Gesù Cristo, artefice
dell’umana salvezza, quando col suo sangue ci trasse dalla schiavitù e stava
per ritornare in cielo presso il Padre, affidò agli Apostoli, che aveva
cresciuti alla propria dottrina e resi testimoni di ciò che Egli stesso aveva
fatto ed insegnato, l’incarico di riempire il mondo della sapienza celeste. Era
infatti necessario, con la volontà e l’aiuto di Dio, salvare tutti gli uomini,
i quali non avrebbero potuto essere salvati se non fosse stata data loro la luce
della verità. Consapevoli di così grande incarico, arricchiti dalla virtù dello
Spirito Santo, essi si recano con grande coraggio nelle varie parti del mondo e
dovunque annunciano la sapienza del Vangelo, spingendosi ancor più lontano di
quanto si fossero spinte le armi del popolo dominatore delle terre; cosicché
fin dai primordi della Chiesa fu valida l’affermazione: "La loro voce
risuonò in tutta la terra, e le loro parole fino ai confini del mondo".
È stato tramandato che
l’incarico di adempiere l’impegno apostolico nelle vastissime regioni
dell’India sia toccato a Tommaso. Come testimoniano gli antichi documenti, dopo
l’ascensione di Cristo ai cieli, egli si recò in Etiopia, in Persia, in Ircania,
e raggiunse persino, con un percorso irto di difficoltà e fra fatiche
pesantissime da sopportare, la Penisola al di là dell’Indo, dove per primo
rischiarò quelle genti con la luce della verità cristiana; quindi, resa al
sommo Pastore delle anime la testimonianza del proprio sangue, fu chiamato
all’eterno premio celeste.
Da quel momento l’India non
cessò mai di onorare l’Apostolo che tanta fama si era meritatamente conquistato
in quella regione: nei più antichi testi di preghiere liturgiche ed anche in
altri documenti delle Chiese di quel territorio, era usanza celebrare lodi al
nome di Tommaso, ed anche nei secoli successivi, dopo la stessa luttuosa
propagazione dell’errore, mai di lui si perse la memoria; anche se la fede che
egli aveva seminata talora giacque tramortita, tuttavia essa non risultò mai
rimossa dalle fondamenta. Perciò, sollecitata dal rinnovato impegno dei
religiosi, poté espandersi più ampiamente; rigogliosa di egregi esempi di virtù
e trascinata dal sangue dei martiri, educò quelle genti riportandole dalla cruenta
ferocia all’umanità. In tale periodo, poi, il cristianesimo si diffuse con
tanta ampiezza fra gli Indiani, che i figli della Chiesa raggiunsero
felicemente, in tutta la penisola, il milione e seicentomila; i sacerdoti vi godono
di grande considerazione, la dottrina cattolica viene insegnata nelle scuole
con grande libertà, e brilla la fondata speranza che fra quella popolazione
gruppi ancora più numerosi si avvicineranno a Gesù Cristo. Pertanto abbiamo
deliberato di dare una struttura più definita ed adeguata al mondo cattolico
dell’India; esso infatti, nonostante il grande e costante impegno dei Nostri
Predecessori, non aveva ancora raggiunto quella organizzazione stabile e
regolata che tanto giova a garantire la disciplina della vita cristiana e a generare
la salvezza dei popoli.
Ricordando brevissimamente
qualcosa del tempo passato, già all’inizio del secolo XIV i nobili discepoli
della famiglia Francescana e di quella Domenicana tentarono di trarre
dall’oblio l’antica fede; inviati in India per autorevole decisione dei
Pontefici romani, essi s’impegnarono soprattutto a correggere le opinioni degli
eretici e a rimuovere le superstizioni locali. Quando poi, attraverso il Capo
di Buona Speranza, alle popolazioni europee si offerse un passaggio più celere
verso le Indie, grazie all’afflusso di religiosi crebbero i salutari frutti. A
quel tempo si conquistò meriti speciali la Compagnia di Gesù; fra i migliori si
distinse fino al miracolo il grande apostolo delle Indie Francesco Saverio, il
quale, avendo sopportato incredibili fatiche ed avendo coraggiosamente vinto
enormi pericoli in terra e in mare, quasi come un trionfatore portò la
sacrosanta Croce in quelle regioni e ricongiunse a Gesù Cristo, allontanandoli
dalla multiforme superstizione, moltissimi uomini, non soltanto sulla costa di Malabar,
ma anche in quella di Coromandel, nell’isola di Ceylon, e addirittura nelle più
lontane province, fino al Giappone.
