Già dall’inizio del Nostro
Pontificato, secondo quanto richiedeva la natura dell’Apostolico ministero, con
Lettera enciclica a Voi indirizzata, Venerabili Fratelli, segnalammo la
micidiale pestilenza che serpeggia per le intime viscere della società e la
riduce all’estremo pericolo di rovina; indicammo contemporaneamente i rimedi
più efficaci per richiamarla a salute e per salvarla dai gravissimi pericoli
che la sovrastano. Ma nel giro di poco tempo crebbero talmente i mali che
allora deplorammo, da sentirci ora costretti a rivolgervi di nuovo la parola,
come se alle Nostre orecchie risuonasse la voce del Profeta: "Grida, non
darti posa; alza la tua voce come una tromba".1 Comprendete
facilmente, Venerabili Fratelli, che Noi parliamo della setta di coloro che con
nomi diversi e quasi barbari si chiamano Socialisti, Comunisti e Nichilisti, e
che sparsi per tutto il mondo, e tra sé legati con vincoli d’iniqua
cospirazione, ormai non ricercano più l’impunità dalle tenebre di occulte
conventicole, ma apertamente e con sicurezza usciti alla luce del giorno si
sforzano di realizzare il disegno, già da lungo tempo concepito, di scuotere le
fondamenta dello stesso consorzio civile. Costoro sono quelli che, secondo le
Scritture divine, "contaminano la carne, disprezzano l’autorità, bestemmiano
la maestà",2 e nulla rispettano e lasciano integro di quanto venne
dalle leggi umane e divine sapientemente stabilito per l’incolumità e il decoro
della vita. Ai poteri superiori (ai quali, secondo l’ammonimento dell’Apostolo,
conviene che ogni anima si tenga soggetta, e che da Dio ricevono il diritto di
comandare) ricusano l’obbedienza e predicano la perfetta uguaglianza di tutti
nei diritti e negli uffici. Disonorano l’unione naturale dell’uomo e della
donna, rispettata come sacra perfino dai barbari, e indeboliscono e anche
lasciano in balìa della libidine il vincolo coniugale per il quale
principalmente si mantiene unita la società domestica. Presi infine dalla
cupidigia dei beni terreni, che "è radice di tutti i mali, e per amore
della quale molti hanno traviato dalla fede",3 impugnano il
diritto di proprietà stabilito per legge di natura, e con enorme scelleratezza,
dandosi l’aria di provvedere e di soddisfare ai bisogni e ai desideri di tutti,
si adoperano per rubare e mettere in comune quanto fu acquisito o a titolo di
legittima eredità, o con l’opera del senno e della mano, o con la frugalità
della vita. Rendono pubbliche queste mostruose opinioni nei loro circoli; le
consigliano nei libercoli; le diffondono nel popolo con un mucchio di gazzette.
Pertanto si è accumulato tanto odio della plebe sediziosa contro la veneranda
maestà e l’impero dei Re, al punto che scellerati traditori, sdegnosi di ogni
freno, più volte a breve intervallo di tempo, con empio ardimento rivolsero le
armi contro gli stessi Sovrani.
Queste audaci macchinazioni
degli empi, che ogni giorno minacciano all’umano consorzio più gravi rovine e
tengono in ansiosa trepidazione l’animo di tutti, traggono principio e origine
da quelle velenose dottrine che, sparse nei tempi passati quali semi malsani in
mezzo ai popoli, diedero a suo tempo frutti così amari. Infatti Voi ben
conoscete, Venerabili Fratelli, che la guerra implacabile mossa fin dal secolo decimosesto
dai Novatori contro la fede cattolica, e che venne sempre crescendo fino ai
giorni nostri, ha per scopo d’aprire la porta a quelle idee e, per dir più
propriamente, ai deliri della ragione abbandonata a se stessa, eliminata ogni
rivelazione e rovesciato ogni ordine soprannaturale. Tale errore, che a torto
prende nome dalla ragione, siccome solletica e rende più viva l’innata bramosia
d’innalzarsi, ed allenta il freno ad ogni sorta di cupidigie, senza difficoltà
s’introdusse non solo nella mente di moltissimi, ma giunse anche a penetrare
ampiamente nella società civile. Quindi con empietà nuova, sconosciuta perfino
agli stessi pagani, si costituirono Stati senza alcun riguardo a Dio ed
all’ordine da Lui prestabilito; si andò dicendo che l’autorità pubblica non
riceve da Dio né il principio, né la maestà, né la forza di comandare, ma
piuttosto dalla massa popolare la quale, ritenendosi sciolta da ogni legge
divina, tollera appena di restare soggetta alle leggi che essa stessa a piacere
ha sancite.
