,
era
assai meno di quel che
credevano
.
Ma
ritorno
a quel che
segue
scrivendo
il
Sarsi
, dove
destreggiando
, per non si
ridurre
a
dire
che l'
argomento
preso
dal
minimo
ingrandimento
degli
oggetti
remotissimi
non
val
nulla, perch'è
falso
, dice che di quello non n'
ànno
mai fatta molta
stima
; il che
manifesta
egli dall'averlo il suo
Maestro
scritto
con assai
brevità
, dove che gli altri due
argomenti
si
veggono
distesi
ed
amplificati
senza
risparmio
di
parole
. Al che io
rispondo
che non dalla
moltitudine
, ma dall'
efficacia
delle
parole
si
deve
argumentar
la
stima
che altri fa delle
cose
dette
: e, come ogn'un
sa
, vi sono delle
dimostrazioni
che per lor
natura
non possono esser senza
lunghezza
spiegate
, ed altre nelle quali la
lunghezza
sarebbe del tutto
superflua
e
tediosa
; e qui, se si
deve
aver
riguardo
alle
parole
, l'
argomento
è
portato
con quante
bastavano
alla sua
spiegatura
chiara
e
perfetta
. Ma, oltre a questo, lo
scrivere
lo stesso
P.
Grassi
esser in tal
argomento
, come
necessariamente
si
raccoglie
da'
principii
ottici
,
forza
grandissima
per
provar
l'
intento
, ci
dà
pur troppo
chiaro
indizio
della
stima
ch'egli almeno ha voluto
mostrar
di farne: la qual voglio ben
credere
al
Sarsi
che
internamente
sia stata pochissima, ed a questo mi
persuade
non la
brevità
dello
spiegarlo
, ma altra assai più
forte
conghiettura
; e questa è, che mentre il
Padre
fa
sembiante
di
dimostrare
il
luogo
della
cometa
dover
essere
lontanissimo
,
avvenga
che nel
ricevere
dal
telescopio
insensibile
augumento
ella
imita
puntualmente
le
lontanissime
stelle
fisse
, quando poi accanto accanto ei
passa
a più
specifica
limitazione
d'esso
luogo
, ei la
colloca
sotto ad
oggetti
che
ricevono
dal medesimo
telescopio
grandissimo
accrescimento
;
dico
sotto il
Sole
, che pur
ricresce
in
superficie
quelle medesime
centinaia
e
migliaia
di
volte
, che il medesimo
Padre
ed il
Sarsi
stesso
sanno
. Ma il
Sarsi
non ha
penetrato
l'
artificio
grande
del suo
Maestro
, col quale nell'istesso
tempo
ha voluto
cortesemente
applaudere
a gli
amici
suoi né ha voluto
amareggiar
loro il
gusto
che
sentivano
per l'
invenzion
del
nuovo
argomento
, ed a' più
intendenti
e meno
appassionati
ha in tanto voluto, come si dice, sotto
mano
mostrarsi
accorto
ed
intelligente
,
imitando
quel
generosissimo
atto
di quel gran
signore
, che
gettò
il
flussi
a
monte
per non
interrompere
il
giubilo
nel quale
vedeva
galleggiare
il
giovinetto
principe
suo
avversario
, per la
vittoria
d'un gran
resto
promessagli
dal
cinquantacinque
già
scoperto
e
gittato
in
tavola
. Ma il
signor
Mario
, con
maniera
un poco più
severa
, ha voluto a
carte
spiegate
dire
il suo
concetto
e
mostrar
la
falsità
e
nullità
di quell'
argomento
,
regolandosi
da altro
fine
, ch'è
stato
di voler più
tosto
medicare
i
difetti
e
tor
via
gli
errori
con qualche
passione
degl'
infermi
, che
fomentargli
e fargli maggiori per non gli
disgustare
.
A quello che il
Sarsi
scrive
in
ultimo
, che il suo
Maestro
non avesse avuto
pensiero
di
offender
me nel
tassar
quelli che si
burlavan
dell'
argomento
, non
occorre
ch'io
replichi
altro, perché già ho
detto
che lo
credo
e che mai non ho
creduto
in
contrario
. Ma voglio che il
Sarsi
creda
che né io ancora, nel
dimostrar
falso
l'
argomento
, non ho avuta
intenzion
d'
offender
il suo
Maestro
, ma ben di
giovare
a chiunque
era
in quello
errore
; né
so
bene
intendere
con quale
occasione
m'abbia in questo
luogo
a
toccare
col
motto
del
volere
, per non
perdere
un
bel
detto
,
perdere
un
amico
: né
so
vedere
quale
arguzia
sia nel
dir
"Questo
argumento
non è
vero
" sì che
debba
esser
preso
per
detto
arguto
.
14. Or
segua
V.
S.
Illustrissima
il
leggere
: "Sed
rem
ipsam nunc
enucleatius
discutiamus
.
Aio
, nihil in hoc
argumento
a
veritate
alienum
reperiri
. Nam
asserimus
,
primum
,
obiecta
tubo
optico
visa
, quo
propinquiora
fuerint
, eo
augeri
magis
, minus
vero
quo
remotiora
. Nihil
verius
.
Galilæus
negat
. Quid, si
fateatur
?
Quæro
enim ex illo, cum
tubum
illum suum et quidem
optimum
in
manus
acceperit
, si
forte
rem
intra
cubiculi
aut
aulæ
spatia
inclusam
intueri
voluerit
, an non
is
longissime
producendus
sit? Ita est,
ait
. Si
vero
rem
longe
dissitam
e
fenestra
eodem
instrumento
spectare
libuerit
,
contrahendum
illico
dicet
, atque ab
immani
illa
longitudine
breviorem
redigendum
in
formam
. Quod si
productionis
huius
contractionisque
caussam
quæsiero
, ad
naturam
utique
instrumenti
recurrendum
erit; cuius ea
conditio
est, ut ad
propinquiora
intuenda
, ex
opticæ
principiis
,
produci
, ad
remotiora
vero
spectanda
contrahi
,
postulet
. Cum ergo ex
productione
et
contractione
tubi
, ut
ait
ipse,
necessario
oriatur
maius
minusve
obiectorum
incrementum
,
licebit
iam mihi ex his
argumentum
huiusmodi
conficere
: Quæcumque non aliter quam
productiore
tubo
spectari
postulant
,
necessario
augentur
magis
, et quæcumque non aliter quam
contractiore
tubo
spectari
postulant
,
necessario
augentur
minus; sed
propinqua
omnia non aliter quam
productiore
tubo
,
longe
vero
remota
non aliter quam
contractiore
tubo
,
spectari
postulant
: ergo
propinqua
omnia
necessario
augentur
magis
,
longe
vero
remota
necessario
augentur
minus. In quo
argumento
si
maior
minorque
propositio
vera
comprobetur
, nec
negabitur
,
arbitror
, quod ex illis
necessario
consequitur
.
Primam
vero
propositionem
ipse
ultro
admittit
:
altera
etiam
certissima
est; et quidem in
iis
quæ
citra
dimidium
milliare
spectantur
, nulla apud illum
probatione
indiget
; quod si ea quæ
ulterius
deinde
excurrunt
, eadem
spectari
solent
tubi
longitudine
, id
fit
non quia
revera
magis
semper ac
magis
contrahendus
ille non sit, sed quia
maior
isthæc
contractio
adeo
exiguis
includitur
terminis
, ut non
multum
intersit
si
omittatur
, ac proinde ut
plurimum
negligatur
. Si tamen
rei
naturam
spectemus
atque ex
rigore
geometrico
loquendum
sit, semper
maior
hæc
contractio
requiretur
: eadem
plane
ratione
ac si quis
diceret
,
visibile
quodcumque quo
magis
ab
oculo
removetur
,
minori
semper ac
minori
spectari
angulo
, quæ
propositio
verissima
est;
nihilominus
, cum
res
oculo
obiecta
ad
certam
pervenerit
distantiam
, in qua
angulum
visivum
efficiat
valde
exiguum
, quamvis postea
multo
adhuc
intervallo
fiat
remotior
, non
minuitur
sensibiliter
idem
angulus
; et tamen
demonstrari
potest, illum semper
minorem
ac
minorem
futurum
. Ita, quamvis
ultra
maximam
quandam
distantiam
obiectorum
vix
varientur
anguli
incidentiæ
specierum
ad
tubi
specilla
(
perinde
enim tunc est, ac si omnes
radii
perpendiculariter
inciderent
), et
consequenter
neque
varianda
sensibiliter
sit
instrumenti
longitudo
,
verissima
tamen adhuc
censenda
est ea
propositio
quæ
asserit
,
naturam
specilli
eam esse, ut, quo
remotiora
fuerint
obiecta
, eo
magis
ad ea
spectanda
contrahi
postulet
, et propterea minus eadem
augeat
quam
propinqua
; et si
severe
, ut
aiebam
,
loquendum
sit,
affirmo
stellas
breviori
specillo
spectandas
quam
Lunam
."
Qui, com'ella
vede
, si
apparecchia
il
Sarsi
con
mirabil
franchezza
a
volere
in
virtù
d'
acuti
sillogismi
mantenere
, niuna cosa esser più
vera
della più
volte
profferita
proposizione
, cioè che gli
oggetti
veduti
col
telescopio
tanto
ricrescon
più quanto son più
vicini
, e tanto meno quanto son più
lontani
; ed è tanta la sua
confidenza
, che quasi si
promette
ch'io sia per
confessarla
, ben che di
presente
io la
neghi
. Ma io
fo
un
augurio
e
pronostico
molto
differente
, e
credo
ch'egli si sia, nel
tesser
questa
tela
, per
ritrovare
in
maniera
inviluppato
, più di quello ch'ei
pensa
ora
che egli è su l'
ordirla
, che in
ultimo
da per se stesso sia per
confessarsi
convinto
;
convinto
,
dico
, a chi con qualche
attenzione
considererà
le
cose
nelle quali egli
anderà
a
terminare
, che
facilmente
saranno le medesime ad
unguem
che le
scritte
dal
signor
Mario
, ma
orpellate
in
maniera
e così
spezzatamente
intarsiate
tra
varii
ornamenti
e
rabeschi
di
parole
, o
vero
riportate
in
iscorcio
in qualche
angolo
, che forse alla prima
scorsa
possano, a chi meno
fissamente
le
consideri
,
parer
qualch'altra cosa da quello che
realmente
sono in
pianta
.
In tanto, per non lo
tor
d'
animo
, gli
soggiungo
, che come questo ch'ei
tenta
sia
vero
, non solo l'
argomento
che in questa
proposizione
s'
appoggia
, del quale il suo
Maestro
e gli altri
astronomi
amici
suoi si son
serviti
per
ritrovare
il
luogo
della
cometa
, è il più
ingegnoso
e
concludente
d'ogn'altro, ma di più
dico
che questo
effetto
del
telescopio
avanza
in
eccellenza
di gran
lunga
tutti gli altri, mediante le gran
conseguenze
ch'ei si
tira
dietro; e
resto
estremamente
meravigliato
, né
so
restar
capace
come possa esser, che,
conoscendolo
vero
, abbia il
Sarsi
poco fa
detto
di sé e del suo
Maestro
d'averne
fatto
assai
minore
stima
che degli altri due,
presi
l'uno dal
moto
circolare
e l'altro dalla
piccolezza
della
paralasse
, li quali, sia
detto
con
pace
loro, non son
degni
d'esser
servidori
di questo.
Signore
, se questa cosa è
vera
, ecco
spianata
al
Sarsi
la
strada
ad
invenzioni
ammirande
,
tentate
da moltissimi né mai
trovate
da alcuno; ecco non solo
misurata
in una
sola
stazione
qualsivoglia
lontananza
in
Terra
, ma senza
errore
alcuno
stabilite
le
distanze
de'
corpi
celesti
. Perché,
osservato
che sia una
volta
sola
che,
verbigrazia
, un
cerchio
lontano
un
miglio
ci si
dimostri
,
veduto
col
telescopio
, di
diametro
trenta
volte
maggiore che coll'
occhio
libero
, subito che
vedremo
l'
altezza
d'una
torre
ricrescer
, per
essempio
,
diece
volte
, saremo
sicuri
quella esser
lontana
tre
miglia
; e
ricrescendo
il
diametro
della
Luna
come
dir
tre
volte
più di quel che ce lo
mostra
l'
occhio
libero
, potremo
dire
, quella esser
lontana
dieci
miglia
, ed il
Sole
quindici
, se il suo
diametro
ricrescerà
due
volte
solamente; o
pure
, se con qualche
telescopio
eccellente
noi
vedessimo
la
Luna
ricrescere
in
diametro
,
verbigrazia
, dieci
volte
, la qual è
lontana
più di cento mila
miglia
, come
bene
scrive
il
P.
Grassi
, la
palla
della
cupola
dalla
distanza
di un
miglio
ricrescerà
in
diametro
più d'un
milion
di
volte
. Or io, per
aiutare
quanto posso un'
impresa
così
stupenda
,
anderò
promovendo
alcuni
dubbietti
che mi
nascono
nel
progresso
del
Sarsi
, i quali
V.
S.
Illustrissima
, se così le
piacerà
, potrà con qualche
occasione
mostrar
a lui,
acciò
, col
torgli
via
, possa tanto più
perfettamente
stabilire
il tutto.
Volendo dunque il
Sarsi
persuadermi
che le
stelle
fisse
non
ricevono
sensibile
accrescimento
dal
telescopio
,
comincia
dagli
oggetti
che sono in
camera
, e mi
domanda
se per
vedergli
col
telescopio
, e' mi bisogna
allungarlo
assaissimo
; ed io gli
rispondo
che sì:
passa
a gli
oggetti
fuori della
finestra
in gran
lontananza
, e mi dice che per
veder
questi bisogna
scorciar
assai lo
strumento
; ed io l'
affermo
, e gli
concedo
, appresso, ciò
derivar
, com'esso
scrive
, dalla
natura
dello
strumento
, che per
veder
gli
oggetti
vicinissimi
richiede
assai maggior
lunghezza
di
canna
, e
minor
per li più
lontani
; ed oltre a ciò
confesso
che la
canna
più
lunga
mostra
gli
oggetti
maggiori che la più breve; e finalmente gli
concedo
per
ora
tutto il
sillogismo
, la cui
conclusione
è che in
universale
gli
oggetti
vicini
s'
accrescon
più, e i molto
lontani
meno, cioè (
adattandola
a i
nominati
particolari
) che le
stelle
fisse
, che sono
oggetti
lontani
,
ricrescon
meno che le
cose
poste
in
camera
o dentro al
palazzo
, tra i quali
termini
mi
pare
che il
Sarsi
comprenda
le
cose
ch'ei
chiama
vicine
, non avendo
nominatamente
discostato
in maggior
lontananza
il
termine
loro. Ma il
detto
sin qui non mi
par
che
soddisfaccia
a gran
lunga
al
bisogno
del
Sarsi
. Imperocché
domando
io
adesso
a lui, s'ei
ripone
la
Luna
nella
classe
degli
oggetti
vicini
, o
pure
in quella de'
lontani
. Se la
mette
tra i
lontani
, di lei si
concluderà
il medesimo che delle
stelle
fisse
, cioè il poco
ingrandirsi
(ch'è poi di
diretto
contrario
all'
intenzion
del suo
Maestro
, il quale, per
costituir
la
cometa
sopra la
Luna
, ha
bisogno
che la
Luna
sia di quegli
oggetti
che assai s'
ingrandiscono
; e però anco
scrisse
ch'ella in
effetto
assaissimo
ricresceva
, e pochissimo la
cometa
); ma s'egli la
mette
tra i
vicini
, che son quelli che
ricrescono
assai, io gli
risponderò
ch'ei non
doveva
da
principio
ristringere
i
termini
delle
cose
vicine
dentro alle
mura
della
casa
, ma
doveva
ampliargli
almeno sino al
ciel
della
Luna
. Or sieno
ampliati
sin
là
, e
torni
il
Sarsi
alle sue
prime
interrogazioni
, e mi
dimandi
se per
veder
col
telescopio
gli
oggetti
vicini
, cioè che non sono oltre all'
orbe
della
Luna
, e' mi bisogna
allungar
assaissimo
il
telescopio
. Io gli
risponderò
di no; ed ecco
spezzato
l'
arco
, e
finito
il
saettar
de'
sillogismi
.
Per tanto, se noi
torneremo
a
considerar
meglio
questo
argomento
, lo
troveremo
esser
difettoso
, ed esser
preso
come
assoluto
quello che non si può
intendere
senza
relazione
, o
vero
come
terminato
quello ch'è
indeterminato
, ed in
somma
essere
stata fatta una
divisione
diminuta
(che si
chiamano
errori
in
logica
), mentre il
Sarsi
, senza
assegnar
termine
e
confine
tra la
vicinanza
e
lontananza
, ha
divisi
gli
oggetti
visibili
in
lontani
ed in
vicini
,
errando
in quel medesimo modo ch'
errerebbe
quel che
dicesse
: "Le
cose
del
mondo
o son
grandi
o son
piccole
", nella qual
proposizione
non è
verità
né
falsità
, e così anco non è nel
dire
: "Gli
oggetti
o son
vicini
o son
lontani
"; dalla quale
indeterminazione
nasce
che le medesime
cose
si potranno
chiamar
vicinissime
e
lontanissime
,
grandissime
e
piccolissime
, e le più
vicine
lontane
, e le più
lontane
vicine
, e le più
grandi
piccole
, e le più
piccole
grandi
, e si potrà
dire
: "Questa è una
collinetta
piccolissima
", e "Questo è un
grandissimo
diamante
"; quel
corriero
chiama
brevissimo
il
viaggio
da
Roma
a
Napoli
, mentre che quella
gentildonna
si
duole
che la
chiesa
è troppo
lontana
dalla
casa
sua.
Doveva
dunque, s'io non m'
inganno
, per
fuggir
questi
equivochi
, fare il
Sarsi
la sua
divisione
almeno in tre
membri
,
dicendo
: "Degli
oggetti
visibili
altri son
vicini
, altri
lontani
, ed altri
posti
in
mediocre
distanza
", la qual
restava
come
confine
tra i
vicini
ed i
lontani
; né anco qui si
doveva
fermare
, ma di più
doveva
soggiungere
una
precisa
determinazione
alla
distanza
d'esso
confine
,
dicendo
,
verbigrazia
: "Io
chiamo
distanza
mediocre
quella d'una
lega
;
grande
, quella ch'è più d'una
lega
;
piccola
, quella ch'è meno": né
so
ben
capire
perch'egli non l'abbia
fatto
, se non che forse
scorgeva
più il suo
conto
e più se lo
prometteva
dal
potere
accortamente
prestigiare
con
equivochi
tra le
persone
semplici
, che dal
saldamente
concludere
tra i più
intelligenti
; ed è
veramente
un gran
vantaggio
aver la
carta
dipinta
da tutte due le
bande
, e poter, per
essempio
,
dire
: "Le
stelle
fisse
, perché son
lontane
,
ricrescon
pochissimo; ma la
Luna
, assai, perch'è
vicina
", ed altra
volta
, quando venisse il
bisogno
,
dire
: "Gli
oggetti
di
camera
, essendo
vicini
,
crescono
assaissimo
; ma la
Luna
, poco, perch'è
lontanissima
." E questo sia il
primo
dubbio
.
Secondo
, già il
P.
Grassi
pose
in un
sol
capo
la
cagione
del
ricrescere
or più ed or meno gli
oggetti
veduti
col
telescopio
, e questo fu la
minore
o la maggior
lontananza
d'essi
oggetti
, né pur
toccò
una
sillaba
dell'
allungare
o
abbreviare
lo
strumento
; e di questo, dice
ora
il
Sarsi
, nessuna cosa esser più
vera
: tuttavia, quando ei si
ristringe
al
dimostrarlo
, non gli
basta
più la breve e gran
lontananza
dell'
oggetto
, ma gli bisogna
aggiungervi
la maggiore e la
minor
lunghezza
del
telescopio
, e
construire
il
sillogismo
in
cotal
forma
: "La
vicinanza
dell'
oggetto
è
causa
d'
allungare
il
telescopio
; ma tal
allungamento
è
causa
di
ricrescimento
maggiore; adunque la
vicinanza
dell'
oggetto
è
causa
di
ricrescimento
maggiore." Qui mi
pare
che il
Sarsi
, in
cambio
di
sollevare
il suo
Maestro
, l'
aggravi
maggiormente
, facendolo
equivocare
dal per
accidens
al per se; in quel modo ch'
errerebbe
quegli che volesse
metter
l'
avarizia
tra le
regole
de
sanitate
tuenda
, e
dicesse
: "L'
avarizia
ècausa
di
viver
sobriamente
, la
sobrietà
è
causa
di
sanità
, adunque l'
avarizia
mantien
sano
": dove l'
avarizia
è un'
occasione
, o
vero
un'assai
remota
causa
per
accidens
alla
sanità
, la quale
segue
fuor
della
primaria
intenzion
dell'
avaro
, in quanto
avaro
, il
fine
del qual è il
risparmio
solamente. E questo ch'io
dico
è tanto
vero
, quanto con altrettanta
conseguenza
io
proverò
, l'
avarizia
esser
causa
di
malattia
, perché l'
avaro
, per
risparmiare
il suo,
va
frequentemente
a i
conviti
degli
amici
e de'
parenti
, e la
frequenza
de'
conviti
causa
diverse
malattie
; adunque l'
avarizia
è
causa
d'
ammalarsi
: da i quali
discorsi
si
scorge
finalmente che l'
avarizia
, come
avarizia
, non ha che far niente colla
sanità
, come anco la
propinquità
dell'
oggetto
col suo maggior
ricrescimento
; e la
causa
per la quale nel
rimirar
gli
oggetti
propinqui
s'
allunga
lo
strumento
, è per
rimuover
la
confusione
nella quale esso
oggetto
ci si
dimostra
adombrato
, la qual si
toglie
coll'
allungamento
; ma perché poi all'
allungamento
ne
conséguita
un maggior
ricrescimento
, ma
fuor
della
primaria
intenzione
, che fu di
chiarificare
, e non d'
ingrandir
, l'
oggetto
, quindi è che la
propinquità
non si può
chiamare
altro che un'
occasione
, o
vero
una
remotissima
causa
per
accidens
,del maggior
ricrescimento
.
Terzo
, se è
vero
che quella, e non altra, si
debba
propriamente
stimar
causa
, la qual
posta
segue
sempre l'
effetto
, e
rimossa
si
rimuove
; solo l'
allungamento
del
telescopio
si potrà
dir
causa
del maggior
ricrescimento
:
avvenga
che, sia pur l'
oggetto
in
qualsivoglia
lontananza
, ad ogni
minimo
allungamento
ne
séguita
manifesto
ingrandimento
; ma all'
incontro
,
tuttavolta
che lo
strumento
si
riterrà
nella medesima
lunghezza
,
avvicinisi
pur quanto si
voglia
l'
oggetto
, quando anco dalla
lontananza
di cento mila
passi
si
riducesse
a quella di
cinquanta
solamente, non però il
ricrescimento
sopra l'
apparenza
dell'
occhio
libero
si farà
punto
maggiore in questo
sito
che in quello. Ma
bene
è
vero
, che
avvicinandolo
a
piccolissime
distanze
, come di quattro
passi
, di due, d'uno, d'un
mezo
, la
specie
dell'
oggetto
più e più sempre s'
intorbida
ed
offusca
, sì che, per
vederlo
distinto
e
chiaro
,
convien
più e più
allungar
il
telescopio
, al qual
allungamento
ne
conséguita
poi il maggior e maggior
ricrescimento
: ed
avvenga
che tal
ricrescimento
dependa
solo dall'
allungamento
, e non dall'
avvicinamento
, da quello, e non da questo, si
deve
regolare
; e perché nelle
lontananze
oltre a
mezo
miglio
non fa di
mestieri
, per
veder
gli
oggetti
chiari
e
distinti
, di
muover
punto
lo
strumento
, niuna
mutazione
cade
ne' loro
ingrandimenti
, ma tutti si fanno colla medesima
proporzione
; sì che se la
superficie
,
verbigrazia
, d'una
palla
,
veduta
col
telescopio
, in
distanza
di
mezo
miglio
ricresce
mille
volte
, mille
volte
ancora, e niente meno,
ricrescerà
il
disco
della
Luna
, tanto
ricrescerà
quel di
Giove
, e finalmente tanto quel d'una
stella
fissa
. Né
accade
qui che il
Sarsi
la
voglia
star a
sminuzzolare
e
rivedere
a tutto
rigor
di
geometria
, perché, quando ei l'avrà
tirata
e
ridotta
in
atomi
e
presosi
anco tutti i
vantaggi
, il
guadagno
suo non
arriverà
a quello di colui che con
diligenza
s'
andava
informando
per qual
porta
della
città
s'
usciva
per
andar
per la più breve in
India
; ed in
fine
gli
converrà
confessare
(come anco in
parte
pare
ch'ei
faccia
nel
fine
del
periodo
letto
da
V.
S.
Illustrissima
) che
trattando
con ogni
severità
il
telescopio
, si
debba
tener
manco
d'un
capello
più
corto
nel
riguardar
le
stelle
fisse
, che nel
mirar
la
Luna
. Ma da tutta questa
severità
che ne
risulterà
poi in
ultimo
, che sia di
sollevamento
al
Sarsi
? Nulla
assolutamente
; perché non ne
raccorrà
altro se non che,
ricrescendo
,
verbigrazia
, la
Luna
mille
volte
, le
stelle
fisse
ricrescano
novecento
novantanove
; mentre che per
difesa
sua e del suo
Maestro
bisognerebbe
ch'
elle
non
crescessero
né anco due
volte
, perché il
ricrescimento
del
doppio
non è cosa
impercettibile
, ed eglino
dicono
le
fisse
non
ricrescer
sensibilmente
.
Io
so
che il
Sarsi
ha
intese
benissimo
queste
cose
, anco nella
lettura
del
signor
Mario
; ma vuol, per quanto ei può,
mantener
vivo
il suo
Maestro
a
quint
'
essenza
di
sillogismi
sottilissimamente
distillati
(e
siami
lecito
dir
così, perché di qui a poco ei
chiamerà
troppo
minute
alcune
cose
del
signor
Mario
, che sono assai più
corpulente
di queste sue). Ma per
finire
ormai
i miei
dubbi
, m'
accade
dir
qualche cosa intorno all'
essempio
portato
dal
Sarsi
,
preso
da gli
oggetti
veduti
naturalmente
: de' quali dice che quanto più s'
allontanano
dall'
occhio
, sempre si
veggono
sotto
minor
angolo
;
nientedimeno
, quando si è
arrivato
a certa
distanza
, nella quale l'
angolo
si
faccia
assai
piccolo
, per molto poi che si
allontani
più l'
oggetto
, l'
angolo
però non si
diminuisce
sensibilmente
; tuttavia,
dic
'egli, si può
dimostrare
ch'ei si fa
minore
. Ma se il
senso
di questo
essempio
è quale mi si
rappresenta
, e qual anco
convien
che sia se ha da
quadrar
bene
al
concetto
essemplificato
, io son di
parere
molto
diverso
da questo del
Sarsi
. Imperocché a me
pare
ch'in
sostanza
ei
voglia
che l'
angolo
visuale
, nell'
allontanarsi
l'
oggetto
, si
vada
ben
continuamente
diminuendo
, ma sempre
successivamente
con
minor
proporzione
, sì che oltre a una gran
lontananza
, per molto che l'
oggetto
si
discosti
ancora, poco più si
diminuisca
l'
angolo
: ma io son di
contrario
parere
, e
dico
che la
diminuzione
dell'
angolo
si
va
facendo sempre con maggior
proporzion
, quanto più l'
oggetto
s'
allontana
. E per più
facilmente
dichiararmi
,
noto
primieramente
, che il voler
determinar
le
grandezze
apparenti
degli
oggetti
visibili
colle
quantità
degli
angoli
sotto i quali quelle ci si
rappresentano
, è ben
fatto
nel
trattar
di
parti
di alcuna
circonferenza
di
cerchio
nel
centro
del quale sia
collocato
l'
occhio
; ma
trattandosi
di tutti gli altri
oggetti
, è
errore
: imperocché l'
apparenti
grandezze
, non dagli
angoli
visuali
, ma dalle
corde
degli
archi
suttesi
a
detti
angoli
si
deono
determinare
; e queste tali
apparenti
quantità
si
vanno
sempre
diminuendo
puntualissimamente
con
proporzion
contraria
di quella delle
lontananze
; sì che il
diametro
,
verbigrazia
, d'un
cerchio
,
veduto
in
distanza
di cento
braccia
, mi si
rappresenta
giusto
la
metà
di quello che m'
apparrebbe
dalla
distanza
di
braccia
cinquanta
, e
veduto
in
distanza
di mille
braccia
mi
parrà
doppio
che se sarà
lontano
dumila
, e così sempre in tutte le
lontananze
; né mai
accaderà
ch'egli per
qualsivoglia
grandissima
distanza
m'
apparisca
così
piccolo
, ch'ei non mi
paia
ancora la
metà
da
dupplicata
lontananza
. Ma se noi pur vorremo
determinar
l'
apparenti
grandezze
dalla
quantità
degli
angoli
, come fa il
Sarsi
, il
fatto
seguirà
ancora più
disfavorevole
per lui; perché tali
angoli
non
diminuiranno
già colla
proporzione
colla quale le
lontananze
crescono
, ma con
minore
. Ma quel che
contraria
al
detto
del
Sarsi
è che,
paragonati
gli
angoli
fra di loro, con maggior
proporzione
si
vanno
diminuendo
nelle maggiori
distanze
che nelle
minori
; sì che, se,
verbigrazia
, l'
angolo
d'un
oggetto
posto
in
distanza
di
cinquanta
braccia
, all'
angolo
del medesimo
oggetto
posto
in
distanza
di
braccia
cento, è, per
essempio
, come cento a
sessanta
, l'
angolo
del medesimo
oggetto
in
distanza
di mille all'
angolo
in
distanza
di
dumila
sarà,
verbigrazia
, come cento a
cinquant'
otto, e quello in
distanza
di
quattromila
a quello in
distanza
d'
ottomila
sarà come cento a
cinquantacinque
, e quel della
distanza
di
10000
a quel di
ventimila
sarà come cento a
cinquantadue
, e sempre la
diminuzion
dell'
angolo
s'
anderà
facendo in maggiore e maggior
proporzione
, senza però
ridursi
mai a farsi colla medesima delle
lontananze
permutatamente
prese
. Tal che, s'io non
prendo
errore
, quello che
scrive
il
Sarsi
, che l'
angolo
visuale
,
ridotto
per gran
lontananze
a molta
acutezza
, non
continua
di
diminuirsi
per altri
immensi
allontanamenti
con sì gran
proporzione
come faceva nelle
minori
distanze
, è tanto
falso
, quanto che tal
diminuzione
vien
sempre fatta in maggior
proporzione
.
15.
Legga
ora
V.
S.
Illustrissima
: "Sed
dicet
is
, hoc non esse,
saltem
, eodem
uti
instrumento
, ac proinde, si de eodem
loquamur
specillo
,
falsam
esse
positionem
illam: quamquam enim eadem sint
vitra
, idem etiam
tubus
, si tamen hic idem modo
productior
, modo
vero
fuerit
contractior
, non idem semper erit
instrumentum
.
Apage
hæc tam
minuta
. Si quis
igitur
cum
amico
colloquens
leni
sono
verba
formaverit
, ut scilicet e
propinquo
exaudiatur
;
mox
alium
conspicatus
e
longinquo
,
contentissima
illum
voce
inclamarit
; alio atque alio illum
uti
gutture
atque
ore
dixeris
, quod hæc
vocis
instrumenta
illic
contrahi
, hic
dilatari
atque
extendi
necesse
sit? Nos
vero
cum
tubicines
æs
illud
recurvum
ac
replicatum
adducta
reductaque
dextra
ad
graviorem
quidem
sonum
producentes
, ad
acutiorem
vero
contrahentes
,
intuemur
,
num
propterea alia atque alia
uti
tuba
existimamus
?"
Qui, com'ella
vede
, il
Sarsi
introduce
me, come
ormai
convinto
dalla
forza
de' suoi
sillogismi
, a
ricorrere
per mio
scampo
a qualunque
debolissimo
attacco
, ed a
dire
, quando pur
vero
sia che le
stelle
fisse
non
ricevano
accrescimento
come gli
oggetti
vicini
, che questo "
saltem
" non è
servirsi
del medesimo
strumento
, poi che negli
oggetti
propinqui
si
deve
allungare
; e mi
soggiunge
, con un
Apage
,ch'io
ricorro
a
cose
troppo
minute
. Ma,
signor
Sarsi
, io non ho
bisogno
di
ricorrere
al "
saltem
" ed alle
minuzie
.
Necessità
ne avete avuta voi sin qui, e più l'
averete
nel
progresso
. Voi avete avuto
bisogno
di
dire
che "
saltem
" nelle
sottilissime
idee
geometriche
le
fisse
richieggono
abbreviazione
del
telescopio
più che la
Luna
, dal che poi ne
seguiva
, come di sopra ho
notato
, che
ricrescendo
la
Luna
mille
volte
, le
fisse
ricrescerebbono
novecento
novantanove
, mentre che per
mantenimento
del vostro
detto
avevate di
bisogno
ch'
elle
non
ricrescessero
né anco una
meza
volta
. Questo,
signor
Sarsi
, è un
ridursi
al "
saltem
", e un far come quella
serpe
che,
lacerata
e
pesta
, non le
sendo
rimasti
più
spiriti
fuor
che nell'
estremità
della
coda
, quella
va
pur tuttavia
divincolando
, per
dare
a
credere
a'
viandanti
d'
essere
ancor
sana
e
gagliarda
. Ed il
dire
che il
telescopio
allungato
è un altro
strumento
da quel ch'
era
avanti, è, nel
proposito
di che si
parla
, cosa
essenzialissima
, e tanto
vera
quanto
verissima
; né il
Sarsi
avrebbe
stimato
altrimenti, se nel
darne
giudicio
non avesse
equivocato
dalla
materia
alla
forma
o
figura
, che
dir
la vogliamo: il che si può
facilmente
dichiarare
anco senza
uscir
del suo medesimo
essempio
.
Io
domando
al
Sarsi
, onde
avvenga
che le
canne
dell'
organo
non
suonan
tutte all'
unisono
, ma altre
rendono
il
tuono
più
grave
ed altre meno?
Dirà
egli forse, ciò
derivare
perch'
elle
sieno di
materie
diverse
? certo no, essendo tutte di
piombo
: ma
suonano
diverse
note
perché sono di
diverse
grandezze
, e quanto alla
materia
, ella non ha
parte
alcuna nella
forma
del
suono
: perché si
faran
canne
, altre di
legno
, altre di
stagno
, altre di
piombo
, altre d'
argento
ed altre di
carta
, e
soneran
tutte l'
unisono
; il che
avverrà
quando le loro
lunghezze
e
larghezze
sieno
eguali
: ed all'
incontro
coll'
istessa
materia
in
numero
, cioè colle medesime quattro
libre
di
piombo
,
figurandolo
or in maggiore or in
minor
vaso
, ne
formerò
diverse
note
: sì che, per quanto
appartiene
al
produr
suono
,
diversi
sono gli
strumenti
che
ànno
diversa
grandezza
, e non quelli che
ànno
diversa
materia
.
Ora
, se
disfacendo
una
canna
se ne
rigetterà
del medesimo
piombo
un'altra più
lunga
, ed in
conseguenza
di
tuono
più
grave
, sarà il
Sarsi
renitente
a
dir
che questa sia una
canna
diversa
dalla prima? voglio
creder
di no. Ma se altri
trovasse
modo di
formar
la
seconda
più
lunga
senza
disfar
la prima, non sarebbe l'istesso? certo sì. Ma il modo sarà col farla di due
pezzi
e ch'uno
entri
nell'altro, perché così si potrà
allungare
e
scorciare
, ed in
somma
farla all'
arbitrio
nostro
divenir
canne
diverse
, per quello che si
ricerca
al
formar
diverse
note
; e tale è la
struttura
del
trombone
. Le
corde
dell'
arpe
, ben che sieno tutte della medesima
materia
,
rendon
suoni
differenti
, perché sono di
diverse
lunghezze
: ma quel che fanno molte di queste, lo fa una
sola
nel
liuto
, mentre che col
tasteggiare
si
cava
il
suono
ora
da tutta
ora
da una
parte
, ch'è l'istesso che
allungarla
e
scorciarla
, ed in
somma
trasmutarla
, per quanto
appartiene
alla
produzzion
del
suono
, in
corde
differenti
: e l'istesso si può
dire
della
canna
della
gola
, la qual, col
variar
lunghezza
e
larghezza
,
accommodandosi
a
formar
varie
voci
, può senza
errore
dirsi
ch'ella
diventi
canne
diverse
. Così, e non altrimenti (perché il maggiore o
minor
ricrescimento
non
consiste
nella
materia
del
telescopio
, ma nella
figura
, sì che il più lungo
mostra
maggiore), quando,
ritenendo
l'
istessa
materia
, si
muterà
l'
intervallo
tra
vetro
e
vetro
, si verranno a
costituire
strumenti
diversi
.
16. Or
sentiamo
l'altro
sillogismo
che
forma
il
Sarsi
: "Sed
videat
Galilæus
, quam non
contentiose
agam
: aliud sit
instrumentum
tubus
nunc
productior
, nunc
contractior
; iterum,
paucis
mutatis
, idem
argumentum
conficiam
. Quæcumque
diverso
instrumento
spectari
postulant
,
diversum
etiam ex
instrumento
capiunt
incrementum
; sed
propinqua
et
remota
diverso
instrumento
spectari
postulant
;
diversum
igitur
propinqua
et
remota
ex
instrumento
capient
incrementum
.
Maior
iterum ac
minor
ipsius est; eiusdem sit et
consequentia
necesse
est. Quibus
rebus
expositis
,
satis
docuisse
videor
, nihil nos
hactenus
a
veritate
, neque a
Galilæo
quidem,
alienum
pronunciasse
, cum
diximus
, hoc
instrumento
minus
remota
augeri
quam
propinqua
, cum,
natura
etiam sua, ad illa
spectanda
contrahi
, ad hæc
vero
produci
,
postulet
:
dici
tamen non
inepte
poterit
, idem quidem esse
instrumentum
,
diverso
tamen modo
usurpatum
."
Il quale
argomento
io
concedo
tutto, ma non
veggo
ch'ei
concluda
niente in
disfavor
del
signor
Mario
, né in
favor
della
causa
del
Sarsi
; al quale di niun
profitto
è che gli
oggetti
vicinissimi
veduti
con un
telescopio
lungo
ricrescono
più che i
lontani
veduti
con un
corto
, ch'è la
conclusion
del
sillogismo
, ma molto
diversa
dall'
obligo
intrapreso
dal
Sarsi
. Il qual è di
provar
due
punti
principali
: l'uno è che gli
oggetti
sino alla
Luna
, e non quei
soli
che sono nella
camera
,
ricrescano
assaissimo
; ma le
stelle
fisse
, non poco
manco
, ma
insensibilmente
,
vedute
queste e quelli coll'istesso
strumento
: l'altro, che la
diversità
di tali
ricrescimenti
proceda
dalla
diversità
delle
lontananze
d'essi
oggetti
, e che a quelle
proporzionatamente
risponda
: le quali
cose
egli non
proverà
mai in
eterno
, perché son
false
. Ma della
nullità
del
presente
sillogismo
, per quanto
appartiene
alla
materia
di che si
tratta
,
siacene
testimonio
che io su le sue medesime
pedate
procederò
a
dimostrar
concludentemente
il
contrario
. Gli
oggetti
che
ricercano
d'esser
riguardati
col medesimo
strumento
,
ricevono
da quello il medesimo
ricrescimento
; ma tutti gli
oggetti
, da un
quarto
di
miglio
in
là
sino alla
lontananza
di mille
milioni
,
ricercano
d'esser
riguardati
col medesimo
strumento
; adunque tutti questi
ricevono
il medesimo
ricrescimento
. Non
concluda
per tanto il
Sarsi
di non avere
scritto
cosa
aliena
né dal
vero
né da me; perché di me
almanco
l'
assicuro
ch'egli sin qui ha
concluso
cosa
contraria
all'
intenzion
mia.
Nell'
ultima
chiusa
di questo
periodo
, dov'egli dice che il
telescopio
or lungo or
corto
si può
chiamar
il medesimo
strumento
, ma
diversamente
usurpato
, vi è, s'io non m'
inganno
, un poco di
equivoco
; anzi
parmi
che il
negozio
proceda
tutto all'
opposito
, cioè che lo
strumento
sia
diverso
, e l'
usurpamento
o
vero
applicazione
sia la medesima a
capello
.
Chiamasi
il medesimo
strumento
esser
diversamente
usurpato
, quando, senza
punto
alterarlo
, si
applica
ad
usi
differenti
: e così l'
àncora
fu la medesima, ma
diversamente
usurpata
dal
piloto
per
dar
fondo
, e da
Orlando
per
prender
balene
. Ma nel
caso
nostro
accade
tutto l'
opposito
: imperocché l'
uso
del
telescopio
è sempre il medesimo, perché sempre s'
applica
a
riguardar
oggetti
visibili
; ma lo
strumento
è ben
diversificato
,
mutandosi
in esso cosa
essenzialissima
, qual è l'
intervallo
da
vetro
a
vetro
. È adunque
manifesto
l'
equivoco
del
Sarsi
.
17. Ma
seguitiamo
più avanti: "At
dicet
:
verissima
hæc quidem esse, si
summo
geometriæ
,
iure
res
agatur
; quod tamen in
re
nostra
locum
non
habet
, et cum
saltem
ad
Lunam
et
stellas
intuendas
nullo
longitudinis
discrimine
specillum
adhiberi
soleat
, nihil hic etiam
ponderis
habituram
esse
maiorem
minoremve
distantiam
ad
maius
minusve
obiecti
incrementum
inferendum
; quare si
stellæ
minus
augeri
videantur
quam
Luna
, ex alio
deducendam
huius
phœnomeni
rationem
, non ex
obiecti
remotione
. Ita sit; et nisi aliunde etiam
habeat
tubus
hic,
stellas
minus
augere
quam
Lunam
, minus
fortasse
ponderis
argumento
insit
. Dum tamen illud præterea huic
instrumento
tribuitur
, ut
luminosa
omnia
larga
illa
radiatione
, qua
veluti
coronantur
,
expoliet
, ex quo
fit
ut, licet
stellæ
idem
fortasse
re
ipsa
capiant
ex illo
incrementum
quod
Luna
, minus tamen
augeri
videantur
(cum
diversum
plane
sit id, quod
tubo
conspicitur
, ab eo quod
nudis
prius
oculis
videbatur
:
hi
siquidem
nudi
et
stellam
et
circumfusum
fulgorem
spectabant
;
tubo
vero
adhibito
,
solum
stellæ
corpusculum
intuendum
obiicitur
),
verissimum
etiam est,
iis
omnibus quæ ad
opticam
spectant
consideratis
,
stellas
hoc
instrumento
, quoad
aspectum
saltem
, minus
accipere
incrementi
quam
Lunam
, immo etiam aliquando, si
oculis
credas
, nulla
ratione
augeri
, ac, si
Deo
placet
, etiam
minui
: quod nec ipse
Galilæus
negat
.
Mirari
proinde
desinat
, quod
stellas
insensibiliter
per
tubum
augeri
dixerimus
: neque enim hic huius
aspectus
causam
quærebamus
, sed
aspectum
ipsum."
Qui
noti
primieramente
V.
S.
Illustrissima
come la mia
predizzione
, fatta di sopra al
numero
14,
comincia
a
verificarsi
.
Là
animosamente
s'
esibì
il
Sarsi
a
mantener
, niuna cosa esser più
vera
del
ricrescer
gli
oggetti
veduti
col
telescopio
tanto più quanto più son
vicini
, e tanto meno quanto più
lontani
: onde le
stelle
fisse
, come
lontanissime
, non
ricrescesser
sensibilmente
; ma la
Luna
,
assaissimo
, come
vicina
. Or qui mi
pare
che si
cominci
a
vedere
una gran
ritirata
ed una
confession
manifesta
: prima, che la
diversità
delle
lontananze
degli
oggetti
non sia più la
vera
causa
de'
diversi
ingrandimenti
, ma che
bisogni
ricorrere
all'
allungamento
e
scorciamento
del
telescopio
; cosa non
detta
, né
pure
accennata
, né forse
pensata
, da loro avanti l'
avvertimento
del
signor
Mario
:
secondo
, che né anco questo abbia
luogo
nel
presente
caso
,
atteso
che niuna
mutazione
si
faccia
nello
strumento
, sì che,
cessando
questo
rifugio
ancora, l'
argomento
che sopra ciò si
fondava
resti
invalido
totalmente
.
Veggo
, nel
terzo
luogo
,
ricorrere
a
cagioni
lontanissime
dalle
portate
da
principio
per
vere
e
sole
, e
dire
che il poco
ricrescimento
apparente
nelle
fisse
non
dependa
più né da gran
lontananza
d'esse né da
brevità
di
strumento
, ma che è un'
illusione
dell'
occhio
nostro, il quale
libero
vede
le
stelle
con un
grandissimo
irraggiamento
non
reale
e che però ci
sembrano
grandi
, ma collo
strumento
si
vede
il
nudo
corpo
della
stella
, il quale, ben che
ringrandito
come tutti gli altri
oggetti
, non però
par
tale,
paragonato
colle medesime
stelle
vedute
liberamente
, in
relazion
delle quali l'
accrescimento
par
piccolissimo
: dal che ei
conclude
che almeno quanto all'
apparenza
le
stelle
fisse
pur
mostrano
di
ricrescer
pochissimo,
perloché
io non mi
devo
maravigliare
ch'eglino ciò abbiano
detto
, poi ch'ei non
ricercavano
la
causa
di tale
aspetto
, ma solamente l'
aspetto
istesso. Ma,
signor
Sarsi
,
perdonatemi
: voi, mentre
cercate
di
rimuovermi
la
meraviglia
, non pur non me la
levate
, ma con altre
nuove
cagioni
me la
moltiplicate
assai.
E prima, io non poco mi
meraviglio
nel
vedervi
portar
questo
precedente
discorso
con
maniera
dottrinale
, quasi che voi lo vogliate
insegnare
a me, mentre l'avete di
parola
in
parola
imparato
voi dal
signor
Mario
; e di più
soggiungete
ch'io non
nego
queste
cose
,
credo
con
intenzione
che nel
lettore
resti
concetto
ch'io medesimo avessi in
mano
la
risoluzione
della
difficoltà
, ma che io non l'avessi
saputa
conoscere
né
prevalermene
.
Meravigliomi
,
secondariamente
, che voi
diciate
che il vostro
Maestro
non
andò
ricercando
la
cagione
dell'
insensibil
ricrescimento
delle
stelle
fisse
, ma solo l'istesso
effetto
dell'
insensibilmente
ricrescere
, ancor ch'egli più d'una
volta
replichi
esser di ciò la
cagione
l'
immensa
lontananza
. Ma quello che, nel
terzo
luogo
, m'
accresce
la
meraviglia
a cento
doppi
è che voi non v'
accorgiate
che, quando ciò
vero
fusse
, voi
figurereste
, a gran
torto
, il vostro
Maestro
privo
ancora di quella
communissima
logica
naturale
, in
virtù
della quale ogni
persona
, per
idiota
ch'ella sia,
discorre
e
conclude
direttamente
le sue
intenzioni
. E per farvi
toccar
con
mano
la
verità
di quanto io
dico
,
rimovete
la
considerazion
della
causa
ed
introducete
il solo
effetto
(già che voi
affermate
che il vostro
Maestro
non
ricercò
la
causa
, ma il solo
effetto
), e poi
discorrendo
dite
: "Le
stelle
fisse
ricrescono
insensibilmente
; ma la
cometa
essa ancora
ricresce
insensibilmente
"; adunque,
signor
Sarsi
, che ne
concluderete
?
Rispondete
: "Nulla", se volete
rispondere
manco
male
che sia
possibile
: perché se voi
pretenderete
di
poterne
inferire
una
conseguenza
, ed io
pretenderò
con altrettanta
connessione
poterne
inferir
mille; e se vi
parrà
di poter
dire
: "Adunque la
cometa
è
lontanissima
, perché anco le
fisse
sono
lontanissime
", ed io con non
minor
ragione
dirò
: "Adunque la
cometa
è
incorruttibile
, perché le
fisse
sono
incorruttibili
", ed appresso
dirò
: "Adunque la
cometa
scintilla
, perché le
fisse
scintillano
", e con non
minor
ragione
potrò
dire
: "Adunque la
cometa
risplende
di propria
luce
, perché così fanno le
fisse
": e s'io farò di queste
conseguenze
, voi vi
riderete
di me come d'un
logico
senza
dramma
di
logica
, ed avrete mille
ragioni
, e poi
cortesemente
m'
avvertirete
ch'io da quelle
premesse
non posso
inferir
altro per la
cometa
se non quei
particolari
accidenti
che
ànno
necessaria
, anzi
necessariissima
connessione
coll'
insensibil
ricrescimento
delle
stelle
fisse
; e perché questo
ricrescimento
non
depende
né ha
connession
veruna coll'
incorruttibilità
, né colla
scintillazione
, né coll'esser
lucido
da per sé, però niuna di queste
conclusioni
si può
concludere
della
cometa
: e chi di
là
vorrà
inferir
, la
cometa
esser
lontanissima
, bisogna che di
necessità
abbia prima ben
bene
stabilito
, l'
insensibil
ricrescimento
delle
stelle
dependere
, come da
causa
necessarissima
, dalla gran
lontananza
, perché altrimenti non si sarebbe potuto
servir
del suo
converso
, cioè che quegli
oggetti
che
insensibilmente
ricrescono
, sieno di
necessità
lontanissimi
. Or
vedete
quali
errori
in
logica
voi
immeritamente
addossate
al vostro
Maestro
:
dico
immeritamente
, perché son vostri, e non suoi.
18. Or
legga
V.
S.
Illustrissima
sin al
fine
di questo
primo
essame
: "At
videat
hoc
loco
Galilæus
, quam non
insipienter
ex his atque aliis in
Sidereo
Nuncio
ab illo
traditis
inferamus
,
cometam
supra
Lunam
statuendum
.
Ait
ipse,
cælestia
inter
lumina
alia quidem
nativa
ac propria
fulgere
luce
, quo in
numero
Solem
ac
stellas
quas
fixas
dicimus
collocat
; alia
vero
, nullo a
natura
splendore
donata
,
lumen
omne a
Sole
mutuari
,
qualia
sex
reliqui
planetæ
haberi
solent
.
Observavit
præterea,
stellas
maxime
inane
illud
lucis
non suæ
coronamentum
adamasse
, ac
veluti
comam
alere
consuevisse
;
planetas
vero
,
Lunam
præsertim
,
Iovem
atque
Saturnum
, nullo
fere
huiusmodi
fulgore
vestiri
;
Martem
tamen,
Venerem
atque
Mercurium
, quamvis nullo et ipsi
generis
splendore
sint
præditi
, e
Solis
propinquitate
tantum
haurire
luminis
, ut,
stellis
quodammodo
pares
,
earumdem
et
scintillationem
et
circumfusos
radios
imitentur
. Cum ergo
cometa
, vel
Galilæo
auctore
,
lumen
non a
natura
inditum
habeat
, sed
Soli
acceptum
referat
,
nosque
illum tanquam
temporarium
planetam
existimaremus
, cum
cæteris
non
postremæ
notæ
viris
, de eo etiam
similiter
philosophandum
erat atque de
Luna
cæterisque
errantibus
: quorum cum ea sit
conditio
, ut, quo minus a
Sole
distant
, eo
splendeant
ardentius
,
fulgoreque
maiore
vestiti
(quod inde
consequitur
)
tubo
inspecti
minus
augeri
videantur
, dum
cometa
ex hoc eodem
instrumento
idem
fere
quod
Mercurius
caperet
incrementum
, an non
valde
probabiliter
inferre
inde
potuimus
,
cometam
eumdem
non
plus
admodum
circumfusi
illius
luminis
admisisse
quam
Mercurium
, nec proinde
longiori
multo
a
Sole
dissitum
intervallo
; contra
vero
, cum minus
augeretur
quam
Luna
,
maiori
circumfusum
lumine
, ac
Soli
viciniorem
statuendum
? Ex quibus
iure
dixisse
nos
intelligit
, cum
parum
admodum
augeri
visus
sit
cometa
,
multo
a nobis
remotiorem
quam
Lunam
dicendum
esse. Et sane, cum nobis ex
parallaxi
observata
, ex
cursu
etiam
cometæ
decoro
ac
plane
sidereo
,
satis
iam de eius
loco
constaret
; cum præterea
eumdem
tubus
pari
pene
incremento
ac
Mercurium
afficeret
,
contrarium
certe nulla
ratione
suaderet
;
licuit
hinc
etiam non
minimam
momenti
ac
ponderis
appendiculam
in nostram
derivare
sententiam
. Quamquam enim
sciremus
ex
multis
posse ista
pendere
, ex ea tamen ipsa quam
lucidum
hoc
corpus
in omnibus suis
phœnomenis
cum
reliquis
cælestibus
corporibus
servaret
analogiam
,
satis
magnum
a
tubo
nos
accepisse
beneficium
tunc
putavimus
, quod
sententiam
nostram, aliorum iam
argumentorum
pondere
firmatam
, suo etiam
suffragio
ipse
vehementius
confirmaret
.
Quod autem
reliquum
est
argumento
additum
, ea videlicet
verba
: "
Scio
hoc
argumentum
apud aliquos
parvi
fuisse
momenti
, etc."
diserte
ingenueque
supra
memoravimus
,
quorsum
hæc
addita
fuerint
; adversus eos
nimirum
qui, huic
instrumento
fidem
elevantes
,
opticarum
disciplinarum
plane
ignari
,
fallax
illud ac nulla
dignum
fide
prædicarent
.
Intelligit
igitur
,
ni
fallor
,
Galilæus
, quam
immerito
nostram de
tubo
sententiam
oppugnarit
, quam
veritati
, immo et suis etiam
placitis
, nulla in
re
adversam
agnoscit
:
agnoscere
etiam ante
poterat
, si
pacato
magis
illam
animo
aspexisset
. Qui
igitur
nobis in
mentem
veniret
unquam,
fore
aliquando, ut minus hæc illi
grata
acciderent
, quæ prorsus ipsius esse
censeremus
? Sed quando hæc pro nostra
sententia
satis
esse
arbitror
, ad ipsius
Galilæi
placita
expendenda
gradum
faciamus
."
Qui
primieramente
, com'ella
vede
,
aviamo
un
argomento
rappezzato
, come si dice, su '
l
vecchio
, di
diversi
fragmenti
di
proposizioni
, per
provar
pure
, il
luogo
della
cometa
essere
stato
tra la
Luna
ed il
Sole
: il qual
discorso
il
signor
Mario
ed io gli possiamo, senza
pregiudicio
alcuno,
conceder
tutto, non avendo noi mai
affermato
cosa veruna
attenente
al
sito
della
cometa
, né
negato
ch'ella possa
essere
sopra la
Luna
, ma solamente si è
detto
che le
dimostrazioni
portate
sin qui dagli
autori
non
mancano
di
dubitazioni
; per le quali
rimuovere
di niuno
aiuto
è che
ora
il
Sarsi
venga con altra
nuova
dimostrazione
, quando
bene
ella
fusse
necessaria
e
concludente
, a
provar
la
conclusione
esser
vera
,
avvenga
che anco intorno a
conclusioni
vere
si può
falsamente
argumentare
e
commetter
paralogismi
e
fallacie
. Tuttavia, per lo
desiderio
ch'io
tengo
che le
cose
recondite
vengano in
luce
e si
guadagnino
conclusioni
vere
,
anderò
movendo
alcune
considerazioni
intorno ad esso
discorso
: e per più
chiara
intelligenza
lo
ristringerò
prima nella maggior
brevità
ch'io possa.
Dic
'egli dunque, aver dal mio
Nunzio
Sidereo
,le
stelle
fisse
, come quelle che
risplendono
di propria
luce
,
irraggiarsi
molto di quel
fulgore
non
reale
, ma solo
apparente
; ma i
pianeti
, come
privi
di
luce
propria, non far così, e
massime
la
Luna
,
Giove
e
Saturno
, ma
dimostrarsi
quasi
nudi
di tale
splendore
; ma
Venere
,
Mercurio
e
Marte
, benché
privi
di
luce
propria,
irraggiarsi
nondimeno assai per la
vicinità
del
Sole
, dal quale più
vivamente
vengon
tocchi
. Dice di più, che la
cometa
, di mio
parere
,
riceve
il suo
lume
dal
Sole
, e poi
soggiunge
, sé, con altri
autori
di
nome
, aver
reputata
la
cometa
come un
pianeta
per a
tempo
, e che però di lei si possa
filosofare
come degli altri
pianeti
; de' quali essendo che i più
vicini
al
Sole
più s'
irraggiano
, ed in
conseguenza
meno
ricrescono
veduti
col
telescopio
, ed
avvenga
che la
cometa
ricresceva
poco più di
Mercurio
ed assai meno che la
Luna
, molto
ragionevolmente
si poteva
concluder
, lei esser non molto più
lontana
dal
Sole
che
Mercurio
, ma assai più
vicina
a quello che la
Luna
. Questo è il
discorso
, il quale
calza
così
bene
, e così
aggiustatamente
s'
assesta
, al
bisogno
del
Sarsi
, come se la
conclusione
fusse
fatta prima de'
principii
e de'
mezi
, sì che non quella da questi, ma questi da quella
dependessero
, e
fussero
non dalla
larghezza
della
natura
, ma dalla
puntualità
di
sottilissima
arte
stati
preparati
per lei. Ma
veggiamo
quanto siano
concludenti
.
E prima, che io abbia
scritto
nel
Nunzio
Sidereo
che
Giove
e
Saturno
non s'
irraggino
quasi niente, ma che
Marte
,
Venere
e
Mercurio
si
coronino
grandemente
de'
raggi
, è del tutto
falso
; perché la
Luna
solamente ho
sequestrata
dal
resto
di tutte le
stelle
, tanto
fisse
quanto
erranti
.
Secondariamente
, non
so
se per far che la
cometa
sia un quasi
pianeta
, e che, come tale, se gli
convengano
le
proprietà
degli altri
pianeti
,
basti
che il
Sarsi
, il suo
Maestro
ed altri
autori
l'abbiano
stimata
e
nominata
per tale: che se la
stima
e la
voce
loro
avesser
possanza
di
porre
in
essere
le
cose
da essi
stimate
e
nominate
, io gli
supplicherei
a farmi
grazia
di
stimar
e
nominar
oro
molti
ferramenti
vecchi
che mi
ritrovo
avere in
casa
. Ma
lasciando
i
nomi
da
parte
, qual
condizione
induce
questi tali a
reputar
la
cometa
quasi un
pianeta
per a
tempo
? forse il
risplendere
come i
pianeti
? ma qual
nuvola
, qual
fumo
, qual
legno
, qual
muraglia
, qual
montagna
,
tocca
dal
Sole
, non
risplende
altrettanto? Non ha
veduto
il
Sarsi
nel
Nunzio
Sidereo
dimostrato
, lo stesso
globo
terrestre
risplender
più che la
Luna
? Ma che
dico
io del
risplender
la
cometa
come un
pianeta
? Io, in quanto a me, non ho per
impossibile
che la sua
luce
possa esser tanto
debole
, e la sua
sostanza
tanto
tenue
e
rara
, che quando alcuno se gli potesse
avvicinare
assai, la
perdesse
del tutto di
vista
; come
accade
d'alcuni
fuochi
ch'
escono
dalla
Terra
, i quali solamente di
notte
e da
lontano
si
veggono
, ma da vicino si
perdono
; in quel modo che le
nuvole
lontane
si
veggono
terminatissime
, che poi da presso
mostrano
un poco di
adombramento
di
nebbia
talmente
interminato
, che altri quasi, nell'
entrarvi
dentro, non
distingue
il suo
termine
, né lo
sa
separar
dall'
aria
sua
contigua
. E quelle
proiezzioni
de'
raggi
solari
tra le
rotture
delle
nuvole
, tanto
simili
alle
comete
, quando mai son
elle
vedute
, se non da quelli che da loro son
lontani
?
