b) Il discernimento da parte della guida
Nell'Esortazione Apostolica postsinodale Pastores dabo vobis Giovanni Paolo II afferma: "La conoscenza della natura e della missione del sacerdozio ministeriale è il presupposto irrinunciabile, e nello stesso tempo la guida più sicura e lo stimolo più incisivo, per sviluppare nella Chiesa l'azione pastorale di promozione e di discernimento delle vocazioni sacerdotali e di formazione dei chiamati al ministero ordinato" 109. Lo stesso si potrebbe dire, per analogia, quando si tratta del discernimento di qualsiasi vocazione alla vita consacrata. Presupposto irrinunciabile per discernere tali vocazioni è, prima di tutto, aver presente la natura e la missione di quello stato di vita nella Chiesa 110. Tale presupposto deriva direttamente dalla certezza che è Dio che chiama, e dunque dalla ricerca di quei segnali che indicano la chiamata divina. Vengono ora indicati alcuni criteri di discernimento, distinguibili in quattro aree.
- L'apertura al mistero
Se la chiusura al mistero, caratteristica di certa mentalità moderna, inibisce qualsiasi disponibilità vocazionale, il suo contrario, ovvero l'apertura al mistero, è non solo condizione positiva per la scoperta della propria vocazione, ma indice che segnala una sana opzione vocazionale.
a) L'autentica certezza soggettiva vocazionale è quella che fa spazio al mistero e alla sensazione che la propria decisione, pure ferma, dovrà restare aperta a una continua indagine del mistero stesso. La certezza non autentica è, invece, non solo quella debole e incapace di dar luogo a una decisione, ma anche il suo contrario, e cioè la pretesa d'aver già capito tutto, d'aver esaurito le profondità del mistero personale, pretesa che non può che creare irrigidimenti e una certezza che molte volte è smentita dal seguito della vita.
b) L'atteggiamento tipicamente vocazionale è espressione della virtù della prudenza, più che di ostentata capacità personale. Proprio per questo la sicurezza di questa lettura del proprio futuro è quella della speranza e dell'affidamento che nasce dalla fiducia riposta in un Altro, di cui ci si può fidare; non è dedotta dalla garanzia delle proprie capacità percepite come rispondenti alle esigenze del ruolo scelto.
c) È ancora buon indice vocazionale le capacità di accogliere e integrare quelle polarità contrapposte che costituiscono la dialettica naturale dell'io e della vita umana. Ad esempio, possiede tale capacità un giovane che è sufficientemente consapevole dei suoi aspetti sia positivi che negativi, dei suoi ideali e delle sue contraddizioni, della parte sana e della parte meno sana del suo stesso progetto vocazionale, e che non presuma né disperi di fronte al negativo di sé.
d) Ha buona familiarità con il mistero della vita come luogo in cui percepire una presenza e un appello il giovane che scopre i segni della sua chiamata da parte di Dio non solo in eventi straordinari, ma nella sua storia; negli eventi che ha imparato a leggere da credente, nelle sue domande, ansie e aspirazioni.
e) Rientra in questa categoria dell'apertura al mistero un'altra fondamentale caratteristica dell'autentico chiamato: quella della gratitudine. La vocazione nasce nel terreno fecondo della gratitudine; e va interpretata con slancio di generosità e radicalità, proprio perché nasce dalla consapevolezza dell'amore ricevuto.
- L'identità nella vocazione
Il secondo ordine di criteri ruota attorno al concetto di "identità". L'opzione vocazionale infatti indica e implica proprio la definizione della propria identità; è scelta e realizzazione dell'io ideale, più che dell'io attuale, e dovrebbe portare la persona ad aver un senso sostanzialmente positivo e stabile del proprio io.
a) Prima condizione è che la persona mostri d'esser in grado di staccarsi dalla logica dell'identificazione ai livelli corporale (= il corpo come fonte di identità positiva) e psichico (= le proprie doti come unica e preminente garanzia di autostima), e scopra invece la propria positività radicale legata stabilmente all'essere, ricevuto in dono da Dio (è il livello ontologico), non alla precarietà dell'avere o dell'apparire. La vocazione cristiana è ciò che porta a compimento tale positività realizzando al massimo grado le possibilità del soggetto, ma secondo un progetto che regolarmente lo supera, perché pensato da Dio.
b) "Vocazione" vuol dire fondamentalmente "chiamata": c'è dunque un soggetto esterno, un appello oggettivo, e una disponibilità interiore a lasciarsi chiamare e a riconoscersi in un modello che non è stato il chiamato a creare.
c) Circa la motivazione o la modalità della scelta vocazionale il criterio fondamentale è quello della totalità (o legge della totalità); e cioè che la decisione sia espressione d'un coinvolgimento totale delle funzioni psichiche (cuore-mente-volontà), e sia decisione assieme mentale-etica-emotiva.
d) Più in particolare, c'è maturità vocazionale quando la vocazione è vissuta e interpretata come un dono, ma anche come appello esigente: da vivere per gli altri, non solo per la propria perfezione, e con gli altri, nella Chiesa madre di tutte le vocazioni, in una specifica "sequela Christi".