Combattute e rigettate come
nemiche della ragione le verità soprannaturali della fede, si costringe lo
stesso Autore e Redentore del genere umano ad uscire insensibilmente e a poco a
poco dalle Università, dai Licei e dai Ginnasi e da ogni pubblica consuetudine
della vita. Infine, messi in dimenticanza i premi e le pene della eterna vita
avvenire, l’ardente desiderio della felicità è stato rinserrato entro gli
angusti confini del presente. Con queste dottrine disseminate in lungo e in
largo, e con tale e tanta licenza d’opinare e di fare accordata dovunque, non
deve recare meraviglia che gli uomini della plebe, stanchi della casa misera e
dell’officina, anelino a lanciarsi sui palazzi e sulle fortune dei più ricchi;
non deve recare meraviglia che, scossa, vacilli ormai ogni pubblica e privata
tranquillità, e che l’umanità sia giunta quasi alla sua estrema rovina.
Ma i supremi Pastori della
Chiesa, ai quali incombe il dovere di difendere dalle insidie nemiche il gregge
del Signore, si adoperarono per scongiurare tempestivamente il pericolo e per
provvedere all'eterna salute dei fedeli. Infatti, non appena si cominciarono a
formare le società segrete, in mezzo alle quali fin d’allora covavano i germi
degli errori che abbiamo rammentato, i Romani Pontefici Clemente XII e
Benedetto XIV non omisero di scoprire gli empi disegni delle sette e
d’avvertire i fedeli di tutto l’universo della rovina che nell’oscurità si
preparava. E quando poi coloro che si vantavano del nome di filosofi vollero
concedere all’uomo una libertà sfrenata, e si prese ad inventare un nuovo
diritto e a stabilirlo contro ogni legge naturale e divina, il Papa Pio VI di
felice memoria mostrò immediatamente con pubblici documenti la malvagia indole
e la fallacia di quei principi, e contemporaneamente con Apostolica antiveggenza
vaticinò le rovine alle quali sarebbe stato tratto il popolo miseramente
ingannato. Però, non essendosi in alcun modo provveduto a che quelle prave
teorie non venissero instillate ogni giorno più nelle menti dei popoli e non
entrassero nei pubblici decreti di governo, Pio VII e Leone XII colpirono
d’anatema le sette segrete, e di nuovo ammonirono la società dei pericoli che
per opera loro incombevano. Infine è noto a tutti con quali gravissime parole e
con quanta fermezza d’animo e costanza il Nostro glorioso Predecessore, il Papa
Pio IX di felice memoria, sia con le Allocuzioni, sia con Lettere encicliche
mandate ai Vescovi di tutto il mondo, abbia combattuto contro gl’iniqui sforzi
delle sette e specificatamente contro la peste del Socialismo, che da quelle
sin da allora germogliava.
Ma per somma sventura,
coloro ai quali venne affidata la cura di promuovere i comuni vantaggi,
circonvenuti con gli artifici di perfidi uomini e spaventati dalle loro
minacce, tennero sempre in sospetto la Chiesa e l’avversarono, non comprendendo
che gli sforzi delle sette sarebbero andati a vuoto se la dottrina della Chiesa
cattolica e l’autorità dei Romani Pontefici, sia presso i Principi, sia presso
i popoli, fosse sempre rimasta nell’onore dovuto. Infatti, "la Chiesa del
Dio vivente, che è colonna e fondamento di verità",4 insegna
dottrine e dà precetti che largamente provvedono al benessere ed al quieto
vivere della società, e per i quali l’infausto germe del Socialismo è divelto
dalle radici.