Convien
forse la
cometa
co
'
pianeti
per
ragion
di
moto
? E qual cosa
separata
dalla
parte
elementare
, ch'
ubidisce
allo
stato
terrestre
, non si
moverà
al
moto
diurno
col
resto
dell'
universo
? Ma se si
parla
dell'altro
moto
traversale
, questo non ha che far col
movimento
de'
pianeti
, non essendo né per quel verso, né
regolato
, né forse pur
circolare
. Ma,
lasciati
gli
accidenti
,
crederà
forse alcuno, la
sostanza
o
materia
della
cometa
aver
convenienza
con quella de'
pianeti
? Questa si può
credere
esser
solidissima
, ché così ne
persuade
in
particolare
e quasi
sensatamente
la
Luna
, ed in
universale
la
figura
terminatissima
ed
immutabile
di tutti i
pianeti
; dove, per l'
opposito
, quella della
cometa
in pochi
giorni
si può
credere
che si
dissolva
; e la sua
figura
, non
circolarmente
terminata
, ma
confusa
ed
indistinta
, ci
dà
segno
, la sua
sostanza
esser cosa più
tenue
e più
rara
che la
nebbia
o il
fumo
: sì che in
somma
ella si possa più
tosto
chiamare
un
pianeta
dipinto
, che
reale
.
Terzo
, io non
so
quanto
perfettamente
ei possa aver
paragonato
l'
irraggiamento
ed il
ricrescimento
della
cometa
con quel di
Mercurio
, il quale,
avvenga
che
rarissime
volte
dia
occasion
d'
essere
osservato
, in tutto il
tempo
che
apparve
la
cometa
,
sicuramente
non la
dette
egli mai, né poté esser
veduto
,
ritrovandosi
sempre assai vicino al
Sole
; sì che io
credo
di poter senza
scrupolo
creder
, che il
Sarsi
non facesse altrimenti questo
paragone
,
difficile
anco per altro e
mal
sicuro
a potersi fare, ma ch'e' lo
dica
, perché, quando così
fussi
,
servirebbe
meglio
alla sua
causa
. E del non
essere
egli venuto a questa
esperienza
me ne
dà
anco
indizio
questo, che nel
riferir
l'
osservazioni
fatte in
Mercurio
e nella
Luna
, colle quali
paragona
quelle della
cometa
, mi
par
ch'ei si
confonda
alquanto:
atteso
che, per voler
concludere
, la
cometa
esser più
lontana
dal
Sole
che
Mercurio
, aveva
bisogno
dire
ch'ella s'
irraggiava
meno di lui, e
veduta
col
telescopio
ricresceva
più di lui; tuttavia gli è venuto
scritto
a
rovescio
, cioè ch'ella non s'
irraggiava
assai più di
Mercurio
, e ch'ella
riceveva
quasi il medesimo
ricrescimento
, ch'è quanto a
dire
ch'ella s'
irraggiava
più, e
ricresceva
manco
, di
Mercurio
:
paragonandola
poi colla
Luna
,
scrive
l'istesso (ben ch'egli
dica
di
scrivere
il
contrario
), cioè ch'ella
ricresceva
meno che la
Luna
, e s'
irraggiava
più: tuttavia poi, nel
concludere
, dalla
identità
di
premesse
ne
deduce
contrarie
conclusioni
, cioè che la
cometa
è più
vicina
al
Sole
che la
Luna
, ma più
remota
che
Mercurio
.
E finalmente,
professando
il
Sarsi
d'esser molto
esatto
logico
, non
so
perché nella
division
de'
corpi
luminosi
che s'
irraggiano
più o meno, e che in
conseguenza
,
veduti
col
telescopio
,
ricevono
ingrandimento
minore
o maggiore, ei non abbia
registrati
i nostri
lumi
elementari
;
avvenga
che le
candele
, le
fiaccole
ardenti
vedute
in qualche
distanza
, e qualunque
sassetto
,
legnuzzo
o altro
piccolo
corpicello
,
insin
le
foglie
dell'
erbe
e le
stille
della
rugiada
percosse
dal
Sole
,
risplendono
, e da certe
vedute
s'
irraggiano
al
pari
di qualunque più
folgorante
stella
, e
viste
col
telescopio
osservano
nell'
ingrandimento
l'istesso
tenore
che le
stelle
:
perloché
cessa
del tutto quell'
aiuto
di
costa
ch'altri si
era
promesso
dal
telescopio
, per
condur
la
cometa
in
cielo
e
rimuoverla
dalla
sfera
elementare
.
Cessi
pertanto ancora il
Sarsi
dal
pensiero
di poter
sollevare
il suo
Maestro
, e sia certo che per voler
sostenere
un
errore
è
forza
di
commetterne
cento, e, quel ch'è
peggio
,
restar
in
ultimo
a
piedi
. Vorrei anco
pregarlo
ch'ei
cessasse
di
replicar
, com'egli pur fa nel
fine
di questa
parte
, che queste sue sieno mie
dottrine
, perch'io né
scrissi
mai tali
cose
, né le
dissi
, né le
pensai
. E tanto
basti
intorno al
primo
essame
.
19.
Ora
passiamo
al
secondo
: "Quamvis ad hanc usque
diem
nemo
cometam
omni ex
parte
inania
inter
spectra
numerandum
dixerit
, ex quo
fieret
ut
necesse
non
haberemus
illum ab hoc
inanitatis
crimine
liberare
, quia tamen
Galilæus
aliam
inire
viam
explicandi
cometæ
satius
sapientiusque
duxit
,
par
est in
novo
hoc illius
invento
diligentius
expendendo
commorari
.
Duo
sunt quæ ille
excogitavit
:
alterum
substantiam
,
alterum
vero
motum
cometæ
spectat
. Quod ad prius
attinet
,
ait
lumen
hoc ex eorum
genere
esse, quæ, per
alterius
luminis
refractionem
ostentata
verius
quam
facta
,
umbræ
potius
luminosorum
corporum
quam
luminosa
corpora
dicenda
videntur
;
qualia
sunt
irides
,
coronæ
,
parelia
,
aliaque
hoc
genus
multa. Quod
vero
spectat
ad
posterius
,
affirmat
,
motum
cometarum
rectum
semper
fuisse
ac
Terræ
superficiei
perpendicularem
: quibus in
medium
prolatis
, aliorum
facile
sententias
se
labefacturum
existimavit
. Nos, quantum
hisce
opinionibus
tribuendum
sit,
paucis
in
præsentia
ac sine
ullo
verborum
fuco
(quando
satis
sibi
ornata
est, vel
nuda
,
veritas
)
videamus
: et quamquam
perdifficile
est
duo
hæc
dicta
complecti
singillatim
, cum
adeo
inter se
connexa
sint ut
alterum
ab
altero
pendere
ac
mutuam
sibi
adiumenti
vicem
rependere
videantur
,
curabimus
tamen ne quid
iacturæ
lectoribus
hinc
existat
.
Quare contra
primum
Galilæi
dictum
affirmo
,
cometam
inane
lucis
figmentum
,
spectantium
oculis
illudens
, non
fuisse
: quod nullo alio
egere
argumento
apud eum
existimo
, qui vel semel
cometam
ipsum
tum
nudis
oculis
tum
optico
tubo
inspexerit
.
Satis
enim vel ex ipso
aspectu
sese
huius
natura
luminis
prodebat
, ut ex
verissimorum
collatione
luminum
iudicare
facile
quivis
posset
,
fictumne
esset an
verum
quod
cerneret
. Sane
Tycho
, dum
Thaddæi
Hagecii
observationes
examinat
, hæc ex eiusdem
epistola
profert
: "
Corpus
cometæ
iis
diebus
magnitudine
Iovis
ac
Veneris
stellam
adæquasse
, et
luce
nitida
ac
splendore
eximio
eoque
eleganti
et
venusto
præditum
fuisse
, et
puriorem
eius
substantiam
apparuisse
quam ut
pure
elementaribus
materiis
quadraret
, sed potius
cælestibus
illis
corporibus
analogam
extitisse
." Quibus postea hæc
Tycho
subdit
: "Atque in hoc sane
rectissime
sensit
Thaddæus
, et vel inde etiam non
obscure
concludere
potuisset
,
minime
elementarem
fuisse
hunc
cometam
.""
Di sopra il
Sarsi
s'
andò
figurando
arbitrariamente
i
principii
ed i
mezi
accommodati
alle
conclusioni
ch'egli
intendeva
di
dimostrare
;
adesso
mi
par
ch'ei si
vada
figurando
conclusioni
, per
oppugnarle
come
pensieri
del
signor
Mario
e miei, molto
diverse
, o almeno molto
diversamente
prese
, da quello che nel
Discorso
del
signor
Mario
son
portate
. Imperocché, che la
cometa
sia senz'altro un
simulacro
vano
ed una
semplice
apparenza
, non è mai
risolutamente
stato
affermato
, ma solo
messo
in
dubbio
e
promosso
alla
considerazion
de'
filosofi
con quelle
ragioni
e
conghietture
che
par
che possano
persuadere
che così possa
essere
. Ecco le
parole
del
signor
Mario
in questo
proposito
: "Io non
dico
risolutamente
che la
cometa
si
faccia
in tal modo, ma
dico
bene
che, come di questo, così son
dubbio
degli altri
modi
assegnati
dagli altri
autori
; i quali se
pretenderanno
d'
indubitatamente
stabilir
lor
parere
, saranno in
obligo
di
mostrar
questa e tutte l'altre
posizioni
vane
e
fallaci
." Con
simil
diversità
porta
il
Sarsi
che noi con
risolutezza
abbiamo
affermato
, il
moto
della
cometa
dover
necessariamente
esser
retto
e
perpendicolare
alla
superficie
terrestre
: cosa che non si è
proposta
in
cotal
forma
, ma solo s'è
messo
in
considerazione
come questo più
semplicemente
, e più
conforme
all'
apparenze
,
soddisfaceva
alle
mutazioni
osservate
in essa
cometa
; e tal
pensiero
vien
tanto
temperatamente
proposto
dal
signor
Mario
, che nell'
ultimo
dice queste
parole
: "Però a noi
conviene
contentarci
di quel poco che possiamo
conghietturar
così tra l'
ombre
." Ma il
Sarsi
ha voluto
rappresentar
queste
opinioni
tanto più
fermamente
esser da me state
credute
, quanto egli si è
immaginato
di poterle con più
efficaci
mezi
annichilare
; il che se gli sarà venuto
fatto
, io gliene
terrò
obligo
, perché per l'
avvenire
avrò a
pensare
a una
opinion
di
manco
, qualunque
volta
mi venga in
pensiero
di
filosofar
sopra tal
materia
. In tanto, perché mi
pare
che pur ancora
resti
qualche poco di
vivo
nelle
conghietture
del
signor
Mario
,
anderò
facendo alcuna
considerazione
intorno al
momento
delle
opposizioni
del
Sarsi
.
Il quale, venendo con gran
risolutezza
ad
oppugnar
la prima
conclusione
, dice che a chi avesse pur una
sola
volta
rimirata
la
cometa
, di
nissun
altro
argomento
gli sarebbe
stato
di
mestieri
per
conoscer
la
natura
di
cotal
lume
; il quale,
paragonato
cogli altri
lumi
verissimi
, pur troppo
apertamente
mostrava
sé esser
vero
, e non
finto
.Sì che, come
vede
V.
S.
Illustrissima
, il
Sarsi
confida
tanto nel
senso
della
vista
, che
stima
impossibil
cosa
restar
ingannato
,
tuttavolta
che si possa far
parallelo
tra un
oggetto
finto
ed un
reale
. Io
confesso
di non aver la
facoltà
distintiva
tanto
perfetta
, ma d'esser come quella
scimia
che
crede
fermamente
veder
nello
specchio
un'altra
bertuccia
, né prima
conosce
il suo
errore
, che quattro o sei
volte
non sia
corsa
dietro allo
specchio
per
prenderla
: tanto se le
rappresenta
quel
simulacro
vivo
e
vero
. E
supposto
che quegli che il
Sarsi
vede
nello
specchio
non sieno
uomini
veri
e
reali
, ma
vani
simulacri
, come quelli che ci
veggiamo
noi altri,
grande
curiosità
avrei di
sapere
, quali sieno quelle
visuali
differenze
per le quali tanto
speditamente
distingue
il
vero
dal
finto
. Io, quanto a me, mi sono mille
volte
ritrovato
in qualche
stanza
a
finestre
serrate
, e per qualche
piccol
foro
veduto
un poco di
reflession
di
Sole
fatta da un altro
muro
opposto
, e
giudicatola
, quanto alla
vista
, una
stella
non
men
lucida
della
Canicola
e di
Venere
. E
caminando
in
campagna
contro al
Sole
, in quante
migliaia
di
pagliuzze
, di
sassetti
, un poco
lisci
o
bagnati
, si
vedrà
la
reflession
del
Sole
in
aspetto
di
stelle
splendentissime
?
Sputi
solamente in
terra
il
Sarsi
, ché senz'altro, dal
luogo
dove
va
la
reflession
del
raggio
solare
,
vedrà
l'
aspetto
d'una
stella
naturalissima
. In oltre, qual
corpo
posto
in gran
lontananza
, venendo
tocco
dal
Sole
, non
apparirà
una
stella
,
massime
se sarà tanto
alto
che si possa
veder
di
notte
, come si
veggon
l'altre
stelle
? E chi
distinguerebbe
la
Luna
,
veduta
di
giorno
, da una
nuvola
tocca
dal
Sole
, se non
fusse
la
diversità
della
figura
e dell'
apparente
grandezza
? Niuno
sicuramente
. E finalmente, se la
semplice
apparenza
deve
determinar
dell'
essenza
, bisogna che il
Sarsi
conceda
che i
Soli
, le
Lune
e le
stelle
,
vedute
nell'
acqua
ferma
e negli
specchi
,
sien
veri
Soli
,
vere
Lune
e
vere
stelle
.
Cangi
pure
il
Sarsi
, quanto a questa
parte
,
opinione
, né
creda
col
citare
autorità
di
Ticone
, di
Taddeo
Agecio
o d'altri molti, di
megliorar
la
condizion
sua, se non in quanto l'avere avuto
uomini
tali per
compagni
rende
più
scusabile
il suo
errore
.
20.
Segua
V.
S.
Illustrissima
di
leggere
. "Quia tamen
toto
eo
tempore
quo noster hic
fulsit
,
Galilæus
, ut
audio
,
lecto
affixus
ex
morbo
decubuit
, neque ei unquam
fortasse
per
valetudinem
licuit
corpus
illud
pellucidum
oculis
intueri
, aliis propterea cum illo
agendum
esse
duximus
argumentis
.
Ait
igitur
ipse,
vaporem
sæpe
fumidum
ex aliqua
Terræ
parte
in
altum
supra
Lunam
etiam ac
Solem
attolli
, et simul atque extra
umbrosum
Terræ
conum
progressus
Solis
lumen
aspexerit
, ex illius
veluti
luce
concipere
et
cometam
parere
;
motum
autem sive
ascensum
vaporis
huiusmodi, non
vagum
incertumque
, sed
rectum
nullamque
deflectentem
in
partem
,
existere
. Sic ille: at nos
harum
positionum
pondus
ad nostram
trutinam
referamus
.
Principio
,
materiam
hanc
fumidam
et
vaporosam
per eos
forte
dies
ascendisse
constat
e
Terra
, cum,
vehementissimis
boreæ
flatibus
toto
late
cælo
dominantibus
,
dispergi
facile
ac
disiici
potuisset
; ut
mirum
profecto
sit,
impune
adeo
tenuissimis
levissimisque
corpusculis
licuisse
inter
sævientis
aquilonis
iras
constantissimo
gressu
, qua
cœperant
via
, in
altum
ferri
, cum ne
gravissima
quidem
pondera
tunc
aëri
semel
commissa
eiusdem
vim
atque
impetum
superare
possent
. Ego
vero
adeo
pugnare
inter se
existimo
duo
hæc,
vaporem
levissimum
ascendere
, et
recta
ascendere
, ut inter
instabiles
saltem
aëris
huius
vicissitudines
fieri
id posse
vix
credam
. Illud etiam
adde
,
auctore
Galilæo
, ne a
sublimioribus
quidem illis
planetarum
regionibus
abesse
concretiones
ac
rarefactiones
huiusmodi
corporum
fumidorum
, ac proinde nec
motus
illos
vagos
incertosque
, quibus eadem
ferri
necesse
est."
Che
vapori
fumidi
da qualche
parte
della
Terra
sormontino
sopra la
Luna
, ed anco sopra il
Sole
, e che
usciti
fuori del
cono
dell'
ombra
terrestre
sieno dal
raggio
solare
ingravidati
e quindi
partoriscano
la
cometa
, non è mai
stato
scritto
dal
signor
Mario
né
detto
da me, ben che il
Sarsi
me l'
attribuisca
. Quello che ha
scritto
il
signor
Mario
è, che non ha per
impossibile
che tal
volta
possano
elevarsi
dalla
Terra
essalazioni
ed altre
cose
tali, ma tanto più
sottili
del
consueto
, che
ascendano
anco sopra la
Luna
, e possano esser
materia
per
formar
la
cometa
; e che
talora
si facciano
sublimazioni
fuor
del
consueto
della
materia
de'
crepuscoli
, l'
essemplifica
per quella
boreale
aurora
; ma non dice già che quella sia in
numero
la medesima
materia
delle
comete
, la qual è
necessario
che sia assai più
rara
e
sottile
che i
vapori
crepuscolini
e che quella
materia
della
detta
aurora
boreale
,
atteso
che la
cometa
risplende
meno assai dell'
aurora
; sì che se la
cometa
si
distendesse
,
verbigrazia
, lungo l'
oriente
nel
candor
dell'
alba
, mentre il
Sole
non
fusse
lontano
dall'
orizonte
più di sei o
vero
otto
gradi
, ella senza
dubbio
non si
discernerebbe
, per esser
manco
lucida
del
campo
suo
ambiente
. E coll'
istessa
, non
risolutezza
, ma
probabilità
si è
attribuito
il
moto
retto
in su alla medesima
materia
. E questo sia
detto
non per
ritirarci
, per
paura
che ci facciano l'
oppugnazioni
del
Sarsi
, ma solo perché si
vegga
che noi non ci
allontaniamo
dal nostro
costume
, ch'è di non
affermar
per certe se non le
cose
che noi
sappiamo
indubitatamente
, ché così
c'
insegna
la nostra
filosofia
e le nostre
matematiche
. Or,
posto
che noi abbiamo
detto
come
c'
impone
il
Sarsi
,
sentiamo
ed
essaminiamo
le sue
opposizioni
.
È la sua prima
instanza
fondata
sopra l'
impossibilità
del
salir
vapori
per
linea
retta
verso il
cielo
mentre
impetuoso
aquilone
di traverso
spinge
l'
aria
e ciò che per entro lei si
ritrova
; e tale si
sentì
egli per molti
giorni
appresso all'
apparir
della
cometa
. L'
instanza
veramente
è
ingegnosa
; ma le
vien
tolto
assai di
forza
da alcuni
avvisi
sicuri
, per li quali s'ebbe che in quei
giorni
né in
Persia
né in
China
fu
perturbazione
alcuna di
venti
; ed io
crederò
che d'una di quelle
regioni
si
elevasse
la
materia
della
cometa
, se il
Sarsi
non mi
prova
ch'ella si
movesse
non di
là
, ma di
Roma
, dov'egli
sentì
l'
impeto
boreale
. Ma quando ben anco il
vapore
si
fusse
partito
d'
Italia
, chi
sa
ch'ei non si
mettesse
in
viaggio
avanti i
giorni
ventosi
, de i quali ne
fusser
passati
poi molti avanti il suo
arrivo
all'
orbe
cometario
,
lontano
dalla
Terra
, per
relazion
del
Maestro
del
Sarsi
,
470
.
000
miglia
in circa; ché
pure
a far tanto
viaggio
ci vuol del
tempo
, e non poco, perché l'
ascender
de'
vapori
, per quel che si
vede
qui
vicini
a
Terra
, non
arriva
alla
velocità
del
volo
degli
uccelli
a gran
pezzo
, sì che non
basterebbe
il
tempo
di quattro
anni
a far tanto
viaggio
. Ma
dato
anco che tali
vapori
si
movessero
in
tempo
ventoso
, egli, che
presta
intera
fede
a gl'
istorici
ed a'
poeti
ancora, non
dovrà
negare
che la
commozion
de'
venti
non
ascenda
più di due o tre
miglia
in
alto
, già che vi son
monti
la
cima
de' quali
trascende
la
region
ventosa
; sì che il più che possa
concludere
sarà che dentro a tale
spazio
vadano
i
vapori
non
perpendicolarmente
, ma
trasversalmente
fluttuando
: ma
fuor
di tale
spazio
cessa
l'
impedimento
che dal
camin
retto
gli
disvia
.
21.
Séguiti
ora
V.
S.
Illustrissima
. "Sed
demus
,
licuisse
per
ventos
halitibus
hisce
cœptum
semel
cursum
tenere
,
eoque
contendere
ubi
Solis
radios
et
directos
excipere
ac
repercussos
remittere
ad nos
possent
.
Cur
ibi demum, cum se
totis
totum
plane
excipiunt
Phœbum
,
parte
sui tantum
minima
eumdem
nobis
ostendunt
? Sane, vel ipso
Galilæo
teste
, cum per
æstivos
dies
non
absimilis
vapor
, ad
septemtrionem
forte
solito
altius
provectus
,
Soli
se
spectandum
obiecerit
, tunc
enimvero
,
clarissimo
perfusus
lumine
,
candidissimum
omni se ex
parte
exhibet
, atque, ut eius
verbis
utar
,
borealem
nobis,
nocturnis
etiam in
tenebris
,
auroram
refert
; nec
mutuati
splendoris
adeo
se
avarum
præbet
, ut, cum
toto
hauserit
Solem
sinu
,
vix
una illum e
rimula
ad nos
relabi
patiatur
.
Vidi
egomet
, non per
æstivum
tantum
tempus
, sed
Ianuario
mense
,
quatuor
post
Solis
occasum
horis
, quod
admirabilius
est,
vertici
fere
imminentem
,
candido
ac
fulgenti
habitu
,
nubeculam
adeo
raram
, ut ne
minimas
quidem
stellas
velaret
; at illa etiam, quæ a
Sole
acceperat
lucis
dona
,
largo
apertoque
sinu
liberalissime
undique
profundebat
.
Nubes
denique omnes (si quam tamen
illæ
cum
cometarum
materia
affinitatem
servant
), si
densæ
adeo
fuerint
atque
opacæ
ut
Solis
radios
libere
non
transmittant
, ea
saltem
parte
qua
Solem
respiciunt
,
eumdem
ad nos
reciproca
liberalitate
reflectunt
; at si
raræ
ac
tenues
sint,
easque
facile
lux
omni ex
parte
pervadat
, nulla se
parte
tenebricosas
ostendunt
, sed
clarissimo
undique
perfusas
lumine
spectandas
offerunt
. Si
igitur
cometa
non ex alia
elucet
materia
quam ex
vaporibus
huiusmodi
fumidis
, non in unum
veluti
globum
coactis
, sed, ut ipse
ait
,
satis
amplum
cæli
spatium
occupantibus
omnique
ex
parte
Solis
luce
fulgentibus
, quid
tandem
causæ
est,
cur
ex
angusto
tantum
brevique
orbiculo
spectantibus
semper
affulgeat
, neque
reliquæ
vaporis
eiusdem
partes
,
pari
a
Sole
lumine
illustratæ
, unquam
compareant
? Neque
facile
id
iridis
exemplo
solvitur
, in cuius
productione
idem
contingit
, ut videlicet ex una tantum
nubis
parte
ad
oculum
relabatur
, cum tamen in
toto
spatio
a
Sole
illustrato
eadem
colorum
diversitas
eiusdem
lumine
procreetur
. Illa enim, et si qua alia huiusmodi sunt,
roridam
potius
humentemque
requirunt
materiam
et iam in
aquam
abeuntem
; hæc siquidem
materia
tunc
solum
cum in
aquam
solvitur
,
lævium
ac
politorum
corporum
perspicuorumque
naturam
imitata
, ea tantum ex
parte
qua
anguli
reflexionum
refractionumque
, ad id
requisiti
,
fiunt
,
lumen
remittit
, ut
experimur
in
speculis
,
aquis
ac
pilis
cristallinis
. Si qui
vero
halitus
rariores
ac
sicciores
extiterint
,
hi
neque
lævem
habent
superficiem
, ut
specula
, neque
multam
radiorum
refractionem
efficiunt
. Cum
igitur
ad
reflexiones
corporis
lævitas
, ad
refractiones
vero
cum
perspicuo
densitas
,
requiratur
(quæ omnia
nunquam
in
meteorologicis
impressionibus
habentur
, nisi cum earum
materia
aquæ
multum
habuerit
, ut non
Aristoteles
modo, sed
opticæ
etiam
magistri
omnes
docuerunt
, ac
ratio
ipsa
efficacius
persuadet
),
hinc
necessario
sequitur
, huiusmodi
halitus
graviores
natura
sua
futuros
, ac proinde minus
aptos
qui supra
Lunam
etiam ac
Solem
ascendant
, cum vel
Galilæus
ipse
fateatur
,
tenues
valde
ac
leves
esse eos
debere
, qui eo usque
evolant
. Non ergo ex
vapore
illo
fumido
ac
raro
, et
nullius
revera
ponderis
,
revibrari
ad nos
poterit
fulgidum
illud
lucis
simulacrum
;
vapor
vero
aqueus
, ut
pote
gravis
, in
altum
ferri
nulla
ratione
poterit
."
Parmi
d'aver per
lunghe
esperienze
osservato
, tale esser la
condizione
umana
intorno alle
cose
intellettuali
, che quanto altri meno ne
intende
e ne
sa
, tanto più
risolutamente
voglia
discorrerne
; e che, all'
incontro
, la
moltitudine
delle
cose
conosciute
ed
intese
renda
più
lento
ed
irresoluto
al
sentenziare
circa qualche
novità
.
Nacque
già in un
luogo
assai
solitario
un
uomo
dotato
da
natura
d'uno
ingegno
perspicacissimo
e d'una
curiosità
straordinaria
; e per suo
trastullo
allevandosi
diversi
uccelli
,
gustava
molto del lor
canto
, e con
grandissima
meraviglia
andava
osservando
con che
bell'
artificio
, colla
stess
'
aria
con la quale
respiravano
, ad
arbitrio
loro
formavano
canti
diversi
, e tutti
soavissimi
.
Accadde
che una
notte
vicino a
casa
sua
sentì
un
delicato
suono
, né
potendosi
immaginar
che
fusse
altro che qualche
uccelletto
, si
mosse
per
prenderlo
; e venuto nella
strada
,
trovò
un
pastorello
, che
soffiando
in certo
legno
forato
e
movendo
le
dita
sopra il
legno
,
ora
serrando
ed
ora
aprendo
certi
fori
che vi erano, ne
traeva
quelle
diverse
voci
,
simili
a quelle d'un
uccello
, ma con
maniera
diversissima
.
Stupefatto
e
mosso
dalla sua
natural
curiosità
,
donò
al
pastore
un
vitello
per aver quel
zufolo
; e
ritiratosi
in se stesso, e
conoscendo
che se non s'
abbatteva
a
passar
colui, egli non avrebbe mai
imparato
che ci erano in
natura
due
modi
da
formar
voci
e
canti
soavi
, volle
allontanarsi
da
casa
,
stimando
di
potere
incontrar
qualche altra
avventura
. Ed
occorse
il
giorno
seguente
, che
passando
presso a un
piccol
tugurio
,
sentì
risonarvi
dentro una
simil
voce
; e per
certificarsi
se
era
un
zufolo
o
pure
un
merlo
,
entrò
dentro, e
trovò
un
fanciullo
che
andava
con un
archetto
, ch'ei
teneva
nella
man
destra
,
segando
alcuni
nervi
tesi
sopra certo
legno
concavo
, e con la
sinistra
sosteneva
lo
strumento
e vi
andava
sopra
movendo
le
dita
, e senz'altro
fiato
ne
traeva
voci
diverse
e molto
soavi
. Or qual
fusse
il suo
stupore
,
giudichilo
chi
participa
dell'
ingegno
e della
curiosità
che aveva colui; il qual,
vedendosi
sopraggiunto
da due
nuovi
modi
di
formar
la
voce
ed il
canto
tanto
inopinati
,
cominciò
a
creder
ch'altri ancora ve ne potessero
essere
in
natura
. Ma qual fu la sua
meraviglia
, quando
entrando
in certo
tempio
si
mise
a
guardar
dietro alla
porta
per
veder
chi aveva
sonato
, e s'
accorse
che il
suono
era
uscito
dagli
arpioni
e dalle
bandelle
nell'
aprir
la
porta
? Un'altra
volta
,
spinto
dalla
curiosità
,
entrò
in un'
osteria
, e
credendo
d'aver a
veder
uno che coll'
archetto
toccasse
leggiermente
le
corde
d'un
violino
,
vide
uno che
fregando
il
polpastrello
d'un
dito
sopra l'
orlo
d'un
bicchiero
, ne
cavava
soavissimo
suono
. Ma quando poi gli venne
osservato
che le
vespe
, le
zanzare
e i
mosconi
, non, come i suoi
primi
uccelli
, col
respirare
formavano
voci
interrotte
, ma col
velocissimo
batter
dell'
ali
rendevano
un
suono
perpetuo
, quanto
crebbe
in esso lo
stupore
, tanto si
scemò
l'
opinione
ch'egli aveva circa il
sapere
come si
generi
il
suono
; né tutte l'
esperienze
già
vedute
sarebbono
state
bastanti
a fargli
comprendere
o
credere
che i
grilli
, già che non
volavano
, potessero, non col
fiato
, ma collo
scuoter
l'
ali
,
cacciar
sibili
così
dolci
e
sonori
. Ma quando ei si
credeva
non
potere
esser quasi
possibile
che vi
fussero
altre
maniere
di
formar
voci
, dopo l'avere, oltre a i
modi
narrati
,
osservato
ancora tanti
organi
,
trombe
,
pifferi
,
strumenti
da
corde
, di tante e tante
sorte
, e sino a quella
linguetta
di
ferro
che,
sospesa
fra i
denti
, si
serve
con modo
strano
della
cavità
della
bocca
per
corpo
della
risonanza
e del
fiato
per
veicolo
del
suono
; quando,
dico
, ei
credeva
d'aver
veduto
il tutto,
trovossi
più che mai
rinvolto
nell'
ignoranza
e nello
stupore
nel
capitargli
in
mano
una
cicala
, e che né per
serrarle
la
bocca
né per
fermarle
l'
ali
poteva né pur
diminuire
il suo
altissimo
stridore
, né le
vedeva
muovere
squamme
né altra
parte
, e che finalmente,
alzandole
il
casso
del
petto
e
vedendovi
sotto alcune
cartilagini
dure
ma
sottili
, e
credendo
che lo
strepito
derivasse
dallo
scuoter
di quelle, si
ridusse
a
romperle
per farla
chetare
, e che tutto fu in
vano
, sin che,
spingendo
l'
ago
più a dentro, non le
tolse
,
trafiggendola
, colla
voce
la
vita
, sì che né anco poté
accertarsi
se il
canto
derivava
da quelle: onde si
ridusse
a tanta
diffidenza
del suo
sapere
, che
domandato
come si
generavano
i
suoni
,
generosamente
rispondeva
di
sapere
alcuni
modi
, ma che
teneva
per
fermo
potervene
essere
cento altri
incogniti
ed
inopinabili
.
Io potrei con altri molti
essempi
spiegar
la
ricchezza
della
natura
nel
produr
suoi
effetti
con
maniere
inescogitabili
da noi, quando il
senso
e l'
esperienza
non lo ci
mostrasse
, la quale anco talvolta non
basta
a
supplire
alla nostra
incapacità
; onde se io non
saperò
precisamente
determinar
la
maniera
della
produzzion
della
cometa
, non mi
dovrà
esser
negata
la
scusa
, e tanto più quant'io non mi son mai
arrogato
di poter ciò fare,
conoscendo
potere
essere
ch'ella si
faccia
in alcun modo
lontano
da ogni nostra
immaginazione
; e la
difficoltà
dell'
intendere
come si
formi
il
canto
della
cicala
, mentr'ella ci
canta
in
mano
,
scusa
di
soverchio
il non
sapere
come in tanta
lontananza
si
generi
la
cometa
.
Fermandomi
dunque su la prima
intenzione
del
signor
Mario
e mia, ch'è di
promuover
quelle
dubitazioni
che ci è
paruto
che
rendano
incerte
l'
opinioni
avute sin qui, e di
proporre
alcuna
considerazione
di
nuovo
,
acciò
sia
essaminata
e
considerato
se vi sia cosa che possa in alcun modo
arrecar
qualche
lume
ed
agevolar
la
strada
al
ritrovamento
del
vero
,
anderò
seguitando
di
considerar
l'
opposizioni
fatteci
dal
Sarsi
, per le quali i nostri
pensieri
gli sono
paruti
improbabili
.
Procedendo
egli adunque avanti e
concedendoci
che, quando pur non
fusse
conteso
a i
vapori
, o altra
materia
atta
al
formar
la
cometa
, il
sollevarsi
da
Terra
ed
ascendere
in
parti
altissime
, dove
direttamente
potesse
ricevere
i
raggi
solari
e
reflettergli
a noi,
muove
difficoltà
in qual modo, venendo
illuminata
tutta, da una
sola
sua
particella
venga poi fatta a noi la
reflessione
, e non
faccia
come quei
vapori
che ci
rappresentano
quella
intempestiva
aurora
boreale
, i quali, sì come tutti s'
illuminano
, tutti ancora
luminosi
ci si
dimostrano
; ed appresso
soggiunge
, aver
veduto
verso la
meza
notte
cosa più
meravigliosa
, cioè una
nuvoletta
verso il
vertice
, la quale, sì come tutta
era
illuminata
, così da ogni sua
parte
liberalissimamente
ci
rimandava
lo
splendore
; e le
nuvole
tutte (
segu
'egli), se saranno
dense
ed
opache
, ci
rendono
il
lume
del
Sole
da tutta quella
parte
che da esso vengono
vedute
; ma se saranno
rare
, sì che il
lume
le
penetri
, ci si
mostrano
tutte
lucide
, ed in niuna
parte
tenebrose
; se dunque la
cometa
non si
forma
in altra
materia
che in
simili
vapori
fumidi
largamente
distesi
, come dice il
signor
Mario
, e non
raccolti
in
figura
sferica
, essendo da ogni lor
parte
tocchi
dal
Sole
, per qual
cagione
da un
sol
piccolo
globetto
, e non dal
resto
, benché
egualmente
illuminato
, ci
vien
fatta la
reflessione
? Ancor che le
soluzioni
di queste
instanze
sieno a
pien
distese
nel
Discorso
del
signor
Mario
,
nientedimeno
l'
anderò
qui
replicando
e
disponendole
a'
luoghi
loro, coll'
aggiunta
di qualch'altra
considerazione
,
secondo
che l'
opposizioni
di
passo
in
passo
mi faranno
sovvenire
.
E prima, non
dovrebbe
aver
difficoltà
veruna il
Sarsi
nel
conceder
che da un
luogo
particolare
solamente di tutta la
materia
sublimata
per la
cometa
si possa far la
reflessione
del
lume
del
Sole
alla
vista
d'un
particolare
, benché tutta sia
egualmente
illuminata
;
avvenga
che noi ne abbiamo mille
simili
esperienze
in
favore
, per una che
paia
essere
in
contrario
, e
facilmente
di quelle
prodotte
dal
Sarsi
come
contrarianti
a tal
posizione
ne
troveremo
la maggior
parte
esser
favorevoli
. Già non è
dubbio
, che di
qualsivoglia
specchio
piano
esposto
al
Sole
tutta la
superficie
è da quello
illuminata
; il
simile
è di
qualsivoglia
stagno
,
lago
,
fiume
,
mare
, ed in
somma
d'ogni
superficie
tersa
e
liscia
, di qualunque
corpo
ella si sia: nulladimeno all'
occhio
d'un
particolare
non si fa la
reflession
del
raggio
solare
se non da un
luogo
particolare
d'essa
superficie
, il qual
luogo
si
va
mutando
alla
mutazion
dell'
occhio
riguardante
. L'
esterna
superficie
di
sottili
ma per
grande
spazio
distese
nuvole
, è tutta
egualmente
illuminata
dal
Sole
; tuttavia l'
alone
ed i
parelii
non si
mostrano
ad un
occhio
particolare
se non in un
luogo
solo, e questo
parimente
al
movimento
dell'
occhio
va
mutando
sito
in essa
nuvola
.
Dice il
Sarsi
: "Quella
sottil
materia
sublimata
che
rende
talvolta quella
boreale
aurora
, si
vede
pur, qual ella è in
fatto
,
illuminata
tutta". Ma io
domando
al
Sarsi
, onde egli abbia questa
certezza
. Ed egli non mi può
rispondere
altro, se non che ei non
vede
parte
alcuna che non sia
illuminata
, sì com'ei
vede
il
resto
della
superficie
degli
specchi
, dell'
acque
, de'
marmi
,
oltr
'a quella
particella
che ci
rende
la
reflession
viva
del
raggio
solare
. Sì, ma io l'
avvertisco
che quando la
materia
fusse
in
colore
simile
al
resto
dell'
ambiente
, o
vero
fusse
trasparente
, ei non
distinguerebbe
altro che quel solo
splendido
raggio
reflesso
, come
accade
talvolta che la
superficie
del
mare
non si
distingue
dall'
aria
, e pur si
vede
l'
immagine
reflessa
del
Sole
; e così,
posto
un
sottil
vetro
in qualche
lontananza
, ci potrà
mostrar
di sé quella
sola
particella
in cui si fa la
reflessione
di qualche
lume
,
rimanendo
il
resto
invisibile
per la sua
trasparenza
. Questo del
Sarsi
è
simil
all'
error
di coloro che
dicono
che nessun
delinquente
deve
mai
confidarsi
che il suo
delitto
sia per
restare
occulto
, né s'
accorgono
dell'
incompatibilità
ch'è tra '
l
restar
occulto
e l'
essere
scoperto
, e che senz'altro chi volesse
tener
due
registri
, uno de'
delitti
che
restano
occulti
, e l'altro di quelli che si
manifestano
, in quel degli
occulti
non ci
verrebbe
mai
registrato
e
notato
cosa veruna. Vengo dunque a
dir
, che senza
repugnanza
alcuna posso
credere
che la
materia
di quella
boreale
aurora
si
distenda
in
ispazio
grandissimo
e sia tutta
egualmente
illuminata
dal
Sole
; ma perché a me non si
scopre
e fa
visibile
se non quella
parte
onde
vien
all'
occhio
mio la
refrazzione
,
restando
tutto il
rimanente
invisibile
, però mi
par
di
vedere
il tutto. Ma che più? De'
vapori
crepuscolini
, che
circondano
tutta la
Terra
, non è egli sempre
egualmente
illuminato
uno
emisferio
da'
raggi
solari
? Certo sì; tuttavia quella
parte
che
direttamente
s'
interpone
tra '
l
Sole
e noi, ci si
mostra
più
luminosa
assai delle
parti
più
lontane
: e questa, come l'altre ancora, è una
pura
apparenza
ed
illusion
dell'
occhio
nostro,
avvenga
che, siamo noi in
qualsivoglia
luogo
, sempre
veggiamo
il
corpo
solare
come
centro
d'un
cerchio
luminoso
, ma che di
grado
in
grado
va
perdendo
di
splendore
secondo
ch'è più
remoto
da esso
centro
a
destra
o a
sinistra
; ma ad altri più verso
borea
quella
parte
che a me è più
chiara
apparisce
più
fosca
, e più
lucida
quella che a me si
rappresentava
più
oscura
; sì che noi possiamo
dire
d'avere un
perpetuo
e
grande
alone
intorno al
Sole
,
figurato
nella
convessa
superficie
che
termina
la
sfera
vaporosa
, il quale
alone
, nel modo stesso dell'altro che
talora
si
forma
in una
sottil
nuvola
, si
va
mutando
di
luogo
secondo
la
mutazion
del
riguardante
. Quanto alla
nuvoletta
che '
l
Sarsi
afferma
aver
veduta
tutta
lucida
nella
profonda
notte
, lo potrei
parimente
interrogare
, qual
certezza
egli abbia ch'ella non
fusse
maggior di quella ch'ei
vedeva
, e
massime
dicendo
egli ch'ella
era
in modo
trasparente
, che non
celava
le
stelle
fisse
, ancor che
minime
perloché
, niuno
indizio
gli poteva
rimanere
onde potesse
assicurarsi
, quella non
distendersi
invisibilmente
, come
trasparentissima
, molto e molto oltre a'
termini
della
parte
lucida
veduta
: e però
resta
dubbio
se essa ancora
fusse
una dell'
apparenze
, la quale alla
mutazion
di
luogo
dell'
occhio
, come l'altre, s'
andasse
mutando
. Oltre che non
repugna
ch'ella potesse
apparir
luminosa
tutta, ed esser nondimeno una
illusione
, il che
accaderebbe
quand'ella non
fusse
maggior di quello
spazio
che viene
occupato
dall'
immagine
del
Sole
, in quel modo che se,
vedendo
il
simulacro
del
Sole
occupar
,
verbigrazia
, in uno
specchio
tanto
spazio
quant'è un'
ugna
, noi
tagliassimo
via
il
rimanente
, ché non ha
dubbio
alcuno che questo
piccolo
specchietto
potrà
apparirci
lucido
tutto. Ma di più ancora, quando lo
specchietto
fusse
minore
del
simulacro
, allora non solamente si potrebbe
vedere
illuminato
tutto, ma il
simulacro
in lui non ad ogni
movimento
dell'
occhio
apparirebbe
esso ancora
muoversi
, com'ei fa nello
specchio
grande
; anzi, per
essere
egli
incapace
di tutta l'
immagine
del
Sole
,
seguirebbe
che,
movendosi
l'
occhio
,
vederebbe
la
reflession
fatta or da una ed or da un'altra
parte
del
disco
solare
; e così l'
immagine
parrebbe
immobile
, sin che venendo l'
occhio
verso la
parte
dove non si
dirizza
la
reflessione
, ella del tutto si
perderebbe
.
Assaissimo
, dunque,
importa
il
considerar
la
grandezza
e
qualità
della
superficie
nella quale si fa la
reflessione
; perché,
secondo
che la
superficie
sarà
men
tersa
, l'
immagine
del medesimo
oggetto
vi si
rappresenterà
maggiore e maggiore, sì che talvolta, avanti che l'
immagine
trapassi
tutto lo
specchio
, molto
spazio
converrà
che
cammini
l'
occhio
, ed essa
immagine
apparirà
fissa
, se ben
realmente
sarà
mobile
.
E per
meglio
dichiararmi
in un
punto
importantissimo
e che forse, non
dirò
al
Sarsi
, ma a
qualunqu
'altro
sopraggiungerà
pensier
nuovo
, si
figuri
V.
S.
Illustrissima
d'esser lungo la
marina
in
tempo
ch'ella sia
tranquillissima
, ed il
Sole
già
declinante
verso l'
occaso
:
vederà
nella
superficie
del
mare
ch'è intorno al
verticale
che
passa
per lo
disco
solare
, il
reflesso
del
Sole
lucidissimo
, ma non
allargato
per molto
spazio
; anzi, se, come ho
detto
, l'
acqua
sarà
quietissima
,
vederà
la
pura
immagine
del
disco
solare
,
terminata
come in uno
specchio
.
Cominci
poi un
leggier
venticello
a
increspare
la
superficie
dell'
acqua
:
comincerà
nell'istesso
tempo
a
veder
V.
S.
Illustrissima
il
simulacro
del
Sole
rompersi
in molte
parti
, ma
allargarsi
e
diffondersi
in maggiore
spazio
; e benché, mentre ella
fosse
vicina
, potrebbe
distinguer
l'un dall'altro de i
pezzi
del
simulacro
rotto
, tuttavia da maggior
lontananza
non
vederebbe
tal
separazione
, sì per l'
angustia
degl'
intervalli
tra
pezzo
e
pezzo
, sì pel gran
fulgor
delle
parti
splendenti
, che
insieme
s'
anderebbono
mescolando
e facendo l'istesso che molti
fuochi
tra sé
vicini
, che di
lontano
appariscono
un solo.
Cresca
in onde maggiori e maggiori l'
increspamento
: sempre per
intervalli
più e più
larghi
si
distenderà
la
moltitudine
degli
specchi
, da' quali,
secondo
le
diverse
inclinazioni
dell'onde, si
refletterà
verso l'
occhio
l'
immagine
del
Sole
spezzata
. Ma
recandosi
in
distanze
maggiori e maggiori, e per poter
meglio
scoprire
il
mare
montando
sopra
colline
o altre
eminenze
, un solo e
continuato
parrà
il
campo
lucido
: ed io mi sono
incontrato
a
veder
da una
montagna
altissima
e
lontana
dal
mar
di
Livorno
sessanta
miglia
, in
tempo
sereno
ma
ventoso
, un'
ora
in circa avanti il
tramontar
del
Sole
, una
striscia
lucidissima
diffusa
a
destra
ed a
sinistra
del
Sole
, la quale in
lunghezza
occupava
molte
decine
e forse anco qualche
centinaio
di
miglia
, la quale però
era
una medesima
reflessione
, come l'altre, della
luce
del
Sole
.
Ora
s'
immagini
il
Sarsi
che della
superficie
del
mare
,
ritenendo
il medesimo
increspamento
, se ne
fusse
rimosso
verso gli
estremi
gran
parte
, e
lasciatone
solamente verso il
mezo
, cioè
incontro
al
Sole
, una
lunghezza
di due o tre
miglia
: questa
sicuramente
si sarebbe
veduta
tutta
illuminata
, ed anco non
mobile
ad ogni
mutazion
che il
riguardante
avesse
fatto
a questa o a quella
mano
, se non dopo essersi
mosso
forse per qualche
miglio
, ché allora
comincerebbe
a
perdersi
la
parte
sinistra
del
simulacro
, s'egli
caminasse
alla
destra
, e l'
imagine
splendida
si
verrebbe
restringendo
, sin che, fatta
sottilissima
, del tutto
svanirebbe
. Ma non perciò
resta
che il
simulacro
non sia
mobile
al
moto
del
riguardante
, anzi, pur
vedendolo
tutto, tutto lo
vederemmo
ancor
muovere
,
attalché
il suo
mezo
risponderebbe
sempre alla
drittura
del
Sole
, il quale ad altri ed altri che nel medesimo
momento
lo
rimirano
,
risponde
ad altri e ad altri
punti
dell'
orizonte
.
Io non voglio
tacere
a
V.
S.
Illustrissima
in questo
luogo
quello che mi è
sovvenuto
per la
soluzion
d'un
problema
marinaresco
.
Conoscono
talora
i
marinari
esperti
il
vento
che da qualche
parte
del
mare
dopo non molto
intervallo
è per
sopragiunger
loro, e di questo
dicono
esser
argomento
sicuro
il
veder
l'
aria
, verso quella
parte
, più
chiara
di quel che per
consueto
dovrebbe
essere
. Or
pensi
V.
S.
Illustrissima
se ciò potesse
derivare
dall'esser di già in quella
parte
il
vento
in
campo
, e
commosse
l'onde, dalle quali
nascendo
, come da
specchi
moltiplicati
a molti
doppi
e
diffusi
per
grande
spazio
, la
reflession
del
Sole
assai maggiore che se '
l
mare
vi
fusse
in
bonaccia
, possa da questa
nuova
luce
esser
maggiormente
illuminata
quella
parte
dell'
aria
vaporosa
per la quale tal
reflession
si
diffonde
, la qual, come
sublime
,
renda
ancora qualche
reflesso
di
lume
agli
occhi
de'
marinari
, a' quali, per esser
bassi
, non poteva venir la
primaria
reflession
di quella
parte
di
mare
di già
increspato
da'
venti
e
lontana
per
avventura
, da loro,
venti
o
trenta
o più
miglia
; e che questo sia il lor
vedere
o
prevedere
il
vento
da
lontano
.
Ma
seguitando
il nostro
primo
concetto
,
dico
che non in tutte le
materie
, o vogliamo
dire
in tutte le
superficie
,
stampano
i
raggi
solari
l'
immagine
del
Sole
della medesima
grandezza
; ma in alcune (e queste sono le
piane
e
lisce
come uno
specchio
) ci si
mostra
il
disco
solare
terminato
ed
eguale
al
vero
, nelle
convesse
pur
lisce
ci
apparisce
minore
, e nelle
concave
talor
minore
,
talor
maggiore, ed anco talvolta
eguale
,
secondo
le
diverse
distanze
tra lo
specchio
e l'
oggetto
e l'
occhio
. Ma se la
superficie
sarà non
eguale
, ma
sinuosa
e
piena
d'
eminenze
e
cavità
, e come se
dicessimo
composta
di gran
moltitudine
di
piccoli
specchietti
locati
in
varie
inclinazioni
, in mille e mille
modi
esposte
all'
occhio
, allora l'
istessa
immagine
del
Sole
da mille e mille
parti
, ed in mille e mille
pezzi
divisa
, verrà all'
occhio
nostro, i quali per
grande
ispazio
s'
allargheranno
,
stampando
in essa
superficie
un
ampio
aggregato
di moltissime
piazzette
lucide
, la
frequenza
delle quali farà che da
lontano
apparirà
un
sol
campo
sparso
di
luce
continuata
, più
gagliarda
e
viva
nel
mezo
che verso gli
estremi
, dov'ella
va
languendo
, e finalmente
sfumando
svanisce
, quando per l'
obliquità
dell'
occhio
ad essa
superficie
i
raggi
visivi
non
trovano
più onde
reflettersi
verso il
Sole
. Questo gran
simulacro
è esso ancora
mobile
al
movimento
dell'
occhio
, pur che oltre a i suoi
termini
si
vada
continuando
la
superficie
dove si fanno le
reflessioni
: ma se la
quantità
della
materia
occuperà
piccolo
spazio
, e
minore
assai di quello del
simulacro
intero
, potrà
accadere
che,
restando
la
materia
fissa
e
movendosi
l'
occhio
, ella
continui
ad
apparer
lucida
, sin che
pervenuto
l'
occhio
a quel
termine
dal quale, per l'
obliquità
de'
raggi
incidenti
sopra essa
materia
, le
reflessioni
non si
dirizzano
più verso il
Sole
, la
luce
svanisce
e si
perde
.
Ora
io
dico
al
Sarsi
che quando ei
vede
una
nuvola
sospesa
in
aria
,
terminata
e tutta
lucida
, la quale
resta
ancor tale benché l'
occhio
per qualche
spazio
si
vada
mutando
di
luogo
, non perciò si
tenga
sicuro
, quella
illuminazione
esser cosa più
reale
di quella dell'
alone
, de'
parelii
, dell'
iride
e della
reflession
nella
superficie
del
mare
; perché io gli
dico
che la sua
consistenza
ed
apparente
stabilità
può
dependere
dalla
piccolezza
della
nuvola
, la quale non è
capace
di
ricevere
tutta la
grandezza
del
simulacro
del
Sole
; il qual
simulacro
,
rispetto
alla
posizion
delle
parti
della
superficie
di essa
nuvola
, s'
allargherebbe
, quando non gli
mancasse
la
materia
, per
ispazio
molte e molte
volte
maggiore della
nuvola
, ed allora quando si
vedesse
intero
e che oltre di lui
avanzasse
altro
campo
di
nubi
,
dico
che al
movimento
dell'
occhio
esso ancora così
intero
s'
anderebbe
movendo
.
Argomento
necessario
ci sia di ciò il
veder
noi
spessissime
volte
, nel
nascere
o nel
tramontar
del
Sole
, molte
nuvolette
sospese
vicino all'
orizonte
, delle quali quelle che son
vicine
all'
incontro
del
Sole
si
mostrano
splendentissime
e quasi di
finissimo
oro
, dell'altre
laterali
le
men
remote
dal
mezo
lucide
esse ancora più delle più
lontane
, le quali di
grado
in
grado
ci si
vanno
dimostrando
men
chiare
, sì che finalmente delle molto
remote
lo
splendore
è quasi nullo:
dico
nullo a noi, ma a chi
fusse
in tal
sito
che queste
restassero
interposte
tra l'
occhio
suo e '
l
luogo
dell'
occaso
del
Sole
,
lucidissime
se gli
mostrerebbono
, ed
oscure
le nostre più
risplendenti
.
Intenda
dunque il
Sarsi
, che quando le
nubi
non
fussero
spezzate
, ma una
lunghissima
distesa
e
continuata
,
accaderebbe
che a
ciaschedun
riguardante
la
parte
sua di
mezo
apparisse
lucidissima
, e le
laterali
di
grado
in
grado
,
secondo
la
lontananza
dal suo
mezo
,
men
chiare
, sì che dove a me
comparisce
il
colmo
dello
splendore
, ad altri è il
fine
ed
ultimo
termine
.
Ma qui potrebbe
dir
alcuno che, già che quel
pezzo
di
nube
riman
fisso
, ed il
lume
in esso non si
vede
andar
movendo
alla
mutazione
di
luogo
del
riguardante
, questo
basta
a far che la
paralasse
operi
nel
determinar
della sua
altezza
, e che però, potendo
accader
l'istesso della
cometa
, l'
uso
della
paralasse
resti
atto
al
bisogno
di chi
cerchi
dimostrare
il suo
luogo
. A questo si
risponde
che ciò sarebbe
vero
quando si
fusse
prima
dimostrato
che la
cometa
fusse
non un
intero
simulacro
del
Sole
, ma un
pezzo
solamente, sì che la
materia
in cui si
forma
la
cometa
fusse
non solamente
illuminata
tutta, ma che '
l
simulacro
del
Sole
eccedesse
dalle
bande
, in modo ch'ei
fusse
bastante
ad
illuminar
campo
assai maggiore, quando vi
fusse
materia
disposta
alla
reflession
del
lume
; il che non solamente non s'è
dimostrato
, ma si può molto
ragionevolmente
creder
l'
opposito
, cioè che la
cometa
sia un
simulacro
intero
, e non
mutilato
e
tronco
, ché così ne
persuade
la sua
figura
regolata
e con
bella
simmetria
disegnata
. E di qui si può
trar
facile
ed
accommodata
risposta
all'
instanza
che fa il
Sarsi
, mentre mi
domanda
come possa
essere
che,
figurandosi
, per
detto
del
signor
Mario
, la
cometa
in una
materia
distesa
per
grande
spazio
in
alto
, ella non s'
illumini
tutta, ma ci
rimandi
solo da un
piccolo
cerchietto
la
reflessione
, senza che l'altre
parti
, pur
viste
dal
Sole
,
compariscano
già mai.
Imperò
che io farò la medesima
interrogazione
ad esso o al suo
Maestro
, il quale non volendo che la
cometa
sia un
incendio
, ma
inclinando
a
credere
(s'io non
erro
) ch'almeno la sua
coda
sia una
refrazzione
de'
raggi
solari
, io gli
domanderò
s'ei
credono
che la
materia
nella quale si fa tal
refrazzione
sia
tagliata
appunto
alla
misura
d'essa
chioma
, o pur che di qua e di
là
e d'ogn'intorno ve n'
avanzi
; e se ve n'
avanza
(come
credo
che sarà
risposto
), perché non si
vede
, essendo
tocca
dal
Sole
? Qui non si può
dire
che la
refrazzione
si
faccia
nella
sostanza
dell'
etere
, la quale, come
diafanissima
, non è
potente
a ciò
dare
, né meno in altra
materia
, la quale, quando
fusse
atta
a
rifrangere
, sarebbe ancor
atta
a
reflettere
i
raggi
solari
. In oltre, io non
so
con qual
ragione
chiami
ora
un
piccolo
cerchietto
il
capo
della
cometa
, il quale con
sottili
calcoli
il suo
Maestro
ha
ritrovato
contenere
87127
miglia
quadre
, che forse nessuna
nuvola
arriva
a tanta
grandezza
.
Segue
il
Sarsi
, ed ad
imitazion
di colui che per un
pezzo
ebbe
opinion
che '
l
suono
non si potesse
produrre
se non in un modo solo, dice non esser
possibile
che la
cometa
si
generi
per
reflessione
in quei
vapori
fumidi
, e che l'
essempio
dell'
iride
non
agevola
la
difficoltà
, se ben essa
veramente
è una
illusion
della
vista
: imperocché la
procreazion
dell'
iride
e d'altre
simili
cose
ricercano
una
materia
umida
e che già si
vada
risolvendo
in
acqua
, la quale allora solamente,
imitando
la
natura
de'
corpi
lisci
e
tersi
,
reflette
il
lume
da quella
parte
dove si fanno gli
angoli
della
reflessione
e della
refrazzione
, che a tale
effetto
si
ricercano
, come
accade
negli
specchi
, nell'
acqua
e nelle
palle
di
cristallo
; ma in altri
rari
e
secchi
, non avendo la
superficie
liscia
come gli
specchi
, non si fa molta
refrazzione
:
ricercandosi
, dunque, per questi
effetti
una
materia
acquosa
, ed in
conseguenza
grave
assai ed
inabile
a
salir
sopra la
Luna
ed il
Sole
, dove non possono
salire
(anco per mio
parere
) se non
essalazioni
leggerissime
, adunque la
cometa
non può esser
prodotta
da tali
vapori
fumidi
.
Risposta
sofficiente
a tutto questo
discorso
sarebbe il
dire
come il
signor
Mario
non si è mai
ristretto
a
dir
qual sia la
materia
precisa
nella quale si
forma
la
cometa
, né s'ella sia
umida
né
fumosa
né
secca
né
liscia
, e
so
ch'egli non si
arrossirà
a
dire
di non la
sapere
; ma
vedendo
come in
vapori
, in
nuvole
rare
e non
acquose
, ed in quelle che già si
risolvono
in
minute
gocciole
, nell'
acque
stagnanti
, negli
specchi
ed altre
materie
, si
figurano
per
reflessi
e
refrazzioni
molto
varie
illusioni
di
simulacri
diversi
, ha
stimato
di non
essere
impossibile
che in
natura
sia ancora una
materia
proporzionata
a
renderci
un altro
simulacro
diverso
dagli altri, e che questo sia la
cometa
. Tal
risposta
,
dico
, è
adeguatissima
all'
instanza
, quando anco ciascuna
parte
d'essa
instanza
fusse
vera
: tuttavia il
desiderio
(com'altre
volte
ho
detto
) d'
agevolar
, per quanto m'è
conceduto
, la
strada
all'
investigazion
di qualche
vero
, m'
induce
a far alcuna
considerazione
sopra certi
particolari
contenuti
in esso
discorso
.
E prima, è
vero
che in uno
effluvio
di
minutissime
stille
d'
acqua
si fa l'
illusion
dell'
iride
, ma non
credo
già che, pel
converso
,
simile
illusione
non possa farsi senza tale
effluvio
. Il
prisma
triangolare
cristallino
,
appressato
a gli
occhi
, ci
rappresenta
tutti gli
oggetti
tinti
de'
colori
dell'
iride
; molte
volte
si
vede
l'
iride
in
nubi
asciutte
, e senza che
pioggia
veruna
discenda
in
terra
. Non si
veggono
le medesime
illusioni
di
colori
diversi
nelle
piume
di molti
uccelli
, mentre il
Sole
in
varie
maniere
le
ferisce
? Ma che più?
Direi
al
Sarsi
cosa forse
nuova
, se cosa
nuova
se gli potesse
dire
.
Prenda
egli
qualsivoglia
materia
, o sia
pietra
o sia
legno
o sia
metallo
, e
tenendola
al
Sole
,
attentissimamente
la
rimiri
, ch'egli vi
vederà
tutti i
colori
compartiti
in
minutissime
particelle
; e s'ei si
servirà
, per
riguardargli
, d'un
telescopio
accommodato
per
veder
gli
oggetti
vicinissimi
, assai più
distintamente
vederà
quant'io
dico
, senza verun
bisogno
che quei
corpi
si
risolvano
in
rugiada
o in
vapori
umidi
. In oltre, quelle
nuvolette
che ne'
crepuscoli
si
mostrano
lucidissime
, e ci fanno una
reflession
del
lume
del
Sole
tanto
viva
che quasi ci
abbaglia
, sono delle più
rare
asciutte
e
sterili
che sieno in
aria
, e quelle che sono
umide
, quanto più son
pregne
d'
acqua
, tanto più si
dimostrano
oscure
. L'
alone
e i
parelii
si fanno senza
piogge
e senza
umido
nelle più
rare
ed
asciutte
nuvole
, o più
tosto
caligini
, che sieno in
aria
.
Secondo
, è
vero
che le
superficie
terse
e ben
lisce
, come quelle degli
specchi
, ci
rendono
una
gagliarda
reflession
del
lume
del
Sole
, e tale ch'appena la possiamo
rimirar
senza
offesa
; ma è anco
vero
che da
superficie
non tanto
terse
si fa la
reflessione
, ma
men
potente
,
secondo
che la
pulitezza
sarà
minore
.
Vegga
ora
V.
S.
Illustrissima
, se lo
splendore
della
cometa
è di quegli ch'
abbagliano
la
vista
, o pur di quegli che per la lor
debolezza
non
offendon
punto
; e da questo
giudichi
, se per
produrlo
sia
necessaria
una
superficie
somigliante
a quella d'uno
specchio
, o
pure
basti
un'assai
men
tersa
. Io vorrei
mostrar
al
Sarsi
un modo di
rappresentare
una
reflession
simile
assai alla
cometa
.