- Un progetto vocazionale ricco di memoria credente
La terza area su cui andrebbe concentrata l'attenzione di chi discerne una vocazione è quella relativa alla qualità del rapporto tra passato e presente, tra memoria e progetto.
a) Anzitutto è importante che il giovane sia sostanzialmente riconciliato col suo passato: con l'inevitabile negativo, d'ogni genere, che è parte di esso, e pure col suo positivo, che dovrebbe esser in grado di riconoscere con gratitudine; riconciliato pure con le figure significative del suo passato, con le loro ricchezze e debolezze.
b) Va allora considerato con attenzione il tipo di memoria che il giovane ha della propria storia, quale interpretazione dà della propria vita: in chiave di grazie o di lamento? Si sente consciamente o inconsciamente in credito, e quindi ancora in attesa di ricevere, o aperto a dare?
c) Particolarmente significativo è l'atteggiamento del giovane di fronte ai traumi nella vita passata, più o meno gravi. Progettare di consacrarsi a Dio vuol dire in ogni caso riappropriarsi della vita che si vuol donare, in tutti i suoi aspetti; tendere a integrare queste componenti meno positive, riconoscendole con realismo e assumendo un atteggiamento responsabile, e non semplicemente autocommiserativo, dinanzi a esse. Giovane "responsabile" è colui che si impegna ad assumere un atteggiamento attivo e creativo nei confronti dell'evento negativo, o cerca di sfruttare in modo intelligente l'esperienza personale negativa. Bisogna prestare molta attenzione alle vocazioni che nascono da sofferenze, delusioni o incidenti vari non ancora ben integrati. In tal caso è necessario un più attento discernimento, anche facendo ricorso a visite specialistiche per non caricare pesi impossibili su spalle deboli.
- La docibilitas vocazionale
L'ultima fase dell'itinerario vocazionale è quella della decisione. In riferimento a tale fase i criteri di maturità vocazionale sembrano esser questi:
a) il requisito fondamentale è il grado di docibilitas della persona, ovvero la libertà interiore di lasciarsi guidare da un fratello o sorella maggiore; in particolare nelle fasi strategiche della rielaborazione e riappropriazione del proprio passato, specie quello più problematico, e la conseguente libertà di imparare e di saper cambiare.
b) Il requisito della docibilitas è in fondo il requisito dell'esser giovane, non tanto come qualità anagrafica, quanto come atteggiamento globale esistenziale. È importante che chi chiede di entrare in seminario o nella vita consacrata sia veramente "giovane", con le virtù e vulnerabilità tipiche di questa stagione della vita, con la voglia di fare e il desiderio di dare il massimo di sé, capace di socializzare e di apprezzare la bellezza della vita, cosciente dei propri difetti e delle proprie potenzialità, consapevole del dono d'essere stato scelto.
c) Un'area particolarmente degna d'attenzione, oggi più di ieri, è quella affettivo-sessuale 111. È importante che il giovane mostri di poter acquisire quelle due certezze che rendono la persona libera affettivamente, ovvero la certezza che viene dall'esperienza di esser già stato amato e la certezza, sempre esperienziale, di saper amare. In concreto il giovane dovrebbe mostrare quell'equilibrio umano che gli consente di saper stare in piedi da solo, dovrebbe possedere quella sicurezza e autonomia che gli facilitano il rapporto sociale e l'amicizia cordiale, e quel senso di responsabilità che gli consente di vivere da adulto lo stesso rapporto sociale, libero di dare e ricevere.
d) Per quanto riguarda le inconsistenze, sempre nell'area affettivo-sessuale, un oculato discernimento dovrebbe tener conto della centralità di quest'area nell'evoluzione generale del giovane e nella cultura attuale. Non è così strano o raro che il giovane mostri delle specifiche debolezze in questo settore. A quali condizioni si può prudentemente accogliere la richiesta vocazionale di giovani con questo tipo di problemi? La condizione è che vi siano assieme questi tre requisiti:
1° che il giovane sia cosciente della radice del suo problema, che molto spesso non è sessuale all'origine.
2° La seconda condizione è che il giovane senta la sua debolezza come un corpo estraneo alla propria personalità, qualcosa che non vorrebbe e che stride con il suo ideale, e contro cui lotta con tutto se stesso.
3° Infine è importante verificare se il soggetto sia in grado di controllare queste debolezze, in vista di un superamento, sia perché di fatto ci cade sempre meno, sia perché tali inclinazioni disturbano sempre meno la sua vita (anche psichica) e gli consentono di svolgere i suoi doveri normali senza creargli tensione eccessiva né occupare indebitamente la sua attenzione 112. Questi tre criteri devono esser tutti presenti per consentire un discernimento positivo.
e) La maturità vocazionale, infine, è decisa da un elemento essenziale che dà veramente senso al tutto: l'atto di fede. L'autentica opzione vocazionale è a tutti gli effetti espressione dell'adesione credente, e tanto più è genuina quanto più è parte ed epilogo d'un cammino di formazione alla maturità della fede. L'atto di fede, all'interno d'una logica che fa spazio al mistero, è proprio quel punto centrale che consente di tenere insieme le polarità a volte contrapposte della vita, perennemente tesa tra la certezza della chiamata e la coscienza della propria inettitudine, tra la sensazione del perdersi e del trovarsi, tra la grandezza delle aspirazioni e la pesantezza dei propri limiti, tra la grazia e la natura, tra Dio che chiama e l'uomo che risponde. Il giovane autenticamente chiamato dovrebbe mostrare la saldezza dell'atto credente proprio mantenendo assieme queste polarità.
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