Sebbene i Socialisti,
abusando dello stesso Vangelo per ingannare gl’incauti, abbiano il costume di
travisarlo secondo i loro intendimenti, tuttavia è tanta la discordanza delle
loro perverse opinioni dalla purissima dottrina di Cristo, che non se ne può
immaginare una maggiore: "Infatti, quale consorzio della giustizia con
l’iniquità? o quale società della luce con le tenebre?"5 Costoro
invero non smettono di blaterare – come abbiamo già accennato – che tutti gli
uomini sono per natura uguali fra loro, e quindi sostengono non doversi
prestare alle autorità né onore, né riverenza, né obbedire alle leggi se non
forse a quelle redatte a loro piacimento. All’opposto, secondo gl’insegnamenti
del Vangelo, tutti gli uomini sono uguali in quanto avendo tutti avuto in sorte
la medesima natura, tutti sono chiamati alla medesima altissima dignità di
figliuoli di Dio; avendo tutti lo stesso fine da conseguire, dovranno essere
giudicati a norma della stessa legge, per riceverne premi o pene secondo che
avranno meritato. Tuttavia l’ineguaglianza di diritti e di potestà proviene
dall’Autore medesimo della natura, "dal quale tutta la famiglia e in cielo
e in terra prende il nome".6 Gli animi poi dei Principi e dei
sudditi, secondo la dottrina e i precetti della Chiesa cattolica, sono così
legati attraverso scambievoli doveri e diritti, che ne resta temperata la
passione sfrenata del comandare, e diviene facile, costante e nobilissima la
ragione dell’ubbidienza.
E valga il vero: la Chiesa
inculca sempre nei sudditi il precetto dell’Apostolo: "Non esiste potestà
se non da Dio, e quelle che ci sono, sono ordinate da Dio. Pertanto chi si
oppone alla potestà, resiste alla disposizione di Dio, e coloro che resistono
si comprano la condanna". E di nuovo comanda "di essere soggetti,
come è necessario, non solo per timore dell’ira, ma anche per riguardo alla
coscienza, e comanda di rendere a tutti quello che è dovuto: a chi il tributo,
il tributo; a chi la gabella, la gabella; a chi il timore, il timore; a chi
l’onore, l’onore".7 Pertanto, Colui che creò e governa ogni cosa,
nella sua provvida sapienza dispose che le infime cose attraverso quelle di
mezzo, e le cose di mezzo attraverso le altissime arrivino ciascuna al proprio
fine. Perciò, come nello stesso regno celeste volle che vi fossero cori di Angeli
distinti fra loro e gli uni agli altri soggetti; nello stesso modo stabilì
anche nella Chiesa vari gradi di ordini, ed una moltitudine di ministeri, onde
non tutti fossero Apostoli, non tutti Pastori, non tutti Dottori;8 così
dispose del pari che nella società civile fossero varii ordini distinti per
dignità, per diritti e per potere, onde la comunità, a somiglianza della
Chiesa, rendesse l’immagine di un corpo che ha molte membra, le une più nobili
delle altre, ma insieme scambievolmente necessarie e sollecite del bene comune.
In pari tempo, però,
affinché i capi dei popoli si servano della potestà ad essi data ad
edificazione e non a distruzione, la Chiesa di Cristo opportunamente ricorda
che anche sui Principi sovrasta la severità del Giudice Supremo. Avvalendosi
delle parole della divina Sapienza, essa grida a tutti nel nome di Dio:
"Porgete le orecchie, voi che avete il governo dei popoli e vi gloriate di
dominare molte nazioni: la potestà è stata data a voi dal Signore, e la virtù
dall’Altissimo, il quale esaminerà le vostre opere e scruterà i vostri
pensieri... Poiché un giudizio severissimo si farà di coloro che sovrastano...