Prenda
V.
S.
Illustrissima
una
boccia
di
vetro
ben
netta
, ed avendo una
candela
accesa
, non molto
lontana
dal
vaso
,
vederà
nella sua
superficie
un'
immagine
piccolina
d'esso
lume
, molto
chiara
e
terminata
:
presa
poi colla
punta
del
dito
una
minima
quantità
di
qualsivoglia
materia
che abbia un poco di
untuosità
, sì che s'
attacchi
al
vetro
,
vada
, quanto più
sottilmente
può,
ungendo
in quella
parte
dove si
vede
l'
immagine
del
lume
, sì che la
superficie
venga ad
appannarsi
un poco; subito
vederà
la
detta
immagine
offuscarsi
:
volga
poi il
vaso
, sì che l'
immagine
esca
dell'
untuosità
e si
fermi
al
contatto
di essa, e poi
dia
una
fregata
sola
per
diritto
col
dito
sopra
detta
parte
untuosa
; ché subito
vederà
derivare
un
raggio
dritto
ad
imitazion
della
chioma
della
cometa
, e questo
raggio
taglierà
in traverso ed ad
angoli
retti
il
fregamento
ch'ella
averà
fatto
col
dito
, sì che s'ella
tornerà
a
fregar
per un altro verso, il
detto
raggio
si
dirizzerà
in altra
parte
: e questo
avviene
perché, avendo noi la
pelle
de'
polpastrelli
delle
dita
non
liscia
, ma
segnata
d'alcune
linee
tortuose
ad
uso
del
tatto
per
sentir
le
minime
differenze
delle
cose
tangibili
, nel
muovere
il
dito
sopra
detta
superficie
untuosa
,
lascia
alcuni
solchi
sottilissimi
, ne i
colmi
de' quali si fanno le
reflessioni
del
lume
, ch'essendo molte ed
ordinatamente
disposte
,
rappresentano
poi una
striscia
lucida
; in
capo
della quale se si farà, col
muovere
il
vaso
, venir quella prima
immagine
fatta nella
parte
non
unta
, si
vederà
il
capo
della
chioma
più
lucido
, e la
chioma
poi alquanto meno
risplendente
: ed il medesimo
effetto
si
vederà
, se in
vece
d'
ungere
il
vetro
s'
appannerà
coll'
alitarvi
sopra. Io
prego
V.
S.
Illustrissima
che se mai le venisse
accennato
questo
scherzo
al
Sarsi
, se gli
protesti
per me
largamente
e
specificatamente
, ch'io non
intendo
perciò
affermar
che in
cielo
vi sia una gran
caraffa
e chi col
dito
la
vada
ungendo
, e così si
faccia
la
cometa
; ma ch'io
arreco
questo
caso
e che altri ne potrei
arrecare
e che forse molti altri ce ne sono in
natura
,
inescogitabili
a noi, come
argomenti
della sua
ricchezza
in
modi
differenti
tra di loro per
produrre
i suoi
effetti
.
Terzo
, che la
reflessione
e
refrazzione
non si possa far da
materie
ed
impressioni
meteorologiche
se non quando
contengono
in sé
molt
'
acqua
, perché allora solamente sono di
superficie
lisce
e
terse
,
condizioni
necessarie
per
produr
tal
effetto
,
dico
non esser
talmente
vero
, che non possa esser anco altrimenti. E quanto alla
necessità
della
pulitezza
, io
dico
che anco senza quella si farà la
reflession
dell'
immagine
unita
e
distinta
:
dico
così, perché la
rotta
e
confusa
si fa da tutte le
superficie
, quanto si
voglia
scabrose
ed
ineguali
; che però quell'
immagine
d'un
panno
colorato
che
distintissima
si
scorge
in uno
specchio
oppostogli
,
confusa
e
rotta
si
vede
nel
muro
, dal quale certo
adombramento
del
color
di esso
panno
ci
vien
solamente
ripercosso
. Ma se
V.
S.
Illustrissima
piglierà
una
pietra
o una
riga
di
legno
, non tanto
liscia
che ci
renda
direttamente
l'
immagini
, e quella s'
esporrà
obliquamente
all'
occhio
, come se volesse
conoscer
s'ella è
piana
e
diritta
,
vederà
distintamente
sopra d'essa l'
immagini
de gli
oggetti
che fossero
accostati
all'altro
capo
della
riga
, così
distinte
che
tenendovi
un
libro
scritto
, potrà
commodamente
leggerlo
. Ma di più, s'ella si
costituirà
coll'
occhio
vicino all'
estremità
di qualche
muraglia
diritta
ed assai
lunga
, prima
vederà
un
perpetuo
corso
d'
essalazioni
verso il
cielo
, e
massime
quando il
parete
sia
percosso
dal
Sole
, per le quali tutti gli
oggetti
opposti
appariscono
tremare
;
dipoi
, se farà che alcun dall'altro
capo
del
muro
se le
vada
pian
piano
accostando
,
vederà
, quando le sarà assai vicino,
uscirgli
incontro
l'
immagine
sua
reflessa
da quei
vapori
ascendenti
, non
punto
umidi
né
gravi
, anzi
aridissimi
e
leggieri
. Ma che più? Non è ancor
giunto
al
Sarsi
il
rumore
che si fa, in
particolare
da
Ticone
, delle
refrazzioni
che si fanno nell'
essalazioni
e
vapori
che
circondano
la
Terra
, ancor che l'
aria
sia
serenissima
,
asciuttissima
e
lontanissima
dalle
piogge
e da ogni
umidità
? Né mi
citi
, com'egli fa, l'
autorità
d'
Aristotile
e di tutti i
maestri
di
perspettiva
; perch'egli non farà altro che
dichiararmi
più
cauto
osservatore
di loro, cosa, per mio
credere
,
diametralmente
contraria
alla sua
intenzione
. E tanto
basti
in
risposta
al
primo
argomento
del
Sarsi
: e
vegniamo
al
secondo
.
22. "Quod si
forte
quis
nihilominus
affirmare
audeat
, nihil
prohibere
quominus
vapor
aqueus
ac
densus
vi aliqua
altius
provehatur
ab
eoque
refractio
hæc atque
reflexio
cometæ
proveniat
(
nullum
enim aliud huic
effugium
patere
videtur
, cum
longa
experientia
compertum
sit, quo
rariora
corpora
fuerint
magisque
perspicua
, minus ea
illuminari
,
saltem
quoad
aspectum
,
magis
vero
quo
densiora
et cum
plus
opacitatis
habuerint
; cum ergo
cometa
ingenti
adeo
luce
fulgeret
, ut
stellas
etiam
primæ
magnitudinis
ac
planetas
ipsos
splendore
superaret
,
densior
eius
materia
atque aliqua ex
parte
opacior
dicenda
erit:
trabem
enim eodem
tempore
, quod eius
summa
esset
raritas
,
albicantem
potius quam
splendentem
,
nullisque
radiis
micantem
,
vidimus
);
verum
, si
densus
adeo
fuit
vapor
hic
fumidus
, ut
lumen
tam
illustre
atque
ingens
ad nos
retorqueret
, atque, ut
Galilæo
placet
, si
satis
amplam
cæli
partem
occupavit
, qui
tandem
factum
est ut
stellæ
, quæ per hunc
subiectum
vaporem
intermicabant
,
nullam
insolitam
paterentur
refractionem
, neque
minores
maioresve
quam
antea
comparerent
? Certe, cum eodem
tempore
stellarum
cometam
undique
circumsistentium
distantias
inter se quam
exactissime
metiremur
, nihil
illas
a
Tychonicis
distantiis
discrepare
invenimus
;
variari
tamen
stellarum
magnitudines
earumque
distantias
inter se ex
interpositione
vaporum
huiusmodi, et
experientia
nos
docuit
, et
Vitello
et
Halazen
scriptis
consignarunt
. Aut
igitur
dicendum
est,
vapores
hosce
tenues
adeo
ac
raros
fuisse
, ut
astrorum
lumini
nihil
officerent
(qui tamen
cometæ
per
refractionem
luminis
producendo
minus
apti
probati
iam sunt), vel, quod
longe
verius
sit,
fuisse
nullos
."
Molte
cose
son da
considerarsi
in questo
argomento
, le quali mi
pare
che lo
snervano
assai.
E prima, né il
signor
Mario
né io abbiamo mai
ardito
di
dire
, che
vapori
aquei
e
densi
sieno
stati
attratti
in
alto
a
produr
la
cometa
; onde tutta l'
instanza
che sopra l'
impossibilità
di questa
posizione
s'
appoggia
,
cade
e
svanisce
.
Secondo
, che i
corpi
meno e meno s'
illuminino
, quanto all'
apparenza
,
secondo
ch'ei sono più
rari
e
perspicui
, e più e più quanto più
densi
, come dice il
Sarsi
aver per
lunghe
esperienze
osservato
, l'ho per
falsissimo
; e questo mi
persuade
un'
esperienza
sola
, ch'è il
vedere
egualmente
illuminata
una
nuvola
come s'ella
fusse
una
montagna
di
marmi
, e pur la
materia
della
nuvola
è alquanto più
rara
e
perspicua
di quella delle
montagne
: onde io non
veggo
qual
necessità
abbia il
Sarsi
di far la
materia
della
cometa
più
densa
e più
opaca
di quella de'
pianeti
(che così mi
par
ch'ei
dica
, se
bene
ho
capita
la
construzzion
delle sue
parole
), e tanto più, quanto io non ho per
chiaro
ch'ella
fusse
più
splendida
delle
stelle
della prima
grandezza
e de'
pianeti
. Ma quando ben ella
fusse
stata tale, a che
proposito
introdur
questa tanta
densità
di
materia
, se noi
veggiamo
i
vapori
crepuscolini
risplendere
assai più delle
stelle
e di lei? Oltre a quelle
nuvolette
d'
oro
,
lucide
cento
volte
più.
Terzo
, che
posto
che un
fumido
e
denso
vapore
fusse
stato
quello in cui la
cometa
si
produsse
, ei ne
dovesse
seguir
notabile
discrepanza
negli
intervalli
presi
da
stella
a
stella
, come ch'ei
dovessero
, per
causa
della
refrazzione
per entro esso
vapore
,
discordar
da'
misurati
da
Ticone
, e che, per l'
opposito
, niuna
diversità
vi
fusse
da loro
osservata
nel
misurargli
con ogni
somma
esattezza
; io, se
devo
dire
il
vero
, ci
scorgo
due
cose
le quali
grandemente
mi
dispiacciono
. L'una è, ch'io non
veggo
modo di poter
prestar
fede
al
detto
del
Sarsi
senza
negarla
a quel del suo
Maestro
:
atteso
che l'uno dice d'aver loro con
somma
esattezza
misurate
le
distanze
tra le
stelle
, e l'altro
ingenuamente
si
scusa
di non avere avuto il
commodo
di far tali
osservazioni
coll'
esquisitezza
che sarebbe stata di
bisogno
, per
mancamento
di
strumenti
grandi
ed
esatti
come quelli di
Ticone
; per lo che si
contenta
anco che altri non
faccia
gran
capitale
delle sue
instrumentali
osservazioni
. L'altra è, ch'io non
trovo
via
di poter
dire
a
V.
S.
Illustrissima
con quella
modestia
e
riservo
ch'io
desidero
, com'io
dubito
che il
signor
Sarsi
non
intenda
perfettamente
che cosa sieno queste
refrazzioni
, e come e quando
elle
si facciano e
producano
loro
effetti
. Però ella, che lo
saperà
fare colla sua
infinita
gentilezza
, gli
dica
una
volta
, come i
raggi
che nel venir dall'
oggetto
all'
occhio
segano
ad
angoli
retti
la
superficie
di quel
diafano
in cui si
deve
far la
refrazzione
, non si
rifrangono
altrimenti, onde la
refrazzione
non è nulla: e però le
stelle
verso il
vertice
, come quelle che
mandano
a noi i
raggi
loro
perpendicolari
alla
superficie
sferica
de i
vapor
che
circondano
la
Terra
, non
patiscono
refrazzione
; ma le medesime,
secondo
che più e più
declinano
verso l'
orizonte
, ed in
conseguenza
più e più
obliquamente
segano
co
'
raggi
loro la
detta
superficie
, più e più gli
rifrangono
, e con
fallacia
maggiore ci
mostrano
il
sito
loro. L'
avvertisca
poi, che per
essere
il
termine
di questa
materia
non molto
alto
, onde la
sfera
vaporosa
non è molto maggiore del
globo
terrestre
, nella cui
superficie
siamo noi, l'
incidenza
de'
raggi
che vengono da'
punti
vicini
all'
orizonte
è molto
obliqua
: la qual
obliquità
si
farebbe
sempre
minore
, quanto più la
superficie
de'
vapori
si
sublimasse
in
alto
; sì che, quando ella s'
elevasse
tanto che nella sua
lontananza
comprendesse
molti
semidiametri
della
Terra
, i
raggi
che da
qualsivoglia
punto
del
cielo
venissero a noi, pochissimo
obliquamente
potrebbon
segar
la
detta
superficie
, ma
sarebbon
come se
tendessero
al
centro
della
sfera
, ch'è quanto a
dire
che
fussero
perpendicolari
alla sua
superficie
.
Ora
, perché il
Sarsi
colloca
la
cometa
alta
assai più che la
Luna
, ne'
vapori
che in tanta
altezza
fussero
distesi
, niuna
sensibile
refrazzione
far si
dovrebbe
, ed in
conseguenza
niuna
sensibile
apparenza
di
diversità
di
sito
nelle
stelle
fisse
. Non
occorre
dunque che '
l
Sarsi
assottigli
altrimenti
cotali
vapori
per
iscusar
la
mancanza
di
refrazzione
, e molto meno che per tal
rispetto
gli
rimuova
del tutto. In questo medesimo
errore
sono
incorsi
alcuni, mentre si sono
persuasi
di poter
mostrare
, la
sostanza
celeste
non
differir
dalla
prossima
elementare
, né potersi
dare
quella
moltiplicità
d'
orbi
,
avvenga
che, quando ciò
fusse
, gran
diversità
caderebbe
negli
apparenti
luoghi
delle
stelle
mediante le
refrazzioni
fatte in tanti
diafani
differenti
: il qual
discorso
è
vano
, perché la
grandezza
di essi
orbi
, quando ben tutti
fussero
diafani
tra loro
diversissimi
, non
permetterebbe
alcuna
refrazzione
agli
occhi
nostri, come
riposti
nell'istesso
centro
di essi
orbi
.
23. Or
passiamo
al
terzo
argomento
. "
Asserit
præterea
Galilæus
,
cometæ
materiam
non
differre
a
materia
illorum
corpusculorum
quæ circa
Solem
certa
conversione
moventur
, ac
vulgo
solares
maculæ
nominantur
. Non
abnuo
;
quin
illud etiam
addo
, eo
tempore
quo
visus
est
cometa
nullam
per
mensem
integrum
in
Sole
maculam
inspectam
,
perque
raro
postea in eodem
sordes
huiusmodi
observatas
; ut non
immerito
poëtarum
aliquis
hinc
arripere
occasionem
ludendi
possit
, per eos
forte
dies
Solem
solito
diligentius
os
lucidissimum
aqua
proluisse
, cuius per
cælum
dispersis
loturæ
reliquiis
cometam
ipse
conformaverit
,
miratusque
sit postea
clarius
multo
sordes
suas
fulgere
quam
stellas
. Sed quid ego etiam nunc
poëticas
consector
nugas
? Ad me
redeo
. Sit ergo eadem
cometæ
et
solarium
, ut ita
loquar
,
variolarum
materia
: cum
igitur
hæc,
cometam
paritura
,
recto
ac
perpendiculari
sursum
semper
feraturmotu
, quid illud postea est quod eam circa
Solem
in
orbem
agit
,
cogitque
perpetuo
, dum
Solis
vultum
maculis
illis
deturpat
,
eamdem
in
partem
per
lineas
eclipticæ
parallelas
circumvolvi
? Si enim
levium
natura
est
sursum
tantummodo
ferri
, quid ergo
vapor
unus atque idem modo
recta
sursum
agitur
, modo in
orbem
certis
adeo
legibus
rotatur
? Ac si
forte
quis
dixerit
, hunc quidem vi sua
summa
semper
rectissimo
cursu
petere
, at, ubi
propius
ad
Solem
accesserit
, eius
nutibus
obsequentem
eo
moveri
, quo
regia
domini
virtus
annuerit
,
mirabor
profecto
, dum
reliqua
corpora
, eadem
materia
constantia
,
avide
adeo
Solem
complectuntur
, unum
cometam
,
proximum
Soli
natum
, illud
votis
omnibus
optasse
, ut a
Sole
abesset
quam
longissime
,
maluisseque
gelidos
inter
Triones
obscuro
loco
extingui
, quam, cum
posset
,
Solis
inter
radios
Soli
ipsi,
obiectu
corporis
sui,
tenebras
offundere
. Sed hæc
physica
potius sunt quam
mathematica
."
Séguita
il
Sarsi
, come altra
volta
di sopra
notai
, d'
andarsi
formando
conclusioni
di suo
arbitrio
ed
attribuirle
al
signor
Mario
ed a me, per
confutarle
ed in questa
guisa
farci
autori
d'
opinioni
assurde
e
false
. Il
signor
Mario
per
essemplificare
come non è
impossibile
che
materie
tenui
e
sottili
si
sollevino
assai da
Terra
,
disse
di quella
boreale
aurora
; ma il
Sarsi
volse
ch'egli
intendesse
anco, questa medesima esser la
materia
della
cometa
. Quindi a poco, non
contento
di questo, avendo egli stesso
opinione
che la
reflession
del
lume
non si potesse fare in altre
impressioni
meteorologiche
fuor
che nell'
umide
ed
acquose
,
attribuì
al
signor
Mario
ed a me che noi
fussimo
quelli che
affermassimo
che
vapori
acquosi
e
gravi
salissero
in
cielo
a
formar
la
cometa
.
Ora
vuol che noi abbiamo
affermato
, la
materia
della
cometa
esser la medesima che quella delle
macchie
solari
,
nominate
solamente dal
signor
Mario
per
dichiarar
com'egli
stima
che per entro la
sostanza
celeste
si possano
muovere
,
generare
e
dissolvere
alcune
materie
, ma non mai per
affermar
, di queste
prodursi
la
cometa
. Di qui
comprenda
meglio
V.
S.
Illustrissima
come la
protestazion
, ch'io
feci
di sopra, del non
dire
che la
cometa
si
figurasse
in un
grandissimo
caraffone
unto
, non fu
ridicola
né
fuor
di
proposito
.
Io non ho mai
affermato
, la
cometa
e le
macchie
solari
esser dell'
istessa
materia
; ma mi
fo
intender
ben
ora
, che quando io non
temessi
d'
incontrar
più
gagliarde
opposizioni
che le
prodotte
in questo
luogo
dal
Sarsi
, io non mi
spaventerei
punto
ad
affermarlo
ed a
poterlo
anco
sostenere
. Egli
mette
una gran
repugnanza
nel
potere
essere
ch'una
materia
sottile
vada
rettamente
verso il
corpo
solare
, e che,
quivi
giunta
, sia poi
portata
in
giro
: ma perché non
perdona
egli questo
assunto
al
signor
Mario
, ed ad
Aristotile
sì ed a tutta la sua
setta
, i quali fanno
ascendere
il
fuoco
rettamente
sino all'
orbe
lunare
, e
quivi
poi
cangiare
il suo
moto
retto
in
circolare
? E come fa il
Sarsi
a
sostenere
per
impossibil
cosa, che un
legno
caschi
da
alto
perpendicolarmente
in un
fiume
rapido
, e che
giunto
nell'
acqua
cominci
subito ad esser
portato
in
giro
intorno all'
orbe
terrestre
? Più
valida
sarebbe
veramente
l'altra
instanza
mossa
da lui, cioè com'esser possa che,
bramando
tutte l'altre
materie
consorti
della
cometa
d'
andare
avidamente
ad
abbracciare
il
Sole
, ella
sola
l'abbia
fuggito
,
ritirandosi
verso
settentrione
. Questa
difficoltà
, com'io
dico
,
stringerebbe
, se egli medesimo non l'avesse poco di sopra
sciolta
, quando, nel far che
Apollo
si
lavi
il
viso
e poi
getti
via
la
lavatura
, della quale si
generi
la
cometa
, e non ci avesse
dichiarato
di
tenere
opinione
che la
materia
delle
macchie
si
parta
dal
Sole
e non vi
concorra
.
24.
Sentiamo
ora
il
quarto
argomento
. "
Venio
nunc ad
opticas
rationes
, quibus
longe
probatur
efficacius
,
cometam
nunquam
vanum
spectrum
fuisse
, neque
larvatum
unquam
nocturnas
inter
tenebras
ambulasse
; sed uno se omnibus
loco
unum
eumdemque
,
vultu
quo semper fuit,
spectandum
præbuisse
.
Quæcunque
enim ea sunt quæ per
refractionem
luminis
appareant
verius
quam sint, ut
iris
,
corona
aliaque
huiusmodi, ea semper
lege
producuntur
, ut
luminosum
corpus
, ex cuius
existunt
lumine
,
quocunque
illud
sese
converterit
,
sequaci
obsequentique
motu
consequantur
. Ita
iris
IHL
, quæ,
Sole
existente
in
horizonte
A,
verticem
sui
semicirculi
habet
in
H
, si
Sol
intelligatur
elevari
ex A usque ad D ,
descendet
ipsa ex
opposita
parte
, et
verticem
sui
arcus
H
ad
horizontem
inclinabit
; et quo
altius
Sol
elevabitur
, eo
magis
iridis
vertex
H
deprimetur
: ex quo
patet
,
eamdem
semper in
partem
iridem
moveri
, in quam
Sol
ipse
fertur
. Idem
observari
potest in
areis
,
coronis
et
pareliis
: hæc siquidem omnia, cum
luminosum
, a quo
fiunt
, certo
intervallo
coronent
, ad illius etiam
motum
in
eamdem
semper
partem
feruntur
. Idem etiam
apertissime
deprehenditur
in
imagine
luminosa
quam
Sol
, ad
occasum
flectens
, in
superficie
maris
ac
fluminum
formare
solet
: hæc enim, quo
magis
a nobis
Sol
removetur
, eo etiam
abscedit
magis
, donec, illo
occumbente
,
evanescat
. Sit enim
superficies
maris
visa
BI
,
insensibiliter
a
plana
superficie
differens
; sit
oculus
in
litore
positus
in A,
Sol
primum
in
F
;
ducantur
ad D
radii
FD
, DA,
facientes
angulos
ADB
,
FDE
incidentiæ
et
reflexionis
æquales
in D;
videbitur
ergo
lumen
Solis
in D.
Descendat
iam idem
Sol
ad
G
, atque, eadem
ratione
qua prius,
ducantur
a
Sole
G
atque ab
oculo
A
duæ
lineæ
,
facientes
cum
recta
BE
angulos
incidentiæ
et
reflexionis
æquales
:
hæ
coincident
in
puncto
E, et non alio, ut est
manifestum
;
lumen
ergo
Solis
apparebit
in E: et propter
eamdem
causam
,
Sole
magis
adhuc
depresso
in
H
,
lumen
apparebit
in I.
Contrarium
vero
accidit
quotiescumque
idem
lumen
a
Sole
oriente
in
aquis
producitur
: tunc enim
sicuti
Sol
magis
ad
verticem
nostrum
accedit
, ita et
lumen
spectanti
fit
propius
: prius enim,
verbi
gratia
,
apparebit
in I,
secundo
in E,
tertio
in D. Ex quibus
quilibet
intelligat
, in eam semper
partem
isthæc
apparentia
moveri
, in quam
luminosa
ipsa, a quibus
producuntur
,
feruntur
. Cum ergo ex
Solis
lumine
cometa
sine
controversia
producatur
,
Solis
etiam
motum
sequi
debuit
; quod si non
præstitit
, inter
apparentia
lumina
numerandus
non erit.
Aio
igitur
, in
cometa
nihil unquam tale
observatum
fuisse
. Cum enim
primo
quo
visus
est
die
, hoc est 29
Novembris
,
Sol
in
gradu
Sagittarii
6,
m.
43
reperiretur
, atque ad
Capricornum
etiam tunc
tenderet
,
necessario
singulis
sequentibus
diebus
usque ad 22
Decembris
in quocumque
verticali
depressior
fieri
debuit
; et si
motus
hic
attendatur
,
Sol
ab
æquatore
magis
et
magis
in
austrum
movebatur
; quare si de
genere
refractorum
luminum
aut
repercussorum
fuit
cometa
, in
austrum
etiam
ferri
debuit
; a quo tamen
motu
tantum
abfuit
, ut in
septentrionem
potius
tendere
voluerit
; ut
fortasse
vel ex hoc
suam
Galilæo
testaretur
libertatem
,
doceretque
nihil se
amplius
a
Sole
habuisse
, quam
homines
habeant
in eiusdem
Solis
luce
ambulantes
et, quo sua illos
libido
impulerit
,
libere
contendentes
. Quod si quis
forte
hoc
loco
aliam aliquam
reflexionis
refractionisve
regulam
a
superioribus
diversam
invexerit
, quam
cometis
tribuendam
,
nescio
qua
occulta
prærogativa
,
existimet
; illud
saltem
statuendum
est, ut, quam semel
admiserit
motus
regulam
,
servet
postea
exacte
. Sit
igitur
, quando hoc aliquis
vult
, ut
libet
.
Fuerit
cometarum
, non
Solis
motu
moveri
, sed
contrario
; ut proinde dum hic in
austrum
tenderet
, illi in
septentrionem
aufugerent
:
debuerant
ergo
iidem
illi,
Sole
ad
septentrionem
redeunte
, in
austrum
contra, propter
eamdem
rationem
,
moveri
. Cum ergo a
die
22
Decembris
, hoc est a
solstitio
brumali
, in
septentrionem
iterum
Sol
regrederetur
,
debuit
noster
cometa
in
austrum
contra, unde
discesserat
,
remeare
: hic tamen
constantissime
eumdem
semper
motus
tenorem
in
septentrionem
servavit
: ex quo
satis
constare
potest,
nullam
cum
Solis
motu
cognationem
habuisse
incessum
cometæ
, cum, sive in hanc sive in illam
partem
moveretur
Sol
, eadem ille, qua
primum
cœperat
,
semita
progrederetur
."
Qual sia
stato
il
momento
de'
passati
tre
argomenti
, si è
veduto
sin qui; il quale
credo
che anco l'istesso
Sarsi
non abbia
reputato
molto, per esser
discorsi
fisici
, onde egli stesso
nomina
e
stima
i
seguenti
,
presi
dalle
dimostrazioni
ottiche
, di gran
lunga
più
concludenti
e più
efficaci
de'
passati
:
indizio
manifesto
di non aver avuto l'
intera
sua
soddisfazzione
in quei
progressi
naturali
. Ma
avvertisca
bene
al
caso
suo, e
consideri
che per uno che
voglia
persuader
cosa, se non
falsa
, almeno assai
dubbiosa
, di gran
vantaggio
è il potersi
servire
d'
argomenti
probabili
, di
conghietture
, d'
essempi
, di
verisimili
ed anco di
sofismi
,
fortificandosi
appresso e ben
trincerandosi
con
testi
chiari
, con
autorità
d'altri
filosofi
, di
naturalisti
, di
rettorici
e d'
istorici
: ma quel
ridursi
alla
severità
di
geometriche
dimostrazioni
è troppo
pericoloso
cimento
per chi non le
sa
ben
maneggiare
; imperocché, sì come ex
parte
rei
non si
dà
mezo
tra il
vero
e '
l
falso
, così nelle
dimostrazioni
necessarie
o
indubitabilmente
si
conclude
o
inescusabilmente
si
paralogiza
, senza
lasciarsi
campo
di poter con
limitazioni
, con
distinzioni
, con
istorcimenti
di
parole
o con altre
girandole
sostenersi
più in
piede
, ma è
forza
in
brevi
parole
ed al
primo
assalto
restare
o
Cesare
o niente. Questa
geometrica
strettezza
farà ch'io con
brevità
e con
minor
tedio
di
V.
S.
Illustrissima
mi potrò dalle
seguenti
prove
distrigare
; le quali io
chiamerò
ottiche
o
geometriche
più per
secondare
il
Sarsi
, che perché io ci
ritrovi
dentro, dalle
figure
in poi, molta
prospettiva
o
geometria
.
È, come
V.
S.
Illustrissima
vede
, l'
intenzion
del
Sarsi
, in questo
quarto
argomento
, di
concludere
che la
cometa
non sia del
genere
de'
simulacri
solamente
apparenti
,
cagionati
da
reflessione
e da
refrazzione
de'
raggi
solari
, per la
relazione
ch'ella
osserva
e
ritiene
verso il
Sole
,
diversa
da quella ch'
osservano
e
ritengon
quelle che noi
sappiamo
certo esser
pure
apparenze
, quali sono l'
iride
, l'
alone
, i
parelii
, le
reflessioni
del
mare
: le quali tutte,
dic
'egli, al
movimento
del
Sole
si
vanno
esse ancora
movendo
, con
tenor
tale che la
mutazion
loro è sempre verso la medesima
parte
che quella del
Sole
; ma nella
cometa
è
accaduto
il
contrario
; adunque ella non è un'
illusione
. Qui, ancorché assai
competente
risposta
fusse
il
dire
che non si
vede
necessità
veruna per la quale la
cometa
debba
seguitar
lo
stile
dell'
iride
o dell'
alone
o dell'altre
nominate
illusioni
, poi che ella è
differente
dall'
iride
, dall'
alone
e dall'altre; tuttavia io voglio
conceder
qualche cosa di più dell'
obbligo
, purché il
Sarsi
nel
resto
non
voglia
aver più
privilegio
di me, sì che alcun modo d'
argomentare
che per lui
dovesse
esser
concludente
, per me poi avesse da esser
reputato
inutile
. Per tanto io
domando
al
Sarsi
, s'ei
reputa
l'
argomento
preso
dalla
contrarietà
dello
stile
osservato
dalla
cometa
e da i
puri
simulacri
, in
contrariar
quella, ed in
secondar
questi, il
moto
del
Sole
, sia
necessariamente
concludente
o no? S'ei
risponde
di no, già tutto il suo
progresso
è
vano
, né io più vi
aggiungo
parola
: ma se ei
risponde
di sì,
giusta
cosa sarà che altrettanto
vaglia
per me, per
concluder
che la
cometa
sia un'
illusione
, il
dimostrar
io ch'ella
osservi
lo
stile
d'alcun
vano
simulacro
, in quel che
appartiene
al
secondare
o
contrariare
al
moto
del
Sole
. Ma per
trovare
tal
simulacro
non
occorre
né anco che io mi
parta
da uno
prodotto
dall'istesso
Sarsi
per
opportunissimo
a
manifestamente
farci
conoscere
, il
progresso
della
cometa
esser
contrario
a quello d'esso
simulacro
; il quale però a me
pare
non
contrario
, ma il medesimo a
capello
.
Prenda
dunque
V.
S.
Illustrissima
la sua
terza
figura
, nella quale ei fa
parallelo
della
cometa
con la
reflession
del
Sole
fatta nella
superficie
del
mare
; dove, quando il
Sole
sia in
H
, il suo
simulacro
vien
veduto
dall'
occhio
A
secondo
la
linea
AI; e quando il
Sole
sarà in
G
, si
vedrà
il
simulacro
per la
linea
AE
; ed essendo in
F
, il
simulacro
apparirà
nella
linea
AD.
Resta
ora
che
veggiamo
, mentre che il
Sole
ci
apparisce
essersi
mosso
in
cielo
per l'
arco
HGF
, per qual verso ci
apparisca
essersi
mosso
parimente
il suo
simulacro
rispetto
al
cielo
, dove il
Sarsi
osservò
il
moto
della
cometa
e del
Sole
: per lo che bisogna
continuar
l'
arco
FGHLMN
, e
prolungar
le
linee
AI,
AE
, AD in
L
,
M
, N, e poi
dire
: Quando il
Sol
era
in
H
, il suo
simulacro
si
vedeva
per la
linea
AI, che in
cielo
risponde
nel
punto
L
; e quando il
Sole
venne in
G
, il suo
simulacro
si
vedeva
per la
linea
AE
, ed
appariva
in
M
; e finalmente,
giunto
il
Sole
in
F
, il suo
simulacro
apparse
in N. Adunque,
movendosi
il
Sole
da
H
verso
F
, il suo
simulacro
apparisce
muoversi
da
L
in N: ma questo,
signor
Sarsi
, è
apparir
muoversi
al
contrario
del
Sole
, e non pel medesimo verso, come avete
creduto
o più
tosto
voluto
dare
a
creder
voi.
Io,
Illustrissimo
Signore
,
dico
così, perché non mi posso
persuadere
com'egli avesse avuto a
equivocare
in cosa tanto
manifesta
. Oltre che si
vede
anco, che nel
dichiararsi
usa
certe
maniere
di
dire
assai
improprie
e non
consuete
, solo per
accommodare
al suo
bisogno
quello ch'
accommodar
non vi si può, perché non è nulla:
verbigrazia
, ei
vede
che
passando
il
Sole
da
H
in
G
, e da
G
in
F
, la sua
immagine
viene da I in E, e da E in D, il qual
progresso
IED
è un
vero
e
realissimo
avvicinarsi
e
muoversi
verso l'
occhio
A; e perché il
bisogno
del
Sarsi
è di poter
dir
che l'
immagine
ed il
Sole
si
muovano
pel medesimo verso, ei si
risolve
liberamente
a
dire
che '
l
moto
del
Sole
per l'
arco
HGF
sia un
avvicinarsi
al
punto
A, e che l'
andar
verso il
vertice
sia il medesimo che
andar
verso il
centro
. È, di più,
forza
ch'ei
dissimuli
di non s'
accorgere
d'un altro più
grave
assurdo
, che gli
verrebbe
addosso
quand'ei volesse
sostenere
che il
simulacro
secondasse
il
movimento
dell'
oggetto
reale
; perché, quando questo
fusse
,
bisognerebbe
di
necessità
che
parimente
, pel
converso
, l'
oggetto
secondasse
il
simulacro
; dal che
vegga
V.
S.
Illustrissima
quel che ne
seguirebbe
.
Tirisi
dal
termine
del
diametro
O la
linea
retta
OR,
cadente
fuor
del
cerchio
e colla
BO
contenente
qualsivoglia
angolo
, e si
prolunghino
sino ad essa le
DF
,
EG
,
IH
ne i
punti
R
,
Q
,
P
: è
manifesto
che quando l'
oggetto
reale
si
fusse
mosso
per la
linea
PQR
, il
simulacro
sarebbe venuto per la
IED
, e perché questo è uno
avvicinarsi
e
muoversi
verso l'
occhio
A, e quel che fa il
simulacro
lo fa ancora (per
detto
del
Sarsi
) l'
oggetto
, adunque l'
oggetto
,
movendosi
dal
termine
P
in
R
, si è venuto
avvicinando
al
punto
A; ma egli si è
discostato
; ecco, dunque, l'
assurdo
manifesto
.
Notisi
di più, che quanto il
Sarsi
va
considerando
in questo
luogo
accader
tra l'
oggetto
reale
e la sua
immagine
, è
preso
come se la
materia
in cui si
deve
formare
il
simulacro
resti
sempre
immobile
, e solo si
muova
l'
oggetto
; ché quando s'
intendesse
muoversi
detta
materia
ancora, altre ed altre
conseguenze
ne
seguirebbono
circa l'
apparenze
del
simulacro
: e però da quel che
aggiunge
il
Sarsi
, del non esser
ritornata
indietro
la
cometa
al
ritorno
del
Sole
, non se ne
inferirà
mai nulla, se prima non si
determina
dello
stato
o del
movimento
della
materia
in cui la
cometa
si
produsse
.
25.
Passo
al
quinto
argomento
. "Præterea, si de
apparentium
simulacrorum
numero
cometa
fuit,
debuit
ad
certum
ac
determinatum
angulum
spectari
; quod in
iride
,
area
,
corona
aliisque huiusmodi
accidit
:
meminisse
autem hoc
loco
debet
Galilæus
, se
affirmasse
satis
amplum
cæli
spatium
huiusmodi
vaporibus
occupatum
: quod si ita est,
aio
circularem
vel
circuli
segmentum
apparere
cometam
debuisse
. Sic enim
argumentari
libet
. Quæcumque sub uno certo ac
determinato
angulo
conspiciuntur
, ibi
videntur
ubi
certus
ille ac
determinatus
angulus
constituitur
; sed
pluribus
in
locis
, in
circulari
linea
positis
,
determinatus
hic et
certus
cometæ
angulus
constituitur
; ergo
pluribus
in
locis
, in
linea
circulari
dispositis
,
cometa
videbitur
.
Maior
certissima
est, neque
ullius
probationis
indigens
.
Minorem
sic
probo
. Sit
Sol
infra
horizontem
in I,
locus
vaporis
fumidi
circa A,
cometa
vero
ipse se se,
verbi
gratia
,
spectandum
ostendat
in A,
posito
oculo
in D;
occupet
autem
vapor
idem et alias
partes
circa A
constitutas
, quod
Galilæus
ultro
concedit
.
Intelligatur
iam
ducta
linea
recta
per
centrum
Solis
I et per
centrum
visus
D; ex
punctis
vero
I et D ad
locum
cometæ
A
concurrant
radii
IA
, DA,
constituentes
triangulum
IAD
: erit ergo
angulus
IAD
ille
certus
et
determinatus
sub quo ad nos
cometæ
species
remittitur
.
Concipiamus
iam circa
axem
IDH
triangulum
IAD
moveri
; tunc
vertex
illius A
describet
segmentum
circuli
, in quo semper
radii
Solis
,
IA
directus
et AD
reflexus
,
angulum
eundem
IAD
efficient
: cum autem in hac
verticis
A
circumductione
multæ
ab illo
circumfusi
vaporis
partes
attingantur
, in
iis
omnibus
fiet
determinatus
ille ac
certus
angulus
, ad quem
cometa
necessario
consequitur
: in
toto
ergo
circuli
segmento
BAC
, quod
vaporem
attingit
,
cometa
comparebit
; eadem prorsus
ratione
, qua in
roridis
nubibus
irides
et
coronas
fieri
contingit
aut
circulares
aut
circulorum
segmenta
. Cum ergo nihil tale in
cometa
observatum
fuerit
, non erit proinde in
apparentium
simulacrorum
numero
collocandus
, cum nulla in
re
hic illis se
similem
præbeat
."
Séguita
, anzi pur
cresce
, in me la
meraviglia
nata
dal
veder
quanto
frequentemente
il
Sarsi
vada
dissimulando
di
vedere
le
cose
ch'egli ha dinanzi agli
occhi
, con
speranza
forse che la sua
dissimulazione
abbia negli altri a
partorire
non una
simulata
, ma una
vera
cecità
. Ei vuole nel
presente
suo
argomento
provar
che quando la
cometa
fusse
una
nuda
apparenza
, ella
dovrebbe
dimostrarsi
in
figura
di
cerchio
o di
parte
di
cerchio
, perché così
avviene
dell'
iride
, dell'
alone
, della
corona
e dell'altre
varie
immagini
: il che non
so
com'ei possa
affermare
,
sendosi
cento
volte
ricordata
la
reflession
nel
mare
dell'
immagine
solare
, e quelle
proiezzioni
dall'
aperture
delle
nuvole
, le quali
compariscono
strisce
dritte
e
similissime
alla
cometa
. Ma forse ei si
persuade
che senz'altre
avvertenze
la
dimostrazione
ottica
, ch'ei n'
arreca
,
concluda
nella
cometa
necessariamente
la sua
intenzione
; del che però io
grandemente
dubito
, e
parmi
, s'io non m'
inganno
, che '
l
suo
progresso
sia
mutilo
, e che gli
manchi
una
parte
principalissima
del
dato
(che sarebbe gran
difetto
in
logica
); e questa è la
disposizion
locale
, in
relazione
all'
occhio
, della
superficie
di quella
materia
nella quale si ha a far la
reflessione
, la qual
disposizione
non
vien
messa
in
considerazion
dal
Sarsi
: di che non
saperei
addur
più
modesta
scusa
, che il non l'avere egli
avvertito
; ché quando ei l'avesse
conosciuto
, ma
dissimulato
per
mantenere
il
lettore
nell'
ignoranza
, mi
parrebbe
mancamento
assai più
grave
. La
considerazion
poi di
cotal
disposizione
opera
il tutto: imperocché la
dimostrazion
del
Sarsi
non
concluderà
mai, se non quando la
superficie
del
vapore
intorno al
punto
A della sua
figura
sarà
opposta
all'
occhio
D
direttamente
, sì che l'
asse
IDH
caschi
perpendicolarmente
sopra il
piano
nel quale essa
superficie
si
distendesse
; perché allora, nel
girare
il
triangolo
IDA
intorno all'
asse
IH
, il
punto
A
anderebbe
terminando
continuamente
in essa
superficie
e
descrivendovi
una
circonferenza
di
cerchio
: ché quando la
superficie
detta
fusse
esposta
all'
occhio
obliquamente
, l'
angolo
A non la
toccherebbe
se non in un
sol
punto
, e nel
girar
del
triangolo
il medesimo
angolo
A o
penetrerebbe
oltre ad essa
superficie
, o non v'
arriverebbe
. Ed in
somma
, a voler che la
cometa
apparisse
circolare
,
bisognerebbe
che la
superficie
dov'ella si
genera
fusse
piana
ed
esposta
direttamente
alla
linea
che
passa
per li
centri
dell'
occhio
e del
Sole
; la qual
costituzione
non può mai
accadere
se non nella
diametrale
opposizione
o
vero
nella
linear
congiunzione
de'
vapori
e del
Sole
: e però l'
iride
si
vede
sempre
opposta
, l'
alone
o la
corona
sempre
congiunti
al
Sole
, onde
appariscono
circolari
; ma delle
comete
non
so
che se ne
sien
mai
vedute
né in
opposizione
né in
congiunzione
al
Sole
. Se al
Sarsi
, nello
scrivere
la sua
dimostrazione
,
fusse
una
volta
passato
per la
fantasia
di
chiamar
quella
materia
ch'ei si
figura
intorno al
punto
A, non
vapori
, ma
acqua
del
mare
, ei si sarebbe
accorto
che '
l
suo
argomento
avrebbe nel modo stesso e coll'
istesse
parole
concluso
che la
reflessione
nel
mare
di
necessità
si
deve
distender
per
linea
circolare
; dal che poi mercé del
senso
, che
mostra
il
contrario
, avrebbe
scoperta
la
fallacia
del suo
sillogismo
.
26. Or
sentiamo
l'
argomento
sesto
. "Sed
placet
ex ipsius etiam
Galilæi
verbis
hoc idem
confirmare
.
Ait
enim ipse, quod etiam
fortasse
verissimum
est,
spectra
huiusmodi et
vana
simulacra
eam in
parallaxi
legem
servare
, quam
servat
luminosum
illud
corpus
a quo
proveniunt
; ita, si qua illorum
Lunæ
effecta
fuerint
, hæc
parem
cum
Luna
parallaxim
pati
; quæ
vero
a
Sole
fiunt
,
eamdem
cum
Sole
aspectus
diversitatem
sortiri
. Præterea, dum adversus
Aristotelem
disputat
et
argumentum
ex
parallaxi
ductum
assumit
, hæc
habet
: "Denique
cometam
ignem
esse, ac
sublunarem
asserere
, omnino
impossibile
est; cum
obstet
parallaxis
exiguitas
, tot
insignium
astronomorum
solertissima
inquisitione
observata
." Ex quibus ita
rem
conficio
.
Auctore
Galilæo
, quæcumque
mere
apparentia
a
Sole
producuntur
, illam
eamdem
patiuntur
parallaxim
quam
patitur
Sol
; sed
cometa
non
passus
est
eamdem
parallaxim
quam
Sol
patitur
: ergo
cometa
non est
apparens
quid a
Sole
productum
. Si quis autem de
minori
huius
argumenti
propositione
ambigat
,
Tychonis
observationes
cum
observationibus
aliorum
conferat
, dum
agunt
de
cometa
anni
1577
: ipse certe
Tycho
ex suis
observationibus
illud
tandem
deducit
,
demonstratam
nimirum
distantiam
cometæ
a
centro
Terræ
die
13
Novembris
fuisse
semidiametrorum
eiusdem
Terræ
211
tantum, cum
Sol
ab eodem
centro
ponatur
distare
semidiametris
saltem
1150
,
Luna
vero
semidiametris
60. De hoc
vero
nostro, si quis eas
observationes
inter se
contulerit
quas in
Disputatione
ab uno ex
Patribus
habita
edidit
in
lucem
Magister
meus,
satis
illi inde
constabit
huius
propositionis
veritas
; nam
fere
semper
longe
maiorem
cometæ
parallaxim
inveniet
, quam
Solis
. Neque
observationes
huiusmodi
Galilæo
suspectæ
esse nunc
possunt
, cum
easdem
summorum
astronomorum
opera
exquisitissime
ad
astronomiæ
calculos
castigatas
testatus
sit."
Che il
signor
Mario
ed io abbiamo mai
scritto
o
detto
che i
simulacri
prodotti
dal
Sole
ritengano
la medesima
paralasse
che quello (come il
Sarsi
in questo
luogo
afferma
per
fondamento
del suo
sillogismo
), è del tutto
falso
; anzi il
signor
Mario
, dopo aver
nominati
e
considerati
molti di tali
simulacri
,
soggiugne
così: "E
avvenga
che de'
sopranominati
simulacri
in alcuni la
paralasse
sia nulla, ed in altri
operi
molto
diversamente
da quello ch'ella fa negli
oggetti
reali
." Non si
trova
nella
scrittura
del
signor
Mario
ch'egli
affermi
, la
paralasse
esser l'
istessa
che quella del
Sole
o della
Luna
, se non nell'
alone
; negli altri, ed anco nell'
istessa
iride
,
vien
posta
diversa
.
Falsa
dunque è la prima
proposizion
del
sillogismo
. Or
veggiamo
quanto sia
vera
la
seconda
e quanto
concludente
,
posto
anco che la
paralasse
di tutti i
simulacri
vani
dovesse
essere
eguale
a quella del
Sole
.
Vuole il
Sarsi
, e coll'
autorità
di
Ticone
e con quella del suo
Maestro
,
provare
(e così è in
obligo
di fare) che la
paralasse
osservata
nelle
comete
sia maggiore di quella del
Sole
: ma si
astiene
poi di
produrre
l'
osservazioni
particolari
di
Ticone
e di molti altri
astronomi
di
nome
, fatte circa la
paralasse
della
cometa
; e ciò fa egli perché il
lettore
non
vegga
come quelle sono tra di loro
differentissime
. E qualunque
elle
si sieno, o sono
giuste
, o sono
errate
: se
giuste
, sì che a loro si
debba
prestare
intera
fede
, bisogna
necessariamente
concludere
, o che la medesima
cometa
fusse
nell'istesso
tempo
e sotto il
Sole
e sopra ed anco nel
firmamento
, o
vero
che, per non
essere
ella un
oggetto
fisso
e
reale
, ma
vago
e
vano
, non
soggiace
alle
leggi
dei
fissi
e
reali
: ma se tali
osservazioni
sono
errate
,
mancano
d'
autorità
, né per esse si può
determinar
cosa veruna; e l'istesso
Ticone
tra tante
diversità
andò
eleggendo
, come se
fussero
più certe, quelle che più
servivano
alla sua
determinazione
fatta innanzi, di voler
assegnar
luogo
alla
cometa
tra il
Sole
e
Venere
. Quanto poi all'altre
osservazioni
prodotte
dal suo
Maestro
, sono tanto fra sé
differenti
, ch'egli medesimo le
determina
inette
a
potere
stabilire
il
luogo
della
cometa
,
dicendo
quelle esser state fatte con
istrumenti
non
esatti
e senza la
necessaria
considerazion
dell'
ore
e della
refrazzione
e d'altre
circostanze
; per lo che egli stesso non
obliga
altrui a
prestargli
molta
fede
, ma si
riduce
ad una
sola
osservazione
, la quale, non
ricercando
strumento
alcuno, ma potendo colla
semplice
vista
farsi
esattissimamente
, egli l'
antepone
a tutte l'altre: e questa fu la
puntual
congiunzione
del
capo
della
cometa
con una
stella
fissa
, la qual
congiunzione
fu
vista
nel medesimo
tempo
da
luoghi
tra di sé molto
distanti
. Ma,
signor
Sarsi
, se così è
seguito
, questo è del tutto
contrario
al
bisogno
vostro, poi che di qui si
raccoglie
, la
paralasse
essere
stata nulla, mentre che voi
producete
questa
autorità
per
confermar
la vostra
proposizione
, che dice tal
paralasse
esser maggiore che quella del
Sole
. Or
vedete
come gli stessi
autori
chiamati
da voi
testificano
contro alla
causa
vostra.
A quello poi che voi
dite
, che noi stessi abbiamo
confessato
, l'
osservazioni
degli
astronomi
grandi
essere
state fatte
esattissimamente
, vi
rispondo
che se voi
meglio
considererete
il dove e '
l
quando sono state
chiamate
tali,
comprenderete
che
esatte
si potevano
dire
quando
elle
fussero
state anco assai più
differenti
tra loro di quello che state sono. Furon
chiamate
esatte
e
sufficienti
a
confutar
l'
opinione
di
Aristotile
, mentr'egli voleva che la
cometa
fusse
oggetto
reale
e
vicinissimo
alla
Terra
. E non
sapete
che il vostro
Maestro
stesso
dimostra
che il solo
intervallo
tra
Roma
ed
Anversa
in un
oggetto
reale
che
fusse
anco sopra la
suprema
region
dell'
aria
, può
cagionar
paralasse
maggiore di 50, di 60, di 100 ed anco di 140
gradi
? E se questo è, non si potranno
elleno
chiamar
osservazioni
esatte
e
potenti
quelle che, essendo tutte
minori
d'un
grado
solo,
differiscono
tra di loro di pochi
minuti
?
27. Or
legga
V.
S.
Illustrissima
l'
ultimo
argumento
. "Denique neque illud
omittendum
, quod vel unum,
homini
veritatis
potius
investigandæ
quam
altercandi
cupido
,
satis
id quod
agimus
persuadere
possit
.
Experimur
enim
quotidie
, ea omnia quibus certa ac
stabilis
species
non est, sed
vana
colorum
ac
lucis
imagine
hominum
illudunt
oculis
,
angustissimis
vitæ
spatiis
finiri
,
brevissimo
etiam
temporis
intervallo
varias
sese
in
formas
mutare
; modo
extingui
, modo iterum
accendi
; nunc
pallescere
, nunc
ardentiori
luce
micare
;
partes
illorum nunc
interrumpi
, nunc iterum
coalescere
;
nunquam
denique eadem
diu
specie
apparere
: quæ omnia si cum
cometæ
stabili
motu
aspectuque
conferantur
,
ostendent
quanta demum inter illum atque huiusmodi
vanas
imagines
morum
ac
naturæ
discordia
sit. Quare si nihil
plane
reperias
in quo se illis
cometa
similem
probet
,
cur
non potius
nullam
cum
iisdem
naturæ
affinitatem
aut
cognationem
habere
dixeris
?
Dixerunt
enimvero
philosophorum
antiquissimi
atque
optimi
,
dixerunt
recentiorum
eruditissimi
; unus nunc
Galilæus
illis
repugnat
; at
Galilæo
, nisi
fallor
,
repugnare
veritas
videtur
."
Il qual
argomento
egli
stima
tanto, che gli
par
ch'esso solo possa esser
bastante
a
persuader
l'
intento
suo: tuttavia io non ci
scorgo
efficacia
che mi
persuada
, mentr'io
considero
che, nel
produr
questi
vani
simulacri
, v'
interviene
il
Sole
com'
efficiente
, e le
nuvole
e
vapori
o altre
cose
come
materia
; e perché l'
efficiente
è
perpetuo
, quando non
mancasse
dalla
materia
, e l'
iride
e l'
alone
ed i
parelii
e tutte l'altre
apparenze
sarebbono
perpetue
; la breve, dunque, o
lunga
durazione
dalla
stabilità
e
posizion
della
materia
si
deve
attendere
. Or qual
ragione
ci
dissuade
, poter esser sopra le
regioni
elementari
alcuna
materia
di più
lunga
durazione
delle
nubi
, della
caligine
, della
pioggia
cadente
in
minute
stille
, o d'altre
materie
elementari
, sì che la
reflessione
o
refrazzion
del
Sole
fatta in quelle ci si
mostri
più
lungamente
dell'
iride
, de'
parelii
, dell'
alone
? Ma senza
partirsi
da' nostri
elementi
, l'
aurora
, ch'è una
refrazzion
de'
raggi
solari
nella
region
vaporosa
, e le
reflessioni
nella
superficie
del
mare
non son
elleno
apparenze
perpetue
, sì che se il
riguardante
, il
Sole
, i
vapori
e la
superficie
del
mare
stessero
sempre nella medesima
disposizione
,
perpetuamente
si
vederebbe
l'
aurora
e la
striscia
splendida
nell'
acqua
? In oltre, dalla
minore
o maggior
durazione
poco
concludentemente
s'
inferisce
un'
essenzial
differenza
; anzi delle
comete
stesse, senza
cercar
altre
materie
, se ne son
vedute
alcune
durare
90 e più
giorni
, ed altre
dissolversi
il
quarto
ed anco il
terzo
. E perché si è
osservato
, le più
diuturne
mostrarsi
, anco nel lor
primo
apparire
, assai maggiori dell'altre, chi
sa
che non ve ne sieno, ed anco
frequentemente
, di quelle che
durino
non solamente pochi
giorni
, ma anco non molte
ore
, ma che per la lor
piccolezza
non vengano
facilmente
osservate
? E per
concluderla
, che nel
luogo
dove si
formano
le
comete
vi sia
materia
atta
nata
a
conservarsi
più della
nuvola
e della
caligine
elementare
, l'
istesse
comete
ce n'
assicurano
,
producendosi
di
materia
o in
materia
non
celeste
ed
eterna
, né anco che
necessariamente
in
brevissimi
tempi
si
dissolva
, sì che il
dubbio
resta
ancora, se quello che si
produce
in
detta
materia
sia una
pura
e
semplice
reflession
di
lume
, ed in
conseguenza
uno
apparente
simulacro
, o
pure
se sia altra cosa
fissa
e
reale
. E per tanto niuna cosa
conclude
l'
argomento
del
signor
Sarsi
, né
concluderà
, s'egli prima non
dimostra
che la
materia
cometaria
non sia
atta
a
reflettere
o
rifrangere
il
lume
solare
, perché, quanto all'esser
atta
a
durar
molti
giorni
, la
durazion
delle medesime
comete
ce ne
rende
più che certi.
28. Or
passiamo
alla
seconda
questione
di questo
secondo
essame
. "
Venio
nunc ad
motum
: quem
rectum
fuisse
Galilæus
asserit
, ego tamen
diserte
nego
. Ea
primum
ratio
hoc mihi
persuadet
ut
faciam
, quam ipse
solvere
vel
nescire
se vel non
audere
,
ingenue
profitetur
: illa enim
ratio
adeo
aperta
est,
adeoque
ad hunc
motum
dissuadendum
efficax
, ut, cum
forte
id
maxime
vellet
,
dissimulare
tamen eam non
potuerit
. "Si enim" (
verba
eius sunt) "
solus
hic
motus
cometæ
tribuatur
,
explicari
non potest, qui
factum
sit ut non ad
verticem
solum
magis
ac
magis
accesserit
, sed
ulterius
ad
polum
usque
pervenerit
: quare vel
præclarum
hoc
inventum
abiiciendum
, quod sane
haud
sciam
, vel
motus
alius
addendus
, quod non
ausim
." Ubi
mirandum
sane est,
hominem
apertum
ac
minime
meticulosum
repentino
adeo
timore
corripi
, ut
conceptum
sermonem
proferre
non
audeat
. Ego
vero
non
is
sum, qui
divinare
norim
. "
E qui, prima ch'io
proceda
più avanti, non posso far ch'io non mi
risenta
alquanto col
Sarsi
della non
punto
meritata
imputazione
ch'egli m'
attribuisce
di
dissimulatore
, essendo
cotal
nota
lontanissima
dalla
profession
mia, la qual è di
liberamente
confessare
, come sempre ho
fatto
, di
ritrovarmi
abbagliato
e quasi del tutto
cieco
nel
penetrare
i
secreti
di
natura
, ma ben d'esser
desiderosissimo
di
conseguir
qualche
piccola
cognizione
d'alcuno di essi, alla quale
intenzione
niun'altra cosa è più
contraria
che la
finzione
o
dissimulazione
. Il
signor
Mario
nella sua
scrittura
mai non ha
finto
cosa alcuna, né ha avuto di
mestieri
di
fingerla
, poi che, quanto egli di
nuovo
ha
proposto
, l'ha
portato
sempre
dubitativamente
e
conghietturalmente
, né ha
cercato
di fare ad altri
tener
per certo e
sicuro
quello ch'egli ed io per
dubbio
, ed al più per
probabile
, abbiamo
arrecato
ed
esposto
alla
considerazion
de' più
intelligenti
di noi, per
trarne
,
co
'
l
loro
aiuto
, o la
confermazione
di alcuna
conclusion
vera
, o la
totale
esclusion
delle
false
. Ma se la
scrittura
del
signor
Mario
è
schietta
e
sincera
, ben altrettanto è
piena
di
simulazioni
la vostra,
signor
Lottario
; poi che, per farvi
strada
alle
oppugnazioni
, delle 10
volte
le 9
fingete
di non
intendere
quel che ha
scritto
il
signor
Mario
, e
dandogli
sensi
molto
lontani
dall'
intenzion
di quello, e
spesso
aggiungendovi
o
levandone
,
preparate
ad
arbitrio
vostro la
materia
, onde il
lettore
,
prestando
fede
a quanto voi
producete
poi in
contrario
,
resti
in
concetto
che noi abbiamo
scritte
gran
semplicità
, e che voi
acutamente
l'avete
scoperte
e
ributtate
: il che sin qui si è da me
osservato
, e nel
restante
s'
osserverà
non meno.
Ma venendo al
fatto
, qual
cagione
vi
muove
a
scrivere
che noi abbiamo
sommamente
voluto, ma non potuto
dissimulare
che
movendosi
la
cometa
di
semplice
moto
retto
,
fusse
necessario
ch'ella
andasse
sempre verso il
vertice
, né da quello
declinasse
già mai? Chi ha
fatto
avvertito
voi di tal
conseguenza
, altri che l'istesso
signor
Mario
che la
scrive
? la quale al
sicuro
a voi avrebbe egli potuto
dissimulare
, e voi, per vostra
benignità
,
avereste
dissimulata
la sua
dissimulazione
. Ma che più? Voi stesso due
soli
versi
di sopra
scrivete
che io
ingenuamente
ho
confessato
di non
sapere
o non
ardir
di
sciorre
cotal
ragione
da me
prodotta
, ed accanto accanto
soggiungete
ch'io
massimamente
avrei voluto
dissimularla
: e qual
contradizzion
è questa, che uno
ingenuamente
porti
e
scriva
e
stampi
una
proposizione
, e sia il
primo
a
portarla
e
scriverla
e
stamparla
, e che voi poi
diciate
, lui aver
grandemente
desiderato
di
dissimularla
ed
asconderla
?
Veramente
,
signor
Lottario
, voi siete molto
bisognoso
che nel
lettore
sia una gran
semplicità
ed una
piccola
avvertenza
.
Or
veggiamo
se in questo
detto
, dove nulla si
trova
di nostra
simulazione
, ve ne
fusse
per
sorte
di quella del
Sarsi
. E certo in poche
parole
ve n'è più d'una. E prima, per
aprirsi
il
campo
a
dichiararmi
per tanto
ignorante
geometra
che non abbia
capito
quelle
conseguenze
che per lor
dimostrazione
non
ricercano
maggiore
scienza
che di alcune poche e
tritissime
proposizioni
del
primo
libro
degli
Elementi
, egli mi fa
dir
quello che già mai non s'è
detto
né
scritto
; e mentre noi
diciamo
, che se la
cometa
si
movesse
di
moto
retto
, ci
apparirebbe
muoversi
verso il
vertice
e
zenit
, esso vuole che noi abbiamo
detto
ch'ella,
movendosi
,
dovesse
arrivare
al
vertice
e
zenit
. Qui bisogna che il
Sarsi
confessi
, o di non avere
inteso
quel che vuol
dir
muoversi
verso un
luogo
,o d'aver voluto con
finzione
e
simulazione
attribuirci
una
falsità
. Il
primo
non
credo
che possa
essere
, perché così
verrebbe
anco a
stimare
che il
dir
navigare
verso il
polo
e
tirar
una
pietra
verso il
cielo
importasse
che la
nave
arrivasse
al
polo
e la
pietra
in
cielo
: adunque
resta
ch'egli,
dissimulando
d'
intender
il
vero
scritto
da noi, ci
attribuisca
il
falso
per poter poi
attribuirci
le non
meritate
note
. Di più, non
sinceramente
riferisce
egli le
presenti
parole
del
signor
Mario
anco in un altro
particolare
; poi che dove quello dice, che o bisogna
rimuovere
il
moto
retto
attribuito
alla
cometa
, o
vero
,
ritenendolo
,
aggiungere
qualche altra
cagione
dell'
apparente
deviazione
, il
Sarsi
di suo
arbitrio
muta
le
parole
"qualche altra
cagione
" in "qualch'altro
moto
", per poter poi,
fuor
d'ogni mia
intenzione
,
tirarmi
nel
moto
della
Terra
, e qui
scriver
varie
girandole
e
vanità
.