Dio infatti non esonererà nessuno dal giudizio, né temerà la grandezza di
chicchessia, perché Egli ha fatto il grande e il piccolo, e di tutti tiene
eguale cura. Ma ai maggiori sovrasta un maggiore tormento".9
Tuttavia se accada talvolta che la pubblica potestà venga dai Principi
esercitata a capriccio ed oltre misura, la dottrina della Chiesa Cattolica non
consente ai privati d’insorgere a proprio talento contro di essi, affinché non
sia vieppiù sconvolta la tranquillità dell’ordine, e non derivi perciò maggior detrimento
alla società. E quando le cose siano giunte a tal punto che non sorrida alcun’altra
speranza di salvezza, vuole che si raggiunga il rimedio coi meriti della
pazienza cristiana e con insistenti preghiere al Signore.
Se la volontà dei
legislatori e i decreti dei Principi comanderanno qualche cosa che sia
contraria alla legge divina o naturale, allora la dignità e il dovere del nome
cristiano, e il pensiero Apostolico esigono "doversi obbedire più a Dio
che agli uomini".10
La stessa società
domestica, che è alla base di ogni comunità e di ogni regno, sente e sperimenta
necessariamente questa benefica virtù della Chiesa che influisce
sull’ordinatissimo regime e sulla conservazione della società civile. Infatti,
ben sapete, Venerabili Fratelli, che questa società, retta secondo l’esigenza
del diritto naturale, si fonda principalmente sopra l’unione indissolubile
dell’uomo e della donna, si completa negli scambievoli doveri e diritti tra i
genitori e i figli, tra i padroni e i servi. Sapete ancora che essa va quasi a
disciogliersi secondo le dottrine del Socialismo; in quanto, perduta la
stabilità che le deriva dal matrimonio cristiano, ne consegue che venga pure ad
indebolirsi in straordinaria maniera l’autorità dei padri sopra i figli, e la
riverenza dei figli verso i genitori. Al contrario, la Chiesa insegna che il
matrimonio, "degno di essere in tutto onorato",11 istituito
da Dio fin dal principio del mondo per propagare e conservare l’umana specie e
da Lui voluto indissolubile, crebbe a condizione ancora più stabile e più santa
per opera di Cristo che gli conferì la dignità di Sacramento e volle che
ritraesse in sé l’immagine della sua unione con la Chiesa. Pertanto, secondo
quanto insegna l’Apostolo,12 come Cristo è il capo della Chiesa, così
il marito è il capo della sposa; e come la Chiesa si tiene soggetta a Cristo
che nutre per lei un amore castissimo ed eterno, così conviene che le spose
siano soggette ai loro mariti, i quali a loro volta le debbono amare di affetto
fedele e costante.
Analogamente la Chiesa
tempera in tal modo la potestà dei padri e dei padroni i quali, senza
trascendere la giusta misura, riescono a contenere dentro i confini del
rispetto i figli ed i servi. Stando infatti agli insegnamenti cattolici, nei
genitori e nei padroni si trasfonde l’autorità del Padre e del Padrone celeste;
perciò essa non solo trae da Lui origine e forza, ma ne mutua anche
necessariamente la natura e l’indole. Conseguentemente l’Apostolo esorta i
figli "ad obbedire ai loro genitori nel nome del Signore, ad onorare il
padre e la madre: è questo il primo comandamento associato a una
promessa".13 Ai genitori poi ingiunge: "E voi, padri, non
provocate ad ira i vostri figli, ma allevateli nella disciplina e
nell’istruzione del Signore".14 Di nuovo poi ai servi ed ai
padroni dallo stesso Apostolo viene inculcato il comandamento divino:
obbediscano "ai padroni carnali come alla persona di Cristo... servendo
con amore come al Signore"; questi alla loro volta "mettano da parte
l’asprezza, ben sapendo che il Signore di tutti è nei cieli, e che presso di
Lui non v’è preferenza di persone".15 Se tutte queste cose fossero
diligentemente compiute secondo il volere divino da tutti coloro che ne hanno
il dovere, sicuramente ogni famiglia presenterebbe una certa somiglianza con la
dimora celeste, e i preclari benefìci che ne seguirebbero non sarebbero solo
ristretti entro i confini delle pareti domestiche, ma si riverserebbero altresì
in abbondanza a vantaggio degli Stati medesimi.
Inoltre la sapienza
cattolica, costruita sui precetti della legge naturale e divina, mirabilmente
provvide alla pubblica e domestica tranquillità anche con le dottrine che
professa ed insegna intorno al diritto di proprietà e alla divisione dei beni,
che sono fatti per le necessità ed i comodi della vita. Pertanto, mentre i
Socialisti rappresentano il diritto di proprietà come un ritrovato umano
contrario alla naturale eguaglianza degli uomini, ed anelando alla comunanza
dei beni ritengono non doversi sopportare di buon animo la povertà, e potersi
impunemente violare i beni e i diritti dei più ricchi, la Chiesa molto più
saggiamente ed utilmente anche nel possesso dei beni riconosce disuguaglianza
tra gli uomini, naturalmente diversi per forze fisiche ed attitudine d’ingegno,
e vuole intatto ed inviolabile per tutti il diritto di proprietà e di possesso
che dalla stessa natura deriva. Infatti sa che Iddio, autore e vindice di ogni
diritto, vietò il furto e la rapina in modo che neppure è lecito desiderare
l’altrui: gli uomini ladri e rapaci, non altrimenti che gli adulteri e gli
adoratori degli idoli, sono esclusi dal regno dei cieli. Tuttavia non dimentica
per questo la causa dei poveri, né avviene che la pietosa Madre trascuri di
provvedere alle loro indigenze: ché anzi, con materno affetto, se li stringe al
seno, e ben sapendo che essi impersonano Cristo, il quale considera come fatto
a se stesso il beneficio elargito anche all’ultimo dei poveri, li tiene in
grande onore, con ogni mezzo possibile li solleva; si adopera con ogni
sollecitudine affinché in tutte le parti del mondo s’innalzino case ed ospedali
destinati a raccoglierli, a mantenerli, a curarli, e prende quegli asili sotto la
propria tutela. Incalza poi i ricchi col gravissimo precetto di dare ai poveri
il superfluo, e li spaventa intimando loro il giudizio divino, secondo il quale
se non verranno in aiuto dell’indigenza saranno puniti con eterni supplizi. Da
ultimo ricrea e conforta considerevolmente gli animi dei poveri sia proponendo
l’esempio di Cristo "il quale, essendo ricco, si fece povero per noi",16
sia ripetendo quelle parole di Lui, con le quali chiama i poveri beati, e
comanda loro di sperare i premi dell’eterna beatitudine. Ora, chi non vede come
questa sia la più bella maniera di comporre l’antichissimo dissidio tra i
poveri ed i ricchi? Come infatti dimostrano la natura delle cose e l’evidenza
dei fatti, esclusa o accantonata quella maniera di componimento, è necessario
che accada una delle due: o che la massima parte dell’umanità ricada nella turpissima
condizione di schiavi che fu lungamente in uso presso i Gentili; ovvero che la
società umana rimanga in balìa di continui rivolgimenti e sia contristata da
rapine e da latrocini, come deploriamo essere avvenuto anche in tempi recenti.