Conclude
finalmente il
Sarsi
, non esser di quelli che
sanno
indovinare
; e
pure
assai
frequentemente
si
getta
al voler
penetrare
gl'
interni
sensi
altrui.
29. Or
segua
V.
S.
Illustrissima
. "
Quæro
igitur
, an
motus
hic alius, quo
belle
explicare
omnia
posset
nec eum
proferre
audet
,
vapori
huic
cometico
tribuendus
sit, an alii
cuipiam
, ad cuius postea
motum
moveri
, in
speciem
tantum,
videatur
cometa
. Non
primum
,
arbitror
; hoc enim esset
motum
illum
rectum
et
perpendicularem
destruere
: siquidem, si
vapor
ex
Terra
,
æquatori
,
verbi
gratia
,
subiecta
,
motu
perpendiculari
sursum
ascendat
, et
motu
alio idem ipse in
septentrionem
feratur
,
motus
hic
secundus
necessario
priorem
destruet
. Quod si
nihilominus
ad
septentrionem
moveri
,
saltem
in
speciem
,
videatur
, ad
alterius
alicuius
corporis
motum
id
consequi
dicendum
erit. Certe dum
Galilæus
ait
, eum
motum
qui
addendus
esset,
causam
tantummodo
futurum
apparentis
deviationis
cometæ
,
satis
aperte
innuit
,
motum
hunc in alio quam in
vapore
cometico
ponendum
esse, cum illum
apparenter
solum
ad
septentrionem
moveri
velit
. Quod si ita est, non
video
cuiusnam
corporis
hic
futurus
sit
motus
. Cum enim nulli
Galilæo
sint
cælestes
Ptolemæi
orbes
,
nihilque
, ex eiusdem
Galilæi
systemate
, in
cælo
solidi
inveniatur
, non
igitur
ad
motum
eorum
orbium
, quos nusquam
reperiri
existimat
,
cometam
moveri
putabit
.
Sed
audio
hic mihi
nescio
quem
tacite
ac
timide
in
aurem
insusurrantem
Terræ
motum
.
Apage
dissonum
veritati
ac
piis
auribus
asperum
verbum
.
Næ
, tu
caute
id
submissa
insusurrasti
voce
. Sed si ita
res
se
haberet
,
conclamata
esset
Galilæi
opinio
, quæ non alii quam huic
falso
inniteretur
fundamento
. Si enim
Terra
non
moveatur
,
motus
hic
rectus
cum
observationibus
cometæ
non
congruit
; sed
Terram
certum
est, apud
Catholicos
, non
moveri
; erit ergo
æque
certum
,
motum
hunc
rectum
cum
observationibus
cometicis
minime
concordare
, ac propterea
ineptum
ad
rem
nostram
iudicandum
. Neque id ego unquam
Galilæo
in
mentem
venisse
existimo
, quem
pium
semper ac
religiosum
novi
."
Qui, com'ella
vede
, si
va
il
Sarsi
affaticando
per
mostrar
, niun altro
moto
che si
attribuisca
o all'
istessa
cometa
o ad altro
corpo
mondano
, poter esser
atto
a
mantenere
il
movimento
per
linea
retta
introdotto
dal
signor
Mario
ed a
supplire
insieme
all'
apparente
deviazion
dal
vertice
: il qual
discorso
è tutto
superfluo
e
vano
,
atteso
che né il
signor
Mario
né io abbiamo mai
scritto
, la
cagion
di tal
deviazione
depender
da qualch'altro
moto
, né di
Terra
né di
cieli
né d'altro
corpo
. Il
Sarsi
di suo
capriccio
l'ha
introdotto
; egli stesso si
risponda
, né
pretenda
d'
obligar
altri a
sostener
quello che non ha
detto
, né
scritto
, né forse
pensato
, ancor per
confessione
dell'istesso
Sarsi
, il quale
apertamente
afferma
di non
creder
che mai mi sia
caduto
in
mente
d'
introdurre
il
movimento
della
Terra
per
salvar
tal
deviazione
, avendomi egli
conosciuto
sempre per
persona
pia
e
religiosa
. Ma s'è così, a che
proposito
l'avete voi
nominato
, ed a qual
fine
cercato
di
mostrarlo
inetto
a
cotal
bisogno
? Ma è
bene
che
passiamo
avanti.
30.
Segua
, dunque,
V.
S.
Illustrissima
di
leggere
. "
Verum
,
ni
fallor
, non
quilibet
cometæ
motus
Galilæum
torsit
,
coëgitque
aliquid aliud præterea
excogitare
quod
proferre
vel
nesciat
vel non
audeat
; sed
is
tantum, quo
ultra
nostrum
verticem
, seu
zenith
,
propius
ad
polum
accessit
. Si
igitur
ultra
verticem
cometa
progressus
non
fuisset
,
nil
erat quod de hoc alio
motu
cogitaret
. Hoc enim
ipsemet
verbis
illis
innuere
videtur
, quibus
ait
, "si nullus alius
ponatur
motus
quam
rectus
ac
perpendicularis
, tunc ad nostrum tantum
verticem
recta
cometam
ascensurum
, non tamen
progressurum
ulterius
".
Demus
igitur
,
nullum
unquam
cometam
verticem
nostrum
prætergressum
:
aio
tamen, ne sic quidem eius
cursum
explicari
posse
motu
hoc
recto
.
Sit enim
Terræ
globus
ABC
,
locus
ex quo
vapor
ascendit
sit
B
,
oculus
vero
spectantis
in A,
visusque
sit
primum
cometa
,
verbi
gratia
, in E, et
locus
eidem
respondens
in
cælo
sit
G
;
intelligatur
moveri
cometa
sursum
in
linea
BO
per
partes
æquales
EF
,
FM
,
MO
:
affirmo
,
quantumvis
vapor
ille per
lineam
DO
ascendat
, etiam in omni
æternitate
nunquam
ad
verticem
nostrum, ne
apparenter
quidem,
perventurum
.
Ducatur
enim
linea
AR
ipsi
BO
parallela
:
nunquam
tantus erit
cometæ
motus
apparens
, quantus est
arcus
GR
, et
nunquam
radius
visualis
coincidet
cum
linea
AR
. Cum enim semper
radius
visivus
concurrere
debeat
cum
recta
BO
, in qua
apparet
cometa
, cumque
radius
AR
sit
lineæ
BO
parallelus
, non
poterit
cum illa unquam
concurrere
, ex
definitione
parallelarum
: ergo
nunquam
radius
per quem
cometa
videtur
,
poterit
ad
R
pervenire
; et,
consequenter
,
motus
apparens
cometæ
non
solum
non
perveniet
ad nostrum
verticem
S
, sed neque ad
punctum
R
, quod
longissime
adhuc a
vertice
distat
.
Apparebit
enim
primo
in
G
,
secundo
in
F
,
tertio
in I, deinde in
L
, etc.; sed
nunquam
perveniet
ad
R.
"
Torna
il
Sarsi
, come
V.
S.
Illustrissima
vede
, ad
alterar
la
scrittura
del
signor
Mario
, volendo
pure
ch'egli abbia
scritto
, che il
moto
perpendicolare
alla
Terra
dovesse
condur
finalmente la
cometa
al
punto
verticale
; il che non si
trova
nel suo
libro
, ma sì
bene
che tal
moto
sarebbe verso il
vertice
: e ciò fa, per mio
parere
, il
Sarsi
per
pigliare
occasione
di
portarci
questa
geometrica
dimostrazione
,
fabbricata
sopra
fondamenti
non più
profondi
della
sola
intelligenza
della
diffinizione
delle
linee
parallele
; dalla quale
azzione
alcuno potrebbe
dedurre
forse una
conseguenza
non molto
insigne
pel
Sarsi
. Imperocché o egli
stima
questa sua
conclusione
e
dimostrazione
per cosa
ingegnosa
e da
persone
non
vulgari
, o
vero
per una
cosuccia
da
essere
anco
ritrovata
da'
fanciulli
: s'egli la
stima
per cosa
puerile
, poteva ben esser
sicuro
che né il
signor
Mario
ned
io siamo
costituiti
in sì
infelice
stato
di
cognizione
, che per
mancamento
di
cotal
notizia
avessimo ad
incorrere
in
errore
; ma se ei l'ha per cosa
sottile
e di
momento
, io non
saperei
come non far
giudicio
ch'ei
fusse
povero
affatto e
bisognoso
di
ritornar
sotto la
disciplina
del
Maestro
. È
vero
, dunque, che il
moto
perpendicolare
alla
superficie
terrestre
non
arriva
mai al
vertice
(eccetto però che quello che si
parte
dall'istesso
luogo
del
riguardante
, il che forse il
Sarsi
non ha
osservato
), ma è anco
vero
che noi non abbiamo
detto
mai ch'ei v'
arrivi
.
31. "Præterea, quoniam, ut
Galilæus
ipse
fatetur
,
cometæ
motus
in
principio
velocior
visus
est, et
paulatim
postea
remitti
,
videndum
est, in qua
proportione
hæc
motus
remissio
procedere
debeat
in hac
linea
recta
. Certe, si
Galilæi
figuram
expendamus
, quando
cometa
fuerit
in E,
apparebit
in
G
; cum
vero
,
paria
percurrens
spatia
EF
,
FM
,
MO
,
motum
suum
apparentem
in
punctis
F
, I,
L
ostendet
,
videbitur
motus
eius
decrescere
decrementis
maximis
; nam
arcus
FI
vix
est
medietas
ipsius
GF
, et IL ipsius
FI
, atque ita de
reliquis
:
debuit
ergo
cometæ
motus
apparens
in eadem
proportione
decrescere
.
Sciendum
autem est,
motum
cometæ
observatum
non in hac
proportione
decrevisse
, immo
primis
diebus
adeo
exiguum
ipsius
decrementum
fuisse
, ut non
facile
animadverteretur
. Cum enim in suo
exordio
tres
circiter
gradus
quotidie
percurreret
,
diebus
iam 20
elapsis
vix
quicquam de illa
priori
contentione
remisisse
visus
est. Immo, si in
iudicium
advocentur
cometæ
duo
Tychonici
annorum
1577
et
1585
, ex ipsorum
motibus
apertissime
colligemus
, quam
longe
abfuerint
ab
immani
hoc
decremento
. Si quis iam ex me
quærat
, quantus
tandem
futurus
sit
cometæ
motus
per
lineam
hanc
rectam
ascendentis
,
respondeo
: si
cometa
tunc
primum
appareat
, cum
vapor
ex quo
producitur
non
longe
abest
a
Luna
, quod
valde
probabile
est, et præterea
ponamus
locum
, ex quo in
Terræ
globo
fumus
ille
ascendit
,
distare
a nobis
gradibus
60,
respondeo
,
inquam
,
apparentem
cometæ
motum
toto
durationis
suæ
tempore
non
absoluturum
gradum
unum et
minuta
31.
Sit enim
Terræ
globus
ABC
,
Lunæ
concavum
GFH
,
distans
a
centro
D
Terræ
semidiametris
33, ex
Ptolemæo
;
Tycho
enim
duplam
fere
ponit
distantiam
, quod
magis
e
re
mea
foret
;
sitque
A
locus
ex quo
spectatur
cometa
,
B
vero
locus
ex quo
vapor
ascendit
.
Dico
, cum
visus
fuerit
cometa
in E,
futurum
angulum
DEA
gradus
1,
minuta
31; ac proinde, si
ducatur
AF
parallela
ipsi DE, erit etiam
angulus
FAE
gradus
1,
minuta
31, cum sit
alternus
ipsi
DAE
inter
easdem
parallelas
;
duæ
ergo
lineæ
AE
,
AF
intercipient
in
firmamento
arcum
gradus
1,
minuta
31. Sed ad
lineam
AF
,
parallelam
ipsi DE,
nunquam
perveniet
cometa
, ut
probavimus
superius
: ergo
nunquam
absolvet
motum
gradum
1,
minuta
31. Quod autem
angulus
DEA
futurus
sit in
concavo
Lunæ
gradus
1,
minuta
31,
probatur
. Quia, cum
cognitus
sit, ex
suppositione
,
angulus
EDA
graduum
60 in
triangulo
ADE
, et præterea
latus
AD
unius
Terræ
semidiametri
, et
latus
DE
semidiametrorum
33; si
fiat
, ut 34,
aggregatum
duorum
laterum
AD, DE, ad 32,
differentiam
eorumdem
laterum
, ita
173205
,
tangens
dimidii
summæ
reliquorum
duorum
angulorum
, hoc est
tangens
anguli
graduum
60, ad
quartum
numerum
,
invenietur
163016
,
tangens
anguli
graduum
58,
minutorum
29: qui,
detracti
ex
gradibus
60, hoc est ex
dimidio
duorum
reliquorum
angulorum
,
relinquent
angulum
DEA
quæsitum
gradus
1,
minutorum
31, ex
regulis
trigonometricis
."
Io
credetti
dalla
precedente
dimostrazion
del
Sarsi
, ch'ei potesse
essere
ch'egli avesse
veduto
, e forse
inteso
, il
primo
libro
degli
Elementi
della
geometria
; ma quello ch'egli
scrive
qui mi
mette
in gran
dubbio
s'egli abbia
prattica
veruna sopra le
cose
matematiche
, poi che dalla
figura
delineata
di sua
fantasia
da se medesimo, ei vuol
ritrarre
qual sia la
proporzion
della
diminuzion
dell'
apparente
velocità
del
moto
attribuito
dal
signor
Mario
alla
cometa
: dove, prima, egli
dimostra
di non avere
osservato
che in tutti i
libri
de'
matematici
niun
riguardo
si ha già mai delle
figure
, tutta
volta
che vi è la
scrittura
che
parla
; e che in
astronomia
, in
particolare
, si
tratterebbe
poco meno che dell'
impossibile
a voler
mantenere
nelle
figure
le
proporzioni
che
realmente
hanno tra di loro i
moti
, le
distanze
e le
grandezze
degli
orbi
celesti
, le quali
proporzioni
senza verun
pregiudicio
della
dottrina
si
alterano
sì
fattamente
, che quel
cerchio
o quell'
angolo
che
dovrebbe
esser mille
volte
maggiore d'un altro, non si fa né anco due o
ver
tre. Si
veda
anco il
secondo
errore
del
Sarsi
, ch'è ch'ei s'
immagina
che '
l
medesimo
movimento
debba
apparir
fatto
colle stesse
apparenti
inegualità
da tutti i
luoghi
ond'ei venga
osservato
ed in tutte le
distanze
o
altezze
dove il
mobile
si
ritrovi
: tuttavia la
verità
è, che
segnati
nel
moto
retto
perpendicolarmente
ascendente
molti
spazii
eguali
, i
movimenti
apparenti
,
verbigrazia
, di quattro
parti
vicine
a
Terra
importeranno
mutazioni
in
cielo
tra di sé molto più
disuguali
che quelli di quattro altre
parti
assai
lontane
; sì che finalmente in gran
lontananza
la
disugualità
che nelle
parti
basse
era
grandissima
, nell'altre
resterà
insensibile
. Così
parimente
in altra
proporzione
appariranno
fatti
i medesimi
ritardamenti
se il
riguardante
sarà vicino al
principio
della
linea
del
moto
, che s'egli ne sarà
lontano
. Tuttavia il
Sarsi
, perché nella
figura
trova
che gli
archi
GF
,
FI
, IL, che sono i
moti
apparenti
,
decrescono
grandemente
ed assai più che non si
scorse
nel
movimento
della
cometa
, si è
persuaso
che
simil
moto
in
conto
niuno possa a quella
adattarsi
; né ha
avvertito
come
cotali
decrementi
possano
apparir
meno e meno
disuguali
,
secondo
che l'
altezza
del
mobile
sarà
posta
maggiore. Egli pur
sa
che nelle
figure
né si
osserva
, né
importa
nulla il non
osservar
, le
debite
proporzioni
; della qual
notizia
egli medesimo ce ne
rende
certi nella sua
seguente
figura
, nella quale
prova
l'
angolo
DEA
esser solamente un
grado
e
mezo
, se
bene
in
disegno
è più di
gradi
15, ed il
semidiametro
del
concavo
lunare
DE appena è
triplo
del
semidiametro
terrestre
DB
, il qual tuttavia egli
nomina
33
volte
maggiore; sì che questo solo
era
bastante
a fargli
conoscere
quanto
grande
sia la
semplicità
di chi volesse
raccor
la
mente
d'un
geometra
dal
misurar
colle
seste
le sue
figure
.
Concludendo
dunque
dico
,
signor
Lottario
, che può star
benissimo
in un istesso
moto
retto
ed
uniforme
un'
apparente
diminuzione
e
grande
e
mezana
e
piccola
e
minima
ed
insensibile
ancora; e se voi vorrete
provare
che niuna di queste
corrisponda
al
moto
della
cometa
,
bisognerà
che facciate altra
fattura
che
misurar
le
dipinture
; e v'
assicuro
che
scrivendo
voi
cose
tali, non v'
acquisterete
l'
applauso
d'altri, che di chi, non
intendendo
né il
signor
Mario
né voi,
ripon
la
vittoria
nel più
loquace
e ch'è l'
ultimo
a
parlare
.
Ma
sentiamo
,
Illustrissimo
Signore
, quello che in
ultimo
il
Sarsi
produce
. Esso, per mio
credere
, vuol da questo ch'ei
soggiunge
, ch'è la
piccolezza
del
moto
apparente
,
provare
, il già più
volte
nominato
moto
retto
non
competere
in verun modo alla
cometa
(e
dico
di
creder
così, e non d'esserne
sicuro
, poi che l'istesso
autore
,
doppo
sue
dimostrazioni
e
calcoli
, non
raccoglie
conclusione
alcuna): e per ciò fare egli
suppone
, la
cometa
nel suo
primo
apparire
esser stata
lontana
dalla
superficie
della
Terra
32
semidiametri
terrestri
, e che il
riguardante
sia
situato
60
gradi
lontano
dal
punto
della
superficie
della
Terra
che
perpendicolarmente
risponde
sotto alla
linea
del
moto
d'essa
cometa
; e fatte tali due
supposizioni
,
dimostra
la
quantità
del
moto
apparente
potere
appena
arrivare
in
cielo
a un
grado
e
mezzo
; e qui
finisce
, senza
applicare
il
detto
a
proposito
alcuno o
raccorne
altra
conclusione
. Ma già che il
Sarsi
non l'ha
fatto
, ne
raccorrò
io due delle
conclusioni
: la prima sarà quella che l'istesso
Sarsi
vorrebbe che il
semplice
lettore
n'
inferisse
da per se stesso, e l'altra quella che per
vera
conseguenza
, e non per
inavvertenza
di
persone
semplici
, si
raccoglie
. Ecco la prima: "Dunque, o
lettore
, nel cui
orecchio
ancora
risuona
quello che di sopra è
stato
scritto
, cioè che il
moto
apparente
della nostra
cometa
valicò
in
cielo
molte e molte
decine
di
gradi
,
fa'
tu
ora
concetto
e
tieni
per
sicuro
che il
moto
retto
del
signor
Mario
in veruna
maniera
se gli
assesta
, per lo quale a gran
fatica
si può
valicare
un
sol
grado
e
mezo
." E questa è la
conseguenza
de'
semplici
. Ma chi
averà
fior
di
logica
naturale
,
congiungendo
le
premesse
del
Sarsi
colla
conclusione
da quelle
dependente
,
formerà
cotal
sillogismo
: "
Posto
che la
cometa
nel suo
apparire
fusse
stata
alta
32
semidiametri
terrestri
, e che il
riguardante
fusse
gradi
60
lontano
dalla
linea
del suo
moto
, la
quantità
del suo
moto
apparente
non poteva
eccedere
un
grado
e
mezo
; ma egli
eccedette
molte
decine
di
gradi
; (venga
ora
la
conseguenza
vera
) adunque nel
tempo
delle
prime
osservazioni
la nostra
cometa
non
era
in
altezza
da
Terra
di 32
semidiametri
, e l'
osservator
lontano
60
gradi
dalla
linea
del
moto
di quella." Il che
liberamente
si
conceda
al
Sarsi
, essendo una
conclusione
che
distrugge
i suoi medesimi
assunti
: ben che per un altro
rispetto
ancora il suo
sillogismo
resti
imperfetto
, né
punto
vaglia
contro al
signor
Mario
, il qual già
apertamente
ha
scritto
che un
semplice
moto
retto
non può
bastare
a
soddisfare
all'
apparente
mutazion
della
cometa
, ma vi bisogna
aggiunger
qualch'altra
cagione
della sua
deviazione
; la qual
condizione
,
tralasciata
dal
Sarsi
,
snerva
del tutto ogni sua
illazione
.
Ma
noto
, di più, un altro non
piccolo
errore
in
logica
in questo suo
discorso
. Vuole il
Sarsi
, dalla gran
mutazion
di
luogo
che fece la
cometa
provar
che '
l
moto
retto
del
signor
Mario
non gli poteva
competere
, perché la
mutazione
che
segue
a
cotal
moto
è
piccola
: e perché la
verità
è che a questo
moto
retto
ne possono
seguir
mutazioni
piccole
,
mediocri
ed anco
grandissime
,
secondo
che il
mobile
sarà più
alto
o più
basso
, ed il
riguardante
più
lontano
o meno dalla
linea
d'esso
moto
, il
Sarsi
, senza
domandar
all'
avversario
in qual
altezza
e in qual
lontananza
ei
ponga
il
mobile
e '
l
riguardante
,
ripone
l'uno e l'altro in
luoghi
accommodati
al suo
bisogno
e
sconci
per quel dell'
avversario
, e dice: "
Pongasi
che la
cometa
nel
principio
fusse
alta
32
semidiametri
, e l'
osservatore
lontano
60
gradi
." Ma,
signor
Lottario
mio, se l'
avversario
dirà
ch'ella non
era
tanto
lontana
a molte
migliaia
di
miglia
, e l'
osservatore
parimente
assai più vicino, che farete voi del vostro
sillogismo
? che ne
concluderete
? niente.
Bisognava
che noi, e non voi, avessimo
attribuito
alla
cometa
ed all'
osservatore
cotali
distanze
, ed allora ci avreste colle nostre proprie
armi
trafitti
; o se pur volevate
trafiggerci
colle vostre,
dovevate
prima
necessariamente
provare
, tali
essere
state in
fatto
le
lontananze
(il che non avete
fatto
), e non
arbitrariamente
fingervele
, ed
elegger
delle più
pregiudiciali
alla
causa
dell'
avversario
. Questo
particolare
solo mi fa
inclinare
un poco a
credere
che possa esser
vero
quello che sin qui non ho
creduto
già mai, cioè che possiate
essere
stato
scolare
di quello di chi voi vi
fate
,
avvenga
ch'egli ancora
caschi
, s'io non m'
inganno
, nell'
istessa
fallacia
, mentre vuol
dimostrar
falsa
l'
opinion
d'
Aristotile
e d'altri ch'
ànno
stimato
la
cometa
esser cosa
elementare
e dentro alla
regione
elementare
aver sua
residenza
: a i quali egli
oppone
, come
grandissimo
inconveniente
, la
smisurata
mole
ch'ella
dovrebbe
avere, e quanto
incredibil
cosa sarebbe che dalla
Terra
potesse
esserle
somministrato
pabulo
e
nutrimento
; per
dimostrarla
poi una
smisuratissima
machina
, la
costituisce
, senza
licenza
degli
avversari
, nella più
sublime
parte
della
sfera
elementare
, cioè nell'
istessa
concavità
dell'
orbe
lunare
, e di
quivi
, dall'
apparirci
ella quale la
veggiamo
,
va
calcolando
la sua
mole
dover
esser poco
manco
di
cinquecento
milioni
di
miglia
cubiche
(e
noti
il
lettore
che lo
spazio
d'un
sol
miglio
cubo
è tanto
grande
, che
capirebbe
più d'un
milion
di
navi
, che forse tante non se ne
trovano
al
mondo
),
machina
veramente
troppo
sconcia
e
disonesta
, e di troppo
grande
spesa
al
genere
umano
, che di
quaggiù
le avesse a
mandar
la
pietanza
per
cibarsi
e
nutrirsi
. Ma
Aristotile
e i suoi
aderenti
risponderanno
: "
Padre
mio, noi
diciamo
che la
cometa
è
elementare
, e che può esser ch'ella sia
lontana
dalla
terra
50 o 60
miglia
e forse
manco
, e non cento
ventun
mila
settecento
e quattro, come, solamente di vostra
semplice
autorità
, la
fate
voi; e per tanto il
corpo
suo non viene ad esser a mille
miglia
grande
quanto voi
credete
, né
insaziabile
o
impasturabile
"; e qui poi non ci è altro da fare per l'
oppugnatore
se non
istringersi
nelle
spalle
e
tacere
. Quando si ha da
convincer
l'
avversario
, bisogna
affrontarlo
colle sue più
favorevoli
, e non colle più
pregiudiciali
,
asserzioni
; altrimenti se gli
lascia
sempre da
ritirarsi
in
franchigia
,
lasciando
l'
inimico
come
attonito
ed
insensato
, e qual
restò
Ruggiero
allo
sparir
d'
Angelica
.
32. Or
sentiamo
quel che
segue
: e
legga
V.
S.
Illustrissima
questo
quarto
argomento
. "Iam
vero
quamvis
Terra
non
moveatur
, neque
tutum
homini
pio
sit id
asserere
, si quis tamen
scire
ex me
cupiat
, an per
motum
Terræ
possit
hic
cometæ
cursus
per
rectam
lineam
explicari
,
respondeo
: si nullus alius in
Terra
motus
concipiatur
præter
eum quem
Copernicus
excogitavit
, ne sic quidem
motu
hoc
recto
salvari
cometæ
phænomena
. Quamvis enim per
motum
Copernici
annuum
Sol
, ex ipsius
sententia
,
videatur
ab
æquatore
modo in
austrum
modo in
septentrionem
flectere
(quem tamen ipse
immobilem
existimat
),
quilibet
tamen horum
motuum
integro
semestri
completur
, et
brevi
illo
spatio
dierum
40, quo
ferme
cometa
comparuit
,
parum
admodum
Sol
moveri
visus
est, hoc est per
gradus
tres
, neque
multo
maior
, ex hoc
Terræ
motu
,
videri
potuit
cometæ
apparens
deviatio
; cui etiam si
addatur
totus ille
motus
qui ex
incessu
illo
recto
apparenter
oriretur
,
nunquam
motum
cometæ
observatum
exæquabit
."
Qui egli vuol
mostrare
che né anco
ponendosi
il
moto
della
Terra
, quale dal
Copernico
fu
assegnato
, si potrebbe
esplicare
e
sostenere
questo
moto
per
linea
retta
e quella
deviazion
dal
vertice
; perché, se
bene
al
moto
della
Terra
ne
conséguita
l'
apparente
declinazione
del
Sole
ora
verso
austro
ora
verso
borea
, tuttavia nello
spazio
di 140
giorni
, ne i quali si
osservò
la
cometa
, tal
declinazione
non
importò
più di
gradi
3, né molto maggior di tanto poteva
apparir
quella della
cometa
; sì che,
congiunta
questa con quel solo
grado
e
mezo
che poteva
importar
l'altra
dependente
dal proprio
moto
retto
, tuttavia noi
rimagniamo
assai
lontani
da quel
moto
grandissimo
che in lei si
vide
. Qui, non avendo noi
affermato
né
detto
che di tal
deviazione
apparente
ne sia
cagione
movimento
alcuno di qualch'altro
corpo
, e
men
di tutti del
corpo
terrestre
, il quale l'istesso
Sarsi
confessa
di
sapere
che noi
reputiamo
falso
,
chiaramente
apparisce
ch'egli l'ha
introdotto
di suo
capriccio
per farsi
adito
a
crescere
il suo
volume
; per lo che niuno
obligo
cade
in noi di
risposta
per
mantenimento
di quello che non abbiamo
prodotto
. Non però voglio
restar
di
dire
, ch'io
fortemente
dubito
che il
Sarsi
non abbia ancora
formatasi
perfetta
idea
de'
moti
attribuiti
alla
Terra
, né delle
varie
e
moltiplici
apparenze
che da quelli negli altri
corpi
mondani
scorger
si
dovrebbono
; già che io
veggo
ch'egli senza niuna
differenza
di
positura
, o sotto o fuori dell'
eclittica
, o dentro o fuori dell'
orbe
magno
, o di
meridionale
o
settentrionale
, o di vicino o
lontano
da essa
Terra
,
stima
che qual
deviazione
apparisce
nel
corpo
solare
,
collocato
nel
centro
di essa
eclittica
,
debba
ancor la medesima, o pochissimo
differente
,
scorgersi
in ogn'altro
visibile
oggetto
, in
qualsivoglia
luogo
del
mondo
collocato
; cosa ch'è
remotissima
dal
vero
, e non
repugna
che, mediante la
differente
postura
, quella
mutazione
che nel
Sole
apparisce
tre
gradi
, in altro
oggetto
possa
apparire
10, 20, 30. Ed in
conclusione
, se il
movimento
attribuito
alla
Terra
, il quale io, come
persona
pia
e
cattolica
,
reputo
falsissimo
e nullo, s'
accommoda
al
render
ragione
di tante e sì
diverse
apparenze
le quali s'
osservano
ne'
corpi
celesti
; io non m'
assicurerò
ch'egli, così
falso
, non possa anco
ingannevolmente
rispondere
all'
apparenze
delle
comete
, se il
Sarsi
non
discende
a più
distinte
considerazioni
di quelle che sin qui ha
prodotte
.
33.
Legga
ora
V.
S.
Illustrissima
il
quinto
argomento
. "Atque hæc quidem, si omnium,
quotquot
adhuc fuerunt,
cometarum
motus
æque
certus
ac
regularis
fuisset
: at si alios etiam in
quæstionem
vocemus
, quorum
motus
longe
diversus
ab his fuit,
multo
clarius
ex illis
constabit
,
possit
ne
cometis
motus
hic
rectus
præscribi
.
Adi
igitur
Cardanum
; hæc apud illum, ex
Pontano
,
leges
: "
Cometes
tenui
capite
comaque
admodum
brevi
a nobis
conspectus
est, qui
mox
,
miræ
magnitudinis
factus
, ab
ortu
in
septentrionem
cœpit
deflectere
, nunc
citato
motu
nunc
remisso
; et quoad
Mars
Saturnusque
regrederentur
, ipse
aversus
,
coma
progrediente
,
ferebatur
, donec ad
Arctos
pervenit
; unde, cum
primum
Saturnus
et
Mars
recto
cursu
pergere
cœperunt
, in
occasum
iter
flexit
tanta
celeritate
, ut
die
uno 30
gradus
emensus
sit; atque ubi ad
Arietem
et
Taurum
commeavit
,
videri
desiit
." Præterea apud
eumdem
, ex
Regiomontano
, hæc
habes
: "
Idibus
Ianuariis
anno
Domini
1475
visus
est nobis
cometa
sub
Libra
cum
stellis
Virginis
, cuius
caput
tardi
erat
motus
donec
propinquum
esset
Spicæ
; nunc
incedebat
per
crura
Bootis
versus
eius
sinistram
, a qua
discedendo
,
die
uno
naturali
,
portionem
circuli
magni
graduum
40
descripsit
, ubi, cum esset in
medio
Cancri
,
maxime
distabat
ab
orbe
signorum
gradibus
67; et tunc per
duos
polos
zodiaci
et
æquinoctialis
ibat
, usque ad
intermedia
pedum
Cephæi
, deinde per
pectus
Cassiopeiæ
super
Andromedæ
ventrem
; post,
gradiendo
per
longitudinem
Piscis
septentrionalis
, ubi
valde
remittebatur
motus
eius,
propinquabat
zodiaco
, etc." Quare in
principio
ac
fine
tardissimi
fuit
motus
, in
medio
vero
celerrimi
, quod
motui
isti per
lineam
rectam
apertissime
repugnat
; hic enim semper in
principio
velocior
est, postea
sensim
remittitur
; cui tamen adhuc
apertius
obstat
prior
cometa
Pontani
, in
principio
tardus
, in
fine
velocissimus
.
Audi
illum in
Meteoris
ita
concinentem
:
Nam
memini
quondam,
Icario
de
sidere
lapsum
squalentem
præferre
comam
,
tardoque
meatu
flectere
sub
gelidum
boreæ
penetrabilis
orbem
;
hinc
rursum
præferre
caput
,
cursuque
secundo
vertere
in
occasum
, ac
laxis
insistere
habenis
;
donec
Agenorei
sensit
fera
cornua
Tauri
.
In his
duobus
porro
cometis
difficilius
multo
motus
ille
rectus
explicari
potest; cum
hi
,
brevissimo
temporis
spatio
,
integrum
semicirculum
maximum
motu
suo
percurrerint
, cui
motui
explicando
perexiguo
futurus
est
adiumento
quicumque
Terræ
motus
. Neque hoc
loco
catalogum
cometarum
variorumque
illorum
motuum
texere
mei est
instituti
: si quis
vero
eos
adeat
qui de his
egerunt
, multa
inveniet
quæ cum
motu
hoc
recto
stare nulla
ratione
possunt
.
Satis
igitur
superque
de
cometæ
substantia
ac
motu
dictum
."
Qui col
produrre
il
Sarsi
altre
varie
mutazioni
fatte in altre
comete
e
descritte
da altri
autori
,
pensa
pur di
confermare
il suo
detto
. Ma quello che ho
scritto
di sopra
risponde
ancora a questo, né altro ci bisogna, se prima,
lasciando
il
Sarsi
le troppo
larghe
generalità
, non viene alle
particolari
considerazioni
de'
particolari
stati
d'esse
comete
, quanto all'
essere
alte
,
basse
,
australi
o
boreali
, ed
apparse
ne'
tempi
de'
solstizi
o degli
equinozzi
;
condizioni
tralasciate
da esso, e
necessarissime
in
cotali
decisioni
, com'egli stesso potrà
conoscere
qualunque
volta
con maggiore
attenzione
si
ridurrà
a questa
speculazione
.
34.
Passo
ora
all'
ultima
questione
del
presente
esame
: "
Reliqua
nunc est
cometæ
coma
seu
barba
, vel, si
mavis
,
cauda
, quæ sua illa
curvitate
non
parum
astronomis
negotii
facessit
: in qua tamen
explicanda
triumphare
plane
sibi
videtur
Galilæus
.
Verum
illud
primum
hoc
loco
ei
suggerere
habeo
, nihil esse quod
novum
hunc modum
comarum
explicandarum
sibi
adscribat
; nihil ipsum sua hac in
disputatione
protulisse
, quod
Keplerus
multo
ante non
viderit
, et
scriptis
planissime
consignarit
: nam dum
rationes
inquirit
,
cur
cometarum
caudæ
curvæ
aliquando
videantur
,
ait
id non ex
parallaxi
oriri
, quod alio etiam
loco
probat
, neque ex
refractione
, multa in hanc
sententiam
afferens
; ubi
tandem
ait
, hoc
phænomenon
inter
naturæ
arcana
relinquendum
. Hoc
igitur
præmissum
volui
,
quandoquidem
ipse
ait
, se
vidisse
neminem
qui hac de
re
scripserit
,
præter
Tychonem
. Hoc uno inter se
differunt
Keplerus
et
Galilæus
, quod hic
iis
rationibus
assentitur
, quas non tanti
ponderis
ille
existimavit
, ac propterea sub
iudice
litem
relinquendam
statuit
."
Troppo
veramente
si
dimostra
il
Sarsi
desideroso
di
spogliarmi
, anzi del tutto
denudarmi
, d'ogni ben che
lieve
ornamento
di
gloria
: e qui, non
contento
di
scoprire
, la
ragion
prodotta
per mia dal
signor
Mario
, onde
avvenga
che la
chioma
della
cometa
talora
ci
apparisca
piegarsi
in
arco
, esser
falsa
e non
concludente
,
aggiunge
, in quella non esser da me
arrecato
niente di
nuovo
, ma il tutto molto innanzi
essere
stato
scritto
e
publicato
, e poi come
falso
rifiutato
, da
Giovanni
Kepplero
; tal che nell'
animo
del
lettore
, qualunque
volta
egli si
fermasse
sopra la
relazion
del
Sarsi
, io
resterei
in
concetto
non solo d'
involator
delle
cose
altrui, ma di
ladruccio
dappoco
, che
andasse
raggranellando
sino alle
cose
rifiutate
. Ma chi
sa
che anco forse la
piccolezza
del
furto
non mi
renda
più
colpevole
, nel
concetto
del
Sarsi
, che s'io con maggiore
animo
mi
fussi
applicato
a
prede
maggiori? e se per
avventura
io, in
cambio
di
rubacchiar
qualche
cosarella
, mi
fussi
con maggior
generosità
messo
alla
cerca
di
libri
non così
noti
in queste nostre
parti
, ed
incontratone
alcuno di qualche
bravo
autore
avessi
tentato
di
sopprimere
il suo
nome
ed
attribuire
a me tutta l'
opera
intera
, forse
cotal
impresa
gli
saria
paruta
altrettanto
eroica
e
grande
, quanto l'altra
pusillanima
ed
abietta
. Ma io non son di tanto
cuore
, e
liberamente
confesso
la mia
codardia
. Ma s'io son
poveretto
e d'
ardire
e di
forze
, sono
almanco
da
bene
, né voglio,
signor
Lottario
,
immeritamente
restar
con questo
fregio
su '
l
viso
, ma voglio
liberamente
scrivere
e
palesare
il vostro
mancamento
, e non
penetrando
io da quale
affetto
possa esser
nato
,
lascerò
che voi stesso lo
specifichiate
poi nella vostra
scusa
.
Volse
già
Ticone
assegnar
la
causa
di
cotale
apparente
curvità
,
riducendola
ad alcune
proposizioni
dimostrate
da
Vitellione
; ma il
signor
Mario
mostrò
che quello non aveva
comprese
le
cose
scritte
da quell'
autore
, le quali sono
remotissime
dal
servire
al
proposito
di tal
piegatura
.
Soggiunse
l'istesso
signor
Mario
quella che a sé ed a me
era
paruta
la
vera
causa
e
dimostrativa
ragione
: si
leva
su il
Sarsi
, e volendo
confutarla
, e di più,
manifestarla
cosa del
Kepplero
,
cade
con
Ticone
nell'
istessa
fossa
, e si
dichiara
non avere
inteso
niente di quello che
scrivono
il
Kepplero
ed il
signor
Mario
, o almeno
dissimula
l'
intender
l'uno e l'altro, e vuole che ambedue
scrivano
l'
istessa
cosa, mentre
scrivono
cose
differentissime
. Il
Kepplero
vuol
render
ragione
della
curvità
come ch'essa
chioma
sia
realmente
, e non in
apparenza
solamente,
curva
; il
signor
Mario
la
suppone
realmente
diritta
, e
cerca
la
causa
della
piegatura
apparente
. Il
Kepplero
la
riduce
ad una
diversità
di
refrazzioni
de'
raggi
stessi
solari
, fatte nell'
istessa
materia
celeste
in cui si
forma
l'
istessa
chioma
, la qual
materia
, in quella
parte
solamente che
serve
alla
produzzion
della
chioma
, in altri ed altri
gradi
di
vicinità
all'
istessa
stella
sia più e più
densa
, sì che, facendo altre ed altre
refrazzioni
, dal
composto
finalmente di tutte ne
risulti
una
total
refrazzione
distesa
non
direttamente
, ma in
arco
; il
signor
Mario
introduce
una
refrazzione
fatta non da'
raggi
del
Sole
, ma dalla
spezie
dell'
istessa
cometa
, non nella
materia
celeste
aderente
al
capo
di quella, ma nella
sfera
vaporosa
che
circonda
la
Terra
: sì che l'
efficiente
, la
materia
, il
luogo
ed il modo di queste
produzzioni
sono
diversissimi
, né
ànno
altra
communicanza
tra di loro questi due
autori
, che questa
sola
parola
refrazzione
.Ecco le
parole
precise
del
Kepplero
: "Non
refractio
potest esse
causa
inflexionis
huius,
ni
nescio
quod
monstri
confingamus
,
materiam
ætheream
certis
gradibus
propinquitatis
ad hoc
sydus
magis
magisque
crassam
, nec nisi ex una
sola
parte
in quam
caudam
vergit
." Ah,
signor
Lottario
, è
possibile
che voi vi siate
lasciato
trasportar
tant'
oltre dal
desiderio
d'
oscurare
il mio
nome
, qual egli si sia in
materia
di
scienze
, che non solo non abbiate avuto
riguardo
alla
reputazion
mia, ma né anco a quella di tanti
amici
vostri? a' quali con
fallacie
e
simulazioni
avete
cercato
di far
credere
la vostra
dottrina
ferma
e
sincera
e con tal
mezo
avete
fatto
acquisto
del loro
applauso
e delle lor
lodi
, che
adesso
, se mai
accaderà
ch'essi
veggano
questa mia
scrittura
e per essa
comprendano
quante
volte
ed in quante
maniere
voi gli avete
voluti
trattar
da troppo
semplici
, ei si
terranno
scherniti
da voi, e la
stima
e la
grazia
vostra negli
animi
loro
muterà
stato
e
condizione
.
Differentissima
è dunque la
ragione
prodotta
e
rifiutata
poi dal
Kepplero
; il quale, come
persona
conosciuta
da me sempre per non
men
libera
e
sincera
che
intelligente
e
dotta
, son
sicuro
che ei
confesserebbe
, il nostro
detto
essere
in tutto
diverso
dal suo, e che come il suo
meritò
il
rifiuto
, questo
merita
l'
assenso
, perché è
vero
e
dimostrativo
, ben che il
Sarsi
s'
ingegni
di
confutarlo
.
35. Ma
sentiamo
la
forza
delle sue
confutazioni
. "Sed
videamus
iam, an ex
refractione
, quod
Galilæus
asserit
, huius
caudæ
curvitas
oriri
potuerit
. Neque enim eas
leges
illa
servasse
videtur
, quas
eidem
ipse
præscribit
; ut
nimirum
quoties
ad
horizontem
inclinaretur
eidemque
fere
incederet
parallela
ac
plures
verticales
intersecaret
, tunc
solum
curvaretur
, ubi
vero
ad
verticem
nostrum
spectaret
,
illico
dirigeretur
: nam
vix
tribus
quatuorve
diebus
suam
illam
primam
curvitatem
servavit
,
idque
sive
horizonti
proxima
sive ab eodem
remota
; postea
vero
declinare
quidem
visa
est ab ea
linea
quæ per
cometæ
caput
a
Sole
recta
duceretur
, sed
nullam
curvitatem
præ
se
tulit
, cum tamen
sæpissime
ductus
illæ
caudæ
ad
horizontem
inclinatus
compareret
. At si ita se
res
haberet
ut
Galilæus
asserit
,
longe
rectior
videri
debuisset
in ipso
exortu
, quam cum
altius
elevaretur
.
Sæpissime
enim ita ab
horizonte
ascendit
, ut tota in eodem
fere
verticali
existeret
; in
ascensu
vero
ipso
fiebat
ad
horizontem
inclinatior
, et
plures
verticales
intersecabat
; ut ex
globo
ipso
cognoscere
quivis
potest, si
observet
,
exempli
gratia
, in
globo
aliquo
cælesti
locum
cometæ
et
ductum
caudæ
respondentem
diei
20
Decembris
.
Transibat
enim tunc
coma
inter
duas
postremas
stellas
caudæ
Ursæ
Maioris
, ipsum
vero
cometæ
caput
distabat
ab
Arcturo
gradibus
25,
minutis
54, a
Corona
vero
gradibus
24,
minutis
23. Si
igitur
locus
cometæ
in
globo
inveniatur
et
ductus
caudæ
describatur
, in ipsa
globi
circumvolutione
apparebit
cauda
, ab
horizonte
emergens
, in uno
fere
verticali
;
mox
,
altius
provecta
,
fiet
ferme
horizonti
parallela
: et tamen hæc ne in hac quidem
positione
curvitatem
ullam
ostendit
."
Troppo
inefficace
maniera
di
confutare
una
dimostrazion
di
prospettiva
necessariamente
concludente
è questa del
Sarsi
, mentr'egli vuole che altri la
posponga
a sue
relazioni
, le quali possono
essere
alterate
e
francamente
accommodate
al suo
bisogno
; e
perdonimi
il
Sarsi
se io ho tal
sospetto
, poi ch'egli stesso
dà
tanto
frequentemente
occasione
di
sospender
la
credenza
delle
cose
ch'ei
produce
. E qual
fede
si
deve
prestare
alle
relazioni
d'uno circa
cose
già
passate
e che niente di loro più si
ritrova
né
vede
, mentre il medesimo,
parlando
di
cose
permanenti
,
presenti
,
publiche
e
stampate
, non s'
astiene
di
riferirne
delle dieci le nove
alterate
diversificate
ed in
somma
trasformate
in
senso
contrario
? Io
torno
a
dire
che la
dimostrazione
scritta
dal
signor
Mario
è
pura
,
geometrica
,
perfetta
e
necessaria
; questa
doveva
il
Sarsi
procurar
prima d'
intendere
perfettamente
, e poi, non gli
parendo
concludente
,
mostrar
la sua
fallacia
o nella
falsità
degli
assunti
o nel
progresso
della
dimostrazione
: del che egli non ha
fatto
niente o pochissimo. La nostra
dimostrazione
prova
che l'
oggetto
veduto
, essendo
disteso
per
linea
retta
e
costituito
fuori della
sfera
vaporosa
, vicino ed
inclinato
all'
orizonte
,
necessariamente
si
dimostra
incurvato
all'
occhio
posto
lontano
dal
centro
di essa
sfera
vaporosa
; ma se quello sarà
eretto
all'
orizonte
o molto sopra quello
elevato
, del tutto
diritto
o
insensibilmente
incurvato
ci si
rappresenterà
. La
presente
cometa
per quei
primi
giorni
che si
vide
bassa
ed
inclinata
, si
vide
anco
incurvata
; fatta poi
sublime
,
restò
diritta
, e tale si
mantenne
, perché sempre s'
andò
dimostrando
in
grande
elevazione
: la
cometa
del 77, la qual io
continuamente
vidi
, perché sempre si
mantenne
bassa
e molto
inclinata
, sempre si
vide
incurvata
notabilmente
: altre
minori
, che io ho
viste
altissime
, sempre sono state
dirittissime
: sì che l'
effetto
si
troverà
conformarsi
colla
conclusione
dimostrata
, qualunque
volta
d'esso si abbiano
veridiche
relazioni
. Ma
sentiamo
quanto il
Sarsi
oppone
alla nostra
dimostrazione
, e di quanto
momento
siano le sue
instanze
.
36. "Præterea non
video
, qui
fieri
possit
ut
adeo
secure
asseveret
Galilæus
,
vaporosam
regionem
ipsi
Terræ
sphærice
circumfundi
; cum tamen ipse huiusmodi
vapores
altius
alicubi
elevari
quam
alibi
,
constantissime
doceat
, dum
suam
de
motu
recto
sententiam
astruere
nititur
. Immo
vero
cometas
ipsos
non aliunde quam ex his ipsis
vaporibus
,
Terræ
umbrosum
conum
prætergressis
,
formatos
dictitat
. Quid ergo, si hic,
vapor
a
Terræ
superficie
tribus
absit
passuum
millibus
, ibi
vero
ultra
mille
leucas
protendatur
, an sic etiam
sphæræ
figuram
servabit
vaporosa
isthæc
regio
? Certe qui ad hanc
diem
sphæræ
rudimenta
tradiderunt
, ii
mediam
aëris
partem
, quæ
maxime
vaporibus
constat
(si quam tamen illa
certam
figuram
servat
),
sphæroidalem
potius seu
ovalem
esse, quam
rotundam
,
docent
, cum in
iis
partibus
, quæ
polis
subiectæ
sunt,
vapores
minus a
Sole
solvantur
,
eleventurque
proinde
altius
, quam in
iis
quæ
æquinoctiali
circulo
et
torridæ
zonæ
subiacent
, ubi a
calore
finitimi
Solis
facillime
dissolvuntur
. Si ergo
vaporosa
hæc
regio
sphærica
non est, nec
æquis
ubique
intervallis
a
Terra
removetur
, neque
æqualem
in omnibus
partibus
crassitiem
et
densitatem
servat
,
caudæ
curvitas
ex eiusdem
regionis
rotunditate
, quæ nusquam est,
existere
nunquam
poterit
.
Atque hæc de
Galilæi
sententia
, in
iis
quæ
cometam
immediate
spectant
,
dicta
sint.
Plura
enim
dici
vetat
ipsemet
, qui, in
bene
longa
disputatione
, quid
sentiret
paucis
admodum
atque
involutis
verbis
exposuit
,
nobisque
plura
in illum
afferendi
locum
præclusit
. Qui enim
refelleremus
quæ ipse nec
protulit
, neque nos
divinare
potuimus
? Ad
reliqua
nunc
accedamus
."
Alla
dimostrazione
, come
V.
S.
Illustrissima
vede
, viene
opposto
dal
Sarsi
l'
essere
ella
fabbricata
sopra un
fondamento
falso
, cioè che la
superficie
della
region
vaporosa
sia
sferica
, la quale egli in
diverse
maniere
prova
essere
altrimenti. E prima, egli dice che noi stessi
constantissimamente
affermiamo
, tali
vapori
elevarsi
più in un
luogo
che in un altro. Ma tal
proposizione
non si
trova
altrimenti nel
libro
del
signor
Mario
: v'è ben, che in alcun
tempo
è
accaduto
che alcuni
vapori
si
innalzino
più del
consueto
, ma ciò di
rado
e per
brevissimo
tempo
; onde, per tal
rispetto
, il
dire
che la
figura
della
region
vaporosa
non sia
rotonda
, è
detto
arbitrario
del
Sarsi
. Il qual
soggiunge
, appresso, l'altra
falsità
, cioè che noi abbiam
detto
che la
cometa
si
formi
di quelli stessi
vapori
che,
sormontando
il
cono
dell'
ombra
,
formano
quella
boreale
aurora
; cosa che non si
trova
nel
libro
del
signor
Mario
.
Aggiunge
nel
terzo
luogo
e dice: "Se
cotal
vapore
in un
luogo
s'
elevasse
tre
miglia
, ed in un altro mille
leghe
,
domin
'se anco in questo modo
riterrebbe
la
figura
sferica
?"
Signor
no,
signor
Sarsi
, e chi
dicesse
tal cosa sarebbe, per mio
avviso
, un gran
balordo
; ma io non
trovo
niuno che l'abbia mai né
detta
, né,
credo
, pur
sognata
.
Nominate
voi l'
autore
. A quello ch'ei
mette
nel
quarto
luogo
, cioè che quelli che
insegnano
i
primi
abbozzamenti
della
sfera
,
insegnano
la
figura
di tal
region
vaporosa
esser più
tosto
ovale
che
rotonda
,
rispondo
che il
Sarsi
non si
meravigli
s'egli ha
saputa
questa cosa, ed io no; perché la
verità
è che io non ho
imparato
astronomia
da questi
maestri
delle
prime
bozze
, ma da
Tolomeo
, il quale non mi
sovviene
che
scriva
questa
conclusione
. Ma finalmente, quando
fosse
vero
e certo,
cotal
figura
essere
ovale
, e non
rotonda
, che ne
cavereste
,
signor
Lottario
? niente altro se non che la
chioma
della
cometa
non
fusse
piegata
in
arco
di
cerchio
, ma di
linea
ovale
; la qual cosa, senza un
minimo
pregiudicio
della nostra
intenzione
e del nostro
metodo
per
dimostrar
la
causa
di tale
apparente
curvatura
, io vi posso
concedere
, ma non già quello che ne
vorreste
dedur
voi, mentre
concludete
così: "Se dunque questa
region
vaporosa
non è
sferica
, né per tutto
egualmente
lontana
dalla
Terra
, né in tutte le
parti
egualmente
grossa
(
proposizione
replicata
tre
volte
con
diverse
parole
, per
ispaventare
i
sempliciotti
), la
curvità
della
chioma
non può
derivar
da
cotal
rotondità
, la quale non è al
mondo
". Non ne
segue
,
dico
, in
buona
logica
questa
conclusione
, ma il più che ne possa
seguire
è che tal
curvità
non è
parte
di
cerchio
, ma di
linea
ovale
e questo sarebbe il vostro
infelice
e
miserabil
guadagno
, quando voi poteste aver per
sicurissimo
, la
region
vaporosa
essere
ovata
, e non
isferica
. Se poi in
fatto
tal
piegatura
sia in
figura
d'
arco
di
cerchio
, o d'
ellisse
, o di
linea
parabolica
, o
iperbolica
, o
spirale
, o altre, non
credo
ch'alcuno possa in verun modo
determinare
, essendo le
differenze
di
cotali
inclinazioni
, in un
arco
di due o tre
gradi
al più, del tutto
impercettibili
.
Mi
restano
da
considerare
l'
ultime
parole
, dalle quali
vo
raccogliendo
misticamente
varie
conseguenze
e
vani
sensi
interni
del
Sarsi
. E prima, assai
apertamente
si
comprende
ch'egli si
messe
intorno alla
scrittura
del
signor
Mario
non con
animo
indifferente
circa il
notarla
o
lodarla
, ma con
ferma
risoluzione
di
tassarla
ed
impugnarla
(come
notai
anco da
principio
); che però si
scusa
di non le aver
fatto
più
numerose
opposizioni
,
dicendo
: "E come
potev
'io
confutare
le
cose
ch'ei non ha
profferite
e ch'io non ho potute
indovinare
?", se ben la
verità
è tutta all'
opposito
, cioè ch'ei non ha
impugnato
altre
cose
, per lo più, che le non
profferite
dal
signor
Mario
e ch'egli s'è
messo
per
indovinarle
. Dice
insieme
, che il
signor
Mario
ha
scritto
con
parole
oscure
ed
inviluppate
, e che in una ben
lunga
disputazione
non si
comprende
qual sia
stato
il suo
senso
. A questo gli
rispondo
che il
signor
Mario
ha avuta
diversa
intenzione
da quella del
Maestro
del
Sarsi
. Questo, come si
raccoglie
dal
principio
della
scrittura
del
Sarsi
,
scrisse
al
vulgo
, e per
insegnargli
con suoi
responsi
quello che per se stesso non avrebbe potuto
penetrare
; ma il
signor
Mario
scrisse
a i più
dotti
di noi, e non per
insegnare
, ma per
imparare
, e però sempre
dubitativamente
propose
, e non mai
magistralmente
determinò
, ma si
rimise
alle
determinazioni
de' più
intelligenti
: e se la nostra
scrittura
pareva
così
oscura
al
Sarsi
,
doveva
, prima che
censurarla
,
farsela
dichiarare
, e non
mettersi
a
contradire
a quello ch'ei non
intendeva
, con
pericolo
di
restarne
a
bocca
rotta
. Ma s'io
devo
dir
liberamente
il mio
parere
, non
credo
veramente
che il
Sarsi
trapassi
senza
impugnare
la maggior
parte
delle
cose
scritte
dal
signor
Mario
perch'ei non l'abbia
benissimo
capite
, ma sì
bene
perché, per l'
opposito
,
elle
sien
troppo
apertamente
chiare
e
vere
, e ch'egli abbia
stimato
miglior
consiglio
il
dire
di non l'
intendere
, che contro a suo
gusto
prestar
loro
applauso
e
lode
.
Vengo
ora
al
terzo
essame
, dove il
Sarsi
in quattro
proposizioni
,
spezzatamente
cavate
di più di 100 che ne sono nel
Discorso
del
signor
Mario
, si
sforza
di farci
apparire
poco
intelligenti
: l'altre tutte, assai più
principali
di queste, le
chiude
egli sotto
silenzio
, e queste, o con
aggiungervi
o con
levarne
o con
torcerle
in altro
senso
da quello in che son
profferite
, le
va
accommodando
al suo
dente
.
37.
Vegga
ora
V.
S.
Illustrissima
. "Antequam ad
nonnullas
Galilæi
propositiones
accuratius
expendendas
, quod nunc
molior
,
accedam
, illud
testatum
omnibus
velim
, nihil hic minus
velle
me quam pro
Aristotelis
placitis
decertare
: sint ne
vera
an
falsa
magni
illius
viri
dicta
,
nil
moror
in
præsentia
; illud unum
interim
ago
, ut
ostendam
,
admotas
a
Galilæo
machinas
minus
firmas
ac
validas
fuisse
,
ictus
irritos
cecidisse
, atque, ut
apertissime
dicam
,
præcipuas
propositiones
quibus,
veluti
fundamentis
,
universa
disputationis
ipsius
moles
innititur
,
nonnullam
fortasse
veritatis
speciem
præseferre
,
illas
vero
si quis
diligentius
introspexerit
,
falsas
, ut
arbitror
,
deprehensurum
.
Dum
igitur
is
Aristotelis
sententiam
refutare
conatur
, illud inter
cætera
habet
, ad
cæli
lunaris
motum
circumferri
aërem
non posse; ex quo postea
consequitur
, neque per hunc
motum
accendi
, quod inde
deducebat
Aristoteles
. "Cum enim,
inquit
Galilæus
,
cælestibus
corporibus
figura
perfectissima
debeatur
,
dicendum
erit,
concavam
huius
cæli
superficiem
sphæricam
esse ac
politam
,
nullamque
admittere
asperitatem
:
politis
autem
lævibusque
corporibus
neque
aër
neque
ignis
adhærescit
; quare hæc neque ad
motum
illorum
movebuntur
." Quæ omnia
probat
argumento
ab
experientia
ducto
. "Si enim,
inquit
, circa suum
centrum
circumagatur
vas
aliquod
hemisphæricum
,
politum
ac
nullius
asperitatis
,
inclusus
aër
ad eius
motum
non
movebitur
; quod
persuadet
accensa
candela
internæ
superficiei
vasis
proxime
admota
, cuius
flamma
nullam
in
partem
ad
vasis
motum
se se
convertet
; at si
aër
ad
motum
vasis
raperetur
, secum etiam
flammam
illam
traheret
."
Hactenus
Galilæus
. In his
porro
quædam
reperias
quæ tamquam certa
assumuntur
, et certa non sunt; alia
vero
quæ etiam pro
certis
habentur
, et
falsa
comprobantur
.
Primum
enim,
dictum
illud quo
asserit
,
concavo
lunari
sphæricam
et
politam
figuram
deberi
, si quis
negarit
, qua
via
quave
ratione
contrarium
evincet
? Nam si
lævitas
atque
rotunditas
cælestibus
corporibus
debetur
, ideo
debetur
maxime
, ne
eorumdem
motus
impediatur
. Si enim
superficies
secundum
quas
sese
contingunt
orbes
illi,
asperitatem
aliquam
admitterent
,
asperitas
hæc procul
dubio
remoraretur
eorum
motum
. Præterea,
extima
summi
cæli
superficies
ideo
rotunditatem
requirit
, ex
Aristotele
, ne si
forte
angulis
constet
, ad eius
motum
vacuum
existat
. Hæc autem omnia
nullam
prorsus
vim
habent
in
re
nostra. Si enim
concava
hæc
lunaris
cæli
superficies
nec
rotunda
nec
lævis
sit, sed
aspera
et
tuberosa
, nihil
absurdi
consequitur
, cum eius
motui
obsistere
non
possit
corpus
illi
proximum
, sive
aër
sive
ignis
sit, neque
vacuum
ullum
sequatur
,
succedente
semper uno
corpore
in
alterius
locum
. Præterea, si hæc
asperitas
admittatur
,
longe
melius
servatur
corporum
omnium
mobilium
nexus
: sic enim ad
motum
cæli
moventur
superiora
elementa
, ex quorum
motu
multa
gigni
, multa
destrui
,
quotidie
videmus
.
Veram
, dum
Galilæus
nobilissimis
corporibus
rotundam
flguram
deberi
asserit
, numquid
homines
,
cælo
longe
nobiliores
, idcirco
teretes
atque
rotundos
optabit
? Quos tamen
quadratos
, ex
sapientum
oraculis
,
malumus
.