Stando così le cose,
Venerabili Fratelli, Noi a cui presentemente è affidato il governo di tutta la
Chiesa, come fin dall’inizio del Nostro Pontificato mostrammo ai popoli ed ai
Principi sbattuti da violenta procella il porto ove riparare, così adesso,
preoccupati dall’estremo pericolo che sovrasta, di nuovo indirizziamo loro
l’Apostolica voce; ed in nome della loro salvezza e di quella dello Stato di
nuovo li preghiamo insistentemente e li scongiuriamo di accogliere ed ascoltare
come maestra la Chiesa, tanto benemerita della pubblica prosperità dei regni, e
si persuadano che le ragioni della religione e dell’impero sono così
strettamente congiunte che di quanto viene quella a scadere, di altrettanto
diminuiscono l’ossequio dei sudditi e la maestà del comando. Anzi, conoscendo
che la Chiesa di Cristo possiede tanta virtù per combattere la peste del
Socialismo, quanta non ne possono avere le leggi umane, né le repressioni dei
magistrati, né le armi dei soldati, ridonino alla Chiesa quella condizione di
libertà, nella quale possa efficacemente compiere la sua benefica azione a
favore dell’umano consorzio.
E Voi, Venerabili Fratelli,
che ben conoscete l’origine e la natura delle imminenti sciagure, rivolgete
tutte le forze dell’animo Vostro a che la dottrina cattolica sia accolta negli
animi di tutti e vi penetri fino in fondo. Procurate che fin dalla prima età
tutti si avvezzino ad amare Dio con tenerezza filiale e a riverirne la maestà;
che prestino ossequio all’autorità dei Principi e delle leggi, e che, frenate
le cupidigie, custodiscano gelosamente l’ordine stabilito da Dio nella civile e
nella domestica società. Inoltre ponete ogni studio affinché i figli della
Chiesa Cattolica non aderiscano né diano alcun favore alla detestabile setta;
anzi, con azioni egregie e con un contegno assolutamente lodevole, dimostrino
quanto prospera e felice sarebbe la società, se tutte le sue membra si
abbellissero dello splendore di opere compiute correttamente, e di virtù.
Infine, siccome i seguaci
del Socialismo principalmente vengono cercati fra gli artigiani e gli operai, i
quali, avendo per avventura preso in uggia il lavoro, si lasciano assai
facilmente pigliare all’esca delle promesse di ricchezze e di beni, così torna
opportuno di favorire le società artigiane ed operaie che, poste sotto la
tutela della Religione, avvezzino tutti i loro soci a considerarsi contenti
della loro sorte, a sopportare la fatica e a condurre sempre una vita quieta e
tranquilla.
Iddio, a cui siamo tenuti a
riferire il principio ed il fine di ogni santa impresa, assecondi i Nostri e i
Vostri intendimenti, Venerabili Fratelli. Del resto, la stessa ricorrenza di
questi giorni, nei quali si celebra solennemente il giorno natalizio del
Signore, Ci solleva alla speranza di opportunissimo aiuto. Infatti Cristo fa
sperare anche a noi quella salutare salvezza che Egli nascendo portò al mondo
invecchiato e corrotto da tanti mali, e ci promette quella pace che allora per
mezzo degli Angeli fece annunziare agli uomini. Infatti "né la mano del
Signore si è accorciata così che non possa salvare, né le sue orecchie sono
chiuse sicché non possa sentire".17 Pertanto, in questi faustissimi
giorni, augurando a Voi, Venerabili Fratelli, ed ai fedeli delle Vostre Chiese
ogni più lieto e prospero evento, insistentemente preghiamo il Datore di ogni
bene affinché nuovamente "appaiano agli uomini la benignità e l’amore del
Salvatore nostro Dio",18 il quale, sottrattici dalla potestà
dell’implacabile nostro nemico, ci sollevò alla dignità nobilissima di figli.
Affinché più presto e più pienamente
conseguiamo il nostro desiderio, innalzate Voi stessi, Venerabili Fratelli,
insieme con Noi fervide preci a Dio ed interponete presso di Lui il patrocinio
della Beata Vergine Maria, Immacolata fin dall’origine, del di Lei Sposo
Giuseppe e dei Beati Apostoli Pietro e Paolo, nell’intercessione dei quali
poniamo la massima fiducia.
Intanto, auspice delle divine grazie, con
tutto l’affetto del cuore a Voi, Venerabili Fratelli, al Vostro Clero ed a
tutti i popoli fedeli impartiamo nel Signore l’Apostolica Benedizione.
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