Dixerim
igitur
potius, eam
cuique
figuram
tribuendam
, quæ ad eiusdem
finem
consequendum
sit
aptissima
. Ex quo non
immerito
aliquis sic
inferat
: Cum ergo
Lunæ
concavum
inferiora
hæc
sublimioribus
illis
orbibus
nectere
quodammodo
ac
colligare
debeat
,
asperum
potius ac
tenax
, quam
politum
ac
læve
,
fabricandum
fuit."
Qui, senza
passar
più oltre, si
ritrovano
le
solite
arti
del
Sarsi
. E prima, non si
trova
nella
scrittura
del
signor
Mario
che noi abbiamo
detto
mai che a i
corpi
lisci
e
puliti
né l'
aria
né il
fuoco
aderiscano
e s'
attacchino
: il
Sarsi
ci
impone
questo
falso
di suo
capriccio
, per farsi
strada
a poter
dir
, poco di sotto, di certa
piastra
di
vetro
. Di più,
finge
il
Sarsi
di non s'
accorgere
che il
dir
noi che '
l
concavo
della
Luna
sia di
superficie
perfettissimamente
sferica
tersa
e
pulita
, non è perché tale sia la nostra
opinione
, ma perché così vuole
Aristotile
ed i suoi
seguaci
, contro al quale noi
argomentiamo
ad
hominem
: e
fingendo
di
trovar
nel
libro
del
signor
Mario
quello che non v'è,
simula
di non
vedere
quello che più
volte
e molto
apertamente
v'è
scritto
, cioè che noi non
ammettiamo
quella sin qui
ricevuta
moltiplicità
d'
orbi
solidi
, ma che
stimiamo
diffondersi
per gl'
immensi
campi
dell'
universo
una
sottilissima
sostanza
eterea
, per la quale i
corpi
solidi
mondani
vadano
con lor proprii
movimenti
vagando
. Ma che
dico
? pur
ora
mi
sovviene
ch'egli aveva ciò
veduto
e
notato
di sopra, a
car
. 34, dov'egli
scrive
: "Cum enim nulli
Galilæo
sint
cælestes
Ptolemæi
orbes
,
nihilque
, ex eiusdem
Galilæi
systemate
, in
cœlo
solidi
inveniatur
." Qui,
signor
Sarsi
, non potete voi mai
nasconder
di non avere
internamente
compreso
, che il
dir
noi che il
concavo
lunare
è
perfettamente
sferico
e
liscio
, sia
detto
non perché tale lo
crediamo
, ma perché tale lo
stimò
Aristotile
, contro al quale ad
hominem
noi
disputiamo
; perché se voi
creduto
aveste, ciò
essere
stato
detto
di propria nostra
sentenza
, non ci
avereste
mai
perdonata
una tanta
contradizzione
, di
negare
in tutto le
distinzioni
degli
orbi
e la
solidità
, e poi
ammettere
l'una e l'altra:
errore
di molto maggior
considerazione
, che tutte l'altre vostre
note
prese
insieme
.
Vanissimo
, dunque, è tutto il
restante
del vostro
progresso
, dove voi v'
andate
ingegnando
di
provare
, il
concavo
lunare
dover
più
tosto
esser
sinuoso
ed
aspro
, che
liscio
e
terso
: è,
dico
,
vano
, né m'
obliga
a veruna
risposta
. Tuttavia voglio che (come dice il gran
Poeta
)
Tra noi per
gentilezza
si
contenda
,
e
considerar
quanta sia l'
energia
delle vostre
prove
.
Voi
dite
,
signor
Sarsi
: "Se alcuno
negasse
che la
concava
superficie
lunare
sia
liscia
e
tersa
, in qual modo o con qual
ragione
si
proverebbe
in
contrario
?"
Soggiungete
poi, come per
prova
prodotta
dall'
avversario
, un
discorso
fabbricato
a vostro modo e di
facile
discioglimento
. Ma se l'
avversario
vi
rispondesse
, e
dicesse
: "
Signor
Lottario
,
posto
che gli
orbi
celesti
sieno di
materia
solida
e
distinta
da quella che dentro al
concavo
lunare
è
contenuta
, vi
dico
asseverantemente
,
doversi
di
necessità
dire
, tal
superficie
concava
esser
pulita
e
tersa
più di
qualsivoglia
specchio
: imperocché quando ella
fusse
sinuosa
, le
refrazzioni
delle
specie
visibili
delle
stelle
, nel venire a noi,
farebbono
continuamente
un'
infinità
di
stravaganze
, come
accade
a
punto
nel
riguardar
noi gli
oggetti
esterni
per una
finestra
vetriata
, nella quale sieno
vetri
altri
spianati
e
puliti
, ed altri non
lavorati
; ché, o perché gli
oggetti
si
muovano
, o perché noi
moviamo
la
vista
, le
specie
loro mentre
passano
per li
vetri
ben
lisci
niuna
alterazione
ricevono
, né quanto al
sito
né quanto alla
figura
, ma nel
passar
per li
vetri
non
lavorati
non si può
dir
quali e quanto
stravaganti
sieno le
mutazioni
; e così
appunto
quando il
concavo
lunare
fosse
sinuoso
,
mirabil
cosa sarebbe il
veder
con quante
trasformazioni
di
figure
, di
movimenti
e di
situazioni
le
stelle
erranti
e
fisse
di
momento
in
momento
ci si
mostrerebbono
,
secondo
che or per una or per un'altra
parte
del
sottoposto
orbe
lunare
passassero
a noi le loro
specie
; ma niuna
cotal
difformità
si
scorge
; adunque il
concavo
è
tersissimo
"; a questo che
direte
,
signor
Sarsi
? Bisogna che v'
affatichiate
in
persuader
che tal
discorso
non vi
giunga
nuovo
, e che l'avete
trapassato
come
superfluo
, e finalmente che non sia mio, ma d'altri, e già
dismesso
come
rancido
e
muffo
, e ch'in
ultimo
l'
atterriate
. Sia, dunque, questa la mia
ragione
per
provare
, il
concavo
lunare
esser
liscio
, e non
sinuoso
.
Sentiamo
ora
quella che
producete
voi per
prova
del
contrario
, e
ricordiamoci
che noi siamo in
contesa
degli
elementi
superiori
, se sieno
rapiti
in
giro
dal
moto
celeste
o no (ché tal è il vostro
titolo
della
conclusione
che voi
impugnate
, cioè: "
Aër
et
exhalatio
ad
motum
cæli
moveri
non
possunt
"), e ch'io ho
detto
di no, perché il
concavo
lunare
è
liscio
, e questo ho
provato
per l'
uniformità
delle
refrazzioni
. Voi,
provando
il
contrario
,
scrivete
così: "Se si
pone
il
concavo
sinuoso
, molto
meglio
si
conserva
la
connession
di tutti i
corpi
mobili
, perché così al
moto
del
cielo
si
muovono
gli
elementi
superiori
". Ma,
signor
Lottario
, questo è quell'
errore
che i
logici
chiamorno
petizion
di
principio
, mentre che voi
pigliate
per
conceduto
quello ch'è in
questione
e ch'io di già
nego
, cioè che gli
elementi
superiori
si
muovano
. Noi abbiam quattro
conclusioni
, due mie e due vostre. Le mie sono: "Il
concavo
è
liscio
", e questa è la prima; la
seconda
è: "Però gli
elementi
non son
rapiti
". Che il
concavo
sia
liscio
, lo
provo
per le
refrazzioni
delle
stelle
, e
concludo
benissimo
. Le vostre sono, prima: "Il
concavo
è
aspro
";
seconda
: "Però
rapisce
gli
elementi
".
Provate
poi che il
concavo
sia
aspro
perché così, al
moto
di quello, vengon
rapiti
gli
elementi
, e
lasciate
l'
avversario
nel medesimo
stato
di prima, senza niun vostro
guadagno
, il qual né più né meno
persisterà
in
dire
che il
concavo
non è
aspro
né
rapisce
gli
elementi
.
Bisognava
dunque, per
isfuggire
il
circolo
, che voi aveste
provata
l'una delle due
conclusioni
per altro
mezo
. Né mi
diciate
, avere a
bastanza
provata
l'
inegualità
di
superficie
mentre
dite
che così
meglio
si
collegano
le
cose
inferiori
colle
superiori
, perché per
connetterle
basta
il
semplice
toccamento
, e voi stesso più a
basso
ammettete
l'
istessa
aderenza
ed
unione
quando
bene
il
concavo
sia
liscio
, e non
aspro
, tal che
frivolissima
resterebbe
cotal
prova
. Né di più
forza
sarebbe l'altra, quando per
avventura
voi
pretendeste
d'aver
provato
il
ratto
degli
elementi
superiori
perché per
cotal
moto
si fanno
quaggiù
le
generazioni
e le
corruzzioni
, e forse perché per esso viene
spinto
a
basso
il
fuoco
e l'
aria
superiore
, che son pur
fantasie
fondate
appunto
in
aria
; e
tardi
ci
riscalderemmo
se avessimo
aspettare
l'
espulsione
del
fuoco
verso la
Terra
e
massime
che voi stesso
adesso
adesso
direte
ch'ei fa
forza
all'in su, e che però
spinge
, e,
spingendo
,
aggrava
in certo modo e più
saldamente
aderisce
alla
celeste
superficie
:
pensieri
e
discorsi
appunto
fanciulleschi
, che or vogliono ed or
rifiutano
le medesime
cose
,
secondo
che la sua
puerile
inconstanza
loro
detta
.
38. Ma
sentiamo
con quali altri
mezi
nel
seguente
secondo
argomento
e'
provi
l'
istessa
conclusione
. "Sed quid ego adversus
Galilæum
argumenta
aliunde
conquiro
, quando ea ipse mihi
abunde
suppeditat
? Nihil apud illum
verius
, quam
Lunam
non
asperam
modo esse, sed,
alterius
Telluris
in modum,
Alpes
suas,
Olympum
,
Caucasum
suum
habere
, in
valles
deprimi
, in
campos
latissimos
extendi
,
Lunæ
certe
montes
in
Luna
desiderari
non posse. An non
cæleste
corpus
ac
nobilissimum
est
Luna
? Numquid non
longe
nobilius
quam
cælum
ipsum, quo
veluti
curru
vehitur
, quod
veluti
domum
inhabitat
?
Cur
igitur
Luna
tornata
non est, sed
aspera
ac
tuberosa
?
Stellæ
ipsæ
an non,
Galilæo
teste
,
figura
varia
atque
angulari
constarit
? Quid autem inter
sublimes
substantias
nobilius
?
Addo
etiam, ne
Solem
quidem, si
aspectui
credas
, hanc
adeo
nobilem
figuram
sortitum
; dum in illo
faculæ
quædam
conspiciuntur
reliquis
longe
partibus
clariores
, quæ vel
asperum
, vel non
æque
undique
lumine
perfusum
,
eumdem
ostendunt
. Quare si nihil hæc
Galilæi
ratio
persuadet
,
licetque
in
concavo
lunari
asperitatem
admittere
, nemo,
arbitror
,
negabit
, ad eius
motum
ferri
exhalationes
atque
aërem
posse.
Asperitatem
autem hanc
admittendam
non esse, non
facile
probabit
Galilæus
. Illud hoc
loco
omittendum
non est, quod in
Epistola
3 ad
Marcum
Velserum
ipse
habet
, hoc est,
solares
maculas
fumidos
vapores
esse, ad
motum
solaris
corporis
circumductos
. Vel
igitur
solare
corpus
politum
est ac
læve
, et non
poterit
huiusmodi
vapores
circumferre
: vel
asperum
est et
tuberosum
, atque ita
nobilissimum
inter
cælestia
corpora
neque
sphæricum
est nec
politum
. Præterea, in
Epistola
2 ad
eumdem
Marcum
ait
: "
Solem
circa suum
centrum
ad
ambientis
motum
rotari
;
corpus
autem
ambiens
ipso etiam
aëre
longe
tenuius
esse
debet
." Quare, si
corpus
solare
solidum
ad
motum
circumfusi
corporis
rarissimi
et
tenuissimi
movetur
, non
video
cur
postea
cælum
ipsum
solidum
motu
suo secum
rapere
non
possit
corpus
inclusum
quamvis
tenuissimum
, quale est
sphæra
elementaris
."
E prima che più avanti io
proceda
,
torno
a
replicare
al
Sarsi
, che non son io che
voglia
che il
cielo
, come
corpo
nobilissimo
, abbia ancora
figura
nobilissima
, qual è la
sferica
perfetta
, ma l'istesso
Aristotile
, contro al quale si
argomenta
dal
signor
Mario
ad
hominem
:ed io, quanto a me, non avendo mai
lette
le
croniche
e le
nobiltà
particolari
delle
figure
, non
so
quali di esse sieno più o
men
nobili
, più o
men
perfette
; ma
credo
che tutte sieno
antiche
e
nobili
a un modo, o, per
dir
meglio
, che quanto a loro non sieno né
nobili
e
perfette
, né
ignobili
ed
imperfette
, se non in quanto per
murare
credo
che le
quadre
sien
più
perfette
che le
sferiche
, ma per
ruzzolare
o
condurre
i
carri
stimo
più
perfette
le
tonde
che le
triangolari
. Ma
tornando
al
Sarsi
, egli dice che da me gli vengon
abbondantemente
somministrati
argomenti
per
provar
l'
asprezza
della
concava
superficie
del
cielo
, perché io stesso voglio che la
Luna
e gli altri
pianeti
(
corpi
pur essi ancor
celesti
ed assai più dell'istesso
cielo
nobili
e
perfetti
) sieno di
superficie
montuosa
,
aspra
ed
ineguale
; e se questo è, perché non si
deve
dire
tale
inegualità
ritrovarsi
ancora nella
figura
celeste
? Qui può l'istesso
Sarsi
metter
per
risposta
quello ch'ei
risponderebbe
ad uno che gli volesse
provare
che il
mare
dovrebbe
esser tutto
pieno
di
lische
e di
squamme
, perché tali sono le
balene
, i
tonni
e gli altri
pesci
che l'
abitano
.
All'
interrogazione
, ch'egli mi fa, per qual
cagione
la
Luna
non è
liscia
e
tersa
, io gli
rispondo
che la
Luna
e gli altri
pianeti
tutti, che, essendo per se stessi
tenebrosi
,
risplendono
solamente per l'
illuminazione
del
Sole
, fu
necessario
che
fussero
di
superficie
scabrosa
, perché, quando
fussero
di
superficie
liscia
e
tersa
come uno
specchio
, niuna
reflession
di
lume
arriverebbe
a noi, essi ci
resterebbono
del tutto
invisibili
, ed in
conseguenza
del tutto
nulle
resterebbon
l'
azzioni
loro verso la
Terra
e
scambievolmente
tra di loro, ed in
somma
, essendo ciascheduno anco per se stesso come nulla, per gli altri
sarebbon
del tutto come se non
fussero
al
mondo
. All'
incontro
poi, quasi altrettanto
disordine
seguirebbe
quando i
cieli
fussero
d'una
sostanza
solida
e
terminata
da una
superficie
non
perfettissimamente
pulita
e
tersa
: imperocché (come di sopra ho pur
detto
), mediante le
refrazzioni
continuamente
perturbate
in
cotal
sinuosa
superficie
, né i
movimenti
de i
pianeti
, né le lor
figure
, né le
proiezzioni
de' lor
raggi
verso noi, ed in
conseguenza
gli
aspetti
loro, altrimenti che
confusissimi
e
disregolati
non si
ritroverebbono
. Eccovi,
signor
Sarsi
, un'
efficace
ragione
in
risposta
del vostro
quesito
; in
premio
della quale
cancellate
di
grazia
dalla vostra
scrittura
quelle
parole
dove voi
dite
che io ho
scritto
in molti
luoghi
che le
stelle
son di
figure
varie
ed
angolari
, ché
sapete
bene
in
coscienza
che questa è una
bugia
e ch'io non ho mai
scritta
cotal
proposizione
; ed il più che voi potete avere
inteso
o
letto
, è che le
stelle
fisse
sono di
lume
così
vivo
e
folgorante
, che il lor
piccolo
corpicello
non si può
scorgere
distinto
e
circolato
tra così
splendenti
raggi
.
Quanto poi a quello che il
Sarsi
scrive
nel
fine
, del
Sole
e delle
fumosità
che in esso si
generano
e
dissolvono
e del suo
ambiente
, io non ho mai
risolutamente
parlato
se questo al
moto
di quello o pur quello al
moto
di questo si
raggirino
, perché non lo
so
, e potrebbe
essere
anco che né l'
ambiente
né il
corpo
solare
fusser
rapiti
, ma che d'ambedue
fusse
egualmente
naturale
quella
conversione
, per la quale son ben
sicuro
, perché lo
veggo
, ch'esse
macchie
si
raggirano
in quattro
settimane
in circa. Ma quando di ciò s'avesse anco
perfetta
scienza
, non
veggo
quale
utilità
ne
arrecasse
alla
presente
contesa
, dove solamente ad
hominem
ed
argumentando
ex
suppositione
,e fatte anco
supposizioni
sicuramente
false
, in
materie
diversissime
dal
Sole
e suo
ambiente
, si
cerca
se il
concavo
lunare
,
duro
e
liscio
, che tale non è al
mondo
,
girandosi
(che pur è un'altra
falsità
),
rapisce
seco il
fuoco
, che forse anch'esso non v'è.
Aggiungasi
l'altra
dissimilitudine
grandissima
, la quale il
Sarsi
dice di non
saper
vedere
, anzi la
stima
una
identità
, e che
egualmente
e coll'
istessa
naturalezza
e
facilità
possa esser ch'un
corpo
fluido
contenuto
dentro la
concavità
d'un
solido
sferico
, il quale si
volga
in
giro
, venga da quello
rapito
, come se il
contenuto
fusse
una
sfera
solida
e l'
ambiente
un
liquido
; ch'è quasi l'istesso che se altri
credesse
, che sì come al
moto
del
fiume
vien
portata
e
rapita
la
nave
, così al
moto
della
nave
dovesse
esser
rapita
l'
acqua
di uno
stagno
, il che è
falsissimo
: perché, prima, quanto all'
esperienza
, noi
veggiamo
la
nave
, ed anco mille
navi
che
riempissero
tutto il
fiume
, esser
mosse
al
moto
di quello, ma all'
incontro
il
corso
d'una
nave
spinta
da
qualsivoglia
velocità
non
vien
seguito
da una
minima
particella
d'
acqua
: la
ragion
poi di questo non
dovrebbe
esser molto
recondita
; imperocché non si può far
forza
alla
superficie
della
nave
, che non si
faccia
similmente
a tutta la
macchina
, le cui
parti
, essendo
solide
, cioè
saldamente
attaccate
insieme
, non si possono
separare
o
distrarre
, sì che alcune
cedano
all'
impeto
dell'
ambiente
esterno
, e l'altre no; il che non
avvien
così dell'
acqua
o di altro
fluido
, le cui
parti
, non avendo in sé
tenacità
o
aderenza
appena
sensibile
,
facilissimamente
si
separano
e
distraggono
, sì che quel
sol
velo
sottilissimo
d'
acqua
che
tocca
il
corpo
della
nave
vien
per
avventura
forzato
ad
ubidire
al
moto
di quella, ma l'altre
parti
più
remote
,
abbandonando
le più
propinque
, e queste le
contigue
, in
piccolissima
lontananza
dalla
superficie
si
liberano
del tutto dalla sua
forza
ed
imperio
.
Aggiungesi
a questo, che l'
impeto
e la
mobilità
impressa
, assai più
lungamente
e
gagliardamente
si
conserva
ne i
corpi
solidi
e
gravi
, che ne i
fluidi
e
leggieri
: e così
veggiamo
in un gran
peso
pendente
da una
corda
, per molte
ore
conservarsi
l'
impeto
e
moto
communicatogli
una
volta
sola
; ed all'
incontro
, sia quanto si
voglia
agitata
l'
aria
rinchiusa
in una
stanza
, non prima
cessa
l'
impeto
di quel che la
commoveva
, ch'ella
totalmente
si
quieta
, né
ritien
punto
l'
agitazione
. Quando, dunque, l'
ambiente
e
movente
è
liquido
, e fa
forza
in un
contenuto
solido
,
corpulento
e
grave
,
va
imprimendo
la
mobilità
in un
soggetto
atto
nato
a
ritenerla
e
conservarla
lungo
tempo
; per lo che il
secondo
impulso
sopravenente
trova
il
moto
impresso
di già dal
primo
, il
terzo
impulso
trova
l'
impeto
conferito
dal
primo
e dal
secondo
, il
quarto
sopragiunge
alle
operazioni
del
primo
,
secondo
e
terzo
, e così di
mano
in
mano
, onde il
moto
nel
mobile
vien
non pur
conservato
, ma
augumentato
ancora: ma quando il
mobile
sia
liquido
,
sottile
e
leggiero
ed in
conseguenza
impotente
a
conservare
il
movimento
impresso
, e che tanto è quello che s'
imprime
quanto quello che si
perde
, il
volergli
imprimer
velocità
è
opera
vana
, qual sarebbe il
volere
empier
il
crivello
delle
Belide
, che tanto
versa
quanto vi si
rinfonde
. Or eccovi,
signor
Lottario
,
mostrato
somma
diversità
ritrovarsi
tra queste due
operazioni
, che a voi
parevano
una cosa medesima.
39.
Passiamo
ora
al
terzo
argomento
. "Sed
demus
Galilæo
,
orbis
huius
interiorem
superficiem
tornatam
ac
lævem
esse:
nego
,
lævibus
corporibus
aërem
non
adhærescere
.
Lamina
certe
vitrea
B
aquæ
imposita
, quamvis
lævissima
sit, non minus quam si
foret
alterius
asperioris
materiæ
natabit
,
adhærensque
illi
aër
aquam
AC, circa
vitrum
per
vim
sese
attollentem
,
continebit
, ne
diffluat
et
laminam
obruat
.
Cur
igitur
inde non
abscedit
aër
, dum
descendentis
aquæ
pondere
e
vitrea
lamina
truditur
, sed
hæret
illi
mordicus
, nec, nisi
maiori
vi
pulsus
,
loco
cedit
? Præterea, si quis,
lapideam
forte
tabulam
politissimam
nactus
,
corpus
aliud
grave
æque
politum
eidem
imposuerit
, postea
vero
subiectam
tabulam
huc illuc
trahat
,
impositum
æque
corpus
quo
voluerit
trahet
; et tamen si
pondus
quo
corpus
illud
tabulæ
innititur
auferas
, id huic non
adhærebit
. Tota
igitur
ratio
quæ ad
tabulæ
motum
corpus
etiam
impositum
moveri
cogit
, ex illa
compressione
oritur
, qua
grave
illud
tabulam
subiectam
premit
. Iam,
sicuti
ex eo quod
alterum
horum
corporum
ab
altero
premitur
, ad eius
motum
hoc etiam
moveri
necesse
est, ita
assero
,
concavum
Lunæ
quodammodo
premi
ab
aëre
sive
exhalationibus
inclusis
, si quando eas
rarefieri
contigerit
, quod semper
contingit
: dum enim
rarefiunt
,
prioris
loci
angustiis
contemptis
,
ampliori
extenduntur
spatio
, atque
ambientium
corporum
, ac proinde
cæli
ipsius,
partes
omnes, si qua
obstent
rarefactioni
, quantum in ipsis est,
premunt
; ac propterea non
mirum
, si ex
compressione
adhæsio
aliqua
consequatur
, quæ
duo
hæc
corpora
veluti
connectat
et
colliget
, ita ut ad
eumdem
postea
motum
utrumque
moveatur
."
Continua
il
Sarsi
in questa sua
fantasia
, di voler pur ch'io abbia
detto
che l'
aria
non
aderisca
a i
corpi
lisci
e
tersi
: cosa che non si
trova
scritta
né da me né dal
signor
Mario
. In oltre, io non ben
capisco
che cosa
intenda
egli per questa sua
aderenza
. S'egli
intende
una
copula
che
resista
al
separarsi
del tutto e
spiccarsi
l'una dall'altra
superficie
, sì che più non si
tocchino
, io
dico
tal
aderenza
esservi, ed esservi,
grandissima
, sì che la
superficie
,
verbigrazia
, dell'
acqua
non si
staccherà
da quella d'una
falda
di
rame
o di altra
materia
se non con un'
immensa
violenza
, né in questo
caso
importa
se tal
superficie
sia o non sia
pulita
e
liscia
, e
basta
solo un
esquisito
contatto
; il qual
tien
tanto
saldamente
uniti
i
corpi
, che forse le
parti
de'
corpi
solidi
e
duri
non
ànno
altro
glutine
di questo, che le
tenga
attaccate
insieme
: ma questa
aderenza
non
serve
punto
al
bisogno
del
Sarsi
. Ma s'egli
intende
una
congiunzion
tale, che le due
superficie
,
dico
quella del
solido
e quella dell'
umido
, non possano, né anco
strisciandosi
insieme
,
muoversi
l'una contro all'altra, che sarebbe
secondo
il
bisogno
suo,
dico
cotale
aderenza
non v'
essere
non solo tra un
solido
e un
liquido
, ma né anco tra due
solidi
: e così
vederemo
in due
marmi
ben
piani
e
lisci
la prima
aderenza
esser tanta, che
alzandone
uno, l'altro lo
segue
, ma la
seconda
esser così
debole
, che se le
superficie
toccantisi
non saranno ben
bene
equidistanti
all'
orizonte
, ma un
sol
capello
inclinate
, subito il
marmo
inferiore
sdrucciolerà
verso la
parte
inclinata
; ed in
somma
al
muover
l'una
superficie
sopra l'altra non si
troverà
resistenza
, ben che
grandissima
si
senta
nel
volerle
staccare
e
separare
. E così il
toccamento
dell'
acqua
colla
barca
ben che facesse
grandissima
resistenza
a chi volesse
staccare
e
separar
l'una dall'altra
superficie
, nondimeno
minima
è la
resistenza
che si
sente
nel
muoversi
l'una
superficie
sopra l'altra,
fregandosi
insieme
; e come di sopra ho
detto
ancora, la
nave
mossa
velocissimamente
non
conduce
seco altro che quel
velo
d'
acqua
che la
tocca
, anzi forse di questo ancora si
va
ella
continuamente
spogliando
e
rivestendone
altro ed altro
successivamente
: e
so
che il
Sarsi
mi
concederà
, che
ponendosi
in
mare
una
nave
bagnata
con
vino
o con
inchiostro
, ella non
averà
a
pena
solcate
l'onde per
mezo
miglio
, che non gli
resterà
più
vestigio
del
primo
licore
che la
circondava
; il che si può
creder
con gran
ragione
che
accaggia
parimente
dell'
acqua
che la
tocca
, cioè che
continuamente
si
vada
mutando
: e senz'altro, il
sevo
con che ella si
spalma
, ancor che assai
tenacemente
vi sia
attaccato
,
pure
in breve
tempo
vien
portato
via
dall'
acqua
che nel suo
corso
le
va
strisciando
sopra; il che non
avverrebbe
se l'
acqua
che
tocca
la
nave
restasse
l'
istessa
continuamente
senza
mutarsi
.
Quanto alla
piastra
di
vetro
che
resta
a
galla
tra gli
arginetti
dell'
acqua
, io
dico
che
detti
arginetti
non si
sostengono
perché l'
aderenza
dell'
aria
colla
piastra
non
lasci
scorrer
l'
acqua
sopra la
piastra
; perché se questo
fusse
,
dovrebbe
seguir
l'istesso quando si
ponesse
nell'
acqua
la medesima
falda
alquanto
umida
, ché non è
credibile
che l'
aria
aderisca
meno a una
superficie
umida
che a una
asciutta
; tuttavia noi
veggiamo
che quando la
piastra
è
umida
, non si
formano
argini
, ma subito
scorre
l'
acqua
. Del
sostenersi
, dunque,
detti
argini
altra ne è la
cagione
che l'
aderenza
dell'
aria
alla
superficie
d'essa
falda
: e noi
veggiamo
frequentissimamente
gran
pezzi
d'
acqua
sostenersi
in
particolare
sopra le
foglie
de i
cavoli
e d'altre
erbe
ancora, in
figure
colme
e
rilevate
, in maggiore
altezza
assai che quella degli
arginetti
che
circondano
la
falda
notante
.
All'
ultima
prova
, dov'ei vuole che il
premere
o
aggravare
, senz'altra
aderenza
, sia
mezo
bastante
a far ch'un
corpo
segua
l'altro, com'egli
essemplifica
di due
tavole
di
pietra
ben
liscie
poste
l'una sopra l'altra, delle quali la
superiore
e
premente
segue
il
moto
dell'
inferiore
che venga
tirata
verso qualche
parte
, io
concedo
l'
esperienza
, ma non
veggo
ch'ella abbia che far nel
caso
nostro: prima, perché noi
trattiamo
d'un
corpo
liquido
e
sottile
, le cui
parti
non
ànno
tal
connessione
insieme
, che al
moto
d'una si
debba
muovere
il tutto, come
accade
in un
corpo
solido
;
secondariamente
, il
Sarsi
troppo
languidamente
prova
che '
l
fuoco
, l'
aria
e l'
essalazioni
contenute
dentro al
concavo
lunare
facciano
impeto
e
gravino
sopra la
superficie
d'esso
concavo
, mentr'egli
introduce
, come
causa
di questa
compressione
, una
continua
rarefazzion
d'esse
sostanze
, le quali
dilatandosi
, e perciò
ricercando
sempre
spazii
maggiori, fanno
forza
contro al loro
contenente
e così vengono in certo modo ad
attaccarsegli
, sì che poi
seguono
il
movimento
suo.
Languidissimo
veramente
è
cotal
discorso
, perché dove il
Sarsi
risolutamente
afferma
che le
sostanze
contenute
si
vanno
continuamente
rarefacendo
e
dilatando
, l'
avversario
con non
minor
ragione
(
dico
non
minore
,perché il
Sarsi
non ne
adduce
niuna)
dirà
ch'
elle
si
vanno
continuamente
condensando
e
ristringendo
. Ma
dato
anco ch'
elle
si
vadano
pur
continuamente
rarefacendo
e che per tale
rarefazzione
nasca
l'
attaccamento
al
concavo
e finalmente il
rapimento
, si può
credere
che cento e mille
anni
fa, quando la
rarefazzione
non
era
a gran
segno
al
termine
d'
oggidì
(ché così bisogna in
dottrina
del
Sarsi
), il
rapimento
non ci
fusse
,
mancando
la
causa
del farsi. Anzi niuna
ragione
mi può
ritenere
ch'io non
dica
al
Sarsi
che questa sua
rarefazzione
, che
continuamente
si
va
facendo, non è ancora
giunta
a
grado
di far
violenza
e
premer
sopra il
concavo
della
Luna
, ma che ben potrebbe
giungervi
tra due o tre
anni
; al qual
tempo
io
concedo
che la
sfera
degli
elementi
superiori
comincerà
a
muoversi
, ma in tanto
conceda
esso a me che sino al
dì
d'
oggi
non si sia
mossa
. Io non vorrei che il
Sarsi
, se per
avventura
sentisse
queste ed altre
simili
risposte
veramente
ridicole
, si
mettesse
a
ridere
, poi ch'egli è che ne
dà
occasione
di
produrle
tali col
lasciarsi
scappar
dalla
mente
, e poi dalla
penna
, che alcune
sostanze
materiali
si
vadano
rarefacendo
e
dilatando
in
perpetuo
. Ma io voglio
aiutare
il medesimo
Sarsi
ed
insegnarli
un
punto
nella
causa
sua,
dicendogli
che questa
rarefazzione
eterna
e
pressione
contro al
concavo
della
Luna
è
superflua
,
tuttavolta
ch'ei possa
mostrar
che l'
aria
vien
rapita
dal
catino
, sopra il quale ella non
preme
e non
grava
punto
, essendo egli
posto
nella medesima
region
dell'
aria
.
40. "Sed
videamus
nunc quam
verum
sit
experimentum
illud, cui
maxime
Galilæi
sententia
innititur
. "Si
catinum
,
inquit
, circa
centrum
axemque
suum
moveatur
,
aër
inclusus
minime
sequax
, sed
restitans
, nulla sui
parte
circumagetur
."
Audieram
iam olim a
nonnullis
, qui
Galilæo
familiariter
usi
fuerant
, idem illum
affirmare
solitum
de
aqua
eodem
catino
contenta
; videlicet, ne illam quidem ad
vasis
motum
circumferri
.
Argumento
erat, quia si
consistenti
in eo
aquæ
leve
aliquod
corpus
et
natans
,
festucam
scilicet aliquam aut
calamum
,
imposuisses
,
superficiei
catini
proximum
,
mox
, cum
vas
ipsum
circumduceretur
, eodem
calamus
semper
loco
perstabat
. Ex quibus aliisque
experimentis
,
scio
aliquos
ingenium
Galilæi
commendasse
plurimum
, qui ex
rebus
levissimis
, atque ob
oculos
positis
,
facilitate
mirabili
in
rerum
difficillimarum
cognitionem
homines
manuduceret
. Neque ego in
universum
hanc ei
laudem
imminutam
volo
: quod autem ad
rem
præsentem
attinet
, utrumque
experimentum
(
parcat
mihi
vera
narranti
Galilæus
)
falsum
omnino
comperi
.
Nempe ille semel aut iterum,
credo
,
catinum
circumducebat
; sic enim nullus
percipitur
aquæ
motus
: at si
ulterius
movere
pergat
, tunc
enimvero
intelliget
,
moveatur
ne
aqua
ad
catini
motum
, an
vero
resistat
.
Calamus
enim aut
palæ
eidem
aquæ
impositæ
, si non
multum
a
catini
superficie
abfuerint
,
citissime
circumferentur
, nec, licet
catinum
quieverit
,
illæ
moveri
desinent
, sed
aquam
cum
insidentibus
corporibus
, ex
impetu
concepto
, per
longum
tempus
,
tardiori
tamen semper
vertigine
,
circumagi
comperies
,
Verum
, ne quisquam
incuriosæ
nos ac
negligenter
id
expertos
existimet
,
hemisphæricum
vas
I ex
orichalco
,
affabre
torno
excavatum
,
accepimus
;
torno
item
curavimus
duci
axem
CE
catino
ipsi
iunctum
, ita ut per eius
centrum
, in modum
sphærici
axis
,
transiret
, si
produceretur
;
pedem
autem
construximus
firmum
ac
stabilem
, ne
facile
vasis
motu
agitaretur
, atque
axem
per
foramen
E
traductum
, et
fulcimento
ima
ex
parte
innixum
,
perpendiculariter
erectum
statuimus
: sic enim,
manu
axe
in
gyrum
acto
,
catinum
etiam eodem
motu
ferri
necesse
erat.
Verum
non
aqua
solum
ad
vasis
motum
fertur
, sed
aër
ipse, ex quo
maxime
exemplum
desumit
Galilæus
.
Docet
id
flamma
candelæ
,
proxime
superficiei
vasis
admota
, quæ in
eamdem
partem
, in quam
vas
fertur
,
exigua
sui
corporis
declinatione
deflectit
.
Docet
id
longe
clarius
serico
filo
tenuissimo
suspensa
e
papyro
lamella
A, cuius
latus
alterum
proximum
sit
interiori
vasis
superficiei
. Si enim tunc
moveatur
in unam
partem
catillum
, in
eamdem
quoque
sese
papyrus
convertet
; et si iterum in
oppositam
partem
vas
reciproca
revolutione
volvatur
, in
eamdem
cum
adhærente
aëre
etiam
papyrum
secum
trahet
.
Id
porro
a me non
securius
dici
quam
verius
,
testes
habeo
nec
paucos
nec
vulgares
:
Patres
primum
Romani
Collegii
quamplurimos
; ex aliis
vero
quotquot
ex
Magistro
meo
cognoscere
id
voluerunt
;
voluerunt
autem
multi
. Quos inter ille mihi
silendus
non est, cuius, non
genere
magis
quam
eruditione
singulari
,
clarissimum
nomen
sat
mihi
meisque
rebus
luminis
afferre
ac
dictis
facere
fidem
possit
;
Virginium
Cæsarinum
loquor
, qui
admiratus
enimvero
est,
rem
ad hanc
diem
inter
multos
constantissime
pro certa
habitam
,
falsitatis
unquam
argui
potuisse
; et tamen
vidit
factum
,
fieri
quod posse
negabant
plerique
.
Atque hæc quidem ab
experientia
certa sunt; quæ tamen
experientia
si
absit
,
doceat
hæc quoque
ratio
ipsa. Cum enim
aër
atque
aqua
de
genere
humidorum
sint, quorum
peculiare
est
corporibus
adhærescere
, etiam
politis
et
lævibus
,
fieri
nunquam
poterit
ut
vasis
superficiei
non
adhæreant
: quod si hoc
adhæsionis
vinculum
admittatur
,
motum
etiam
eorumdem
humidorum
admitti
necesse
est.
Primum
enim
pars
illa quæ
vas
contingit
, ad
vasis
ductum
movebitur
, quippe quæ
adhæret
vasi
; deinde
pars
hæc
mota
aliam sibi
hærentem
trahet
; secunda hæc,
tertiam
: cumque
motus
hic
fiat
veluti
in
spiram
, non
mirum
si ad unam aut
alteram
catini
circumductionem
aquæ
motus
non
percipiatur
, cum
primæ
huius
spiralis
partes
valde
propinquæ
sint ipsi
superficiei
vasis
, ac proinde
motus
ad
reliquas
interiores
partes
diffusus
adhuc non sit, cum
hæ
aliquam
patiantur
rarefactionem
, et propterea non
illico
trahentis
motum
sequantur
.
Neque
miretur
quisquam, in
hisce
nostris
experimentis
exiguum
adeo
aëris
motum
esse,
aquæ
vero
maximum
. Cum enim
aër
facilius
et
concrescat
et
rarescat
quam
aqua
, ideo, quamquam ad
motum
vasis
aër
eidem
adhærens
facillime
moveatur
, non tamen alium
aërem
sibi
proximum
eadem
facilitate
trahit
, cum hic a
reliquis
aëris
consistentis
partibus
maiori
vi
contineatur
, et
exigua
sui vel
concretione
vel
rarefactione
vim
trahentis
aëris
eludere
ad breve aliquod
tempus
possit
. Si quis tamen
apertius
experiri
cupiat
, an
corpus
sphæricum
in
orbem
actum
aërem
secum
trahat
, hic
globum
A ,
verbi
gratia
, suis
innixum
polis
B
et
C
,
manubrio
D
circumducat
,
appensa
charta
ex E
filo
tenuissimo
, ita ut ipsum
fere
globum
contingat
: dum enim
sphæra
in unam
rotatur
partem
, in
eamdem
charta
F
ab
aëre
commoto
fertur
, si
præsertim
globus
satis
amplus
fuerit
, et
celerrime
circumductus
.
Neque tamen ex eo, quod
tum
in
catino
tum
in
sphæra
parvum
adeo
aëris
motum
experiamur
, recte quis
inferat
, in
concavo
Lunæ
eumdem
motum
fore
perexiguum
:
ratio
enim
cur
in
sphæra
A et
catino
I
circumductis
non
magnus
aëris
motus
existat
, ea inter
cæteras
est, quia cum
catinum
et
sphæra
intra
aërem
posita
sint tota, dum eorum
motu
movendus
est
aër
circumfusus
, semper minus est id quod
movet
quam quod
movetur
. Si enim,
verbi
gratia
, ad
motum
sphæræ
A [
v.
figura13
]
superficies
ipsius
BC
movere
debeat
sibi
adhærentem
aërem
,
circulo
D
expressum
, cum hic
maior
sit quam
circulus
BC
,
maius
a
minori
movendum
erit; atque idem
accidet
dum
circulus
D
trahere
secum
debet
circulum
E. At
vero
in
concavo
Lunæ
,
opposito
plane
modo se
res
habet
,
curi
semper
maius
sit id quod
movet
quam quod
movetur
. Si enim sit
Lunæ
concavum
circulus
E, atque hic
movere
debeat
circulum
D, D
vero
circulum
BC
, semper
movens
moto
maius
est, et propterea
facilior
motus
.
Hoc autem quamquam apud me
nullum
plane
reliquerat
dubitationi
locum
,
libuit
tamen modum aliquem
excogitare
, quo
aërem
catino
circumfusum
, ab eo qui
catino
clauditur
separarem
,
sperans
haud
dubium
fore
, ut
aër
idem, qui
segnius
antea
ferebatur
quam
aqua
,
pari
postea
celeritate
in
gyrum
ex
catini
circumductione
raperetur
. Quare
laminam
perspicuam
, ne
aspectum
impediret
, e
lapide
Moscovitico
, quem
vulgo
talcum
dicimus
,
orificio
catini
amplitudine
parem
, quam
opportune
catino
ipsi postea
imponerem
,
paravi
, in eiusdem
parte
media
trium
ferme
digitorum
foramine
relicto
, quod tamen
longe
minus esse
poterat
;
filum
deinde
æreum
EF
accepi
,
diametro
catini
aliquanto
brevius
, quod
media
parte
I
compressum
ac
perforatum
,
traducto
per
foramen
I
filo
IG
, ex
G
suspendi
ad
libræ
modum,
adiecique
extremis
E,
F
alas
duas
papyraceas
;
mox
additis
detractisque
ex
utraqueparte
ponderibus
, in
æquilibrio
filum
æreum
EF
statui
, ita ut
fulcimentum
I sub
catini
centro
consisteret
,
alæ
vero
quarta
saltem
digiti
parte
ab eiusdem
superficie
distarent
. Tunc
vase
circumacto
animadverti
, post
alteram
evolutionem
alas
ac
libram
totam
in
gyrum
moveri
, et
primo
quidem
lente
, deinde
citatiori
motu
, qui tamen nondum
motum
aquæ
æquabat
: quare
superimposui
laminam
AB
perspicuam
, quam
paraveram
, ita ut
aër
catino
contentus
a
reliquo
separaretur
, vel solo
foramine
C
eidem
necteretur
. Tunc
enimvero
ad
vasis
motum
ferri
citius
visa
est
libra
F
, ac
brevi
celeriter
adeo
agi
cœpit
, ut
catini
ipsius
motum
, quamvis
velocissimum
,
assequeretur
: ut
hinc
videas
,
quotiescumque
movens
moto
maius
fuerit
, tunc
longe
faciliorem
motum
futurum
;
imposito
enim
vasi
operculo
AB, tunc
superficies
interior
catini
et
operculi
simul, ad cuius
motum
movendus
est
aër
,
maior
est
aëre
proxime
movendo
; est enim
superficies
illa
continens
,
aër
vero
contentus
.
Idem denique
expertus
sum,
eventu
pari
, in
sphæra
vitrea
A, quantum
fieri
potuit
,
exactissima
,
summa
tantum
parte
C
perforata
ad
laminam
I
inducendam
. Eadem enim
sphæra
axi
BD
imposita
,
axeque
ipso
circumacto
, non
sphæra
solum
A, sed et
lamina
I
suspensa
, quamvis
multum
ab
interiore
superficie
sphæræ
distaret
,
celerrime
moveri
visa
est. Atque ita nulli aut
industriæ
aut
labori
parcendum
duxi
, ut
quamplurimis
idem
experimentis
quam
diligentissime
comprobarem
. Hæc
porro
postrema
experimenta
videre
iidem
illi qui
superius
a me
commemorati
sunt; ut
necesse
non
habeam
,
eosdem
iterum
testari
. Illud etiam
adnotandum
duxi
,
æstivo
nos
tempore
hæc omnia
expertos
fuisse
, quo, ut
calidior
, ita
siccior
aër
existit
,
magisque
proinde ad
ignis
naturam
accedit
; quem omnium
elementorum
minime
aptum
adhæsioni
existimat
Galilæus
. Ex quibus omnibus illud
saltem
colligere
licet,
tum
ad
catini
motum
et
aërem
et
aquam
moveri
,
tum
lævibus
etiam
corporibus
aërem
adhærescere
atque ad eorum
motum
agi
; quæ
constanter
adeo
pernegavit
Galilæus
."
Entra
ora
il
Sarsi
nel
copiosissimo
apparato
d'
esperienze
per
confermare
il suo
detto
e
riprovare
il nostro: le quali, perché furon fatte alla
presenza
di
V.
S.
Illustrissima
, io me ne
rimetto
a lei, come quello che più
tosto
devo
aspettarne
il suo
giudicio
che
interporvi
il mio. Però, se le
piacerà
, potrà
rilegger
quel che
resta
sino alla
fine
della
proposizione
; dov'io le
anderò
solamente
toccando
alcuni
particolari
sopra
varie
cosette
così alla
spezzata
.
E prima, questo che il
Sarsi
cerca
d'
attribuirmi
nel
primo
ingresso
delle sue
esperienze
, è
falsissimo
, cioè ch'io abbia
detto
che l'
acqua
contenuta
nel
catino
resti
, non
men
che l'
aria
,
immobile
al
movimento
in
giro
di esso
vaso
. Non però mi
meraviglio
che l'abbia
scritto
, perché ad uno che
continuamente
va
riferendo
in
sensi
contrari
le
cose
scritte
e
stampate
da altri, si può
bene
ammettere
ch'egli
alteri
quelle ch'ei dice d'aver solamente
sentite
dire
; ma non mi
par
già che
resti
del tutto dentro a'
termini
della
buona
creanza
il
pubblicar
colle
stampe
ciò ch'altri
sente
dire
del
prossimo
, e tanto più quando, o per non l'avere
inteso
bene
o pur di propria
elezzione
, ei si
rapporta
molto
diverso
da quello che fu
detto
, come di
presente
accade
di questo.
Tocca
a me,
signor
Sarsi
, e non a voi o ad altri, lo
stampar
le
cose
mie e farle
pubbliche
al
mondo
: e perché, quando (come pur
talora
accade
) alcuno nel
corso
del
ragionar
dicesse
qualche
vanità
,
deve
esser chi subito la
registri
e
stampi
,
privandolo
del
beneficio
del
tempo
e del
potervi
pensar
sopra
meglio
, e da per se stesso
emendare
il suo
errore
e
mutare
opinione
, ed in
somma
fare a suo
talento
del suo
cervello
e della sua
penna
? Quello che può aver
sentito
dire
il
Sarsi
, ma, per quanto
veggo
, non ben
capito
, è certa
esperienza
ch'io
mostrai
ad alcuni
letterati
costì in
Roma
, e forse fu in
camera
di
V.
S.
Illustrissima
stessa,
parte
in
dichiarazione
e
parte
in
confutazione
d'un
terzo
moto
attribuito
dal
Copernico
alla
Terra
.
Pareva
a molti cosa molto
improbabile
, e che
perturbasse
tutto il
sistema
Copernicano
, il
terzo
moto
annuo
ch'egli
assegna
al
globo
terrestre
intorno al proprio
centro
, al
contrario
di tutti gli altri
movimenti
celesti
, i quali col
figurarsi
fatti
tutti, tanto quelli delli
eccentrici
quanto quelli delli
epicicli
, ed il
diurno
e l'
annuo
d'essa
Terra
, nell'
orbe
magno
da
ponente
verso
levante
, questo solo
dovesse
nell'
istessa
Terra
esser
fatto
da
oriente
verso
occidente
, contro agli altri due propri e contro agli altri tutti di tutti i
pianeti
. Io
solevo
levar
questa
difficoltà
col
mostrare
che tal
accidente
non solo non
era
improbabile
, ma
conforme
alla
natura
e quasi
necessario
; e che
qualsivoglia
corpo
collocato
e
sostenuto
liberamente
in un
mezo
tenue
e
liquido
, se sarà
portato
per la
circonferenza
di un gran
cerchio
,
acquisterà
spontaneamente
una
conversione
in se medesimo, al
contrario
dell'altro gran
movimento
: il qual
effetto
si
vedeva
pigliando
noi in
mano
un
vaso
pien
di
acqua
e
mettendo
in esso una
palla
notante
; perché,
stendendo
noi il
braccio
e
girando
sopra i nostri
piedi
, subito
veggiamo
la
detta
palla
girare
in se stessa al
contrario
e
finir
la sua
conversione
nell'istesso
tempo
che noi
finiamo
la nostra: onde
cessar
doveva
la
meraviglia
, anzi
meravigliarsi
quando altrimenti
accadesse
, se essendo la
Terra
un
corpo
pensile
e
sospeso
in un
mezo
liquido
e
sottile
, ed in esso
portata
per la
circonferenza
d'un gran
cerchio
nello
spazio
d'un
anno
, ella non avesse di sua
natura
e
liberamente
acquistata
una
conversione
parimente
annua
in se medesima al
contrario
dell'altra. E tanto
dicevo
per
rimuover
l'
improbabilità
attribuita
al
sistema
del
Copernico
: al che
soggiungevo
poi, che chi
meglio
considerava
,
conosceva
che
falsamente
veniva da esso
Copernico
attribuito
un
terzo
moto
alla
Terra
, il quale non è
altramente
un
muoversi
, ma un non si
muovere
ed una
quiete
; perch'è ben
vero
che a quello che
tiene
il
vaso
apparisce
muoversi
, e
rispetto
a sé e
rispetto
al
vaso
, e
girare
in se stessa la
palla
posta
in
acqua
; ma la medesima
palla
paragonata
colle
mura
della
stanza
e colle
cose
esterne
, non
gira
altrimenti né
muta
inclinazione
, ma qualunque suo
punto
che da
principio
riguardava
verso un
termine
esterno
segnato
nel
muro
o in altro
luogo
più
lontano
, sempre
riguarda
verso lo stesso. E questo è quanto da me fu
detto
: cosa, come
V.
S.
Illustrissima
vede
, molto
diversa
dalla
riferita
dal
Sarsi
. Questa
esperienza
, e forse qualch'altra, poté
dare
occasione
a chi più
volte
si
trovò
presente
a nostri
discorsi
di
dir
di me quello che in questo
luogo
riferisce
il
Sarsi
, cioè che per certo mio
natural
talento
solevo
alcuna
volta
con
cose
minime
,
facili
e
patenti
,
esplicarne
altre assai
difficili
e
recondite
; la qual
lode
il
Sarsi
non mi
nega
in tutto, ma, come si
vede
, in
parte
m'
ammette
: la qual
concessione
io
devo
riconoscere
dalla sua
cortesia
più che da una
interna
e
verace
concessione
, perché, per quanto io posso
comprendere
, egli non è di quelli che così di
leggiero
si
lascino
persuadere
dalle mie
facilità
, poi ch'egli stesso,
reputando
che la
scrittura
del
signor
Mario
sia mia cosa, dice nel
fine
del
precedente
essame
, quella esser stata
scritta
con
parole
molto
oscure
, e tali ch'egli non ha potuto
indovinare
il
senso
.
Già, come ho
detto
, quanto all'
esperienze
me ne
rimetto
a
V.
S.
Illustrissima
, che le ha
vedute
, e solo,
incontro
a tutte, ne
replicherò
una
scritta
di già dal
signor
Mario
nella sua
lettera
, dopo che
averò
fatto
un poco di
considerazione
sopra certa
ragione
che il
Sarsi
accoppia
coll'
esperienze
: la qual
ragione
io
veramente
pagherei
gran cosa che
fusse
stata
taciuta
, per
reputazion
sua e del suo
Maestro
ancora, quando
vero
fusse
ch'egli
fusse
discepolo
di chi egli si fa. Oimè,
signor
Sarsi
, e quali
essorbitanze
scrivete
voi? Se non v'è qualche
grand'
error
di
stampa
, le vostre
parole
son queste: "
Hinc
videas
,
quotiescunque
movens
moto
maius
fuerit
, tunc
longe
faciliorem
motum
futurum
:
imposito
enim
vasi
operculo
AB, tunc
superficies
interior
catini
et
operculi
simul, ad cuius
motum
movendus
est
aër
,
maior
est
aëre
proxime
movendo
; est enim
superficies
illa
continens
,
aër
vero
contentus
". Or
rispondetemi
in
grazia
,
signor
Sarsi
: questa
superficie
del
catino
e del suo
coperchio
con chi la
paragonate
voi, colla
superficie
dell'
aria
contenuta
o pur coll'
istessa
aria
, cioè col
corpo
aereo
? Se colla
superficie
, è
falso
che quella sia maggior di questa; anzi pur sono
elleno
egualissime
, ché così v'
insegnerà
l'
assioma
euclidiano
, cioè che "Quæ
mutuo
congruunt
, sunt
æqualia
". Ma se voi
intendete
di
paragonar
la
superficie
contenente
coll'
istessa
aria
, come
veramente
suonan
le vostre
parole
,
fate
due
errori
troppo
smisurati
: prima, col
paragonare
insieme
due
quantità
di
diversi
generi
, e però
incomparabili
, ché così vuole una
diffinizion
d'
Euclide
: "
Ratio
est
duarum
magnitudinum
eiusdem
generis
"; e non
sapete
voi che chi dice "Questa
superficie
è maggior di quel
corpo
"
erra
non
men
di quel che
dicesse
"La
settimana
è maggior d'una
torre
" o "L'
oro
è più
grave
della
nota
cefautte
"? L'altro
errore
è, che quando mai si potesse far
paragone
tra una
superficie
ed un
solido
, il
negozio
sarebbe tutto all'
opposito
di quello che
scrivete
voi, perché non la
superficie
sarebbe maggior del
solido
, ma il
solido
più di cento
milioni
di
volte
maggior di lei.
Signor
Sarsi
, non vi
lasciate
persuadere
simili
chimere
, né anco la
general
proposizione
che '
l
contenente
sia maggior del
contenuto
, quando
bene
ambedue si
prendessero
di
quantità
comparabili
fra di loro; altrimenti
bisognerà
che voi
crediate
che, d'una
balla
di
lana
, il
guscio
o
invoglio
sia maggior della
lana
che vi è dentro, perché questa è
contenuta
e quello è il
contenente
; e perché sono della medesima
materia
,
bisognerà
anco che il
sacco
pesi
più, essendo maggiore. Io
fortemente
dubito
che voi abbiate
preso
con qualche
equivocazione
un
pronunciato
che è
verissimo
quando
vien
preso
al suo
diritto
senso
, il qual è che il
contenente
è maggior del
contenuto
, tutta
volta
che per
contenente
si
prenda
il
contenente
col
contenuto
insieme
: e così un
quadrato
descritto
intorno a un
cerchio
è maggior di esso
cerchio
,
pigliando
tutto il
quadrato
; ma se voi vorrete
prender
solo quello che
avanza
del
quadrato
,
detrattone
il
cerchio
, questo non è altrimenti maggiore, ma
minore
assai d'esso
cerchio
, ancor ch'ei lo
circondi
e
racchiuda
.
Aimè
, e non m'
accorgo
del
fuggir
dell'
ore
? e
vo
logorando
il mio
tempo
intorno a queste
puerizie
?
Orsù
, contro a tutte l'
esperienze
del
Sarsi
potrà
V.
S.
Illustrissima
fare
accommodare
il
catino
convertibile
sopra il suo
asse
; e per
certificarsi
quello che
segua
dell'
aria
contenutavi
dentro, mentre quello
velocemente
va
in
giro
,
pigli
due
candelette
accese
, ed una n'
attacchi
dentro all'istesso
vaso
, un
dito
o due
lontana
dalla
superficie
, e l'altra
ritenga
in
mano
pur dentro al
vaso
, in
simil
lontananza
dalla medesima
superficie
;
faccia
poi con
velocità
girar
il
vaso
: ché se in alcun
tempo
l'
aria
anderà
parimente
con quello in
volta
, senza alcun
dubbio
,
movendosi
il
vaso
l'
aria
contenuta
e la
candeletta
attaccata
, tutto colla medesima
velocità
, la
fiammella
d'essa
candela
non si
piegherà
punto
, ma
resterà
come se il tutto
fusse
fermo
(ché così a
punto
avviene
quando un
corre
con una
lanterna
,
entrovi
racchiuso
un
lume
acceso
, il quale non si
spegne
, né pur si
piega
,
avvenga
che l'
aria
ambiente
va
con la medesima
prestezza
; il qual
effetto
anco più
apertamente
si
vede
nella
nave
che
velocissimamente
camini
, nella quale i
lumi
posti
sotto
coverta
non fanno
movimento
alcuno, ma
restano
nel medesimo
stato
che quando il
navilio
sta
fermo
); ma l'altra
candeletta
ferma
darà
segno
della
circolazion
dell'
aria
, che
ferendo
in lei la farà
piegare
: ma se l'
evento
sarà al
contrario
, cioè se l'
aria
non
seguirà
il
moto
del
vaso
, la
candela
ferma
manterrà
la sua
fiammella
diritta
e
quieta
, e l'altra,
portata
dall'
impeto
del
vaso
,
urtando
nell'
aria
quieta
si
piegherà
.
Ora
, nell'
esperienze
vedute
da me è
accaduto
sempre che la
fiammella
ferma
è
restata
accesa
e
diritta
, ma l'altra,
attaccata
al
vaso
, si è sempre
grandissimamente
piegata
e molte
volte
spenta
: ed il medesimo di
sicuro
vederà
anco
V.
S.
Illustrissima
ed ogn'altro che
voglia
farne
prova
.
Giudichi
ora
quello che si
deve
dire
che
faccia
l'
aria
.
Dall'
esperienze
del
Sarsi
il più che se ne possa
cavare
è, ch'una
sottilissima
falda
d'
aria
, alla
grossezza
di un
quarto
di
dito
,
contigua
alla
concavità
del
vaso
, venga
portata
in
giro
; e questa
basta
a
mostrar
tutti gli
effetti
scritti
da lui, e di questo ne può esser
bastante
cagione
l'
asprezza
della
superficie
, o qualche poco di
cavità
o
prominenza
più in un
luogo
ch'in un altro. Ma finalmente, quando il
concavo
della
Luna
portasse
seco un
dito
di
profondità
dell'
essalazioni
contenute
, che ne vuol fare il
Sarsi
? E non
creda
che se il
catino
ne
porta
,
verbigrazia
, un
mezo
dito
, che un
vaso
maggiore ne abbia a
portar
più; perché io
credo
più
tosto
ch'ei ne
porterebbe
manco
: e così anco non
credo
che la
somma
velocità
colla quale
detto
concavo
lunare
passa
tutto il
cerchio
,
diciamo
in 24
ore
, abbia a far più assai; anzi io mi voglio
prendere
ardir
di
dire
, che mi
par
quasi
vedere
per
nebbia
ch'ei non
farebbe
più, ma più
tosto
manco
, di quello che si
faccia
un
catino
che
pure
in
ore
24 desse una
rivoluzione
sola
. Ma
pongasi
pure
e
concedasi
al
Sarsi
che '
l
concavo
lunare
rapisca
quanto si è
detto
dell'
essalazion
contenuta
: che sarà poi? e che ne
seguirà
in
disfavor
della
principal
causa
che
tratta
il
signor
Mario
? sarà forse
vero
che per questo
moto
si abbia ad
accender
la
materia
della
cometa
? o pur sarà
vero
ch'ella non si
accenderà
né
movendosi
né non si
movendo
? Così
cred
'io: perché se il tutto sta
fermo
, non s'
ecciterà
l'
incendio
, per lo quale
Aristotile
ricerca
il
moto
; ma se il tutto si
muove
, non vi sarà l'
attrizione
e lo
stropicciamento
, senza il quale non si
desta
il
calore
, non che l'
incendio
. Or ecco, e dal
Sarsi
e da me,
fatto
un gran
dispendio
di
parole
in
cercar
se la
solida
concavità
dell'
orbe
lunare
, che non è al
mondo
,
movendosi
in
giro
, la qual già mai non s'è
mossa
,
rapisce
seco l'
elemento
del
fuoco
, che non
sappiamo
se vi sia, e per esso l'
essalazioni
, le quali perciò s'
accendano
e
dien
fuoco
alla
materia
della
cometa
, che non
sappiamo
se sia in quel
luogo
e siamo certi che non è
robba
ch'
abbruci
. E qui mi fa il
Sarsi
sovvenire
del
detto
di quell'
argutissimo
Poeta
:
Per la
spada
d'
Orlando
, che non
ànno
e forse non son anco per avere,
queste
mazzate
da
ciechi
si
danno
.
Ma è
tempo
che
vegniamo
alla
seconda
proposizione
; anzi
pure
, prima che vi
passiamo
, già che il
Sarsi
replica
nel
fine
di questa ch'io abbia
constantemente
negato
che l'
acqua
si
muova
al
moto
del
vaso
e che l'
aria
e gli altri
corpi
tenui
aderiscano
a'
corpi
lisci
,
replichiamo
noi ancora ch'ei non dice la
verità
, perché mai né il
signor
Mario
ned
io abbiamo
detta
o
scritta
alcuna di queste
cose
, ma
bene
il
Sarsi
, non
trovando
dove
attaccarsi
, si
va
fabbricando
gli
uncini
da per se stesso.
41.
Passi
ora
V.
S.
Illustrissima
alla
seconda
proposizione
. "
Ait
Aristoteles
,
motum
causam
esse
caloris
; quam
propositionem
omnes ita
explicant
, non quasi
motui
tribuendus
sit
calor
, ut
effectus
proprius
et per se (hic enim est
acquisitio
loci
), sed quia, cum per
localem
motum
corpora
atterantur
, ex
attritione
autem
calor
excitetur
,
mediate
saltem
motus
caloris
causa
dicitur
: neque est quod hac in
re
Aristotelem
reprehendat
Galilæs
, cum nihil ipse adhuc
afferat
ab eiusdem
dictis
alienum
. Dum
vero
ait
præterea, non
quamcumque
attritionem
satis
esse ad
calorem
producendum
, sed illud etiam
potissimum
requiri
, ut
partes
attritorum
corporum
aliquæ
per
attritionem
deperdantur
; hic
plane
totus
suus
est, nec quicquam ab alio
mutuatur
.
Cur
autem hæc
partium
consumptio
ad
calorem
producendum
requiritur
? An quod ad
eumdem
calorem
concipiendum
rarescere
corpora
necesse
sit, in omni
vero
rarefactione
comminui
eadem
corpora
videantur
ac
minutissimæ
quæque
particulæ
evolent
? At
rarefieri
corpora
possunt
, nulla
facta
partium
separatione
ac proinde neque
consumptione
. An ideo hæc
comminutio
requiritur
, ut prius
particulæ
illæ
, utpote
calori
concipiendo
magis
aptæ
,
calefiant
,
hæ
vero
postea
reliquo
corpori
calorem
tribuant
?
Nequaquam
: licet enim
particulæ
illæ
, quo
minutiores
fuerint
,
magis
calori
concipiendo
aptæ
sint, ex quo
fit
ut
sæpe
ex
attritione
ferri
excussus
pulvisculus
in
ignem
abeat
,
illæ
tamen, cum
statim
evolent
aut
decidant
, non
poterunt
reliquo
corpori
, cui non
adhærent
,
calorem
tribuere
."
Vuole il
Sarsi
nel
primo
ingresso
di questa
disputa
concordare
il
signor
Mario
ed
Aristotile
, e
mostrar
che ambedue
àn
pronunziato
l'
istessa
conclusione
, mentre l'uno dice ch'il
moto
è
causa
di
calore
, e l'altro, che non il
moto
, ma lo
stropicciamento
gagliardo
di due
corpi
duri
; e perché la
proposizione
del
signor
Mario
è
vera
, né ha
bisogno
di
chiose
, il
Sarsi
interpreta
l'altra con
dire
, che se
bene
il
moto
, come
moto
, non è
cagione
del
caldo
, ma l'
attrizione
, nulladimeno, non si facendo tale
attrizione
senza
moto
, possiamo
dire
che
almanco
secondariamente
il
moto
sia
causa
. Ma se tale fu la sua
intenzione
, perché non
disse
Aristotile
l'
attrizione
? io non
so
vedere
perché, potendo uno
dir
bene
assolutamente
con una
semplicissinia
e
propriissima
parola
, ei
debba
servirsi
d'una
impropria
e
bisognosa
di
limitazioni
ed in
somma
d'esser finalmente
trasportata
in un'altra molto
diversa
. In oltre,
posto
che tale
fusse
il
senso
d'
Aristotile
, egli però è
differente
da quello del
signor
Mario
; perché ad
Aristotile
basta
qualunque
confricazione
di
corpi
, ben che
tenui
e
sottili
, e
fino
dell'
aria
stessa; ma il
signor
Mario
ricerca
due
corpi
solidi
, e
stima
che il
volere
assottigliare
e
tritar
l'
aria
sia maggior
perdimento
di
tempo
che quello di chi vuole (com'è in
proverbio
)
pestar
l'
acqua
nel
mortaio
. Io non son
fuor
d'
opinione
che possa esser che la
proposizione
sia
verissima
,
presa
anco nel
semplicissimo
senso
delle
parole
; e forse potrebbe esser ch'ella
uscisse
da qualche
buona
scuola
antica
, ma che
Aristotile
, non avendo ben
penetrata
la
mente
di quegli
antichi
che la
profferirono
, ne
traesse
poi un
sentimento
falso
: e forse non è questa
sola
proposizione
vera
in se stessa, ma
appresa
in
sentimento
non
vero
nella
filosofia
peripatetica
. Ma di questo ne
toccherò
qualche cosa più a
basso
.
Ora
seguitiamo
il
Sarsi
, il quale vuole, contro al
detto
del
signor
Mario
, che senza verun
consumamento
de'
corpi
che si
stropicciano
sin che si
riscaldino
, si possa
eccitare
il
calore
; il che
va
provando
prima con
discorso
, poi con
esperienze
. Ma quanto al
discorso
, io posso
sbrigarmi
in una
parola
sola
da tutte le sue
instanze
; poi che, facendo egli alcune
interrogazioni
al
signor
Mario
, egli stesso
risponde
per quello, e poi
confuta
le
risposte
; tal che se io
dirò
che il
signor
Mario
non
risponderà
in quella
guisa
, bisogna che il
Sarsi
si
quieti
.
E
veramente
, quanto alla prima
risposta
, io non
credo
che il
signor
Mario
dicesse
che, per
riscaldarsi
,
bisogni
prima che i
corpi
si
rarefacciano
, e che
rarefacendosi
si
sminuzzolino
, e che le
parti
più
sottili
volino
via
, come
scrive
il
Sarsi
: dalla qual
risposta
mi
par
di
comprendere
ch'ei
discordi
dalla
mente
del
signor
Mario
, e che,
convenendo
in questa
azzione
considerare
il
corpo
che ha da
produrre
il
calore
e quello che l'ha da
ricevere
, il
Sarsi
stimi
che il
signor
Mario
ricerchi
la
diminuzione
e
consumamento
di
parti
nel
corpo
che ha da
ricevere
il
calore
; ma io
credo
ch'ei
voglia
che quello che l'ha da
produrre
sia quello che si
diminuisce
, sì che in
somma
non il
ricevere
, ma il
conferir
calore
, sia quel che fa la
diminuzione
nel
conferente
. Come poi si possano
rarefare
i
corpi
senza alcuna
separazion
di
parti
, e come
cammini
questo
negozio
della
rarefazzione
e
condensazione
, del quale mi
par
che con molta
confidenza
parli
il
Sarsi
, l'
averei
ben
volentieri
veduto
più
distintamente
dichiarato
, essendo, appresso di me, una delle più
recondite
e
difficili
questioni
della
natura
.
È
manifesto
ancora che il
signor
Mario
non
averebbe
data
la
seconda
risposta
, cioè che tal
consumamento
di
parti
sia
necessario
acciò
che prima si
riscaldino
queste
parti
più
minute
, come più
atte
per la lor
sottigliezza
a
riscaldarsi
, e da esse poi venga
riscaldato
il
resto
del
corpo
; perché così la
diminuzione
toccherebbe
pure
al
corpo
che ha da esser
riscaldato
, ed il
signor
Mario
la
dà
a quello che ha da
riscaldare
.
Devesi
però
avvertire
che
bene
spesso
accade
,
essere
uno istesso
corpo
quello che
produce
il
calore
e quello che lo
riceve
: e così
martellandosi
sopra un
chiodo
, le
parti
sue, nel
soffregarsi
violentemente
,
eccitano
il
calore
, e l'istesso
chiodo
è quello che si
riscalda
. Ma quello che ho voluto sin qui
dire
è, che il
consumamento
di
parti
depende
dall'
atto
del
produrre
il
calore
, e non da quello del
riceverlo
, come per
avventura
più
distintamente
mi
dichiarerò
più di sotto. In tanto
sentiamo
l'
esperienze
onde il
Sarsi
pensa
d'aver
palesato
, potersi con l'
attrizione
produr
calore
senza
consumamento
alcuno.
42. "Sed quando ab
experientia
exempla
petere
libet
, quid si, nulla
partium
deperditione
, ex
motu
corpus
aliquod
calefiat
? Ego certe cum
æris
frustulum
,
onini
prius
extersa
rubigine
ac
situ
, ne quis
forte
pulvisculus
adhæreret
, ad
argentarii
libram
perexiguam
exactissimamque
ponderibus
minutissimis
expendissem
(cum etiam
quingentesimas
duodecimas
unius
unciæ
partes
haberem
), ac
pondus
diligentissime
observassem
,
validissimis
mallei
ictibus
æs
idem in
laminam
extendi
: id
vero
inter
ictus
et
mallei
verbera
bis
terque
adeo
incaluit
, ut
manibus
attrectari
non
posset
. Cum
igitur
iam
toties
incaluisset
,
experiri
libuit
eadem
libra
iisdemque
ponderibus
,
num
aliquod
ponderis
dispendium
iacturamque
passum
fuisset
; et tamen
iisdem
plane
momentis
constare
comperi
:
incaluit
igitur
per
attritionem
æs
illud, nullo
partium
suarum
detrimento
; quod
Galilæus
negat
.
Audieram
etiam aliquid
simile
librorum
compactoribus
evenire
, cum
plicatas
illas
chartarum
moles
malleo
diutissime
ac
validissime
tundunt
:
expertus
enim est illorum non nemo, eodem postea
illas
fuisse
pondere
quo
fuerant
prius,
incalescere
tamen
easdem
inter
ictus
maxime
, ac
pene
comburi
. Quod si quis
forte
hoc
loco
asserat
,
deperdi
quidem
partes
, sed
adeo
minutas
ut sub
libræ
, quamvis
exiguæ
,
examen
non
cadant
,
quæram
ego ex illo, unde
norit
partes
esse
deperditas
: neque enim
video
,
quonam
alio id modo
aptius
ac
diligentius
inquiram
. Deinde
vero
, si
adeo
exigua
est hæc
partium
iactura
ut
sensu
percipi
nequeat
,
cur
tantum
caloris
excitavit
? Præterea, dum
ferrum
lima
expolitur
,
calefit
quidem, minus tamen aut certe non
plus
quam cum
malleo
validissime
tunditur
; et tamen
maior
longe
partium
deperditio
ex
limatura
quam ex
contusione
existit
."
Che il
Sarsi
con
isquisita
bilancia
non abbia
ritrovato
diminuzion
di
peso
in un
pezzetto
di
rame
battuto
e
riscaldato
più
volte
, glielo voglio
credere
; ma non già che per questo egli non si sia
diminuito
, essendo che può
benissimo
accadere
, quello esser
diminuito
tanto poco, che a
qualsivoglia
bilancia
resti
cosa
impercettibile
. E prima, io
domando
al
Sarsi
, se
pesato
un
bottone
d'
argento
, e poi
doratolo
e
tornato
a
pesarlo
, ei
crede
che l'
accrescimento
fusse
notabile
e
sensibile
. Bisogna
dir
di no, perché noi
veggiamo
l'
oro
ridursi
a tanta
sottigliezza
, che anco nell'
aria
quietissima
si
trattiene
e
lentissimamente
cala
a
basso
; e con tali
foglie
può
dorarsi
alcun
metallo
. In oltre, questo medesimo
bottone
verrà
adoperato
due o tre
mesi
, avanti che la
doratura
sia
consumata
; e pur
consumandosi
finalmente,
chiara
cosa è che ogni
giorno
, anzi ogn'
ora
, s'
andava
diminuendo
. Di più,
pigli
una
palla
d'
ambra
,
muschio
ed altre
materie
odorate
: io
dico
che
portandola
addosso
alcuno
quindici
giorni
,
empirà
d'
odore
mille
stanze
e mille
strade
, ed in
somma
ogni
luogo
dov'egli
capiterà
, né questo si farà senza
diminuzione
di quella
materia
, senza la quale
indubitatamente
non
anderà
l'
odore
;
pure
,
tornandosi
in
capo
a tal
tempo
a
ripesarla
, non si
troverà
sensibil
diminuzione
. Ecco, dunque,
trovate
al
Sarsi
diminuzioni
insensibili
di
peso
, fatte per lo
consumamento
di
mesi
continui
, ch'è altro
tempo
che un
ottavo
d'
ora
, che
dovette
durare
il suo
martellare
sopra il
pezzetto
di
rame
. E tanto è più
esquisita
una
bilancia
da
saggiatori
, ch'una
stadera
filosofica
!
Aggiungendo
di più, che può molto
bene
essere
che la
materia
che,
attenuata
,
produce
il
caldo
, sia ancora assai più
sottile
della
sostanza
odorifera
,
attento
che questa si
racchiude
in
vetri
e
metalli
, per li quali essa non
traspira
, ma non già quella del
calore
, che
trapassa
per tutti i
corpi
.
Ma qui
muove
il
Sarsi
un'
instanza
, e dice: "Se il
cimento
della
bilancia
non
basta
a
mostrarci
un così
piccolo
consumamento
, come potete voi averlo
conosciuto
?" L'
obiezzione
è assai
ingegnosa
, ma non però tanto ch'un poco di
logica
naturale
non avesse avuto a
mostrarne
la
soluzione
: ed
eccone
il
progresso
. Dei
corpi
,
signor
Sarsi
, che si
stropicciano
insieme
, alcuni sono che
assolutamente
e
sicuramente
non si
consumano
punto
, altri che
grandemente
e molto
sensibilmente
si
consumano
, ed altri che si
consumano
bene
, ma
insensibilmente
. Di quelli che
stropicciandosi
non si
consumano
punto
, quali
sarebbon
due
specchi
benissimo
lisci
, il
senso
ci
mostra
che non si
riscaldano
; di quelli che si
consumano
notabilmente
, come un
ferro
nel
limarsi
, siamo
sicuri
che si
riscaldano
; adunque di quelli che noi siamo
dubbi
se nel
fregarsi
si
consumino
o no, se
troveremo
pel
senso
che si
riscaldino
,
dobbiamo
dire
e
credere
che si
consumino
ancora, e solo si potrà
dire
che non si
consumino
quelli che né anco si
riscaldano
.
A quanto sin qui ho
detto
, voglio, prima ch'io
vada
più avanti,
aggiungere
, per
ammaestramento
del
Sarsi
, come il
dire
: "Questo
corpo
alla
bilancia
non è
calato
di
peso
, adunque di lui non si è
consumata
parte
alcuna" è
discorso
assai
fallace
, potendo esser che se ne sia
consumato
e che il
peso
non solo non sia
diminuito
, ma anco tal
volta
cresciuto
; il che
accaderà
sempre che quello che si
consuma
e
rimuove
, sia
men
grave
in
specie
del
mezo
nel quale si
pesa
: e così, per
essempio
, può
accadere
ch'un
pezzo
di
legno
, per avere in sé molti
nodi
e per esser vicino alle
radici
,
messo
nell'
acqua
cali
al
fondo
e,
verbigrazia
, vi
pesi
quattr'
once
, e che
limandone
via
, non del
nocchioruto
né della
radice
, ma della
parte
più
rara
e che per se stessa è
men
grave
in
ispecie
dell'
acqua
, sì che in
parte
sosteneva
tutta la
mole
, può esser,
dico
, che il
rimanente
pesi
più che prima nel medesimo
mezo
; e così
parimente
può
essere
che nel
limarsi
o nel
fregarsi
insieme
due
ferri
o due
sassi
o due
legni
, si
separi
da loro qualche
particella
di
materia
men
grave
dell'
aria
la quale, quando
sola
si
rimovesse
,
lascerebbe
quel
corpo
più
grave
che prima. E che quanto io
dico
sia
detto
con qualche
probabilità
, e non per una
semplice
fuga
e
ritirata
,
lasciando
la
fatica
all'
avversario
di
riprovarla
,
faccia
V.
S.
Illustrissima
diligente
osservazione
nel
romper
vetri
o
pietre
o qualunque altre
materie
; ché ella in ciascheduno
spezzamento
ne
vederà
uscire
un
fumo
manifestissimamente
apparente
, il quale per
aria
se ne
ascende
in
alto
:
argomento
necessario
dell'
essere
egli più
leggieri
di lei. Questo
osservai
io prima nel
vetro
, mentre con una
chiave
o altro
ferro
l'
andavo
scantonando
e
tondando
, dove, oltre a i molti
pezzetti
che
saltano
via
in
diverse
grandezze
, ma tutti
cascano
in
terra
, si
vede
un
fumo
sottile
ascendente
sempre; ed il medesimo si
vede
accadere
nel
frangere
in
simil
modo
qualsivoglia
pietra
; e di più, oltre a quello che ci
manifesta
la
vista
, l'
odorato
ci
dà
argomento
ed
indizio
molto
chiaro
che per
avventura
si
partono
, oltre al
detto
fumo
, altre
parti
più
sottili
, e perciò
invisibili
,
sulfuree
e
bituminose
, le quali per tale
odore
che ci
arrecano
si fanno
manifeste
.
Or
vegga
il
Sarsi
quanto il suo
filosofare
è
superficiale
e poco si
profonda
oltre alla
scorza
. Né si
persuada
di poter venir con
risposte
di
limitazioni
, di
distinzioni
, di per
accidens
,di per se,di
mediate
,di
primario
, di
secondario
o d'altre
chiacchiere
, ch'io l'
assicuro
che in
vece
di
sostenere
un
errore
ne
commetterà
cento più
gravi
, e
produrrà
in
campo
sempre
vanità
maggiori: maggiori,
dico
, anco di questa che mi
resta
da
considerare
nel
fin
della
presente
particola
; dov'egli, prima, si
meraviglia
come possa esser che,
sendo
quel che si
consuma
cosa
impercettibile
alla
bilancia
, possa nondimeno
produr
tanto
calore
;
dapoi
soggiunge
che d'un
ferro
che si
lima
, gran
parte
se ne
consuma
, e
assaissimo
maggiore che quando ei si
batte
col
martello
, nulladimeno non più si
scalda
limando
che
battendolo
.
Vanissimo
è questo
discorso
, mentre altri vuole col
peso
misurare
la
quantità
di cosa che non ha
peso
alcuno, anzi è
leggierissima
e nell'
aria
velocemente
sormonta
; e quando
pure
quello che si
converte
in
materia
calda
, mentre si fa una
gagliarda
confricazione
,
fusse
parte
dell'istesso
corpo
solido
, non
doverà
alcuno
maravigliarsi
che
piccolissima
quantità
di quello possa
rarefarsi
ed
istendersi
in
ispazio
grandissimo
, s'ei
considererà
in quanta gran
mole
di
materia
ardente
e
calda
si
risolve
un
piccol
legno
, della quale la
fiamma
visibile
è la
minor
parte
,
restando
di gran
lunga
maggiore l'
insensibile
alla
vista
, ma ben
sensibile
al
tatto
. Quanto poi all'altro
punto
,
averebbe
qualche
apparenza
l'
instanza
, se il
signor
Mario
avesse mai
detto
che tutto quel
ferro
che si
consuma
,
limando
,
doventasse
materia
calorifica
, perché così
parrebbe
ragionevol
cosa che molto più
scaldasse
il
ferro
consumato
colla
lima
che il
percosso
col
martello
: ma non è la
limatura
quella che
scalda
, ma altra
sostanza
incomparabilmente
più
sottile
.
43. Ma
seguitiamo
innanzi. "Ego
igitur
multum
conferre
arbitror
, ad
maiorem
minoremve
calefactionem
corporum
attritorum
,
qualitates
eorumdem
, sint ne videlicet illa
calidiora
an
frigidiora
,
remque
hanc ex
multis
aliis
pendere
, de quibus
statuere
adeo
facile
non sit. Nam si
ferulas
duas
,
corpora
levissima
ac
rarissima
,
mutua
aut
alterius
ligni
confricatione
attriveris
,
ignem
brevi
concipient
: non idem in
lignis
aliis
accidit
,
durioribus
ac
densioribus
, quamvis eadem
diutius
ac
vehementius
atteri
consumique
contingat
.
Seneca
certe, "
Facilius
,
inquit
,
attritu
calidorum
ignis
existit
"; ex quo
fieri
ait
, ut
æstate
plurima
fiant
fulmina
, quia
plurimum
calidi
est. Præterea,
ferreus
pulvis
in
flammam
coniectus
exardescit
, non
vero
quicumque alius
pulvis
e
marmore
. Quare si in
aëre
plurimum
exhalationum
calidarum
fuerit
,
eumdemque
ex
vehementi
aliquo
motu
atteri
contigerit
, non
video
cur
calefieri
atque etiam
incendi
non
possit
: tunc enim, cum
rarus
sit ac
siccus
multumque
admixtum
calidi
habeat
, ad
ignem
concipiendum
aptissimus
est."
Qui, dove
pare
che il
Sarsi
si
apparecchi
per
produrre
con
dottrina
più
salda
migliore
esplicazione
delle
difficoltà
che si
trattano
, non
veggo
né che venga
apportato
molto di
nuovo
, né di gran
pregiudicio
alle
cose
del
signor
Mario
. Imperocché il
dire
che molto
conferisce
al maggiore o
minor
riscaldamento
de'
corpi
che si
stropicciano
insieme
, l'
essere
essi di
qualità
calda
o
fredda
, e che anco da molte altre
cose
non così ben
manifeste
depende
questo
negozio
, lo
credo
io pur troppo; ma non mi
par
già di farci
acquisto
veruno, per esser, di questo che mi
vien
detto
, la
seconda
parte
troppo
recondita
, e la prima troppo
manifesta
e
notoria
,
atteso
che in
sostanza
non mi dice altro se non che più si
scaldano
quei
corpi
che son più
caldi
o più
disposti
allo
scaldarsi
, e meno quelli che son più
freddi
. Così
parimente
quello che
segue
appresso, che per la
confricazione
alcuni
legni
, cioè i più
leggieri
e
rari
, s'
accendano
più
facilmente
che altri più
duri
e
densi
, ancor che questi più
gagliardamente
e più lungo
tempo
s'
arruotino
insieme
, lo
credo
parimente
, ma ciò non
veggo
che
faccia
contro al
signor
Mario
, che mai non ha
detto
in
contrario
; e non è
adesso
ch'io
sapevo
che più presto s'
infiammava
un
pennecchio
di
stoppa
in un
fuoco
ben che
lentissimo
, che un
pezzo
di
ferro
nella
fucina
ben
ardente
.
A quello ch'ei
soggiunge
, e
fortifica
col
testimonio
di
Seneca
, cioè che la state sia per
aria
maggior
copia
d'
essalazioni
secche
, e che perciò si facciano molti
fulmini
, io ci presto l'
assenso
; ma
dubito
bene
circa '
l
modo dell'
accendersi
cotali
essalazioni
insieme
coll'
aria
, e se ciò
avvenga
per l'
attrizione
cagionata
per alcun
movimento
. Io
reputerei
vero
quanto viene
scritto
dal
Sarsi
, se prima egli m'avesse
accertato
, non
essere
in
natura
altri
modi
di
suscitar
l'
incendio
fuori che questi due, cioè o col
toccar
la
materia
combustibile
con un
fuoco
già
attualmente
ardente
, come quando con un
moccolo
acceso
s'
accende
una
torcia
, o
vero
con l'
attrizion
di due
corpi
non
ardenti
: ma perché altri
modi
ci sono, come per la
reflessione
de'
raggi
solari
in uno
specchio
concavo
, o per la
refrazzion
de' medesimi in una
palla
di
cristallo
o d'
acqua
, ed anco s'è
veduto
talvolta
infiammarsi
per le
strade
, mediante l'
eccessivo
caldo
, le
paglie
ed altri
corpi
sottili
, e questo farsi senza alcuna
commozione
o
agitazione
, anzi solamente quando l'
aria
è
quietissima
, e che per
avventura
s'ella
fusse
agitata
e
spirasse
vento
, l'
incendio
non ne
seguirebbe
; perché,
dico
, ci sono questi altri
modi
, perché non
poss'
io
stimar
che ve ne possa esser qualche altro
diverso
da questi, per lo quale l'
essalazioni
per
aria
e tra le
nubi
si
accendano
? E perché
debbo
io
attribuire
ciò ad un
veemente
movimento
, se io
veggo
, prima, che senza l'
arrotamento
de'
corpi
solidi
, quali non si
trovano
tra le
nuvole
, non si
suscita
l'
incendio
, ed oltre a ciò niuna
commozione
si
scorge
in
aria
o nelle
nuvole
quando è maggior la
frequenza
de'
lampi
e de'
fulmini
? Io
stimo
che il
dir
questo non abbia in sé più di
verità
, che quando i medesimi
filosofi
attribuiscono
il gran
romor
de'
tuoni
allo
stracciamento
delle
nuvole
o all'
urtarsi
insieme
l'una contro l'altra; tuttavia nello
splendor
de' maggiori
baleni
, e quando si
produce
il
tuono
, non si
scorge
nelle
nuvole
pure
un
minimo
movimento
o
mutazion
di
figura
, il quale ad un tanto
squarciamento
doverebbe
esser
grandissimo
.
Lascio
stare che i medesimi
filosofi
, quando
tratteranno
poi del
suono
, vorranno nella sua
produzzione
la
percussione
de'
corpi
duri
, e
diranno
che perciò la
lana
né la
stoppa
nel
percuotersi
non fanno
strepito
; ma poi, quando n'
averanno
bisogno
, la
nebbia
e le
nuvole
percuotendosi
renderanno
il
massimo
di tutti i
rumori
.
Trattabile
e
benigna
filosofia
, che così
piacevolmente
e con tanta
agevolezza
si
accommoda
alle nostre
voglie
ed alle nostre
necessità
!
44. Or
passiamo
avanti a
essaminar
l'
esperienze
della
freccia
tirata
coll'
arco
e della
palla
di
piombo
tirata
colle
scaglie
,
infocate
e
strutte
per
aria
,
confermate
coll'
autorità
d'
Aristotile
, di molti gran
poeti
, d'altri
filosofi
ed
istorici
. "Quamvis autem
exemplum
Aristotelis
de
sagitta
, cuius
ferrum
motu
incaluit
,
Galilæus
irrideat
atque
eludere
tentet
, non tamen id potest: neque enim
Aristoteles
unus id
asserit
, sed
innumeri
pene
magni
nominis
viri
huiusmodi
exempla
(earum procul
dubio
rerum
, quas ipsi aut
spectassent
, aut a
spectatoribus
accepissent
)
prodiderunt
.
Vult
hic
Galilæus
, aliquos nunc
proferam
e
plurimis
qui hoc non
vere
minus quam
eleganter
affirmant
?
Ordiar
a
poëtis
,
iis
contentus
quorum
auctoritas
, quia
rerum
naturalium
cognitione
perbene
instructi
sunt, in
rebus
gravissimis
afferri
ac
magni
fieri
solet
. Et sane
Ovidius
, non
poëticæ
solum
sed
mathematicorum
etiam ac
philosophiæ
peritus
, non
sagittas
modo, sed
plumbeas
glandes
,
fundis
Balearicis
excussas
, in
cursu
sæpe
exarsisse
testatur
. In
libris
enim
Metamorphoseon
hæc
habet
:
Non
secus
exarsit
, quam cum
Balearica
plumbum
funda
iacit
:
volat
illud et
incandescit
eundo
,
et, quos non
habuit
, sub
nubibus
invenit
ignes
.
Paria
his
habet
Lucanus
,
ingenio
doctrinaque
clarissimus
:
Inde
faces
et
saxa
volant
,
spatioque
solutæ
aëris
et
calido
liquefactæ
pondere
glandes
.
Quid
Lucretius
, non
minor
et ipse
philosophus
quam
poëta
? nonne
pluribus
in
locis
idem
testatur
?
. . . . . . . . . . . . . . . . .
plumbea
vero
glans
etiam
longo
cursu
volvenda
liquescit
;
et
alibi
:
Non alia
longe
ratione
, ac
plumbea
sæpe
fervida
fit
glans
in
cursu
, cum multa
rigoris
corpora
demittens
ignem
concepit
in
auris
.
Idem
innuit
Statius
, dum
ait
:
. . . .
arsuras
cæli
per
inania
glandes
.
Quid de
Virgilio
,
poëtarum
maximo
? non ne
bis
hoc ipsum
disertissime
affirmat
? Dum enim
ludos
Troianorum
describit
, de
Aceste
ita
loquitur
:
Namque
volans
liquidis
in
nubibus
arsit
arundo
,
signavitque
viam
flammis
,
tenuesque
recessit
consumpta
in
ventos
;
alio
vero
loco
, de
Mezentio
sic:
Stridentem
fundam
,
positis
Mezentius
armis
,
ipse
ter
adducta
circum
caput
egit
habena
,
et
media
adversi
liquefacto
tempora
plumbo
diffidit
, et multa
porrectum
extendit
arena
.
Posse
vero
corpus
durius
alterius
mollioris
attritione
consumi
,
probat
aqua
,
diuturna
distillatione
durissimos
etiam
lapides
excavans
, atque
allisæ
scopulis
undæ
, quæ
eosdem
comminuunt
et
mire
lævigant
;
ventorum
etiam vi
corrodi
turrium
ac
domorum
angulos
experimur
. Si quando
igitur
aër
ipse
concrescat
magnoque
impetu
feratur
,
duriora
etiam
atteret
corpora
, atque ipse ab
iis
vicissim
atteretur
.
Sibilus
certe, qui in
agitatione
fundæ
exauditur
,
addensati
aëris
argumentum
est; quod
fortasse
voluit
Statius
cum
dixit
,
aërem
fundæ
gyris
inclusum
distringi
:
. . . et
flexæ
Balearicus
actor
habenæ
,
qua
suspensa
trahens
libraret
vulnera
tortu
,
inclusum
quoties
distringeret
aëra
gyro
.
Idem etiam
probat
grando
, quæ quo
altiori
e
loco
decidit
, eo
minutior
ac
rotundior
cadit
; idem
pluviæ
guttæ
,
maiores
cum ex
humiliori
loco
,
minores
cum ex
altiori
cadunt
, cum in
aëre
et
comminuantur
et
atterantur
."
Che io o '
l
signor
Mario
ci siamo
risi
e
burlati
dell'
esperienza
prodotta
da
Aristotile
, è
falsissimo
, non essendo nel
libro
del
signor
Mario
pur
minima
parola
di
derisione
, né
scritto
altro se non che noi non
crediamo
ch'una
freccia
fredda
,
tirata
coll'
arco
, s'
infuochi
; anzi
crediamo
che,
tirandola
infocata
, più presto si
raffredderebbe
che
tenendola
ferma
: e questo non è
schernire
, ma
dir
semplicemente
il suo
concetto
. A quello poi ch'ei
soggiunge
, non esserci
succeduto
il
convincer
cotale
esperienza
, perché non
Aristotile
solo, ma moltissimi altri
grand'
uomini
ànno
creduto
e
scritto
il medesimo,
rispondo
che se è
vero
che per
convincere
il
detto
d'
Aristotile
bisogni
far che quei molti altri non l'abbian
creduto
né
scritto
, né io né '
l
signor
Mario
né tutto il
mondo
insieme
lo
convinceranno
già mai, perché mai non si farà che quei che l'
ànno
scritto
e
creduto
non l'abbian
creduto
e
scritto
: ma
dico
bene
,
parermi
cosa assai
nuova
che, di quel che sta in
fatto
, altri
voglia
anteporre
l'
attestazioni
d'
uomini
a ciò che ne
mostra
l'
esperienza
. L'
addur
tanti
testimoni
,
signor
Sarsi
, non
serve
a niente, perché noi non abbiamo mai
negato
che molti abbiano
scritto
e
creduto
tal cosa, ma sì
bene
abbiamo
detto
tal cosa esser
falsa
; e quanto all'
autorità
, tanto
opera
la vostra
sola
quanto di cento
insieme
, nel far che l'
effetto
sia
vero
o non
vero
. Voi
contrastate
coll'
autorità
di molti
poeti
all'
esperienze
che noi
produciamo
. Io vi
rispondo
e
dico
, che se quei
poeti
fussero
presenti
alle nostre
esperienze
,
muterebbono
opinione
, e senza veruna
repugnanza
direbbono
d'avere
scritto
iperbolicamente
o
confesserebbono
d'essersi
ingannati
. Ma già che non è
possibile
d'aver
presenti
i
poeti
, i quali
dico
che
cederebbono
alle nostre
esperienze
, ma ben abbiamo alle
mani
arcieri
e
scagliatori
,
provate
voi se, coll'
addur
loro queste tante
autorità
, vi
succede
d'
avvalorargli
in
guisa
, che le
frecce
ed i
piombi
tirati
da loro s'
abbrucino
e
liquefacciano
per
aria
; e così vi
chiarirete
quanta sia la
forza
dell'
umane
autorità
sopra gli
effetti
della
natura
,
sorda
ed
inessorabile
a i nostri
vani
desiderii
. Voi mi
direte
che non ci sono più gli
Acesti
e
Mezenzii
o lor
simili
Paladini
valenti
: ed io mi
contento
che, non con un
semplice
arco
a
mano
, ma con un
robustissimo
arco
d'
acciaio
d'un
balestrone
caricato
con
martinelli
e
leve
, che a
piegarlo
a
mano
non
basterebbe
la
forza
di
trenta
Mezenzii
, voi
tiriate
una
freccia
o dieci o cento; e se mai
accade
che, non
dirò
che '
l
ferro
d'alcuna s'
infuochi
o '
l
suo
fusto
s'
abbruci
, ma che le sue
penne
solamente
rimangano
abbronzate
, io voglio aver
perduta
la
lite
, ed anco la
grazia
vostra, da me
grandemente
stimata
.
Orsù
,
signor
Sarsi
, io non vi voglio più
tener
sospeso
: non m'abbiate per tanto
ritroso
che io non
voglia
cedere
all'
autorità
ed al
testimonio
di tanti
poeti
ammirabili
, e ch'io non
voglia
credere
che tal
volta
sia
accaduto
l'
abbruciamento
delle
frecce
e la
fusione
de'
metalli
; ma
dico
bene
, di
cotali
meraviglie
la
causa
essere
stata molto
diversa
da quella che i
filosofi
n'
ànno
voluta
addurre
, mentre la
riducono
ad
attrizzioni
d'
arie
ed
essalazioni
e
simili
chimere
, che son tutte
vanità
. Volete voi
saperne
la
vera
ragione
?
Sentite
il
Poeta
a niun altro
inferiore
, nell'
incontro
di
Ruggiero
con
Mandricardo
e nel
fracassamento
delle lor
lance
:
I
tronchi
sino al
ciel
ne sono
ascesi
;
scrive
Turpin
,
verace
in questo
loco
,
che due o tre
giù
ne
tornaro
accesi
,
ch'eran
saliti
alla
sfera
del
foco
.
E forse che il
grand'
Ariosto
non
leva
ogni
causa
di
dubitar
di
cotal
verità
, mentr'ei la
fortifica
coll'
attestazione
di
Turpino
? il quale ognun
sa
quanto sia
veridico
e quanto
bisogni
credergli
.
Ma
lasciamo
i
poeti
nella lor
vera
sentenza
, e
torniamo
a quelli che
riducono
la
causa
all'
attrizion
dell'
aria
: la quale
opinione
io
reputo
falsa
; e
considero
quello che
producete
voi, volendo
mostrare
come i
corpi
durissimi
per l'
attrizione
d'altri più
molli
possano
consumarsi
, e
dite
, ciò
apertamente
scorgersi
nell'
acqua
e nel
vento
ancora,
rodendo
e
consumando
questo i
cantoni
delle
saldissime
torri
, e quella, con una
continua
distillazione
e
frequente
picchiare
,
scavando
i
marmi
e i
durissimi
scogli
. Tutto questo vi
concedo
io, perch'è
verissimo
; e più v'
aggiungo
che non
dubito
punto
che le
frecce
e le
palle
, non solo di
piombo
, ma di
pietra
e di
ferro
ancora,
cacciate
fuor
d'una
artiglieria
si
consumano
, nel
ferir
l'
aria
con quella
somma
celerità
, più che gli
scogli
o le
muraglie
nelle
percosse
dell'
acqua
e del
vento
; e
dico
, che se per fare una
notabile
corrosione
o
scortecciamento
negli
scogli
e nelle
torri
ci vuole il
ferir
di
ducento
o
trecento
anni
dell'
acqua
e del
vento
, nel
roder
le
frecce
e le
palle
d'
artiglieria
basterebbe
ch'
elle
durassero
ad
andar
per
aria
due o tre
mesi
soli
: ma il
tempo
di due o tre
battute
di
polso
solamente non
intendo
già come possa fare
effetto
notabile
. Oltre che mi
restano
due altre
difficoltà
nell'
applicar
questa vostra,
veramente
ingegnosa
,
considerazione
al
proposito
vostro: l'una è, che noi
parliamo
di
liquefare
e
struggere
per
via
di
calore
, e non di
consumare
per
via
di
percosse
; l'altra è, che nel
caso
vostro voi avete
bisogno
che non il
corpo
solido
, ma il
corpo
molle
e
sottile
, sia quello che si
stritoli
ed
assottigli
, cioè l'
aria
, ch'è quella che s'ha poi ad
accendere
:
ora
l'
esperienze
addotte
da voi
provano
che i
sassi
, e non l'
aria
o l'
acqua
,
ricevon
l'
attrizione
; e
veramente
io
credo
che l'
aria
e l'
acqua
,
picchino
pure
se
sanno
picchiare
, non però si
assottiglieranno
mai più che prima. Per tanto io
concludo
, poco
aiuto
e
sollevamento
per la
causa
vostra
derivar
da queste
cose
, come anco da quel ch'
aggiungete
della
gragnuola
e delle
gocciole
dell'
acqua
: delle quali io vi
concedo
che nel
cader
da
alto
si
vadano
rappiccolendo
; ve lo
concedo
,
dico
, non perch'io non
creda
che possa esser
vero
anco tutto l'
opposito
di quel che
dite
voi, ma perché non
veggo
che né nell'uno né nell'altro modo abbia che far col
proposito
di che si
tratta
. Che la
frombola
poi
co
' suoi
fischi
e
scoppi
sia
argomento
d'
aria
condensata
nella sua
agitazione
, la
lascerò
esser quel che
piace
a voi; ma
avvertite
che sarà una
contradizzione
a voi medesimo e un
disastro
alla vostra
causa
: imperocché sin qui avete sempre
detto
che per l'
agitazione
e
commozione
gagliarda
si fa l'
attrizione
,
rarefazzione
e finalmente l'
accendimento
nell'
aria
, ed
ora
, per
render
ragione
del
sibilo
della
scaglia
, o
vero
per
trovare
il
senso
delle
parole
assai
offuscate
di
Stazio
, volete la
condensazione
; sì che quella medesima
commozione
che, per
servire
allo
struggere
ed
abbruciare
,
rarefà
l'
aria
, per
servizio
de'
frombolatori
e di
Stazio
la
condensa
. Ma
passiamo
a
sentire
i
testimoni
degl'
istorici
.
45. "Sed ne
poëtarum
testimonium
, vel eo ipso
poëtæ
nomine
,
suspectum
alicui
videatur
(quamquam
eosdem
ex
communi
saltem
omnium
sensu
locutos
scimus
), ad alios
venio
magnæ
etiam
auctoritatis
ac
fidei
viros
.
Suidas
igitur
in
Historicis
,
verbo
((((((((((((( hæc
narrat
: "
Babylonii
iniecta
in
fundas
ova
in
orbem
circumagentes
,
rudis
et
venatorii
victus
non
ignari
, sed
iis
rationibus
quas
solitudo
postulat
exercitati
, etiam
crudum
ovum
impetu
illo
coxerunt
." Hæc ille. Iam
vero
si quis
tantarum
causas
rerum
inquirat
,
audiat
Senecam
philosophum
, quando hic inter
cæteros
Galilæo
probatur
, de his
philosophice
disputantem
. Ille enim, ex
sententia
,
primum
,
Posidonii
, "In ipso
aëre
,
inquit
, quidquid
attenuatur
, simul
siccatur
et
calet
"; ex sua
vero
sententia
, "Non est,
inquit
,
assiduus
spiritus
cursus
, sed
quoties
fortius
ipsa
iactatione
se
accendit
,
fugiendi
impetum
capit.
" Sed
longe
hæc
apertius
alibi
, ubi
fulminis
causas
inquirens
, "Id
evenit
,
inquit
, ubi in
ignem
extenuatus
in
nubibus
aër
vertitur
, nec
vires
quibus
longius
prosiliat
invenit
" (
audiat
iam quæ
sequuntur
Galilæus
,
sibique
dicta
existimet
): "non
miraris
,
puto
, si
aëra
aut
motus
extenuat
, aut
extenuatio
incendit
; sic
liquescit
excussa
glans
funda
, et
attritu
aëris
velut
igne
distillat
."
Nescio
sane, an
diserte
magis
aut
clarius
dici
unquam id
posset
. Sive
igitur
poëtarum
optimis
, sive
philosophis
credas
,
vides
, quicumque hac de
re
dubitas
,
atteri
posse per
motum
aërem
, atque ita
incalescere
, ut vel
plumbum
eius
calore
liquescat
. Nam quis hic
existimet
,
viros
virorum
florem
eruditissimorum
, cum de
iis
loquerentur
quorum in
re
militari
quotidianus
erat etiam tunc
usus
,
egregie
adeo
atque
impudenter
mentiri
voluisse
?
Equidem
non
is
sum, qui
sapientibus
hanc
notam
inuram
."
Io non posso non
ritornare
a
meravigliarmi
, che pur il
Sarsi
voglia
persistere
a
provarmi
per
via
di
testimonii
quello ch'io posso ad ogn'
ora
veder
per
via
d'
esperienze
. S'
essaminano
i
testimonii
nelle
cose
dubbie
,
passate
e non
permanenti
, e non in quelle che sono in
fatto
e
presenti
; e così è
necessario
che il
giudice
cerchi
per
via
di
testimonii
sapere
se è
vero
che
ier
notte
Pietro
ferisse
Giovanni
, e non se
Giovanni
sia
ferito
, potendo
vederlo
tuttavia e farne il
visu
reperto
.Ma più
dico
che anco nelle
conclusioni
delle quali non si potesse venire in
cognizione
se non per
via
di
discorso
, poca più
stima
farei
dell'
attestazioni
di molti che di quella di pochi, essendo
sicuro
che il
numero
di quelli che nelle
cose
difficili
discorron
bene
, è
minore
assai che di quei che
discorron
male
. Se il
discorrere
circa un
problema
difficile
fusse
come il
portar
pesi
, dove molti
cavalli
porteranno
più
sacca
di
grano
che un
caval
solo, io
acconsentirei
che i molti
discorsi
facesser
più che un solo; ma il
discorrere
è come il
correre
, e non come il
portare
, ed un
caval
barbero
solo
correrà
più che cento
frisoni
. Però quando il
Sarsi
vien
con tanta
moltitudine
d'
autori
, non mi
par
che
fortifichi
punto
la sua
conclusione
, anzi che
nobiliti
la
causa
del
signor
Mario
e mia,
mostrando
che noi abbiamo
discorso
meglio
che molti
uomini
di gran
credito
. Se il
Sarsi
vuole ch'io
creda
a
Suida
che i
Babilonii
cocesser
l'
uova
col
girarle
velocemente
nella
fionda
, io lo
crederò
; ma
dirò
bene
, la
cagione
di tal
effetto
esser
lontanissima
da quella che gli viene
attribuita
, e per
trovar
la
vera
io
discorrerò
così: "Se a noi non
succede
un
effetto
che ad altri altra
volta
è
riuscito
, è
necessario
che noi nel nostro
operare
manchiamo
di quello che fu
causa
della
riuscita
d'esso
effetto
, e che non
mancando
a noi altro che una cosa
sola
, questa
sola
cosa sia la
vera
causa
:
ora
, a noi non
mancano
uova
, né
fionde
, né
uomini
robusti
che le
girino
, e pur non si
cuocono
, anzi, se
fusser
calde
, si
raffreddano
più presto; e perché non ci
manca
altro che l'esser di
Babilonia
, adunque l'esser
Babiloni
è
causa
dell'
indurirsi
l'
uova
, e non l'
attrizion
dell'
aria
", ch'è quello ch'io volevo
provare
. È
possibile
che il
Sarsi
nel
correr
la
posta
non abbia
osservato
quanta
freschezza
gli
apporti
alla
faccia
quella
continua
mutazion
d'
aria
? e se pur l'ha
sentito
, vorrà egli
creder
più le
cose
di
dumila
anni
fa,
succedute
in
Babilonia
e
riferite
da altri, che le
presenti
e ch'egli in se stesso
prova
? Io
prego
V.
S.
Illustrissima
a farli una
volta
veder
di
meza
state
ghiacciare
il
vino
per
via
d'una
veloce
agitazione
, senza la quale egli non
ghiaccerebbe
altrimenti. Quali poi possano esser le
ragioni
che
Seneca
ed altri
arrecano
di questo
effetto
, ch'è
falso
, lo
lascio
giudicare
a lei.
All'
invito
che mi fa il
Sarsi
ad
ascoltare
attentamente
quello che
conclude
Seneca
, e ch'egli poi mi
domanda
se si poteva
dir
cosa più
chiaramente
e più
sottilmente
, io gli presto tutto il mio
assenso
, e
confermo
che non si poteva né più
sottilmente
né più
apertamente
dire
una
bugia
. Ma non vorrei già ch'ei mi
mettesse
, com'ei
cerca
di fare, per
termine
di
buona
creanza
in
necessità
di
credere
quel ch'io
reputo
falso
, sì che
negandolo
io venga quasi a
dar
una
mentita
a
uomini
che sono il
fior
de'
letterati
e, quel ch'è più
pericoloso
, a
soldati
valorosi
; perch'io
penso
ch'eglino
credesser
di
dire
il
vero
, e così la lor
bugia
non è
disonorata
: e mentre il
Sarsi
dice, non
volere
esser di quelli che facciano un tal
affronto
ad
uomini
sapienti
, di
contradire
e non
credere
a i lor
detti
, ed io
dico
, non voler esser di quelli così
sconoscenti
ed
ingrati
verso la
natura
e
Dio
, che avendomi
dato
sensi
e
discorso
, io
voglia
pospor
sì gran
doni
alle
fallacie
d'un
uomo
, ed alla
cieca
e
balordamente
creder
ciò ch'io
sento
dire
, e far
serva
la
libertà
del mio
intelletto
a chi può così
bene
errare
come me.
46. "Sed quid adversus hæc
afferre
possit
Galilæus
, non
dissimulabo
:
dicat
enim
fortasse
,
nullam
unquam
fuisse
fundarum
aut
arcuum
vim
tantam
, quæ
sclopeti
aut
muralis
tormenti
impulsum
æquare
potuerit
; quod si
plumbeæ
glandes
hisce
tormentis
excussæ
non
liquescunt
,
addito
etiam
pulveris
incendio
, quo vel uno
liquescere
deberent
,
iure
suspicari
nos posse,
poëtarum
fuisse
commenta
illa
liquefacti
plumbi
atque
exustarum
exempla
sagittarum
. Sed si hæc
facile
obiiciat
Galilæus
, non
æque
tamen
facile
eadem
probarit
.
Quin
potius
scio
,
explosas
maioribus
bombardis
plumbeas
pilas
in
aëre
liquescere
aliquando. Certe
Homerus
Turtura
, ut
nuperrimus
ita
diligentissimus
rerum
Gallicarum
scriptor
,
ait
,
ingentem
aliquando
tormentariorum
globorum
vim
inutilem
mœnibus
diruendis
fuisse
, quod, cum illi
exigui
prius
forent
atque ex
ferro
,
superinducto
plumbo
maiores
effecti
fuissent
: "cum enim,
inquit
, in
muros
exploderentur
,
plumbo
in
aëre
liquescente
,
solus
interior
globulus
ex
ferro
,
instar
nuclei
,
abiecto
cortice
,
murum
pertingebat
." Præterea,
audivi
ipse ex
iis
qui
viderant
,
probatissimæ
fidei
viris
, cum
dicerent
,
globulum
plumbeum
rotundum
sclopeto
explosum
, cum
brachio
forte
alterius
inhæsisset
, ex eodem postea
extractum
fuisse
non
rotundum
, sed
oblongum
et
vere
glandis
figuram
referentem
: quod
quotidianis
etiam
exemplis
comprobatur
, dum
irrito
sæpe
ictu
glandes
plumbeæ
sclopetis
excussæ
, inter
hostium
vestes
implicitæ
,
figura
non
amplius
qua
fuerant
, sed
compressæ
ac
laciniosæ
atque etiam
frustatim
comminutæ
reperiuntur
. Quod
argomento
est,
illas
, ex
calore
concepto
rariores
effectas
,
invalido
percussisse
ictu
."
Continua
pure
il
Sarsi
nel
cominciato
stile
, di voler
provar
coll'altrui
relazioni
quello che sta in
fatto
e che ogn'
ora
si può
vedere
per l'
esperienza
; e come per
autorizar
gli
antichi
arcieri
e
frombolatori
ha
trovato
uomini
per altro
insigni
, così, per
render
credibile
il medesimo
effetto
di
liquefarsi
le
moderne
palle
d'
archibuso
e d'
artiglieria
, ha
ritrovato
un
moderno
istorico
non
men
degno
di
fede
né di
minore
autorità
di qualunque altro
antico
. Ma perché non
punto
deroga
di
fede
né di
dignità
all'
istorico
l'
arrecare
d'un
effetto
naturale
vero
una
ragione
non
vera
, essendo che all'
istorico
appartiene
il solo
effetto
, ma la
ragione
è
officio
del
filosofo
; però,
credendo
io al
signor
Omero
Tortora
che le
palle
d'
artiglieria
, per
essere
state
incamiciate
di
piombo
,
facesser
poco
effetto
nel
batter
la
muraglia
nemica
,
piglierò
ardire
di
negargli
la
ragione
ch'egli,
ricevendola
dalla
commune
filosofia
, n'
adduce
; con
isperanza
che l'istesso
istorico
, sì come sin qui ha
creduto
quello che ha
trovato
scritto
da tanti altri
uomini
grandi
, l'
autorità
de' quali è stata
bastante
ad
acquistar
fede
ad ogni lor
detto
, così,
sentendo
le mie
ragioni
, sia per
cangiare
opinione
, o almeno per venire in
pensiero
di voler
vedere
coll'
esperienza
qual sia la
verità
.
Credo
dunque al
signor
Tortora
, che le
palle
di
ferro
covertate
di
piombo
nella
batteria
di
Corbel
facesser
poco
effetto
, e che di loro si
ritrovasser
l'
anime
di
ferro
spogliate
di
piombo
; e questo è tutto quello ch'
appartiene
all'
istorico
: ma non
credo
già l'altra
parte
filosofica
, cioè che il
piombo
si
liquefacesse
, e che perciò si
trovasser
nude
le
palle
di
ferro
; ma
credo
che
giungendo
con quello
estremo
impeto
che dal
cannone
veniva
cacciata
la
palla
sopra la
muraglia
, la
coverta
di
piombo
in quella
parte
che
rimaneva
compressa
tra '
l
muro
esterno
e l'
interior
palla
di
ferro
si
ammaccasse
e
sbranasse
, e che l'istesso o poco meno facesse anco l'altra
parte
del
piombo
opposta
,
schiacciandosi
sopra il
ferro
, e che tutto il
piombo
,
dilaniato
e
trasfigurato
,
saltasse
in
diverse
bande
, il quale poi,
imbrattato
da
calcinacci
e perciò
simile
ad altri
fragmenti
della
ruina
,
malagevolmente
si
ritrovasse
, e forse anco per
avventura
non
fusse
con quella
diligenza
ricercato
, che
richiederebbe
la
curiosità
di chi volesse venire in
cognizione
s'ei si
fusse
strutto
o pur
dilacerato
; e così
servendo
il
piombo
quasi come
riparo
e
guanciale
alla
palla
di
ferro
, onde ella
minor
percossa
dava
e
riceveva
, con
ingrata
ricompensa
ne
restava
egli in
guisa
dilacerato
e
guasto
, che né il
cadavero
ancora si
ritrovava
tra i
morti
. E perché io
intendo
che il
signor
Omero
si
ritrova
costì in
Roma
, se mai
accadesse
che s'
incontrasse
con
V.
S.
Illustrissima
, la
prego
a
leggergli
questo poco che ho
scritto
e quel
resto
che
scriverò
appresso in questo
proposito
; imperocché
grandissima
stima
farei
del
guadagnarmi
l'
assenso
di
persona
meritamente
pregiata
assai all'
età
nostra.
Dico
dunque, che se noi
considereremo
in quanto
tempo
va
la
palla
dal
cannone
alla
muraglia
, e quello che dentro a tal
tempo
deve
operare
per far la
fusione
del
piombo
, gran
meraviglia
sarà ch'altri
voglia
persistere
in
opinione
che pur tal
effetto
segua
. Il
tempo
è assai meno d'una
battuta
di
polso
, dentro al quale si ha da fare l'
attrizione
dell'
aria
, si ha poi d'
accendere
, ed in
ultimo
si
deve
liquefare
il
piombo
; ma se noi
metteremo
la medesima
palla
di
piombo
nel
mezo
d'una
fornace
ardente
, ei non si
struggerà
né anco in
venti
battute
:
resterà
ora
al
Sarsi
di
persuader
altrui, che l'
aria
attrita
e
accesa
sia uno
ardore
incomparabilmente
maggiore di quel d'una
fornace
. Di più, ci
mostra
l'
esperienza
come una
palla
di
cera
tirata
coll'
archibuso
passa
una
tavola
, ch'è
argomento
ch'ella non si
strugga
per
aria
:
bisognerà
dunque che il medesimo
Sarsi
renda
ragione
, perché si
liquefaccia
il
piombo
, ma non la
cera
. Di più, se il
piombo
si
liquefà
,
sicuramente
,
arrivando
sopra un
corsaletto
, poca
botta
potrà fare; onde gran
meraviglia
mi
resta
che questi
moschettieri
non abbiano ancor
pensato
di far le
palle
di
ferro
,
acciò
non così
facilmente
si
struggano
; ma
tirano
pur con
palle
di
piombo
, alle quali poche
piastre
di
ferro
sono che
resistano
, ed in quelle che
reggono
si
trova
una ben
profonda
ammaccatura
e la
palla
schiacciata
, ma non già
liquefatta
. Negli
uccelli
ammazzati
con le
migliaruole
si
ritrovano
i
grani
di
piombo
dell'
istessa
figura
per l'
appunto
:
toccherà
al
Sarsi
a
render
ragione
come si
liquefacciano
i
pezzi
di
piombo
di
quindici
o
venti
libre
l'uno, ma non quelli che ne
va
trentamila
alla
libra
. Che tutto il
giorno
si
trovino
tra i
vestimenti
de'
nemici
le
palle
diversificate
di
figura
,
crederò
che alcune si sieno
schiacciate
nell'
armadura
, e tali
rimaste
tra i
panni
; altre possono avere
urtato
per
iscancìo
in una
celata
e perciò
allungatesi
, e,
giungendo
stracche
ne'
panni
di un altro,
restatevi
senza
offenderlo
: ed in
somma
possono in una
scaramuccia
accadere
mille
accidenti
,
dico
senza
liquefazione
; la quale quando
fusse
,
bisognerebbe
che il
piombo
,
disperdendosi
in più
minute
stille
che non fa l'
acqua
(come
sa
il
Sarsi
), da
luoghi
altissimi
, e però con gran
velocità
,
cadendo
, si
perdesse
del tutto, sì che niente d'esso si
ritrovasse
.
Lascio
star di
dire
che la
freccia
e la
palla
accompagnate
dall'
aria
ardente
doverebbono
, la
notte
in
particolare
,
mostrar
nel lor
viaggio
una
strada
risplendente
, come quella d'un
razo
,
giusto
nella
maniera
che
scrive
Virgilio
della
freccia
di
Aceste
, che
segnò
il suo
cammino
colle
fiamme
; tuttavia tal
effetto
non si
vede
se non
poeticamente
, ben che gli altri
accidenti
notturni
, come di
baleni
, di
stelle
discorrenti
, per gran
lume
si facciano molto
cospicuamente
vedere
.
47. "At id
quotidie
accidere
non
videmus
. Nempe, neque
auctores
a nobis
citati
affirmarunt
,
quoties
Balearicus
fundibularius
plumbum
funda
proiiceret
,
solitum
illud ex
motu
liquescere
, sed tantum
accidisse
id non semel, atque ideo
insolitam
rem
pene
miraculo
fuisse
: nos etiam supra
diximus
, ad
ignem
ex
attritu
aëris
excitandum
multam
exhalationum
copiam
in eodem
aëre
requiri
, quod
calidiora
facilius
ignescant
. Sic enim
videmus
in
cœmeteriis
per
æstatem
accidere
non
raro
, ut ad alicuius
hominis
adventum
aut ad
lenissimi
favonii
eventilationem
agitatus
aër
ille,
siccis
et
calidis
halitibus
infectus
, in
flammam
statim
abeat
.
Quænam
porro
hic
corporum
duriorum
attritio
reperitur
? Et tamen ex
motu
atque
attritione
levissima
aër
ille
ignescit
. Atque hoc
voluit
Aristoteles
, cum
dixit
: "Cum autem
fertur
et
movetur
hoc modo,
quacumque
contigerit
bene
temperata
existens
,
sæpe
ignitur
": quo
textu
satis
aperte
significat
, hæc non
contingere
nisi in
iis
circumstantiis
quas
superius
enumeravimus
. Quare, si quando
is
aëris
status
fuerit
ut huiusmodi
exhalationibus
abunde
ferveat
,
aio
plumbeos
orbes
,
fundis
etiam
validissime
excussos
, suo
motu
aërem
accensuros
, atque ab eodem
incenso
incendendos
vicissim
fore
; non esse proinde,
cur
Galilæus
ad
experimenta
confugiat
, cum non nostro hæc
arbitratu
, sed
casu
,
evenire
asseramus
;
perdifficile
autem est
casum
, cum
volueris
,
accersere
. Quod si quis
forte
dixerit
,
glandes
tormentis
bellicis
explosas
, non ex
attritu
aëris
, sed ex
igne
vehementissimo
quo
excutiuntur
,
accendi
; quamquam
haud
ita
facile
mihi
persuadeam
,
ingentem
plumbi
vim
ab eo
igne
liquescere
quem
brevissimo
temporis
momento
vix
attigerit
,
satis
hoc
loco
habeo
ostendisse
,
nullum
ab his
exemplis
Galilæo
patere
effugium
ad
poëtarum
et
philosophorum
testimonia
evadenda
."
Questo
liquefarsi
le
palle
di
piombo
, che quattro
versi
di sopra
disse
il
Sarsi
che si
conferma
con
esempli
cotidiani
,
adesso
dice
accader
così di
rado
, che, come cosa
insolita
,
vien
reputato
quasi un
miracolo
. Or questa gran
ritirata
ci
assicura
pur di
vantaggio
ch'ei si
conosce
molto
bisognoso
di
schermi
e di
fughe
; il qual
bisogno
va
egli
confermando
colla propria
inconstanza
, di voler or questa cosa ed or quella:
ora
dice che per
accender
l'
aria
basta
l'
agitazione
d'un
piccol
venticello
, ed anco il solo
arrivo
d'un
uomo
vivo
sopra un
cimiterio
di
morti
; altra
volta
(come ha
detto
di sopra, e
replica
nel
fine
di questa
proposizione
) vorrà un
moto
veemente
, una
copia
grande
d'
essalazioni
, una
grande
attenuazione
di
materia
, e se altra cosa è che
conferisca
a questa
fattura
; ed a quest'
ultimo
riquisito
sottoscrivo
più che a tutti gli altri,
sicurissimo
che non solo questi
accendimenti
, ma qualunque altro più
meraviglioso
e
recondito
effetto
di
natura
segue
quando vi son quei
requisiti
che si
convengono
. Vorrei ben
sapere
a che
proposito
mi
domandi
il
Sarsi
, dopo aver
detto
delle
fiamme
che sopra i
cimiteri
s'
accendono
per lo
semplice
arrivo
d'un
uomo
o per un
lento
venticello
, mi
domandi
,
dico
, dove sia qui l'
attrizion
de'
corpi
duri
? Io ho ben
detto
che l'
attrizion
potente
ad
eccitare
il
fuoco
è
sola
quella che
vien
fatta da'
corpi
solidi
;
ora
non
so
qual
logica
insegni
al
Sarsi
a
ritrar
da questo
detto
ch'io
voglia
che, qualunque si sia l'
accendimento
, non si possa
cagionar
da altro che da
cotale
attrizione
.
Replico
dunque al
Sarsi
che l'
incendio
si può
suscitare
in molti
modi
, tra i quali uno è l'
attrizione
e
stropicciamento
gagliardo
di due
corpi
duri
; e perché tale
attrizione
non si può far da'
corpi
sottili
e
fluidi
, però
dico
che le
comete
e
baleni
, le
saette
, le
stelle
discorrenti
, ed
ora
aggiugniamoci
le
fiamme
de'
cimiteri
, non s'
accendono
per
attrizione
né d'
aria
né di
venti
né d'
esalazioni
, anzi che ciascheduno di questi
abbruciamenti
si fa il più delle
volte
nelle maggiori
tranquillità
d'
aria
e quando il
vento
è del tutto
fermo
. Voi forse mi
direte
: "Qual dunque è la
causa
di queste
incensioni
?" Vi
risponderò
, per non
entrare
in
nuove
liti
, che non la
so
, ma che
so
bene
che né l'
acqua
né l'
aria
si
tritano
né si
accendono
né s'
abbruciano
già mai, non essendo
materie
né
tritabili
né
combustibili
: e se
dando
fuoco
ad un
sol
fil
di
paglia
, a un
capello
di
stoppa
, non
resta
l'
abbruciamento
sin che tutta la
stoppa
e tutta la
paglia
, se ben
fusse
cento
milioni
di
carra
, non è
abbruciata
; anzi, se
dato
fuoco
ad un
piccol
legno
abbrucerebbe
tutta la
casa
e la
città
intera
e tutte le
legna
del
mondo
che
fusser
contigue
alle
prime
ardenti
, se non si
corresse
prestamente
a i
ripari
, chi
riterrebbe
mai che l'
aria
, così
sottile
e di
parti
tutte
aderenti
senza
separazione
, quando se n'
accendesse
una
particella
, non
ardesse
anco il tutto?
Riducesi
finalmente il
Sarsi
a
dire
con
Aristotile
che se mai
accaderà
che l'
aria
sia
abondantemente
ripiena
di tali
essalazioni
ben
temperate
, e con altri
riquisiti
detti
, allora si
liquefanno
le
palle
di
piombo
, e non solamente quelle dell'
artiglierie
e degli
archibusi
, ma le
tirate
colle
fionde
ancora. Dunque tale bisogna che
fusse
lo
stato
dell'
aria
al
tempo
che i
Babilonii
cocevan
l'
uova
; tale fu, con gran
ventura
degli
assediati
, mentre si
batteva
la
città
di
Corbel
; ed allora che tale si
ritrova
, si può
allegramente
andar
contro all'
archibusate
: ma perché l'
affrontare
una tal
costituzione
è cosa di
ventura
e che non
accade
così
spesso
, però dice il
Sarsi
che non si
deve
ricorrere
all'
esperienze
,
attento
che questi
miracoli
non si fanno ad
arbitrio
nostro, ma del
caso
, ch'è poi
difficilissimo
a
incontrarsi
. Tanto che,
signor
Sarsi
, quando
bene
l'
esperienze
fatte mille e mille
volte
, in tutte le
stagioni
dell'
anno
ed in
qualsivoglia
luogo
, non
riscontrassero
mai
co
'
l
detto
di quei
poeti
filosofi
ed
istorici
, questo non
importa
niente, ma
dobbiamo
credere
alle lor
parole
, e non a gli
occhi
nostri. Ma se io vi
troverò
una
costituzion
d'
aria
con tutti quei
requisiti
che voi
dite
che si
ricercano
, e che ad ogni modo non ci
cuocano
l'
uova
né si
struggano
le
palle
di
piombo
, che
direte
voi allora,
signor
Sarsi
? Ma
aimè
! io
fo
troppo
grande
oblazione
, e sempre vi
rimarrà
la
ritirata
con
dire
che vi
manca
qualche
requisito
necessario
. Troppo
avvedutamente
vi
recaste
voi in un
posto
sicuro
, quando
diceste
esser di
bisogno
per l'
effetto
un
moto
violento
, gran
copia
d'
essalazioni
, una
materia
bene
attenuata
et "si quid aliud ad idem
conducit
": quel "si quid aliud" è quel che mi
sbigottisce
, ed è per voi un'ancora
sacra
, un
asilo
, una
franchigia
troppo
sicura
. Io avevo
fatto
conto
di
sospender
la
causa
e
soprassedere
sin che venisse qualche
cometa
,
immaginandomi
che in quel
tempo
della sua
durazione
Aristotile
e voi foste per
concedermi
che l'
aria
, sì come si
trovava
ben
disposta
per l'
abbruciamento
di quella, così si
ritrovasse
anco per la
liquefazzione
del
piombo
e per
cuocer
l'
uova
,
parendomi
che voi aveste per ambedue gli
effetti
ricercato
la medesima
disposizione
; ed allora volevo che noi
mettessimo
mano
alle
fionde
, all'
uova
, agli
archi
, ai
moschetti
ed all'
artiglierie
, e ci
chiarissimo
in
fatto
della
verità
di questo
negozio
; anzi
pure
che, senz'
aspettar
comete
, il
tempo
dovrebbe
essere
opportuno
di
meza
state, e quando l'
aria
lampeggia
e
fulmina
, venendo a tutti questi
ardori
assegnata
l'
istessa
causa
: ma
dubito
che quando ben voi non
vedeste
in
cotali
tempi
liquefarsi
le
palle
, né pur
cuocersi
l'
uova
, non però
cedereste
, ma
direste
mancarci
quel "si quid aliud ad idem
conducens
". Se voi mi
direte
che cosa sia questo "si quid aliud", io mi
sforzerò
di
provederlo
; quanto che no,
lascerò
correr
la
sentenza
, la qual
credo
senz'altro che sarà contro di voi, se non in tutto e per tutto,
almanco
in questa
parte
, che mentre che noi
andiamo
ricercando
la
causa
naturale
d'un
effetto
, voi vi
riducete
a voler ch'io m'
appaghi
d'una ch'è tanto
rara
, che voi stesso la
nominate
finalmente e la
riponete
tra i
miracoli
.
Ora
, sì come né per
girar
di
fionde
né per
tirar
d'
archi
né d'
archibusi
né d'
artiglierie
noi non
veggiamo
mai farsi gli
effetti
più
volte
nominati
, o pur, se già mai è
accaduto
un tale
accidente
, è
stato
così di
rado
che
dobbiamo
tenerlo
come
miracolo
, e come tale più
tosto
crederlo
all'altrui
relazione
che
cercar
di
vederlo
per
prova
; perché,
dico
,
stanti
queste
cose
così, non vi
dovete
voi
contentar
di
conceder
che
veramente
per uno
ordinario
le
comete
non si
accendono
per un'
attrizione
d'
aria
, e
contentarvi
ancora di
passar
come cosa di
miracolo
se pur alcuno vi
concederà
che taluna si sia, una
volta
in
mill
'
anni
,
accesa
per quella
attrizione
ben
corredata
di tutte quelle
circostanze
che voi
ricercate
?
Quanto all'
instanza
che il
Sarsi
si
promuove
e
risolve
, cioè che alcuno forse potrebbe
dire
che non per
attrizion
d'
aria
, ma pel
fuoco
veemente
che le
caccia
, si
struggono
le
palle
d'
archibuso
e d'
artiglieria
; io,
primieramente
, non sarò di quelli che
oppongano
in
cotal
guisa
, perché
dico
ch'
elle
non si
struggono
né in quello né in modo veruno: quanto poi alla
risposta
dell'
instanza
, non
so
perché il
Sarsi
non abbia
arrecata
quella ch'è
propriissima
e
chiara
,
dicendo
che le
palle
e le
frecce
cacciate
colla
fionda
e coll'
arco
, dove non è
fuoco
,
mostrano
la
nullità
dell'
instanza
apertamente
. Questa
pare
a me che
fusse
risposta
assai più
diretta
che la
portata
dal
Sarsi
, cioè che '
l
tempo
nel quale la
palla
va
col
fuoco
, gli
par
troppo breve per
liquefare
un gran
pezzo
di
piombo
: il che è
vero
, ma
vero
è ancora che assai più breve è l'altro
tempo
ch'ella
spende
nel suo
viaggio
, per
liquefarlo
con l'
attrizion
dell'
aria
.
All'
ultima
conclusione
ch'ei ne
raccoglie
, non
so
che
rispondere
, perché non
intendo
punto
ciò ch'ei si
voglia
dire
mentr'ei dice,
bastargli
aver
mostrato
ch'io, per questi
essempi
, non ho
ritirata
alcuna per
isfuggire
i
testimonii
de'
poeti
e de'
filosofi
; i quali
testimonii
essendo
scritti
e
stampati
in mille
libri
, io non ho mai
cercato
di
sfuggirli
, e ben mi
parrebbe
privo
di
discorso
affatto chi
tentasse
una tale
impresa
. Ho ben
detto
che l'
attestazioni
son
false
, e tali mi
par
che siano tuttavia.
48. "Sed
obiicit
præterea: Quamvis
admittatur
, ex
motu
accendi
exhalationes
aliquando posse,
nescire
tamen se
intelligere
, qui
fiat
ut
statim
atque
ignem
conceperint
, non
consumantur
,
sicuti
in
fulminibus
,
stellis
cadentibus
aliisque huiusmodi
fieri
quotidie
videmus
. Ego
vero
satis
id
intelligi
posse
existimo
, si quis, ex
iis
quos
hominum
ars
atque
industria
invenit
ignibus
,
similiter
de
sublimioribus
illis a
natura
succensis
philosophetur
.
Duplicis
enim
naturæ
nostri
hi
sunt:
sicci
alii ac
rari
nulloque
hærentes
glutine
, qui, ut
ignem
conceperint
,
claro
largoque
fulgore
, subito
incremento
, at
caduco
brevique
incendio
,
nullis
pene
reliquiis
,
conflagrare
solent
; alii
tenaciori
materia
compacti
ac
piceo
liquore
conflati
, in
longum
tempus
duraturi
,
flamma
diuturniore
nocturnas
nobis
tenebras
illustrant
.
Quidni
igitur
in
supremis
illis
regionibus
simile
aliquid
contingat
? Vel enim
materia
levis
adeo
rara
et
sicca
est, ut nullo
humidi
vinculo
colligetur
; atque hæc subito
celerique
fulgore
, in suo
veluti
exortu
interitura
,
succenditur
: vel certe
viscida
est et
glutinosa
; quæ, si quo
casu
accendatur
, non ad
interitum
illico
properet
, sed suo
plane
succo
diutius
vivat
, ac
longiore
ætate
,
suspicientibus
undique
mortalibus
, ex
alto
resplendeat
.
Satis
igitur
hinc
apparet
, qui
possit
fieri
ut
ignes
in
summo
aëre
succensi
non
illico
extinguantur
aliquando, sed
diutius
ardeant
:
apparet
etiam,
aërem
succendi
posse, si ea
præsertim
adsint
quæ
calori
ex
attritu
excitando
plurimum
conferunt
,
vehemens
videlicet
motus
,
exhalationum
copia
,
materiæ
attenuatio
, et si quid aliud ad idem
conducit
. "
Legga
or
V.
S.
Illustrissima
quel che
resta
fino
al
fine
di questa
proposizione
; nel qual
proposito
poco mi
resta
che
dire
, avendone
detto
assai di sopra. Per tanto
metterò
solo in
considerazione
, come il
Sarsi
, per
mantenere
che l'
incendio
della
cometa
possa
durare
mesi
e
mesi
, ancor che gli altri che si fanno in
aria
, come
baleni
,
fulmini
,
stelle
discorrenti
e
simili
, sieno
momentanei
,
assegna
due
sorti
di
materie
combustibili
: altre
leggieri
,
rare
,
secche
e senz'alcun
collegamento
d'
umidità
; altre
viscose
,
glutinose
, e in
consequenza
con qualche
umidità
collegate
: delle
prime
vuol che si facciano gli
abbruciamenti
momentanei
; delle
seconde
, gl'
incendii
diuturni
, quali sono le
comete
. Ma qui mi si
rappresenta
una assai
manifesta
repugnanza
e
contradizzione
: perché, se così
fusse
,
dovrebbono
i
baleni
e i
fulmini
, come quelli che si fanno di
materia
rara
e
leggiera
, farsi nelle
parti
altissime
, e le
comete
, come
accese
in
materia
più
glutinosa
,
corpulenta
, ed in
consequenza
più
grave
, nelle
parti
più
basse
; tuttavia
accade
il
contrario
, perché i
baleni
ed i
fulmini
non si fanno
alti
da
terra
né anco un
terzo
di
miglio
, sì come ci
assicura
il
piccolo
intervallo
di
tempo
che
resta
tra il
veder
noi il
baleno
e '
l
sentire
il
tuono
, quando ci
tuona
sopra il
vertice
; ma che le
comete
sieno
indubitabilmente
senza
comparazione
più
alte
, quando altro non ce lo
manifestasse
a
bastanza
, l'abbiamo dal lor
movimento
diurno
da
oriente
in
occidente
,
simile
a quello delle
stelle
. E tanto
basti
aver
considerato
intorno a queste
esperienze
.
Restami
ora
che,
conforme
alla
promessa
fatta di sopra a
V.
S.
Illustrissima
, io
dica
certo mio
pensiero
intorno alla
proposizione
"Il
moto
è
causa
di
calore
",
mostrando
in qual modo mi
par
ch'ella possa esser
vera
. Ma prima mi fa di
bisogno
fare alcuna
considerazione
sopra questo che noi
chiamiamo
caldo
,del qual
dubito
grandemente
che in
universale
ne venga
formato
concetto
assai
lontano
dal
vero
, mentre
vien
creduto
essere
un
vero
accidente
affezzione
e
qualità
che
realmente
risegga
nella
materia
dalla quale noi
sentiamo
riscaldarci
.
Per tanto io
dico
che ben
sento
tirarmi
dalla
necessità
, subito che
concepisco
una
materia
o
sostanza
corporea
, a
concepire
insieme
ch'ella è
terminata
e
figurata
di questa o di quella
figura
, ch'ella in
relazione
ad altre è
grande
o
piccola
, ch'ella è in questo o quel
luogo
, in questo o quel
tempo
, ch'ella si
muove
o sta
ferma
, ch'ella
tocca
o non
tocca
un altro
corpo
, ch'ella è una, poche o molte, né per veruna
imaginazione
posso
separarla
da queste
condizioni
; ma ch'ella
debba
essere
bianca
o
rossa
,
amara
o
dolce
,
sonora
o
muta
, di
grato
o
ingrato
odore
, non
sento
farmi
forza
alla
mente
di
doverla
apprendere
da
cotali
condizioni
necessariamente
accompagnata
: anzi, se i
sensi
non ci
fussero
scorta
, forse il
discorso
o l'
immaginazione
per se stessa non v'
arriverebbe
già mai. Per lo che
vo
io
pensando
che questi
sapori
,
odori
,
colori
, etc., per la
parte
del
suggetto
nel quale ci
par
che
riseggano
, non sieno altro che
puri
nomi
, ma
tengano
solamente lor
residenza
nel
corpo
sensitivo
, sì che
rimosso
l'
animale
, sieno
levate
ed
annichilate
tutte queste
qualità
;
tuttavolta
però che noi, sì come gli abbiamo
imposti
nomi
particolari
e
differenti
da quelli de gli altri
primi
e
reali
accidenti
, volessimo
credere
ch'esse ancora
fussero
veramente
e
realmente
da quelli
diverse
.
Io
credo
che con qualche
essempio
più
chiaramente
spiegherò
il mio
concetto
. Io
vo
movendo
una
mano
ora
sopra una
statua
di
marmo
,
ora
sopra un
uomo
vivo
. Quanto all'
azzione
che
vien
dalla
mano
,
rispetto
ad essa
mano
è la medesima sopra l'uno e l'altro
soggetto
, ch'è di quei
primi
accidenti
, cioè
moto
e
toccamento
, né per altri
nomi
vien
da noi
chiamata
: ma il
corpo
animato
, che
riceve
tali
operazioni
,
sente
diverse
affezzioni
secondo
che in
diverse
parti
vien
tocco
; e venendo
toccato
,
verbigrazia
, sotto le
piante
de'
piedi
, sopra le
ginocchia
o sotto l'
ascelle
,
sente
, oltre al
commun
toccamento
, un'altra
affezzione
, alla quale noi abbiamo
imposto
un
nome
particolare
,
chiamandola
solletico
:la quale
affezzione
è tutta nostra, e non
punto
della
mano
; e
parmi
che
gravemente
errerebbe
chi volesse
dire
, la
mano
, oltre al
moto
ed al
toccamento
, avere in sé un'altra
facoltà
diversa
da queste, cioè il
solleticare
, sì che il
solletico
fusse
un
accidente
che
risedesse
in lei. Un poco di
carta
o una
penna
,
leggiermente
fregata
sopra
qualsivoglia
parte
del
corpo
nostro, fa, quanto a sé, per tutto la medesima
operazione
, ch'è
muoversi
e
toccare
; ma in noi,
toccando
tra gli
occhi
, il
naso
, e sotto le
narici
,
eccita
una
titillazione
quasi
intollerabile
, ed in altra
parte
a
pena
si fa
sentire
. Or quella
titillazione
è tutta di noi, e non della
penna
, e
rimosso
il
corpo
animato
e
sensitivo
, ella non è più altro che un
puro
nome
.
Ora
, di
simile
e non maggiore
essistenza
credo
io che possano esser molte
qualità
che vengono
attribuite
a i
corpi
naturali
, come
sapori
,
odori
,
colori
ed altre.
Un
corpo
solido
, e, come si dice, assai
materiale
,
mosso
ed
applicato
a
qualsivoglia
parte
della mia
persona
,
produce
in me quella
sensazione
che noi
diciamo
tatto
, la quale, se
bene
occupa
tutto il
corpo
, tuttavia
pare
che
principalmente
risegga
nelle
palme
delle
mani
, e più ne i
polpastrelli
delle
dita
,
co
' quali noi
sentiamo
piccolissime
differenze
d'
aspro
,
liscio
,
molle
e
duro
, che con altre
parti
del
corpo
non così
bene
le
distinguiamo
; e di queste
sensazioni
altre ci sono più
grate
, altre meno,
secondo
la
diversità
delle
figure
de i
corpi
tangibili
,
lisce
o
scabrose
,
acute
o
ottuse
,
dure
o
cedenti
: e questo
senso
, come più
materiale
de gli altri e ch'è
fatto
dalla
solidità
della
materia
,
par
che abbia
riguardo
all'
elemento
della
terra
. E perché di questi
corpi
alcuni si
vanno
continuamente
risolvendo
in
particelle
minime
, delle quali altre, come più
gravi
dell'
aria
,
scendono
al
basso
, ed altre, più
leggieri
,
salgono
ad
alto
; di qui forse
nascono
due altri
sensi
, mentre quelle
vanno
a
ferire
due
parti
del
corpo
nostro assai più
sensitive
della nostra
pelle
, che non
sente
l'
incursioni
di
materie
tanto
sottili
tenui
e
cedenti
: e quei
minimi
che
scendono
,
ricevuti
sopra la
parte
superiore
della
lingua
,
penetrando
,
mescolati
colla sua
umidità
, la sua
sostanza
,
arrecano
i
sapori
,
soavi
o
ingrati
,
secondo
la
diversità
de'
toccamenti
delle
diverse
figure
d'essi
minimi
, e
secondo
che sono pochi o molti, più o
men
veloci
; gli altri, che
accendono
,
entrando
per le
narici
,
vanno
a
ferire
in alcune
mammillule
che sono lo
strumento
dell'
odorato
, e
quivi
parimente
son
ricevuti
i lor
toccamenti
e
passaggi
con nostro
gusto
o
noia
,
secondo
che le lor
figure
son queste o quelle, ed i lor
movimenti
,
lenti
o
veloci
, ed essi
minimi
, pochi o molti. E ben si
veggono
providamente
disposti
, quanto al
sito
, la
lingua
e i
canali
del
naso
: quella,
distesa
di sotto per
ricevere
l'
incursioni
che
scendono
; e questi,
accommodati
per quelle che
salgono
: e forse all'
eccitar
i
sapori
si
accommodano
con certa
analogia
i
fluidi
che per
aria
discendono
, ed a gli
odori
gl'
ignei
che
ascendono
.
Resta
poi l'
elemento
dell'
aria
per li
suoni
: i quali
indifferentemente
vengono a noi dalle
parti
basse
e dall'
alte
e dalle
laterali
, essendo noi
costituiti
nell'
aria
, il cui
movimento
in se stessa, cioè nella propria
regione
, è
egualmente
disposto
per tutti i
versi
; e la
situazion
dell'
orecchio
è
accommodata
, il più che sia
possibile
, a tutte le
positure
di
luogo
; ed i
suoni
allora son
fatti
, e
sentiti
in noi, quando (senz'altre
qualità
sonore
o
transonore
) un
frequente
tremor
dell'
aria
, in
minutissime
onde
increspata
,
muove
certa
cartilagine
di certo
timpano
ch'è nel nostro
orecchio
. Le
maniere
poi
esterne
,
potenti
a far questo
increspamento
nell'
aria
, sono moltissime; le quali forse si
riducono
in gran
parte
al
tremore
di qualche
corpo
che
urtando
nell'
aria
l'
increspa
, e per essa con gran
velocità
si
distendono
l'onde, dalla
frequenza
delle quali
nasce
l'
acutezza
del
suono
, e la
gravità
dalla
rarità
. Ma che ne'
corpi
esterni
, per
eccitare
in noi i
sapori
, gli
odori
e i
suoni
, si
richiegga
altro che
grandezze
,
figure
,
moltitudini
e
movimenti
tardi
o
veloci
, io non lo
credo
; e
stimo
che,
tolti
via
gli
orecchi
le
lingue
e i
nasi
,
restino
bene
le
figure
i
numeri
e i
moti
, ma non già gli
odori
né i
sapori
né i
suoni
, li quali
fuor
dell'
animal
vivente
non
credo
che sieno altro che
nomi
, come a
punto
altro che
nome
non è il
solletico
e la
titillazione
,
rimosse
l'
ascelle
e la
pelle
intorno al
naso
. E come a i quattro
sensi
considerati
ànno
relazione
i quattro
elementi
, così
credo
che per la
vista
,
senso
sopra tutti gli altri
eminentissimo
, abbia
relazione
la
luce
, ma con quella
proporzione
d'
eccellenza
qual è tra '
l
finito
e l'
infinito
, tra '
l
temporaneo
e l'
instantaneo
, tra '
l
quanto e l'
indivisibile
, tra la
luce
e le
tenebre
. Di questa
sensazione
e delle
cose
attenenti
a lei io non
pretendo
d'
intenderne
se non pochissimo, e quel pochissimo per
ispiegarlo
, o per
dir
meglio
per
adombrarlo
in
carte
, non mi
basterebbe
molto
tempo
, e però lo
pongo
in
silenzio
.
E
tornando
al
primo
mio
proposito
in questo
luogo
, avendo già
veduto
come molte
affezzioni
, che sono
reputate
qualità
risedenti
ne'
soggetti
esterni
, non
ànno
veramente
altra
essistenza
che in noi, e
fuor
di noi non sono altro che
nomi
,
dico
che
inclino
assai a
credere
che il
calore
sia di questo
genere
, e che quelle
materie
che in noi
producono
e fanno
sentire
il
caldo
, le quali noi
chiamiamo
con
nome
generale
fuoco
,siano una
moltitudine
di
corpicelli
minimi
, in tal e tal modo
figurati
,
mossi
con tanta e tanta
velocità
; li quali,
incontrando
il nostro
corpo
, lo
penetrino
con la lor
somma
sottilità
, e che il lor
toccamento
,
fatto
nel lor
passaggio
per la nostra
sostanza
e
sentito
da noi, sia l'
affezzione
che noi
chiamiamo
caldo
,
grato
o
molesto
secondo
la
moltitudine
e
velocità
minore
o maggiore d'essi
minimi
che ci
vanno
pungendo
e
penetrando
, sì che
grata
sia quella
penetrazione
per la quale si
agevola
la nostra
necessaria
insensibil
traspirazione
,
molesta
quella per la quale si fa troppo gran
divisione
e
risoluzione
nella nostra
sostanza
: sì che in
somma
l'
operazion
del
fuoco
per la
parte
sua non sia altro che,
movendosi
,
penetrare
colla sua
massima
sottilità
tutti i
corpi
,
dissolvendogli
più presto o più
tardi
secondo
la
moltitudine
e
velocità
degl'
ignicoli
e la
densità
o
rarità
della
materia
d'essi
corpi
; de' quali
corpi
molti ve ne sono de' quali, nel lor
disfacimento
, la maggior
parte
trapassa
in altri
minimi
ignei
, e
va
seguitando
la
risoluzione
fin
che
incontra
materie
risolubili
. Ma che oltre alla
figura
,
moltitudine
,
moto
,
penetrazione
e
toccamento
, sia nel
fuoco
altra
qualità
, e che questa sia
caldo
, io non lo
credo
altrimenti; e
stimo
che questo sia
talmente
nostro, che,
rimosso
il
corpo
animato
e
sensitivo
, il
calore
non
resti
altro che un
semplice
vocabolo
. Ed essendo che questa
affezzione
si
produce
in noi nel
passaggio
e
toccamento
de'
minimi
ignei
per la nostra
sostanza
, è
manifesto
che quando quelli
stessero
fermi
, la loro
operazion
resterebbe
nulla: e così
veggiamo
una
quantità
di
fuoco
,
ritenuto
nelle
porosità
ed
anfratti
di un
sasso
calcinato
, non ci
riscaldare
, ben che lo
tegniamo
in
mano
, perch'ei
resta
in
quiete
; ma
messo
il
sasso
nell'
acqua
, dov'egli per la di lei
gravità
ha maggior
propensione
di
muoversi
che non aveva nell'
aria
, ed
aperti
di più i
meati
dall'
acqua
, il che non faceva l'
aria
,
scappando
i
minimi
ignei
ed
incontrando
la nostra
mano
, la
penetrano
, e noi
sentiamo
il
caldo
.
Perché, dunque, ad
eccitare
il
caldo
non
basta
la
presenza
de gl'
ignicoli
, ma ci vuol il lor
movimento
ancora, quindi
pare
a me che non
fusse
se non con gran
ragione
detto
, il
moto
esser
causa
di
calore
. Questo è quel
movimento
per lo quale s'
abbruciano
le
frecce
e gli altri
legni
e si
liquefà
il
piombo
e gli altri
metalli
, mentre i
minimi
del
fuoco
,
mossi
o per se stessi con
velocità
, o, non
bastando
la propria
forza
,
cacciati
da
impetuoso
vento
de'
mantici
,
penetrano
tutti i
corpi
, e di quelli alcuni
risolvono
in altri
minimi
ignei
volanti
, altri in
minutissima
polvere
, ed altri
liquefanno
e
rendono
fluidi
come
acqua
. Ma
presa
questa
proposizione
nel
sentimento
commune
, sì che
mossa
una
pietra
, o un
ferro
, o
legno
, ei s'abbia a
riscaldare
, l'ho ben per una
solenne
vanità
.
Ora
, la
confricazione
e
stropicciamento
di due
corpi
duri
, o col
risolverne
parte
in
minimi
sottilissimi
e
volanti
, o coll'
aprir
l'
uscita
a gl'
ignicoli
contenuti
, gli
riduce
finalmente in
moto
, nel quale
incontrando
i nostri
corpi
e per essi
penetrando
e
scorrendo
, e
sentendo
l'
anima
sensitiva
nel lor
passaggio
i
toccamenti
,
sente
quell'
affezzione
grata
o
molesta
, che noi poi abbiamo
nominata
caldo
,
bruciore
o
scottamento
.E forse mentre l'
assottigliamento
e
attrizione
resta
e si
contiene
dentro a i
minimi
quanti, il
moto
loro è
temporaneo
, e la lor
operazione
calorifica
solamente; che poi
arrivando
all'
ultima
ed
altissima
risoluzione
in
atomi
realmente
indivisibili
, si
crea
la
luce
, di
moto
o vogliamo
dire
espansione
e
diffusione
instantanea
, e
potente
per la sua, non
so
s'io
debba
dire
sottilità
,
rarità
,
immaterialità
, o
pure
altra
condizion
diversa
da tutte queste ed
innominata
,
potente
,
dico
, ad
ingombrare
spazii
immensi
.
Io non vorrei,
Illustrissimo
Signore
,
inavvertentemente
ingolfarmi
in un
oceano
infinito
, onde io non potessi poi
ridurmi
in
porto
; né vorrei, mentre
procuro
di
rimuovere
una
dubitazione
,
dar
causa
al
nascerne
cento, sì come
temo
che anco in
parte
possa
essere
occorso
per questo poco che mi sono
scostato
da
riva
: però voglio
riserbarmi
ad altra
occasion
più
opportuna
.
49. "Dum
Galilæus
de
fulgore
illo
agit
, qui,
luminosis
corporibus
circumfusus
,
eminus
spectantibus
ab ipso
luminoso
corpore
non
distinguitur
,
ait
primo
, illum in
oculi
superficie
per
refractionem
radiorum
in
insidente
humore
fieri
, non autem circa
astrum
aut
flammam
revera
consistere
;
addit
secundo
,
aërem
illuminari
non posse;
tertio
vero
,
corpora
luminosa
si per
tubum
conspiciantur
,
larga
illa
radiatione
spoliari
.
Porro
ad
harum
propositionum
veritatem
investigandam
, illud quod
secundo
loco
positum
est,
primo
est a nobis
expendendum
, hoc est an
illuminari
aër
possit
: ex hoc enim
reliqua
pendere
videntur
.
Qua in
quæstione
supponendum
,
primum
, ex
opticis
ac
physicis
est,
lumen
non
videri
nisi
terminatum
;
terminari
autem non posse, nisi
corpore
aliquo
opaco
;
perspicuum
enim, qua
perspicuum
est,
lucem
non
terminat
, sed
liberum
eidem
transitum
præbet
:
secundum
,
aërem
purum
ac
sincerum
maxime
perspicuum
esse,
minusque
proinde
aptum
ad
lumen
terminandum
;
aërem
vero
impurum
,
multisque
vaporibus
admixtum
, et
lucem
terminare
et
remittere
ad
oculum
posse. Et quidem huius
secundæ
suppositionis
prima
pars
ab omnibus, atque a
Galilæo
ipso,
ultro
conceditur
:
pars
autem
altera
multis
probatur
experimentis
.
Aurora
enim in
Solis
exortu
, atque in
occasu
crepuscula
,
satis
indicant
,
impurum
aërem
illuminari
posse; idem
testantur
coronæ
,
aræ
,
parelia
,
aliaque
huiusmodi quæ ex
aëre
crassiori
fiunt
.
Fateri
hoc etiam
videtur
Galilæus
in
Nuncio
Sidereo
,ubi circa
Lunam
vaporosum
quemdam
orbem
ei qui
Terræ
circumfunditur
non
absimilem
,
statuit
, quem a
Sole
illuminari
asserit
; quod de
Ioviali
etiam
orbe
videtur
affirmare
. Præterea, si quis
Lunam
post alicuius
domus
tectum
adhuc
latitantem
, cum
proxime
emersura
est,
observet
,
maximam
aëris
partem
eiusdem
Lunæ
lumine
illustratam
, quasi
lunarem
auroram
, prius
intuebitur
;
fulgorem
autem hunc
magis
ac
magis
crescere
comperiet
, quo
propior
exortui
Luna
fuerit
.
Ridiculum
autem esset
affirmare
auroram
,
crepuscula
,
aliosque
huiusmodi
splendores
, in
insidente
oculis
humore
per
refractionem
gigni
. Quid enim? dum
Lunam
ac
Solem
,
altius
provectos
,
brevi
inclusos
gyro
intueor
,
siccioribus
ne
oculis
sum, quam cum
eosdem
postea,
horizonti
proximos
, in
orbem
ampliorem
extensos
aspicio
?
Satis
igitur
ex his
patet
,
aërem
impurum
ac
mixtum
illuminari
posse; quod etiam
ratione
pervincitur
. Cum enim
lumen
terminetur
ab eo quod aliquam
habet
opacitatem
;
aër
autem per
vapores
concretior
atque
opacior
fiat
; hac
saltem
parte
, qua
opacus
est,
lumen
reflectere
poterit
.
Quibus ita
explicatis
, ad
quæstionem
propositam
redeo
: in qua, dum
auctores
nec
pauci
nec
mali
asserunt
,
partem
aëris
luminosis
corporibus
in
speciem
circumfusi
pariter
illuminari
, non de
sincero
nullisque
admixto
vaporibus
locuti
existimandi
sunt, sed de eo
aëre
qui,
densioribus
halitibus
opacatus
,
lumen
stellarum
sistere
ac
cohibere
possit
, ne
ultra
progrediatur
. Nam dum
aiunt
,
Solem
ac
Lunam
ampliori
sese
forma
prope
horizontem
spectandos
offerre
quam cum
altiores
fuerint
, id ex
aëre
vaporoso
interiecto
oriri
affirmant
: ex quibus
patet
, illos non de
aëre
puro
loqui
, sed de
infecto
ac proinde
opaciori
. Quare
statuendum
est, non
abiiciendam
esse (quod
Galilæus
iubet
)
opinionem
illam quæ
asserit
,
aërem
illuminari
a
stellis
posse; cum tot
experimentis
verissima
comprobetur
, si de
aëre
impuriori
intelligatur
. Quod si
illuminari
aër
potest,
poterit
etiam
pars
aliqua
luminosi
illius
coronamenti
, quo
sidera
vestiuntur
, in
aërem
illuminatum
referri
. Quamvis non
negem
(id quod
primo
loco
propositum
fuerat
),
radiosam
illam
coronam
longis
distinctam
radiis
, quæ ad
quemcumque
oculi
motum
movetur
,
oculi
affectionem
esse, ex quo
fit
ut
iidem
radii
modo
plures
modo
pauciores
, nunc
breviores
nunc
productiores
,
fiant
, prout
oculus
ipse
movetur
; adhuc tamen non
probavit
Galilæus
,
nullam
partem
illius
luminis
, quod nos a
vera
flamma
non
distinguimus
, ex
aëre
illuminato
existere
, qua postea ne per
specillum
quidem
luminosa
spoliari
possint
.
Neque
obstat
experimentum
ab eodem
Galilæo
allatum
. "Si
manum
,
inquit
, inter
lumen
atque
oculum
collocatam
ita
moveris
, ac si
lumen
occultare
velles
,
fulgor
ille
circumfusus
nunquam
tegetur
, quoad ipsum
verum
lumen
non
absconderis
; sed
radii
ipsi
manum
inter atque
oculum
nihilominus
comparebunt
; at ubi
partem
veri
luminis
aliquam
texeris
,
eorumdem
radiorum
partem
oppositam
evanescere
comperies
; nam si
luminis
partem
superiorem
celaveris
,
radii
inferiores
apparere
desinent
." Hæc
Galilæus
: quæ omnia
verissima
experior
, dum
radios
ipsos
tantum
considero
,
radios
,
inquam
, illos quos, ex eorum
motu
pene
perpetuo
ac
luminis
diversitate
,
satis
superque
a
reliquo
vero
lumine
distinguo
: at dum
reliquum
lumen
, quod ipse
verum
existimo
,
celare
tento
, ea prorsus ex
parte
qua
manum
interpono
, si non omnino
abscondo
,
minuo
saltem
atque
infusco
.
Infusco
,
inquam
; neque enim ex
qualibet
manus
interpositione
celari
obiecta
possunt
, ne
videantur
. Si quis enim, ut
dicebam
,
attente
animadvertat
, dum
veram
candelæ
a nobis
remotæ
flammam
tegere
manus
obiectu
nitimur
, etiamsi
summam
pyramidis
accensæ
partem
revera
manus
texerit
, adhuc tamen
eamdem
illam inter
manum
atque
oculum
conspicimus
,
videturque
interpositus
digitus
ea
flamma
comburi
ac
duas
veluti
in
partes
secari
; ea
plane
ratione
quam
digitus
A
ostendit
. Qui autem
fieri
possit
, ut ex hac
digiti
interpositione
aspectus
flammæ
non
impediatur
, sic
ostendo
. Cum
oculi
pupilla
indivisibilis
non sit, sed
plures
possit
in
partes
dividi
,
poterit
una illius
pars
tegi
,
reliquis
non
tectis
; quamvis ergo,
parte
aliqua
pupillæ
obtecta
, ad illam
species
obiecti
luminis
non
perveniant
, si tamen
reliquæ
apertæ
remaneant
et ad
illas
eædem
species
pertingere
possint
,
lumen
adhuc
videbitur
. Sit enim,
verbi
gratia
,
lumen
BC
,
oculi
pupilla
FA,
corpus
opacum
interpositum
sit D, quod quidem
speciem
puncti
C
pervenire
ad
F
non
permittat
, nullo tamen sit
impedimento
quin
ex
C
alter
radius
CA
perveniat
ad
partem
pupillæ
A. Per
radium
ergo CA
videbitur
apex
luminis
C
; non
videbitur
autem
adeo
fulgens
, ut tunc quando
totam
pupillam
sua
imagine
explebat
: idem autem
apex
C
non prius
videri
desinet
, quam
corpus
D
totam
pupillam
tegat
,
prohibeatque
ne
ullis
radiis
apex
C
ad illam
feratur
. Quod si
corpus
D
multo
minus
fuerit
quam
oculi
pupilla
,
verbi
gratia
filum
aliquod
crassum
,
parumque
ab eadem
pupilla
abfuerit
,
lumine
interim
longe
posito
;
quomodocunque
inter
oculum
et
lumen
idem
filum
extendatur
,
nullam
luminis
partem
impediet
, neque
fili
eiusdem
pars
inter
oculum
et
flammam
constituta
comparebit
, ac si prorsus
combusta
fuisset
: quod ex eadem
causa
oritur
. Neque enim
filum
illud, cum minus sit quam
pupilla
, si ab eadem non
longe
distet
,
impedire
potest
quominus
omnes
flammæ
partes
, aliquibus
saltem
radiis
, ad
potentiam
ferantur
: quare per eos
saltem
flamma
videbitur
.
Ad
tertium
denique
dictum
, quo
ait
,
sidera
hoc
splendore
accidentario
spoliari
, cum
tubo
optico
conspiciuntur
; multa hic etiam sunt, quæ non
facile
solvantur
. Nam si
tubus
opticus
sidera
adscititio
hoc
fulgore
spoliaret
, non
deberet
hic
fulgor
per
tubum
conspici
: at
conspicitur
tamen. Et quidem inter
fixas
stellas
nulla est
adeo
exigua
, quæ
splendore
isto, etiam non suo, a
tubo
exui
patiatur
; quod
Galilæus
ipse
fateri
videtur
, dum a
Cane
aliisque
stellis
fulgorem
illum numquam omnino
auferri
posse
affirmat
: semper enim, etiam per
tubum
,
scintillantes
hosce
radios
in illis
intuemur
. Sed quid
dico
a
stellis
?
Planetæ
etiam aliqui
adeo
fulgoris
huius
tenaces
sunt, ut
nunquam
sibi illum
eripi
patiantur
;
Mars
videlicet,
Venus
atque
Mercurius
, quorum
lumen
nisi
coloratis
vitris
,
specillo
aptatis
,
retuderis
,
nunquam
nudi
comparebunt
. Et sane non
video
, si eadem
radiorum
illorum
causa
in
superficie
oculi
remanet
, hoc est
humor
ille
pupillæ
perpetuo
insidens
,
cur
postea, si
lumen
astri
, per
specilli
vitra
refractum
, in
eumdem
humorem
incidat
,
refringi
iterum,
quanquam
diverso
fortasse
modo,
eosdemque
luminis
ductus
producere
, non
debeat
. Iam
vero
si illud
admittatur
, quod
admitti
necesse
est, ut supra
probavimus
,
aërem
etiam
illuminari
, atque ex hoc
fieri
posse ut
sidus
maius
appareat
quam
revera
sit; non
poterit
Galilæus
negare
, ex hoc
saltem
capite
,
circumfusum
etiam
fulgorem
videri
per
tubum
, ac proinde etiam
augeri
debere
:
fatetur
quippe omnia illa per
tubum
videri
atque ab eodem
augeri
, quæ
ultra
ipsum
posita
sunt; cum
igitur
hic etiam
splendor
ultra
specillum
sit, per illud
conspici
augerique
debebit
. Quod si
nihilominus
in
stellis
hoc
incrementum
non
percipitur
, aliunde
petenda
erit huius
aspectus
causa
, non ex eo quod
radiatio
hæc
fiat
inter
specillum
et
oculum
, hoc est in
superficie
humida
oculi
. Hoc enim, si non de
radiis
illis
vagis
ac
distinctis
, sed de
stabili
et
continuo
amplioris
luminis
coronamento
loquamur
, ex
aëre
illuminato
existere
posse,
Solis
ac
Lunæ
exemplis
,
prope
horizontem
ampliori
orbe
quam in
vertice
apparentium
,
comprobatur
: si
vero
de
radiis
ipsis
intelligatur
, cum
hi
etiam per
specillum
conspiciantur
in
stellis
, non
poterit
hoc
minimum
earumdem
stellarum
incrementum
in
radiorum
illorum
abiectionem
referri
, cum non
abiiciantur
."
Passi
ora
V.
S.
Illustrissima
alla
terza
proposizione
, la quale
legga
e
rilegga
tutta con
attenzione
:
dico
con
attenzione
,
acciò
tanto più
manifestamente
si
conosca
poi, quanto
artificiosamente
vada
pure
il
Sarsi
continuando
suo
stile
di voler, coll'
alterare
levare
ed
aggiungere
e più col
divertire
il
discorso
e
meschiarlo
con
cose
aliene
dal
proposito
,
offuscar
la
mente
del
lettore
, sì che in
ultimo
, tra le
cose
da sé
confusamente
apprese
, gli possa
restar
qualche
opinione
che il
signor
Mario
non abbia così
stabilita
la sua
dottrina
, che altri non v'abbia potuto
trovar
che
opporre
.
Essendo stata
opinione
di molti ch'una
fiammella
ardente
apparisca
assai maggiore in certa
distanza
perch'ella
accenda
, ed in
conseguenza
renda
egualmente
splendida
,
buona
parte
dell'
aria
sua
circonvicina
, onde poi da
lontano
e l'
aria
accesa
e la
vera
fiammella
appariscano
un
lume
solo; il
signor
Mario
,
confutando
questo,
disse
che l'
aria
non s'
accendeva
né s'
illuminava
, e che l'
irraggiamento
, per cui si faceva l'
ingrandimento
, non
era
intorno alla
fiammella
, ma nella
superficie
dell'
occhio
nostro. Il
Sarsi
, volendo
trovar
che
opporre
a
cotal
vera
dottrina
, in
vece
di
render
grazie
al
signor
Mario
d'avergli
insegnato
quello che di
sicuro
gli
era
sino allora
stato
ignoto
, si fa innanzi, e si
pone
a voler
provare
come contro al
detto
del
signor
Mario
, l'
aria
s'
illumina
: nella quale
impresa
egli, per mio
parere
,
erra
in molte
maniere
.
E prima, dove il
signor
Mario
,
redarguendo
il
detto
di quei
filosofi
,
disse
che l'
aria
non s'
accendeva
né s'
illuminava
, il
Sarsi
mette
sotto
silenzio
quella
parte
dell'
accendersi
, e solo
tratta
dell'
illuminarsi
: onde il
signor
Mario
con
ragion
può
dire
al
Sarsi
d'aver
parlato
d'una cosa, ed esso aver
preso
ad
impugnarne
un'altra; aver
parlato
,
dico
, dell'
aria
circonvicina
alla
fiammella
e dell'
illuminazione
che le può venire dal suo
accendersi
, e quello aver
parlato
dell'
illuminazione
che senza
incendio
viene sopra l'
aria
vaporosa
,
posta
in
qualsivoglia
distanza
dall'
oggetto
illuminante
.
Inoltre
, egli medesimo sul
primo
ingresso
dice che i
corpi
diafani
non s'
illuminano
, tra i quali
mette
nel
primo
luogo
l'
aria
, e poi
soggiunge
che,
mescolata
con
vapori
grossi
e
potenti
a
reflettere
il
lume
, ella ben s'
illumina
. Adunque,
signor
Sarsi
, sono i
vapori
grossi
, e non l'
aria
, quelli che s'
illuminano
. Voi mi
fate
sovvenir
di quello che
diceva
che il
grano
gli faceva venir
capogiroli
e
stornimenti
di
testa
, quando però v'
era
mescolato
del
loglio
. Ma è il
loglio
, in
buon'
ora
, e non il
grano
, quello ch'
offende
. Voi volete
insegnarci
che nell'
aria
vaporosa
s'
illumina
l'
aurora
, che
mill
'altri ed il
signor
Mario
stesso l'ha in sei
luoghi
scritto
innanzi a voi. Ma che più? voi medesimo in questo medesimo
luogo
dite
che io l'
ammetto
insino
intorno alla
Luna
ed a
Giove
; adunque tutte le
prove
ed
esperienze
di
aurora
, d'
aloni
, di
parelii
e di
Luna
ascosta
dopo qualche
parete
sono
superflue
, non avendo noi già mai
dubitato
, non che
negato
, che i
vapori
diffusi
per
aria
, le
nuvole
e la
caligine
s'
illuminano
. Ma che volete voi,
signor
Sarsi
, far poi di
cotale
illuminazione
?
dir
forse (come in
effetto
dite
) che per essa
appariscano
i
primarii
oggetti
illuminanti
maggiori? e come non v'
accorgete
voi che, quando ciò
fusse
vero
,
bisognerebbe
che il
Sole
e la
Luna
si
mostrassero
grandi
quanto tutta l'
aurora
e gli
aloni
interi
,
imperò
che
cotanta
è l'
aria
vaporosa
che del
lume
loro è fatta
partecipe
? Voi dunque,
signor
Sarsi
, perché avete
trovato
scritto
(
dico
così, perché voi stesso
citate
i
filosofi
e gli
autori
d'
ottica
per
confermare
ed
autorizare
cotali
proposizioni
) che la
region
vaporosa
s'
illumina
, ed oltre a ciò che il
Sole
e la
Luna
vicini
all'
orizonte
appariscono
, mediante tal
regione
vaporosa
, maggiori che
inalzati
verso il
mezo
cielo
, vi siete
persuaso
che da
cotale
illuminazione
dependa
il loro
apparente
ingrandimento
. È
vera
l'una e l'altra
proposizione
, cioè che l'
aria
vaporosa
s'
illumina
, e che il
Sole
e la
Luna
presso all'
orizonte
, mercé della
region
vaporosa
,
appariscono
maggiori; ma è
falso
il
connesso
delle due
proposizioni
, cioè che la
maggioranza
dependa
dall'esser tal
regione
illuminata
, e voi vi
sete
molto
ingannato
, e
toglietevi
da così
erronea
opinione
; imperocché non pel
lume
de'
vapori
, ma per la
figura
sferica
dell'
esterna
loro
superficie
, e per la
lontananza
maggiore di quella dall'
occhio
nostro quando gli
oggetti
son più verso l'
orizonte
,
appariscono
essi
oggetti
maggiori della lor
commune
apparente
grandezza
, e non i
luminosi
solamente, ma qualunque altro
posto
fuor
di tal
regione
.
Traponete
tra l'
occhio
vostro e
qualsivoglia
oggetto
una
lente
convessa
cristallina
in
varie
lontananze
:
vedrete
che quando essa
lente
sarà vicino all'
occhio
, poco si
accrescerà
la
specie
dell'
oggetto
veduto
; ma
discostandola
,
vedrete
successivamente
andar
quella
ingrandendosi
. E perché la
region
vaporosa
termina
in una
superficie
sferica
, non molto
elevata
sopra il
convesso
della
Terra
, le
linee
rette
che
tirate
dall'
occhio
nostro
arrivano
alla
detta
superficie
, sono
disuguali
, e
minima
di tutte la
perpendicolare
verso il
vertice
, e dell'altre di
mano
in
mano
maggior sono le più
inclinate
verso l'
orizonte
che verso il
zenit
. Quindi anco (e sia
detto
per
transito
) si può
facilmente
raccorre
la
causa
dell'
apparente
figura
ovata
del
Sole
e della
Luna
presso all'
orizonte
,
considerando
la gran
lontananza
dell'
occhio
nostro dal
centro
della
Terra
, ch'è lo stesso che quello della
sfera
vaporosa
; della quale
apparenza
, come
credo
che
sappiate
, ne sono
stati
scritti
, come di
problema
molto
astruso
,
interi
trattati
, ancor che tutto il
misterio
non
ricerchi
maggior
profondità
di
dottrina
che l'
intender
per qual
ragione
un
cerchio
veduto
in
maestà
ci
paia
rotondo
, ma
guardato
in
iscorcio
ci
apparisca
ovato
.
Ma
ritornando
alla
materia
nostra, io non
so
con che
proposito
dica
il
signor
Sarsi
, esser cosa
ridicolosa
il
dire
che l'
alba
e i
crepuscoli
ed altri
simili
splendori
si
generino
nell'
umore
sparso
sopra l'
occhio
, e molto più
ridicoloso
se alcuno
dicesse
che
guardando
noi verso il
vertice
, avessimo gli
occhi
più
secchi
che
guardando
l'
orizonte
, e che però la
Luna
e '
l
Sole
ci
paresser
minori
in quel
luogo
che in questo: non
so
,
dico
, a che
fine
sieno
introdotte
queste
sciocchezze
, non si
trovando
chi già mai l'abbia
dette
. Ma mentre il
Sarsi
ci
figura
per troppo
semplici
,
veggiamo
se forse
cotal
nota
più ad esso che a noi s'
accommodi
. Qui si
tratta
di quello
irraggiamento
avventizio
per lo quale le
stelle
ed altri
lumi
inghirlandandosi
appariscono
assai maggiori che se
fussero
visti
i loro
piccoli
corpicelli
spogliati
di tali
raggi
, tra i quali, perché sono poco
men
lucidi
della prima e
vera
fiammella
,
resta
esso
corpicello
indistinto
, in modo che ed esso e l'
irraggiamento
si
mostra
come un
sol
oggetto
grande
e
risplendente
. A
parte
di questo
irraggiamento
ed
ingrandimento
vuole il
Sarsi
mettere
il
lume
che per
refrazzione
si
produce
nell'
aria
vaporosa
, e vuole che per questo il
Sole
e la
Luna
si
mostrino
maggiori verso l'
orizonte
che
elevati
in
alto
, e, quel ch'è
peggio
, vuole che l'istesso abbiano
creduto
molti altri
filosofi
: il che è
falso
, né
ànno
sì
altamente
errato
. E che questo sia
grandissimo
errore
, lo
doveva
molto
speditamente
mostrare
al
Sarsi
la
grandissima
distinzione
che si
vede
tra le
luci
del
Sole
e della
Luna
e l'altro
splendore
circunfuso
, dentro al quale
incomparabilmente
più
lucido
e
meglio
determinato
questo e quel
luminare
si
discerne
: il che non
accade
dell'
irraggiamento
delle
stelle
, tra '
l
quale il
corpicello
della
stella
resta
da
pari
splendore
ingombrato
ed
indistinto
.
Ma
sento
il
Sarsi
che
risponde
e dice, che quel
Sole
e
Luna
grandi
non sono i
corpi
reali
nudi
e
schietti
, ma uno
aggregato
e
composto
del
piccol
corpo
reale
e dell'
irraggiamento
che l'
inghirlanda
e
racchiude
in
mezo
con
luce
non
minore
della
primaria
, onde ne
risulta
il gran
disco
apparente
tutto
egualmente
splendido
. Ma se questo è,
signor
Sarsi
, perché non si
mostra
la
Luna
così
grande
nel
mezo
del
cielo
ancora? vi
manca
forse l'
aria
vaporosa
atta
ad
illuminarsi
? Io non
so
quello che voi foste per
rispondere
, né me lo potrei
immaginare
, perché non si potendo contra a un
vero
venir con altro che con
fallacie
e
chimere
, le quali, come voi
sapete
, sono
infinite
, io non potrei
indovinar
la vostra
eletta
. Ma per
troncarle
tutte in una
volta
e
cavar
voi ed altri, se vi
fussero
, d'
errore
,
basti
, a farvi
toccar
con
mano
che la gran
Luna
che voi
vedete
nell'
orizonte
è la
schietta
e
nuda
, e non
aggrandita
per altra
luce
avventizia
e
circunfusa
,
basti
,
dico
, il
vedere
le sue
macchie
sparse
per tutto il suo
disco
sino all'
estrema
circonferenza
nella
guisa
a
capello
che si
mostra
nel
mezo
del
cielo
; ché se
fusse
come avete
creduto
voi, le
macchie
nella
Luna
bassa
e
grande
si
doverebbon
veder
raccolte
tutte nella
parte
di
mezo
,
lasciando
la
ghirlanda
intorno
lucida
e senza
macchie
. Adunque, non per
isplendore
aggiunto
, ma per uno
ingrandimento
di tutta la
specie
nel
refrangersi
nella
remota
superficie
vaporosa
, si
mostrano
il
Sole
e la
Luna
maggiori
bassi
che
alti
.
Or
vedete
,
signor
Sarsi
, quanto è
facil
cosa l'
atterrare
il
falso
e
sotenere
il
vero
. Questa pur troppo
grand'
evidenza
della
falsità
di molte
proposizioni
che si
leggono
nel vostro
libro
, non mi
lascia
interamente
credere
che voi non l'abbiate
compresa
; e
vo
pensando
che possa
essere
che,
conoscendovi
voi
internamente
dalla
realtà
delle
ragioni
convinto
, vi
riduciate
per
ultimo
partito
a far
prova
se l'
avversario
, col
creder
vere
quelle
cose
che voi stesso
conoscete
false
, si
ritirasse
e
cedesse
; e che perciò voi
arditamente
le
portiate
avanti,
imitando
quel
giocatore
che,
vedendosi
d'aver a
carte
scoperte
perduto
l'
invito
,
tenta
con altro
soprinvito
maggiore di far
credere
all'
avversario
gran
punto
quello che
piccolissimo
vede
egli stesso, onde,
cacciato
dal
timore
,
ceda
e se ne
vada
. E perché io
veggo
che voi vi siete alquanto
intrigato
tra questi
lumi
primarii
,
refratti
e
reflessi
ne'
vapori
o nell'
occhio
,
comportate
voi, come
scolare
, ch'io, come
professore
e
maestro
vecchio
, vi
sviluppi
ancora un poco
meglio
.
Per tanto
sappiate
che dal
Sole
, dalla
Luna
e dalle
stelle
,
corpi
tutti
risplendenti
e
costituiti
fuori e molto
lontani
dalla
superficie
della
region
vaporosa
,
esce
splendore
che
perpetuamente
illumina
la
metà
di tal
regione
; e di questo
emisferio
illuminato
l'
estremità
occidentale
ci
arreca
la
mattina
l'
aurora
, e la
parte
opposta
ci
lascia
la
sera
il
crepuscolo
: ma niuna di queste
illuminazioni
accresce
o
scema
o in modo alcuno
altera
l'
apparente
grandezza
del
Sole
,
Luna
e
stelle
, che
perpetuamente
si
ritrovano
nel
centro
o vogliamo
dir
nel
polo
di questo
emisferio
vaporoso
da loro
illuminato
; del quale le
parti
direttamente
traposte
tra l'
occhio
nostro e '
l
Sole
o la
Luna
ci si
mostrano
più
splendide
dell'altre che di
grado
in
grado
da queste
parti
di
mezo
più si
discostano
, lo
splendor
delle quali
va
di
mano
in
mano
languendo
; e questo è quel
lume
che
dà
segno
dell'
appressamento
della
Luna
allo
scoprirsi
, mentre dopo qualche
tetto
o
parete
ci si
nasconde
. Una
simile
illuminazione
si fanno intorno intorno anco le
fiammelle
poste
dentro alla
sfera
vaporosa
; ma questa è tanto
debile
e
languida
, che se di
notte
asconderemo
un
lume
dopo qualche
parete
e poi ci
anderemo
movendo
per
iscoprirlo
,
difficilmente
scorgeremo
splendore
alcuno
circunfuso
o
vedremo
altra
luce
sin che si
scuopra
la
fiamma
principale
; e questo
debolissimo
lume
nulla
assolutamente
accresce
la
visibile
specie
di essa
fiammella
. Ci è un'altra
illuminazione
, fatta per
refrazzione
nella
superficie
umida
dell'
occhio
, per la quale l'
oggetto
reale
ci si
mostra
circondato
da un
cerchio
luminoso
, ma
inferiore
assai di
splendore
alla
primaria
luce
; e questo si
mostra
allargarsi
per maggiore o
minore
spazio
, non solamente
secondo
la maggiore o
minor
copia
d'
umore
, ma
secondo
la
cattiva
o
buona
disposizion
dell'
occhio
: il che ho io in me stesso
osservato
, che per certa
affezzione
cominciai
a
vedere
intorno alla
fiamma
della
candela
uno
alone
luminoso
e di
diametro
di più d'un
braccio
, e tale che mi
celava
tutti gli
oggetti
posti
di
là
da esso;
scemando
poi l'
indisposizione
,
scemava
la
grandezza
e la
densità
di questo
alone
, ma però me ne
resta
ancora molto più di quello che
veggono
gli
occhi
perfetti
: e questo
alone
non s'
asconde
per l'
interposizion
della
mano
o d'altro
corpo
opaco
tra la
candela
e l'
occhio
, ma
resta
sempre tra la
mano
e l'
occhio
, sin che non si
occulta
il
lume
stesso della
candela
. Per questo
lume
parimente
non s'
ingrandisce
la
specie
della
fiammella
, del cui
splendore
egli è assai
men
chiaro
. Ci è un
terzo
splendore
vivacissimo
e
chiaro
quasi al
par
dell'istesso
lume
principale
, il qual si
produce
per
reflessione
de'
raggi
primarii
fatta nell'
umidità
de gli
orli
ed
estremità
delle
palpebre
, la qual
reflessione
si
distende
sopra '
l
convesso
della
pupilla
: della qual
produzzione
abbiamo
argomento
sicuro
dal
mutar
noi la
positura
della
testa
;
imperò
che
secondo
che noi la
inclineremo
,
alzeremo
, o
vero
terremo
dirittamente
opposta
all'
oggetto
luminoso
, lo
vederemo
irraggiato
nella
parte
superiore
solamente, o nell'
inferiore
solamente, o in ambedue; ma dalla
destra
o dalla
sinistra
già mai non
vederemo
comparirgli
raggi
, perché le
reflessioni
fatte verso gli
angoli
dell'
occhio
non possono
arrivar
sopra la
pupilla
, sotto l'
orizonte
della quale, mediante la
piegatura
delle
palpebre
su la
sfera
dell'
occhio
, esse
parti
angolari
si
ritrovano
; e se altri,
calcando
colle
dita
sopra le
palpebre
,
allargherà
l'
occhio
e
discosterà
gli
orli
di quelle dalla
pupilla
, non
vedrà
raggi
né sopra né sotto,
avvenga
che le
reflessioni
fattein
essi
orli
non
vanno
sopra la
pupilla
. Questo solo è quello
irraggiamento
per lo quale i
piccoli
lumi
ci
appariscono
grandi
e
raggianti
, e nel quale la
real
fiammella
resta
ingombrata
ed
indistinta
. L'altre
illuminazioni
non
ànno
,
signor
Sarsi
, che far nulla, nulla
pænitus
,nell'
ingrandimento
, perché sono tanto
inferiori
di
luce
al
lume
primario
, che ben sarebbe
cieco
affatto chi non
vedesse
il
termine
confine
e
distinzione
tra l'uno e l'altro; oltre che (come di sopra ho
detto
) il
disco
del
Sole
e quel della
Luna
, quando per tale
illuminazione
s'
ingrandissero
,
dovrebbono
mostrarsi
grandi
quanto gl'
immensi
cerchi
delle loro
aurore
. Però quando voi
dite
che non
negate
, quella
corona
raggiante
esser
affezzion
dell'
occhio
, ma che non perciò ho io ancora
provato
che qualche
parte
non
dependa
dall'
aria
circunfusa
illuminata
,
toglietevi
dal troppo
miseramente
mendicar
sussidii
così
scarsi
. Che volete che
faccia
quel
debolissimo
lume
mescolato
con quei
fulgentissimi
raggi
reflessi
dalle
palpebre
?
aggiunge
quel che
farebbe
il
lume
d'una
torcia
a quel del
Sole
meridiano
. Di questo
lume
sparso
per l'
aria
vaporosa
io ve ne voglio
conceder
non solamente quella
piccola
parte
che voi
domandate
, ma quanto
abbraccia
tutta l'
aurora
e '
l
crepuscolo
e tutto l'
emisferio
vaporoso
; e di questo voglio che il
corpo
luminoso
né per
telescopio
né per altro
mezo
possa già mai
essere
spogliato
; e voglio ancora, per vostra
compitissima
soddisfazzione
, ch'ei venga dal
telescopio
ingrandito
come tutti gli altri
oggetti
, sì che non
pure
adegui
tutta l'
aurora
, ma mille
volte
maggiore
spazio
, se mille
volte
tanto si potesse
comprendere
coll'
occhiale
; ma niuna di queste
cose
solleva
punto
né voi né '
l
vostro
Maestro
, che avreste
bisogno
, per
mantenimento
della vostra
principal
conclusione
(ch'è che le
stelle
fisse
, per esser
lontanissime
, non
ricevono
accrescimento
veruno dal
telescopio
), avreste
bisogno
,
dico
, che la
stella
ed il suo
irraggiamento
fusse
una cosa medesima, o almeno che l'
irraggiamento
fusse
realmente
intorno alla
stella
; ma né quello né questo è
vero
, ma
bene
è egli nell'
occhio
, e le
stelle
ricevono
accrescimento
tanto quanto ogn'altro
oggetto
veduto
col medesimo
strumento
, come
puntualissimamente
scrisse
e
dimostrò
il
signor
Mario
.
Questi altri vostri
diverticoli
, d'
arie
vaporose
illuminate
e di
Soli
e
Lune
alte
e
basse
, son, come si dice,
pannicelli
caldi
, e un voler
fuggir
la
scuola
e
cercar
di
deviare
il
lettore
dal
primo
proposito
. E fra l'altre vostre molte
diversioni
, questa che
fate
in
mostrar
con assai lungo
discorso
come per l'
interposizion
del
dito
non s'
impedisca
la
vista
della
fiammella
, e quel che
dite
del
filo
sottile
e del
corpo
interposto
minor
della
pupilla
, son tutte
cose
vere
, ma, per mio
avviso
, nulla
attenenti
al
proposito
che si
tratta
: il che
veggo
che
internamente
avete
conosciuto
voi medesimo ancora,
atteso
che, quando
era
il
tempo
dell'
applicazione
di queste
cose
alla
materia
e di
chiuder
la
conclusione
, voi
fate
punto
, e
lasciandoci
sospesi
passate
ad altro
proposito
, e
cercate
, pur per
via
di
discorso
,
provar
cosa di cui cento
esperienze
chiarissime
sono in
contrario
; e ben che voi
veggiate
,
guardando
col
telescopio
, la
stella
di
Saturno
terminatissima
e di
figura
diversissima
dall'altre, il
disco
di
Giove
e quel di
Marte
, e
massime
quando è vicino a
Terra
,
perfettamente
rotondi
e
terminati
,
Venere
a suoi
tempi
corniculata
ed
esattissimamente
delineata
, i
globetti
delle
stelle
fisse
, e
massime
delle maggiori, molto ben
distinti
, e finalmente mille
fiammelle
di
candele
,
poste
in gran
distanza
, così ben
dintornate
come da vicino, dove, senza il
telescopio
, l'
occhio
libero
niuna di
cotali
figure
distingue
, ma tutte le
vede
ingombrate
da
raggi
stranieri
e tutte sotto una stessa
figura
radiante
, con tutto ciò pur volete che '
l
telescopio
non le
mostri
senza
raggi
,
persuaso
da certi vostri
discorsi
, de i quali io non sarei in
obligo
di
scoprir
le
fallacie
, avendo per me l'
esperienza
in
contrario
; tuttavia, per vostra
utilità
, le
accennerò
così
brevemente
.
E per venir con ogni maggior
chiarezza
al mio
intento
, io vi
domando
,
signor
Sarsi
, onde
avvenga
che
Venere
si
circonda
sì
fattamente
di questi
raggi
ascitizii
e
stranieri
, che tra essi
perde
in modo la sua
real
figura
, ch'essendo stata dalla
creazion
del
mondo
in qua mille e mille
volte
cornicolata
, mai da
vivente
alcuno non è stata
osservata
né
veduta
tale, ma sempre è
apparsa
d'una stessa
figura
, se non
dapoi
ch'io
primieramente
col
telescopio
scopersi
le sue
mutazioni
? il che non
accade
della
Luna
, la quale coll'
occhio
libero
mostra
le sue
diversità
di
figure
, senza
notabile
alterazione
che
dependa
dall'
irraggiamento
avventizio
. Non
rispondete
, ciò
accadere
mediante la gran
lontananza
di
Venere
e la
vicinanza
della
Luna
; perché io vi
dirò
che quello che
accade
a
Venere
,
accade
ancora alle
fiammelle
delle
candele
, le quali, in
distanza
di cento
braccia
solamente,
confondono
la lor
figura
tra i
raggi
e la
perdono
non
men
di
Venere
. Se volete
risponder
bene
, bisogna che
diciate
, ciò
derivare
dalla
piccolezza
del
corpo
di
Venere
in
relazione
all'
apparente
grandezza
di quel della
Luna
, e che vi
figuriate
, la
lunghezza
di quei
raggi
che si
producono
nell'
occhio
esser,
verbigrazia
, per quattro
diametri
di
Venere
, che non saranno poi la
decima
parte
del
diametro
della
Luna
:
ora
figuratevi
la
piccolissima
falce
di
Venere
,
inghirlandata
di una
chioma
che se le
sparga
e
distenda
intorno intorno in
distanza
di quattro suoi
diametri
, ed
insieme
la
grandissima
falce
della
Luna
con una
chioma
non più
lunga
della
decima
parte
del suo
diametro
; non
doverà
esservi
difficile
a
intendere
come la
forma
di
Venere
del tutto si
perderà
tra la sua
capellatura
, ma non già quella della
Luna
, la quale pochissimo s'
altererà
: ed
accade
in questo quello a
punto
che
accaderebbe
in
vestire
una
formica
di
pelle
d'
agnello
, di cui la
configurazione
delle
piccoline
membra
in tutto e per tutto si
perderebbe
tra la
lunghezza
de i
peli
, sì che l'
istessa
apparenza
farebbe
che se
fusse
un
bioccolo
di
lana
; nulla
dimeno
l'
agnello
, per la sua
grandezza
, assai
distinte
mostra
le
membra
sue sotto la
pecorile
spoglia
. Ma
dirò
, di più, che
ricevendo
il
capillizio
splendido
, che
risiede
nell'
occhio
, la
limitazion
del suo
spargimento
dalla
costituzion
dell'
occhio
stesso più che dalla
grandezza
dell'
oggetto
luminoso
(e così
veggiamo
stringendo
le
palpebre
, sì che
appariscano
surger
dall'
oggetto
luminoso
raggi
molto
lunghi
, non si
veggono
maggiori quei che vengono dalla
Luna
, che quei di
Venere
o d'una
torcia
o d'una
fiaccola
),
figuratevi
una
determinata
grandezza
d'una
capellatura
; nel
mezo
della quale se voi
intenderete
essere
un
piccolissimo
corpo
luminoso
,
perderà
la sua
figura
,
coronato
di troppo
lunghi
crini
; ma
ponendovi
un
corpo
maggiore e maggiore, finalmente potrà il
simulacro
reale
occupar
tanto nell'
occhio
, che poco o niente gli
avanzi
intorno del
capillizio
; e così l'
immagine
,
verbigrazia
, della
Luna
potrà esser che
ingombri
nell'
occhio
spazio
maggiore della
commune
irradiazione
.
Stante
queste
cose
,
intendete
il
disco
reale
, per
essempio
, di
Giove
occupar
sopra la nostra
luce
un
cerchietto
, il cui
diametro
sia la
ventesima
parte
dello
spargimento
della
chioma
raggiante
, onde in sì gran
piazza
resta
indistinto
il
piccolissimo
cerchietto
reale
: viene il
telescopio
, e m'
aggrandisce
la
specie
di
Giove
in
diametro
venti
volte
; ma già non
ingrandisce
l'
irraggiamento
, che non
passa
per li
vetri
: adunque io
vedrò
Giove
non più come una
piccolissima
stella
radiante
, ma come una
Luna
rotonda
, ben
grande
e
terminata
. E se la
stella
sarà assai più
piccola
di
Giove
, ma di
splendore
molto
fiero
e
vivo
, qual è, per
essempio
, il
Cane
, il cui
diametro
non è la
decima
parte
di quel di
Giove
, nulla di meno la sua
irradiazione
è poco
minor
di quella di
Giove
, il
telescopio
,
accrescendo
la
stella
ma non la
chioma
, fa che, dove prima il
piccolissimo
disco
tra sì
ampio
fulgore
era
impercettibile
, già
fatto
in
superficie
400
e più
volte
maggiore, si può
distinguere
ed assai ben
figurare
. Con tal
fondamento
andate
discorrendo
, ché potrete
disbrigarvi
per voi stesso da tutti gl'
intoppi
.
E
rispondendo
alle vostre
instanze
, quando dal
signor
Mario
e da me è
stato
detto
che '
l
telescopio
spoglia
le
stelle
di quel
coronamento
risplendente
, ciò è
stato
profferito
non con
intenzione
d'avere a stare a
sindicato
di
persone
così
puntuali
come siete voi, che, non avendo altro dove
attaccarvi
, vi
conducete
sino a
dannar
con
lunghi
discorsi
chi
prende
il
termine
usitatissimo
d'
infinito
per
grandissimo
. Quando noi abbiamo
detto
che il
telescopio
spoglia
le
stelle
di quello
irraggiamento
, abbiamo voluto
dire
ch'egli
opera
intorno a loro in modo che ci fa
vedere
i lor
corpi
terminati
e
figurati
come se
fussero
nudi
e senza quello
ostacolo
che all'
occhio
semplice
asconde
la lor
figura
. È egli
vero
,
signor
Sarsi
, che
Saturno
,
Giove
,
Venere
e
Marte
all'
occhio
libero
non
mostrano
tra di loro una
minima
differenza
di
figura
, e non molto di
grandezza
seco medesimi in
diversi
tempi
? e che coll'
occhiale
si
veggono
,
Saturno
come
appare
nella
presente
figura
, e
Giove
e
Marte
in quel modo sempre, e
Venere
in tutte queste
forme
diverse
? e, quel ch'è più
meraviglioso
, con
simile
diversità
di
grandezza
? sì che
cornicolata
mostra
il suo
disco
40
volte
maggiore che
rotonda
, e
Marte
60
volte
quando è
perigeo
che quando è
apogeo
, ancor che all'
occhio
libero
non si
mostri
più che 4 o 5? Bisogna che
rispondiate
di sì, perché queste son
cose
sensate
ed
eterne
, sì che non si può
sperare
di poter per
via
di
sillogismi
dare
ad
intendere
che la cosa
passò
altrimenti. Or, l'
operare
col
telescopio
intorno a queste
stelle
in modo che quell'
irraggiamento
, che
perturbava
l'
occhio
libero
ed
impediva
l'
esatta
sensazione
, la qual
opera
è cosa
massima
e d'
ammirabili
e
grandissime
consegnenze
, è quello che noi abbiam voluto
significare
nel
dire
spogliar
le
stelle
dell'
irraggiamento
,che son
parole
solamente di niun
momento
, di niuna
conseguenza
: le quali se a voi, che siete ancora
scolare
,
danno
fastidio
, potrete
mutarle
a vostro
beneplacito
, come
cambiaste
già quello nostro
accrescimento
nel vostro
transito
dal non
essere
all'
essere
.
A quello che voi
dite
,
parervi
pur
ragionevole
che, sì come l'
oggetto
lucido
, venendo per lo
mezo
libero
,
produce
nell'
occhio
l'
irraggiamento
, egli
debba
ancor far l'istesso quando viene
passando
per li
cristalli
del
telescopio
;
rispondo
concedendovelo
liberamente
, e
dicovi
che
accade
a
punto
l'istesso de gli
oggetti
veduti
col
telescopio
che de'
veduti
senza: e sì come il
disco
di
Giove
, per
essempio
,
veduto
coll'
occhio
libero
rimane
per la sua
piccolezza
perduto
nell'
ampiezza
del suo
irraggiamento
, ma non già quello della
Luna
, che colla sua gran
piazza
occupa
sopra la nostra
pupilla
spazio
maggiore del
cerchio
raggiante
, per lo che ella si
vede
rasa
, e non
crinita
; così,
facendomi
il
telescopio
arrivar
sopra l'
occhio
il
disco
di
Giove
sei cento e mille
volte
maggiore della
specie
sua
semplice
, fa ch'egli colla sua
ampiezza
ingombri
tutta la
capellatura
de'
raggi
, e
comparisca
simile
ad una
Luna
piena
: ma il
disco
piccolissimo
del
Cane
, ben che mille
volte
ingrandito
dal
telescopio
, non però
adegua
ancora la
piazza
radiosa
, sì che ci
apparisca
tosato
del tutto;
nientedimeno
, per
essere
i
raggi
verso l'
estremità
alquanto
men
forti
e tra loro
divisi
,
resta
egli
visibile
, e tra la
discontinuazion
de'
raggi
si
vede
assai
commodamente
la
continuazion
del
globetto
della
stella
, il quale con uno
strumento
che più e più l'
accrescesse
, più e più sempre
distinto
e meno
irraggiato
ci si
mostrerebbe
. Sì che la cosa,
signor
Sarsi
, sta così, e questo
effetto
ci venne
chiamato
uno
spogliar
Giove
del suo
capillizio
: le quali
parole
se non vi
piacciono
, già vi si è
dato
licenza
che le
mutiate
ad
arbitrio
vostro, ed io vi
do
parola
d'
usar
per l'
avvenire
la vostra
correzzione
; ma non v'
affaticate
in voler
mutar
la cosa, perché non farete niente.
E già che voi in questo
fine
replicate
che
pure
è
necessario
conceder
che l'
aria
circunfusa
s'
illumini
, e che perciò la
stella
apparisca
maggiore; ed io
torno
a
replicarvi
che i
vapori
circunfusi
s'
illuminano
, ma non perciò il
corpo
luminoso
s'
accresce
punto
, essendo che il
lume
de'
vapori
è
incomparabilmente
minore
della
primaria
luce
: per lo che il
corpo
lucido
, se è
grande
,
resta
nudo
, e se è
piccolo
,
rimane
, col suo
irraggiamento
fatto
nell'
occhio
,
terminatissimo
e
distintissimo
tra '
l
debolissimo
lume
dell'
aria
vaporosa
. E vi
replico
ancora, poi che voi medesimo me ne
porgete
replicata
occasione
, che
totalmente
deponghiate
quella
falsa
opinione
che '
l
Sole
e la
Luna
presso all'
orizonte
si
mostrino
maggiori per una
ghirlanda
d'
aria
illuminata
che s'
aggiunga
al lor
disco
, perché questa è una
grandissima
semplicità
, come di sopra ho
detto
e
provato
. E per non
lasciar
cosa
intentata
per
cavarvi
d'
errore
e far che voi
restiate
capace
di questo
negozio
, alle vostre
ultime
parole
, dove voi
dite
che
vedendosi
pur pel
telescopio
essi
raggi
luminosi
intorno alle
stelle
, non si potrà
ridurre
il
minimo
ricrescimento
di quelle nella
perdita
di questi, essendo che non si
perdono
; vi
rispondo
che l'
accrescimento
è
grandissimo
, come in tutti gli altri
oggetti
, e che il vostro
errore
sta (come sempre si è
detto
) nel
paragonar
voi la
stella
insieme
con tutto il suo
irraggiamento
,
visto
coll'
occhio
libero
, col
corpo
solo della
stella
veduto
, collo
strumento
,
distinto
dalla sua
piazza
radiosa
, della quale egli talvolta
compar
maggiore e tal
volta
eguale
,
secondo
la
grandezza
della
stella
vera
e la
moltiplicazion
del
telescopio
; e quando
comparisce
minor
di esso
irraggiamento
, tuttavia si
scorge
il suo
disco
, come ho
detto
, tra l'
estremità
della
capellatura
. Ed una
accommodatissima
riprova
dell'
accrescimento
grande
, come in tutti gli altri
oggetti
, è il
pigliar
Giove
coll'
occhiale
avanti
giorno
, e
andarlo
seguitando
sino al
nascer
del
Sole
e più oltre ancora; dove si
vede
il suo
disco
, pel
telescopio
, sempre
grande
nell'istesso modo: ma quel che si
vede
coll'
occhio
libero
,
crescendo
il
candor
dell'
aurora
si
va
sempre
diminuendo
, sì che vicino al
nascer
del
Sole
quel
Giove
che nelle
tenebre
superava
d'assai ogni
stella
della prima
grandezza
, si
riduce
ad
apparir
minore
di quelle della
quinta
e della
sesta
, e finalmente,
ridottosi
quasi ad un
punto
indivisibile
,
nascendo
il
Sole
, si
perde
del tutto: nulla
dimeno
,
sparito
all'
occhio
libero
, si
séguita
egli pur di
vederlo
tutto il
giorno
grande
e ben
circolato
; ed io ho uno
strumento
che me lo
mostra
, quando è vicino alla
Terra
,
eguale
alla
Luna
veduta
liberamente
. Non è dunque
cotal
ricrescimento
minimo
o nullo, ma
grande
, come di tutti gli altri
oggetti
.
Io vi voglio,
signor
Sarsi
,
pigliare
alla
stracca
, se non potrò
prendervi
correndo
. Volete voi una
nuova
dimostrazione
, per
prova
che gli
oggetti
in tutte le
distanze
crescono
nella medesima
proporzione
?
Sentitela
. Io vi
domando
se,
posti
quattro, sei o dieci
oggetti
visibili
in
varie
lontananze
, ma in
guisa
però che tutti si
veggano
nella medesima
linea
retta
, sì che il più vicino
occupi
tutti gli altri, vi
domando
,
dico
, se
tenendo
l'
occhio
nel medesimo
luogo
e
riguardando
i medesimi
oggetti
co
'
l
telescopio
, voi gli
vedrete
pur
posti
in
linea
retta
o no, sì che il vicino non vi
asconda
più gli altri, ma ve gli
lasci
vedere
?
Credo
pur che voi
risponderete
ch'ei vi
compariranno
per
linea
retta
, essendo
realmente
per
linea
retta
disposti
.
Ora
,
stante
questo,
immaginatevi
quattro, sei o dieci
bacchette
diritte
, tra di lor
paralelle
,
poste
in
distanze
disuguali
dall'
occhio
, ed esse di
lunghezze
pur
disuguali
, e le più
lontane
maggiori, e di
mano
in
mano
le più
vicine
minori
, in modo che gli
estremi
termini
loro si
veggano
posti
in due
linee
rette
, una a
destra
e l'altra a
sinistra
;
pigliate
poi il
telescopio
, e
riguardatele
con esso: già, per la
concession
fatta, i medesimi
termini
, tanto i
destri
quanto i
sinistri
, si
vedranno
pure
in due
linee
rette
come prima, ma
aperte
in maggiore
angolo
. E come ciò sia,
signor
Sarsi
, questo, appresso i
geometri
, si
domanda
ricrescer
tutte quelle
linee
secondo
la medesima
proporzione
, e non
ricrescer
più le
vicine
che le
lontane
.
Cedete
dunque, e
tacete
.
50. "Sed
videamus
, quam recte ex
Peripatetica
disciplina
atque ex
experimentis
sibi
arma
contra
Aristotelem
fabricet
Galilæus
. "Præterea,
inquit
,
cometam
flammam
non
fuisse
, ex ipsa
experientia
et
Peripateticorum
dicto
deducimus
, quo
affirmant
,
nullum
corpus
lucidum
esse
perspicuum
;
experientia
vero
docet
,
flammam
vel
minimam
unius
candelæ
impedimento
esse
quominus
obiecta
ultra
ipsam
posita
conspiciantur
: si ergo
cometam
flammam
fuisse
quis
dixerit
,
dicendum
eidem
erit,
stellas
ultra
illam
positas
ab ea
celari
debuisse
: et tamen per
cometæ
caudam
lucidissime
intermicantes
easdem
stellas
vidimus
." Hæc ille: in quibus
mirari
satis
non
possum
,
hominem
,
magni
alioqui
nominis
atque
experimentorum
amantissimum
, ea
diserte
adeo
asseverasse
, quæ
obviis
ubique
experimentis
redargui
facile
possent
.
Quamvis enim
Peripateticorum
dictum
, si recte
intelligatur
,
verissimum
sit (omne enim
corpus
, ad hoc ut
illuminetur
vel, potius,
illuminatum
appareat
,
excurrentem
ulterius
lucem
quasi
sistere
ac
reprehendere
debet
;
perspicuum
autem, utpote
eidem
luci
pervium
, eam
terminare
non potest: ex quo
dicendum
est,
corpus
quodcumque eo
clarius
illuminandum
, quo
plus
opaci
minusque
habuerit
perspicui
), nullus tamen est qui
neget
,
reperiri
corpora
partim
perspicua
partim
opaca
, quæ
partem
lucis
aliquam
terminent
, qua
lucida
appareant
, aliquam
vero
libere
transire
permittant
;
qualia
sunt
nubes
rariores
,
aqua
,
vitrum
et huiusmodi multa, quæ et
lumen
in
superficie
terminant
, et ad aliam
partem
idem
transmittunt
. Quare nihil est,
cur
ex hoc
dicto
quidquam
momenti
suis
experimentis
Galilæus
adiectum
putet
.
Experimenta
porro
ipsa
falsa
deprehenduntur
.
Affirmo
igitur
,
candelæ
flammam
obiecta
ultra
se
posita
ex
oculis
non
auferre
, et
perspicuam
esse.
Huic,
primum
,
dicto
adstipulantur
Sacræ
Litteræ
, cum de
Anania
,
Azaria
ac
Misaele
in
fornacem
,
Regis
iussu
,
coniectis
agunt
. Sic enim
Regem
ipsum
loquentem
inducunt
: "Ecce ego
video
quatuor
viros
solutos
et
ambulantes
in
medio
ignis
, et nihil
corruptionis
in eis est; et
species
quarti
similis
filio
Dei." Ac ne quis
existimet
id pro
miraculo
habendum
, idem
probatur
iterum ex eo, quia in
candelæ
flamma
medio
loco
consistens
videtur
ellychnium
, seu
nigricans
seu
candens
. Præterea, cum
strues
aliqua
ingens
lignorum
incenditur
,
medias
inter
flammas
semiusta
ligna
et
carbones
accensos
libere
prospectamus
, cum tamen
sæpe
maxima
flammarum
vis
oculum
inter atque eadem
ligna
media
consistat
.
Flamma
igitur
perspicua
est.
Secundo
, quodcumque
opacum
, inter
oculum
et
obiectum
positum
, eiusdem
obiecti
aspectum
impedit
, sive
magno
sive
parvo
ab eodem
distet
intervallo
; ita,
verbi
gratia
,
lignum
aliquod, sive
rem
quampiam
attingat
sive ab illa
multum
removeatur
(si tamen inter illam atque
oculum
substiterit
), eam
videri
non
permittet
: quod in
flamma
non
accidit
, hæc enim
quascumque
res
ultra
se
positas
, si non
longe
distent
, sed
easdem
e
proximo
vehementer
illuminet
, semper
videri
patietur
; quod
quilibet
experiri
facile
potest, si
legendum
aliquid
ultra
lumen
collocaverit
,
unius
tantum
digiti
intervallo
, tunc enim
characteres
illos a
flamma
obtectos
facile
perleget
:
flamma
, ergo,
perspicua
est et
luminosa
: quod
Galilæus
negat
,
eiusque
oppositum
tanquam
principium
, contra
Aristotelem
disputaturus
,
assumit
.
Quod si quis
quærat
,
cur
obiecta
ultra
flammam
posita
, si
saltem
ab eadem
longe
semota
fuerint
, non
conspiciantur
, hanc ego huius
rei
causam
assigno
: quia
nimirum
obiectum
movens
potentiam
vehementius
,
impedit
ne
videantur
obiecta
reliqua
, ad
eamdem
potentiam
movendam
minus
apta
;
obiecta
autem
quælibet
eo
vehementius
,
cæteris
paribus
,
potentiam
movent
, quo sunt
lucidiora
; quia
igitur
obiecta
,
longe
ultra
flammam
posita
,
multo
minus
illuminantur
quam
flamma
ipsa, ideo hæc
potentiam
veluti
totam
explet
obruitque
, nec
obiecta
alia
videri
permittit
. Et propterea, quo
obiecta
eadem
eidem
flammæ
fiunt
propiora
, quia tanto
magis
illuminantur
, eo etiam
magis
apta
sunt
movere
potentiam
, ac proinde tunc
conspiciuntur
;
maiori
siquidem
illustrata
lumine
, cum
flamma
pene
ipsa
contendunt
. Quare si aut
flamma
obtusiori
splendeat
lumine
, aut
obiectum
ultra
illam
positum
luminosum
ex se sit, aut ab alio
vehementer
illuminatum
,
nunquam
illius
aspectum
interposita
flamma
impediet
, quamvis
longissime
obiectum
illud a
flamma
distet
.
Hoc etiam quibusdam
experimentis
confirmare
placet
.
Incendatur
distillatum
vinum
, quod
aquam
vitis
vulgo
appellant
: eius enim
flamma
, cum non
admodum
clara
sit,
liberam
rerum
imaginibus
ad
oculum
viam
relinquet
, ut etiam
minutissimos
quosque
characteres
perlegi
patiatur
. Idem
accidit
in
flamma
ex
incenso
sulphure
excitata
, quæ,
colorata
licet sit et
crassa
,
vix
tamen quidquam
impedimenti
eisdem
rerum
imaginibus
affert
.
Secundo
, sit licet
flamma
clarissimo
ac
micanti
lumine
, si tamen
alterius
candelæ
lumen
ultra
illam
collocatum
longe
etiam
semoveris
, inter
vicinioris
flammæ
lumen
remotiorem
flammam
intermicantem
cernes
. Cum ergo
stellæ
corpora
sint
luminosa
et
quavis
flamma
longe
clariora
,
nil
mirum
si non
potuit
earundem
aspectus
ab
interposita
cometæ
flamma
impediri
: ac proinde nihil
detrimenti
ex hoc
Galilæi
argumento
patitur
Aristotelis
opinio
.
Tertio
, non
luminosa
solum
illa quæ propria
fulgent
luce
, ab
interposita
flamma
velari
non
possunt
, sed ne alia quidem
corpora
opaca
, si tamen ab alio
lumine
illustrentur
. Ita
interdiu
si quid
aspexeris
a
Sole
illuminatum
,
nullius
interpositu
flammæ
impediri
eius
aspectus
poterit
.
Constat
igitur
satis
superque
,
flammas
perspicuas
esse, atque hoc etiam non
obstare
quominus
cometa
flamma
esse
potuerit
."
È
tempo
,
Illustrissimo
Signore
, di venir a
capo
di questi pur troppo
lunghi
discorsi
: però
passiamo
a questa
quarta
ed
ultima
proposizione
. Qui, com'ella
vede
, dice il
Sarsi
non potersi a
bastanza
stupire
che io, avendo qualche
nome
d'
avveduto
osservatore
ed
applicato
assai all'
esperienze
, mi sia
ridotto
ad
affermar
constantemente
quelle
cose
che si possono
agevolissimamente
confutare
con
esperimenti
manifesti
ed
apparecchiati
per tutto; de' quali poi n'
apporta
molti, ond'egli
apparisca
altrettanto
veridico
e
diligente
sperimentatore
, quant'io
mal
accorto
e
mendace
.
Dirò
prima
brevemente
quello che
persuase
il
signor
Mario
a
scrivere
, e me a
prestargli
assenso
, che quando la
cometa
fusse
una
fiamma
,
dovesse
asconderci
le
stelle
; poi
anderò
considerando
l'
esempio
e
ragioni
del
Sarsi
,
lasciando
in
ultimo
a
V.
S.
Illustrissima
il
giudicar
qual di noi sia più
difettoso
e
mal
avveduto
nel suo
esperimentare
e
discorrere
.
Considerando
noi, il
trasparire
d'un
corpo
non esser altro che un
lasciar
vedere
gli
oggetti
posti
oltre di sé, ci
persuademmo
che quant'esso
corpo
trasparente
fusse
men
visibile
, tanto potesse
meglio
trasparere
; onde l'
aria
trasparentissima
è del tutto
invisibile
, l'
acqua
limpida
ed i
cristalli
ben
tersi
,
traposti
tra
oggetti
visibili
, poco per se stessi si
scorgono
: dal che ci
pareva
che assai a
proposito
si potesse all'
incontro
inferire
, i
corpi
quanto più per se stessi
fusser
visibili
,
dover
esser tanto meno
trasparenti
; e perché tra i
corpi
visibili
per se stessi, le
fiamme
per
avventura
parevano
non esser degli
infimi
, però
giudicammo
quelle
dovere
esser poco
trasparenti
: l'
autorità
poi di
Aristotile
e de'
Peripatetici
,
aggiunta
a questo
discorso
, ci
confermò
nell'
opinione
. Circa la qual
autorità
mi
par
da
notare
come il
Sarsi
le vuol
dare
altra
interpretazione
da quella che
apertamente
suonan
le
parole
; e dice che
intesa
bene
è
verissima
, e che il
senso
è che i
corpi
,
acciò
che si possano
illuminare
, non
devon
esser
trasparenti
; e non, che i
corpi
lucidi
non son
trasparenti
. Ma se il
Sarsi
la
piglia
in quel
senso
, perché così gli
par
la
proposizion
vera
, adunque bisogna ch'ei
lasci
l'altro perché in quello gli
paia
falsa
(perché quanto alle
parole
,
meglio
si
adattano
a questo che a quello): tuttavia egli medesimo poco di sotto non
pure
afferma
, ma con più
esperienze
conferma
, i
corpi
luminosi
impedir
la
vista
delle
cose
poste
oltre di loro, dove
scrive
: "Nam hæc etiam
rerum
ultra
ipsa
positarum
aspectum
impediunt
", e quel che
segue
. Ma
tornando
al
primo
discorso
,
dico
che oltre all'
autorità
de'
Peripatetici
ci
confermò
ancora più il
veder
finalmente per
esperienza
un
vetro
infocato
impedirci
assai la
vista
degli
oggetti
, che
freddo
distintamente
ci
lascia
scorgere
, e l'istesso far la
fiammella
d'una
candela
, e
massime
colla sua
superior
parte
, più
lucida
dell'
inferiore
ch'è intorno al
lucignolo
, la qual è più
tosto
fumo
non
bene
infiammato
che
vera
fiamma
. Di più, avendo noi
osservato
, la
grossezza
del
corpo
, ben che per se stesso non molto
opaco
,
importar
tanto, che,
verbigrazia
, una
nebbia
, la quale in
profondità
di
venti
o
trenta
braccia
non ci
leva
la
vista
d'un
tronco
,
moltiplicata
all'
altezza
di
200
o
300
ci
toglie
del tutto anco la
vista
del
Sole
stesso,
pensammo
non esser
lontano
dal
ragionevole
il
creder
che la non
trasparenza
ed
opacità
d'una
fiamma
non potesse mai
essere
così poca, che
ingrossata
in
profondità
di
centinaia
e
centinaia
di
braccia
non ci
dovesse
impedir
l'
aspetto
delle
minute
stelle
.
Concludemmo
per tanto, la
profondità
della
chioma
della
cometa
(che pur bisogna che sia non
dirò
col
Sarsi
e suo
Maestro
70
miglia
, ma al
manco
tante
canne
), quand'ella
fusse
una
fiamma
,
doverci
ascondere
le
stelle
; il che
vedendo
noi ch'ella non faceva, ci
parve
avere
argomento
assai
concludente
per
provar
ch'ella non
fusse
uno
incendio
.
Ora
il
Sarsi
,
curando
poco o niente la
principal
sustanza
di tutto questo
ragionevolissimo
discorso
,
appiccandosi
a quel
sol
detto
del
signor
Mario
, che la
fiammella
d'una
candela
non è
trasparente
, si
persuade
e
promette
la
vittoria
,
tuttavolta
ch'ei possa
mostrare
, la
detta
fiammella
aver pur qualche
trasparenza
; e dice che chi
avvicinerà
a quella un
foglio
scritto
, sì che quasi la
tocchi
, e
porrà
diligente
cura
, potrà
vedere
i
caratteri
: al che io
aggiungo
"
tuttavolta
ch'ei sia di
vista
perfettissima
", perché io, che però non son
losco
,
stento
a
poterli
vedere
,
servendomi
anco degli
occhiali
, quanto più posso da vicino.
È ben
vero
che oltre alla
detta
,
molt
'altre
esperienze
adduce
il
Sarsi
: tra le quali, e per
riverenza
e per
religiosa
pietà
e per esser ella di
suprema
autorità
,
debbo
primieramente
far
considerazione
sopra quella che il medesimo
Sarsi
ripone
nel
primo
luogo
,
pigliandola
dalle
Sacre
Lettere
. Dove,
insieme
co
'
l
signor
Mario
,
noto
le
parole
della
Scrittura
precedenti
alle
citate
dal
Sarsi
, le quali mi
par
che
dicano
che avanti che il
re
vedesse
l'
angelo
e i tre
fanciulli
camminar
per la
fornace
, le
fiamme
fussero
state
rimosse
; ché tanto mi
par
che
importino
le
parole
del
Sacro
Testo
, che son queste: "
Angelus
autem
Domini
descendit
cum
Azaria
et
sociis
eius, et
excussit
flammam
ignis
de
fornace
, et
fecit
medium
fornacis
quasi
ventum
roris
flantem
." È
noto
, che
dicendo
la
Scrittura
"
flammam
ignis
",
par
che
voglia
far
distinzione
tra la
fiamma
e '
l
fuoco
; e quando poi più a
basso
si
legge
che il
re
vede
caminar
le quattro
persone
, si fa
menzione
del
fuoco
, e non della
fiamma
: "Ecce ego
video
quatuor
viros
solutos
et
ambulantes
in
medio
ignis
." Ma perché io potrei
grandemente
ingannarmi
nel
penetrare
il
vero
sentimento
di
materie
che di troppo
grand'
intervallo
trapassano
la
debolezza
del mio
ingegno
,
lasciando
cotali
determinazioni
alla
prudenza
de'
maestri
in
divinità
,
anderò
semplicemente
discorrendo
tra queste
inferiori
dottrine
, con
protesto
d'esser sempre
apparecchiato
ad ogni
decreto
de'
superiori
, non
ostante
qualsivoglia
dimostrazione
ed
esperimento
che
paresse
essere
in
contrario
.
E
ritornando
all'
esperienze
del
Sarsi
, per le quali ei ci fa
vedere
trasparir
per
varie
fiamme
diversi
oggetti
,
dico
che posso
liberamente
concedergli
, tutto questo esser
vero
, ma di nessuno
sollevamento
alla sua
causa
: per lo
stabilimento
della quale non
basta
che la
fiamma
interposta
sia
profonda
un
dito
, e che gli
oggetti
altrettanto
vicini
gli sieno, né molto più
lontano
il
riguardante
, o
vero
che gli
oggetti
sieno dentro alle stesse
fiamme
ed anco nella
parte
bassa
, pochissimo
lucida
; ma ha di
bisogno
(altrimenti
resterà
a
piè
) di farci
toccar
con
mano
ch'una
fiamma
, ancor che
profonda
centinaia
e
centinaia
di
braccia
e
lontanissima
dal
riguardante
e da gli
oggetti
visibili
, non però ce n'
impedisca
la
veduta
; ch'è quanto se
dicessimo
, che gli
faccia
di
mestier
provare
che la
fiamma
arrechi
assai meno
impedimento
che se
fusse
altrettanta
nebbia
, la qual
nebbia
è tale, che
trapostane
non solo alla
grossezza
d'un
dito
, ma di quattro e sei
braccia
, non
arreca
impedimento
veruno, ma in
profondità
di 100 o
200
asconde
l'istesso
Sole
, non che le
stelle
. E finalmente, io non mi posso
contener
di
rivolgermi
un poco al medesimo
Sarsi
, che si
stupisce
del mio
inescusabil
mancamento
nell'
uso
dell'
esperienze
. Voi dunque,
signor
Sarsi
, mi
tassate
per
cattivo
sperimentatore
, mentre nell'istesso
maneggio
errate
quanto più
gravemente
errar
si possa? Voi avete
bisogno
di
mostrarci
che la
fiamma
interposta
non
basta
, contro alla nostra
asserzione
, ad
occultarci
le
stelle
, e per
convincerci
con
esperienze
dite
che
provando
noi a
riguardar
uomini
,
tizzoni
,
carboni
,
scritture
e
candele
posti
oltre alle
fiamme
,
sensatamente
gli
vederemo
: né mai v'è venuto in
pensiero
di
dirci
che noi
proviamo
a
guardar
le
stelle
? e perché, in
buon'
ora
, non ci avete voi
detto
alla
bella
prima:
Interponete
una
fiamma
tra l'
occhio
e qualche
stella
, ché voi né più né meno la
vederete
?
Mancano
forse le
stelle
in
cielo
? e questo è esser
destro
ed
avveduto
sperimentatore
? Io vi
domando
se la
fiamma
della
cometa
è come le nostre, o d'altra
natura
. Se d'altra
natura
, l'
esperienze
fatte nelle nostre non
ànno
forza
di
concludere
in quella: se è come le nostre, potevate
immediatamente
farci
veder
le
stelle
per le nostre,
lasciando
stare i
tizzoni
,
funghi
e l'altre
cose
; e quando
dite
che dopo la
fiammella
d'una
candela
si
scorgono
i
caratteri
, potevate
dire
che si
scorge
una
stella
.
Signor
Sarsi
, chi volesse
trattarla
con voi, come si dice,
mercantilmente
, cioè con una
bilancia
sottilissima
e
giustissima
,
direbbe
che voi foste in
obligo
di fare
accendere
una
fiamma
lontanissima
e
grandissima
quanto la
cometa
e farci per essa
veder
le
stelle
,
atteso
che e la
grandezza
della
fiamma
e la
lontananza
dell'
occhio
da quella
importano
assaissimo
in questo
fatto
e se ne
deve
tener
gran
conto
: ma io, per farvi ogni
agevolezza
e
vantaggio
, mi voglio
contentare
d'assai meno, e voglio
prepararvi
mezi
accommodatissimi
per vostro
bisogno
. E prima, perché l'
essere
la
fiamma
vicina
all'
occhio
importa
assai per
vedere
gli
oggetti
meglio
, in
vece
di
porla
remota
quanto la
cometa
, mi
contento
d'una
distanza
di cento
braccia
solamente: in oltre, perché la
profondità
e
grossezza
del
mezo
similmente
importa
assaissimo
, in
vece
della
grossezza
della
cometa
, ch'è, come
sapete
, tante
centinaia
di
braccia
, mi
basta
quella di dieci solamente: in oltre, perché l'esser l'
oggetto
, che si ha da
vedere
,
lucido
arreca
parimente
vantaggio
grandissimo
, come voi medesimo
affermate
, mi
contento
che tale
oggetto
sia una
stella
di quelle che si
vider
per la
chioma
della nostra
cometa
, le quali
stelle
, per vostro
detto
in questo
luogo
, sono di gran
lunga
più
chiare
di
qualsivoglia
fiamma
: e poi, se con tutti questi tanto per la
causa
vostra
vantaggiosi
apparecchi
voi
fate
vedere
per la
trasparenza
di
cotal
fiamma
la
stella
, voglio
confessarmi
per
convinto
e
predicar
voi pel più
cauto
e
sottile
sperimentatore
del
mondo
; ma non vi
succedendo
, non
ricerco
altro da voi se non che col
silenzio
ponghiate
fine
alle
dispute
, come
spero
che siate per fare: perché se mai v'
accaderà
di
veder
questa mia
scrittura
, la qual
rimane
nell'
arbitrio
di questo
Signore
, a chi
scrivo
, di
mostrarla
a chi più gli
piacerà
,
vederete
come
deve
fare chi si
piglia
per
impresa
di
volere
essaminar
gli altrui
componimenti
, ch'è non
lasciar
cosa veruna senza
considerarla
, e non (come avete
fatto
voi)
andar
a
guisa
della
gallina
cieca
dando
or qua or
là
tanto del
becco
in
terra
, che s'
incontri
in qualche
grano
di
miglio
da
morderlo
e
roderlo
.
E per
finir
questa
parte
, non potete
negar
d'aver voi medesimo
compreso
e
confessato
che dalle
fiamme
interposte
qualche
sensibile
impedimento
anco per l'
occhio
vostro ne
deriva
;
imperò
che se niente
assolutamente
d'
offuscamento
arrecassero
, senz'altri
avvertimenti
e
cautele
, d'esser gli
oggetti
più o
men
lontani
dalla
fiamma
, più o
men
lucidi
, ed esse
fiamme
nate
più da
zolfo
o d'
acquavite
che da
paglia
o da
cera
, avreste
risolutamente
detto
: "Sia la
fiamma
e l'
oggetto
qualunque si
voglia
, nessuno
impedimento
ne
nasce
, ma si
vede
come per l'
aria
libera
e
pura
": ed oltre a questo, poco più a
basso
parlando
delle
cose
che non
risplendono
per se stesse, come le
fiamme
, ma sono
illuminate
da altri,
dite
che queste ancora
impediscono
la
vista
degli
oggetti
, dove la
particola
ancora
mostra
che voi
concedete
qualche
impedimento
nelle
fiamme
. Ma che più? se
elle
non
punto
impedissero
, a chi mai sarebbe
caduto
in
pensiero
di
dire
ch'
elle
non sieno
trasparenti
? Ci è dunque, anco per voi stesso, qualche
sensibil
offuscazioncella
(
dico
per voi stesso, perché per noi e gli altri l'
impedimento
è assai
grande
), e le vostre
esperienze
son fatte intorno a
fiammelle
così
piccole
, che
risolutissimamente
l'
impedimento
d'altrettanta
nebbia
sarebbe
stato
del tutto
insensibile
; adunque le vostre
fiamme
impediscono
più che altrettanta
nebbia
: ma tanta
nebbia
quanta è la
profondità
della
cometa
,
vela
e
totalmente
toglie
la
vista
del
Sole
; adunque, quando la
cometa
fusse
una
fiamma
,
dovrebbe
esser
bastante
ad
asconderci
il
Sole
, non che le
stelle
: le quali ella non
asconde
; adunque non è una
fiamma
.
E perché quanto per
sostenere
un
falso
sono
scarsi
tutti i
partiti
, tanto per
istabilimento
del
vero
soprabondano
i
contrari
veri
, io voglio
accennare
a
V.
S.
Illustrissima
certo
particolare
per lo quale mi
par
che si
confermi
, l'
opinion
d'
Aristotile
esser
falsa
.
Avvenga
che
natura
di tutte le
fiamme
conosciute
da noi è di
dirizzarsi
all'in su,
restando
il lor
principio
e
capo
nella
parte
inferiore
, se la
barba
della
cometa
fusse
una
fiamma
ed il suo
capo
fusse
la
materia
ond'ella
traesse
origine
,
bisognerebbe
che la
chioma
direttamente
si
dirizzasse
verso il
cielo
; dal che ne
seguirebbe
una delle due
cose
, cioè o che la
chioma
si
vedesse
sempre a
guisa
di
ghirlanda
intorno al
capo
(il che sarebbe quando il
luogo
della
cometa
fusse
altissimo
), o
vero
(e questo
accaderebbe
quand'ella
fusse
poco
lontana
da
terra
)
bisognerebbe
che, nel
nascere
, prima
nascesse
l'
estremità
della
barba
, ed in
ultimo
il
capo
, ed
alzandosi
verso il
mezo
del
cielo
, quanto più il
capo
fusse
vicino al nostro
zenit
, tanto la
barba
dovrebbe
apparire
più breve, e nel
vertice
stesso
dovrebbe
apparir
nulla o
circondante
il
capo
intorno intorno, e finalmente nell'
andar
verso l'
occaso
la
barba
dovrebbe
parere
rivolta
al
contrario
, sì che il
capo
si
vedesse
inclinare
all'
occidente
prima di lei;
altramente
, quando la
barba
andasse
avanti come nel
nascere
,
converrebbe
che la
fiamma
, contro alla sua
naturale
inclinazione
e contro a quello che faceva quand'
era
nelle
parti
orientali
,
risguardasse
all'
ingiù
. Ma tali
accidenti
non si
veggono
nella
cometa
e suo
movimento
; adunque non è una
fiamma
.
51. "Illud etiam
omitti
non
debet
, eodem, quo
Aristotelem
urget
,
argumento
Galilæum
premi
. Sic enim ille: "
Flammæ
perspicuæ
non sunt;
cometæ
autem
coma
perspicua
est; ergo
flamma
non est." At ego adversus
Galilæum
sic:
Luminosa
perspicua
non sunt;
cometæ
coma
perspicua
est; ergo
luminosa
non est. Esse autem
perspicuam
indicant
stellæ
, eius
interpositu
nulla ex
parte
celatæ
. Præterea,
comam
hanc
luminosam
esse
asserit
idem
Galilæus
, dum illam ex
illuminato
vapore
existere
contendit
;
vapor
enim
illuminatus
corpus
est
luminosum
. Neque
dicat
,
loqui
se de
luminosis
nativo
ac proprio
lumine
fulgentibus
, non autem de
iis
quæ
lumen
aliunde
accipiunt
. Nam hæc etiam
rerum
ultra
ipsa
positarum
aspectum
impediunt
: si enim
pila
aliqua
vitrea
, aut
amphora
,
vino
aut
re
alia
quacumque
plena
fuerit
, et
lumini
exponatur
,
iis
tantum
partibus
ex quibus
lumen
non
reflectit
nec
illuminata
comparet
,
vinum
ostendet
; ea
vero
parte
qua
lumen
ad
oculum
remittit
,
nil
nisi
lucidum
quid et
candens
spectandum
offeret
. Idem in
aquis
etiam a
Sole
illuminatis
accidit
, in quibus
pars
illa qua
Sol
ad
oculum
reflectitur
, nihil
ultra
se
positum
videri
patitur
;
reliquæ
vero
partes
lapillos
atque
herbas
in
fundo
subsidentes
ostendunt
. Quare
illuminatorum
etiam
corporum
erit,
ulteriora
obiecta
velare
ne
videantur
; atque hæc etiam
luminosa
dici
poterunt
. Si ergo hæc apud
Galilæum
nullam
admittunt
perspicuitatem
, per
cometæ
barbam
, vel
luminosam
vel
illuminatam
,
stellas
videre
non
possumus
: at
potuimus
tamen: ergo et
illuminata
fuit
cometæ
barba
, et
perspicua
.
Hæc ego omnia eo
libentius
affero
, quod ea
facile
quivis
intelligat
, cum non ex illis
linearum
atque
angulorum
tricis
pendeant
, ex quibus non omnes
æque
facile
se
expedire
norunt
; hic enim si quis
oculos
habeat
,
ingenii
etiam huic
abunde
erit."
Qui, com'ella
vede
, vuol il
Sarsi
ritorcere
il mio medesimo
argomento
contro di me; ma quanto
felicemente
questo gli
succeda
,
anderemo
brevemente
essaminando
. E prima,
noto
com'egli, per
effettuar
questa sua
intenzione
,
incorre
in qualche
contradizzione
a se medesimo, e, quello di che più mi
meraviglio
, senza
necessità
. Di sopra, perché così
compliva
alla sua
causa
, fece ogni
sforzo
di
provar
come le
fiamme
sono
trasparenti
, sì che per esse si possono
veder
le
stelle
; qui, per
convincermi
colle mie
armi
, avendo egli
bisogno
che i
corpi
luminosi
non sieno
trasparenti
, si
mette
a
provare
così
essere
con molte
esperienze
; onde
pare
che e'
voglia
che i
corpi
luminosi
sieno e non sieno
trasparenti
secondo
che
ricerca
il
bisogno
suo: ed in questo
inconveniente
cad
'egli senza
necessità
alcuna,
atteso
che, senza
dar
pur
ombra
di
contradizzione
col
mostrar
di voler
ora
quello che poco fa aveva
negato
,
bastava
ch'ei
dicesse
(senza
porsi
egli stesso a
dimostrarlo
) che noi medesimi avevamo
affermato
generalmente
, i
corpi
luminosi
non esser
trasparenti
: né aveva
occasione
di
temer
ch'io
fossi
per venire a
distinzioni
di
luminosi
per sé o per altri,
imperò
che io ho sempre
creduto
che tal
ricorso
non
serva
se non per quelli che da
principio
non si son
saputi
ben
dichiarare
; e se il
signor
Mario
avesse
fatto
differenza
tra questi
corpi
e quelli, si sarebbe
dichiarato
a
tempo
, e non avrebbe
aspettato
che l'
avversario
l'avesse avuto a fare
accorto
del suo
mancamento
.
Dico
dunque ch'è
verissimo
che qualunque
illuminazione
, o propria o
esterna
,
impedisce
la
trasparenza
del
corpo
luminoso
; ma non bisogna,
signor
Sarsi
, che voi
intendiate
che
dicendo
noi così, vogliamo
inferire
che per ogni
minima
luce
il
corpo
che la
riceve
debba
divenir
così
opaco
com'è una
muraglia
, ma che
secondo
la maggiore o
minor
lucidità
perda
più o meno della
trasparenza
: e così
veggiamo
nel
principio
dell'
aurora
,
secondo
che la
region
vaporosa
comincia
a
participare
un
pochetto
di
lume
,
perdersi
le
minori
stelle
;
dapoi
,
crescendo
lo
splendore
,
perdersi
anco le maggiori; e finalmente, nella
massima
illuminazione
,
celarsi
quasi la
Luna
stessa. In oltre, quando per qualche
rottura
di
nuvole
noi
veggiamo
scendere
sino in
Terra
quei
lunghissimi
raggi
di
Sole
, se voi
porrete
ben
cura
,
vedrete
notabil
differenza
circa lo
scorgere
le
parti
d'un
monte
opposto
:
imperò
che quelle che sono oltre a i
raggi
luminosi
si
scorgono
più
offuscate
dell'altre
laterali
, che non vengono da essi
raggi
traversate
. E così
parimente
,
scendendo
un
raggio
di
Sole
per qualche
finestrella
in una
stanza
ombrosa
, come tal or si
vede
per qualche
vetro
rotto
in alcuna
chiesa
, tutti gli
oggetti
opposti
, in quella
parte
dove il
raggio
gli
traversa
, si
veggono
meno
distintamente
, mentre però il
riguardante
sia in
luogo
onde ei
vegga
il
raggio
luminoso
distinto
, il che non
avviene
da tutti i
siti
indifferentemente
.
Ora
,
stanti
queste
cose
vere
,
dico
(e così si è sempre
detto
)
potere
esser che la
materia
della
cometa
sia assai più
sottil
dell'
aria
vaporosa
, e meno
atta
ad
illuminarsi
, ché così ne
persuade
il
vederla
noi
sparir
nell'
aurora
e nel
crepuscolo
,
trovandosi
il
Sole
ancora assai sotto l'
orizonte
; sì che, quanto alla
lucidità
, non ci è
ragione
perch'ella
debba
asconderci
le
stelle
più della
region
vaporosa
. Quanto poi alla
profondità
, prima, la
region
vaporosa
è
grossa
molte
miglia
;
dipoi
, noi non siamo in
necessità
di
por
la
barba
della
cometa
di
smisurata
profondità
, non avendo
determinato
né quanto sia il
diametro
del
capo
, né s'egli è
rotondo
, né quanta sia la
lontananza
. Con tutto ciò, quando anco altri volesse
porla
profonda
8 o 10
miglia
, non si
vede
nascerne
inconveniente
alcuno; perché anco l'
aria
vaporosa
in tanta e maggior
profondità
, ed
illuminata
quanto la
barba
della
cometa
,
lascia
veder
le
stelle
.
52. "Illud præterea a
Galilæo
Aristoteli
obiicitur
,
male
illum ex
cometis
prædicere
,
annum
fore
non
admodum
pluvium
, sed
siccum
potius,
ventorum
etiam
ingentem
vim
ac
Terræ
motus
portendi
. Cum enim,
inquit
,
cometæ
nihil aliud
Aristoteli
sint nisi
ignes
, huiusmodi
exhalationum
veluti
eluones
voracissimi
, si
nullas
reliquias
ab
iisdem
relinquendas
dixeris
,
longe
sapientius
pronunciaris
. Sed ego
longe
aliter
sentiendum
existimo
. Nam si qua in
urbe
per
fora
ac
vias
magnam
frumenti
vim
dispersam
negligenter
haberi
, aut si
forte
vilissima
quæque
capita
ac
plebeculæ
sordes
opipare
semper
epulari
videas
; an non inde
tantam
rei
frumentariæ
ac totius
annonæ
facultatem
sapienter
arguas
, ut nulla ibidem in
longum
tempus
metuenda
sit
inopia
? Ita
plane
dicendum
. Atqui
halituum
sedes
angustis
ut
plurimum
terminis
, ac
veluti
in
horreo
frumentum
,
includitur
; neque ad
illas
plagas
, quibus
vorax
flamma
dominatur
,
facile
producitur
, nisi quando
eorumdem
ingens
copia
inferioribus
sedibus
capi
non potest, aut
forte
iidem
,
sicciores
ac
rariores
effecti
, omnem
aqueam
exuerint
qualitatem
. Quare non
inepte
Aristoteles
ex
cometis
, hoc est ex huiusmodi
exhalationibus
ad
ignem
usque,
adeo
non
parce
sed
affluenter
,
productis
,
intulit
,
inferiora
hæc omnia
iisdem
maxime
abundare
. Neque
hinc
sequitur
, ab eo
igne
nullas
eorumdem
halituum
reliquias
relinquendas
:
is
enim ea tantum
absumit
, quæ supra non
capaces
inferioris
sedis
angustias
ad
ignis
plagam
elevantur
; qui postea
ignis
non in
alienas
regiones
irrumpit
, sed suo semper
fixus
in
regno
ea sibi
vindicat
quæ
propius
ad illum
accesserint
aut, quasi ab
humidioribus
impressionibus
transfuga
, ad illum
defecerint
: et propterea
potuit
Aristoteles
hinc
etiam
ventos
,
sicciorem
anni
temperiem
,
aliaque
huiusmodi
prænunciare
. De nostro certe
cometa
si quis tale aliquid
prædixisset
,
potuisset
ab
eventu
ipso id
egregie
confirmare
; nam et
annus
siccior
solito
extitit
,
insolentes
ventorum
vehementesque
flatus
experti
sumus,
Terræ
motibus
magna
Italiæ
pars
concussa
,
idque
alicubi
non
parvo
urbium
atque
oppidorum
damno
. Quid
igitur
? an non
sapienter
ut, alia multa, hæc etiam
Aristoteles
enunciavit
?"
L'
essempio
in
virtù
del quale
crede
il
Sarsi
di poter
difendere
Aristotile
e
mostrar
l'
obiezzione
del
signor
Mario
invalida
, a me
par
che non molto s'
assesti
al
caso
essemplificato
. Che il
veder
per le
strade
e per le
piazze
copia
di
biade
arguisca
esser di quelle maggiore
abbondanza
che quando non se ne
veggono
, ha molto ben del
ragionevole
,
imperò
che è in
potere
ed in
arbitrio
de i
padroni
l'
esporle
ed il
celarle
, e, di più, il farne
mostra
non le
consuma
o
diminuisce
punto
; i quali due
particolari
non
ànno
luogo
nel
caso
della
cometa
. E per
avventura
essempio
più
proporzionato
sarebbe se alcuno
dicesse
in
cotal
modo: che l'
isola
Cuba
abbondi
di
cinnamomi
e
cannelle
, ce ne sia
grand'
argomento
il
sapere
che gl'
isolani
fanno
fuoco
di quelle
continuamente
. Il
discorso
è
concludente
, perché, essendo in
arbitrio
loro l'
arderle
o no, quando ne
avesser
penuria
l'
userebbon
per
condimento
solamente, come noi. Ma quando venisse
avviso
che i
mesi
passati
per certo
accidente
si
fusse
attaccato
fuoco
nella gran
selva
de'
cinnamomi
, e che gl'
isolani
non furono
potenti
ad
estinguer
le
fiamme
,
ritrovandosi
in questo
tempo
assai
lontani
dal
luogo
, sì ch'ella
irreparabilmente
arse
; se alcun
mercante
da tale
accidente
insolito
volesse a i nostri
aromatarii
pronosticare
una
straordinaria
abbondanza
, poi che, dove per l'
ordinario
se ne
abbruciano
a
fascetti
, questa
volta
si è
fatto
a
boscaglie
intere
; io
credo
ch'ei
verrebbe
reputato
persona
molto
semplice
: e quello che
vedendo
dalle
fiamme
divorar
le
biade
mature
della sua
possessione
, si
rallegrasse
e si
promettesse
d'
essere
per
empire
assai più del
solito
i suoi
granai
, poi che ve n'è da
abbruciare
a
moggia
,
credo
che sarebbe
tenuto
stolto
affatto. La
materia
di che si fa la
cometa
o è della medesima di che si
producono
i
venti
, o è
diversa
: se è
diversa
, non si può dalla
copia
di quella
arguire
abbondanza
di questa, più che se alcuno dal
veder
molt
'
uva
si
promettesse
gran
ricolta
d'
olio
; se è dell'
istessa
,
attaccato
che vi sia il
fuoco
,
arderà
tutta.
53. "Quid
porro
ex his omnibus
inferri
non
immerito
possit
, non ex me, sed ex
Galilæo
ipso,
audiendum
censeo
. Ille enim, cum sua hæc
experimenta
exposuisset
,
addidit
: "Hæc nostra sunt
experimenta
, nostræ
hæ
conclusiones
, ex nostris
principiis
nostrisque
opticis
rationibus
deductæ
. Si
falsa
experimenta
, si
vitiosæ
fuerint
rationes
,
infirma
ac
debilia
futura
etiam sunt
dictorum
nostrorum
fundamenta
." His ego nihil
ultra
addendum
existimo
.
Atque hæc illa sunt, quæ mihi in hac
disputatione
, ob meam
erga
Præceptorem
observantiam
,
dicenda
proposui
: quibus
ostendi
certe
conatus
sum
primum
,
iustam
a
Galilæo
(atque hic
princeps
fuit
scribendi
scopus
)
querelarum
materiam
Præceptori
meo, a quo ille
perhonorifice
semper est
habitus
,
oblatam
fuisse
; deinde,
licuisse
nobis, in
edita
illa
Disputatione
, per
parallaxis
ac
motus
cometici
observationes
eiusdem
cometæ
a
Terra
distantiam
metiri
, atque ex
tubo
optico
,
parvum
admodum
cometæ
incrementum
afferente
, aliquid etiam
momenti
rebus
nostris
accedere
potuisse
; præterea, non
æque
eidem
Galilæo
licuisse
,
cometam
e
verorum
luminum
numero
excludere
, ac
severas
adeo
motus
rectissimi
leges
eidem
præscribere
; ad hæc,
constare
ex his,
aërem
ad
cæli
motum
moveri
,
atteri
,
calefieri
atque
incendi
posse, ex
motu
per
attritionem
calorem
excitari
, nulla licet
pars
attriti
corporis
deperdatur
,
aërem
illuminari
posse,
quotiescunque
crassioribus
vaporibus
admiscetur
,
flammas
lucidas
simul esse atque
perspicuas
, quæ
Galilæus
ita se
habere
negavit
;
falsa
denique
deprehensa
experimenta
illa, quibus
fere
unis
eiusdem
placita
nitebantur
. Hæc autem
innuere
potius quam
fusius
explicare
volui
, cum neque
plura
exigi
viderentur
, ut
pateret
omnibus, neque
ulli
in
Disputatione
nostra a nobis
iniuriam
illatam
, neque nos
infirmis
rationibus
ductos
eam, quam
proposuimus
,
sententiam
cæteris
omnibus
prætulisse
."
Qui, com'ella
vede
, il
Sarsi
fa due
cose
: la prima
contiene
implicitamente
il
giudicio
che altri
deve
fare della
debolezza
de'
fondamenti
della nostra
dottrina
,
appoggiandosi
ella sopra
esperienze
false
e
ragioni
manchevoli
, com'egli
pretende
d'aver
dimostrato
;
aggiunge
poi, nel
secondo
luogo
, un
catalogo
e
racconto
delle
conclusioni
contenute
nel
Discorso
del
signor
Mario
e da sé
impugnate
e
confutate
. In
risposta
alla prima
parte
, io, ad
imitazion
del
Sarsi
,
liberamente
rimetto
il
giudicio
da farsi circa la
saldezza
della nostra
dottrina
in quelli che
attentamente
avranno
ponderate
le
ragioni
e l'
esperienze
dell'una e l'altra
parte
;
sperando
che la
causa
mia sia per esser
favoreggiata
non poco dall'aver io di
punto
in
punto
essaminato
e
risposto
ad ogni
ragione
ed
esperienza
prodotta
dal
Sarsi
, dov'egli ha
trapassata
la maggior
parte
e la più
concludente
di quelle del
signor
Mario
. Le quali tutte io avevo
fatto
pensiero
(ed
era
in
contracambio
del
catalogo
del
Sarsi
) di
registrar
nominatamente
in questo
luogo
; ma
postomi
all'
impresa
, mi è
mancato
e l'
animo
e le
forze
,
vedendo
che mi
saria
stato
bisogno
trascriver
di
nuovo
poco meno che l'
intero
trattato
del
signor
Mario
. Però, per
minor
tedio
di
V.
S.
Illustrissima
e mio, ho
risoluto
più
tosto
di
rimetterla
ad un'altra
lettura
di quello stesso
trattato
.
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