Ad una così intensa
propagazione del cristianesimo giovò soprattutto, oltre alle costanti cure dei
Missionari, l’opera degli illustri re del Portogallo e dell’Algarve; i quali
meritatamente furono onorati e lodati dalla Sede Apostolica, perché
"grazie al loro impegno fu scoperta una così grande parte della terra, precedentemente
ignota all’Europa; e soprattutto perché, attraverso la conoscenza della verità
cristiana, essa poté essere unita alla Chiesa di Dio" .
Quando la fede cattolica si
diffuse più ampiamente nelle province che i Portoghesi avevano conquistato, sia
sulla costa di Malabar, sia in quella di Coromandel, i massimi Pontefici si
preoccuparono soprattutto di chiamare sacerdoti da ogni parte, per inviarli ad
amministrare i sacramenti in quelle zone, e dar vita a quegli strumenti,
pratici e di cultura, che meglio potessero giovare alla formazione dei
cristiani. Accresciuta l’ampiezza dei domini portoghesi, nelle stesse colonie vennero
fondate nuove Diocesi. Fra queste spicca la diocesi di Goa, che Paolo IV
arricchì dell’onore del trono e dei diritti arcivescovili; si affiancano quelle
di Cochin e di Cranganore; sulla costa di Coromandel, sorse quella di Meliapora,
che Paolo V battezzò come Città di San Tommaso. Ai re del Portogallo e
dell’Algarve, che avevano favorito lo sviluppo della cattolicità e specialmente
avevano generosamente dotato con fondi loro le diocesi testé ricordate, i
Pontefici romani, grati, concessero il giuspatronato delle nuove Sedi
episcopali. Tutto quanto era riconosciuto utile per le antiche come per le più
recenti aggregazioni cristiane, veniva realizzato con la speranza che in breve
la luce del Vangelo avrebbe illuminato per ogni dove le genti dell’Estremo
Oriente, e che i benefici che da essa derivano si sarebbero sparsi come un
fiume abbondantissimo in tutta la società civile. Ma la sorte ritardò il felice
svolgersi di quel ch’era stato intrapreso. Infatti, per una disgraziata
sequenza di guerre e di altre vicissitudini, sembrava che un’immane sventura
stesse per abbattersi sulla Chiesa che si stava sviluppando nelle Indie. Così,
per non interrompere la diffusione del Vangelo e per non mettere a repentaglio
la salvezza eterna delle anime di tante migliaia di uomini, i Pontefici romani
si preoccuparono attivamente di quei vastissimi regni, in particolare di quelli
che non avevano mai fatto parte delle colonie Portoghesi, e si dedicarono con
il massimo impegno, proporzionato alla vastità di quella moltitudine, a
trasferirvi istituzioni cristiane e a dotarle di quegli strumenti che servono
ad educare gli animi e a mantenerli nel rispetto della santa religione, una
volta che ne sia stata allontanata la malvagia eresia.
Quanto più la fatica era
resa difficile dall’immensa distanza dei luoghi, dall’ampiezza dei territori,
dai disagi dei viaggi, con tanta maggior cura i Pontefici vi si dedicarono in
spirito di libertà, sia scegliendo gli operai evangelici, sia organizzando la
struttura delle Missioni. Nei secoli XVII e XVIII, soprattutto ad opera dei
religiosi che la Sacra Congregazione aveva inviato nelle Indie per propagare il
verbo cristiano, si costituirono moltissime comunità di cristiani; le diverse
lingue di quelle genti furono interpretate dai Missionari; furono redatti libri
nel linguaggio dialettale del popolo; gli animi della maggioranza furono intrisi
dello spirito dell’istituzione cattolica ed elevati alla speranza dei beni
celesti. In quest’attività si distinse l’impegno dei fratelli Carmelitani, Capulatori,
Barnabiti ed Oratoriani i quali, non contemporaneamente ma con analoga
dedizione e pari costanza, si prodigarono per insegnare a quelle genti i
principi cristiani.
Con la creazione di un
opportuno sistema di Vescovi si provvide a governare i fedeli e a regolare le
Missioni dei sacri operai. I Nostri Precedessori s’impegnarono soprattutto a
far sì che i religiosi mantenessero santa ed inviolata la dottrina cristiana in
tutta l’India, senza consentire che fosse inquinata da alcun residuo delle
superstizioni locali. Per la verità nessuno ignora con quanto impegno si
dedicarono a svellere fin dalle radici la zizzania di vane norme e di riti in
contrasto con la fede cristiana: zizzania disseminata dal nemico fra quei nuovi
germogli di Chiese, e sviluppatasi soprattutto nei regni di Madura, Mysore e Carna.
Inoltre essi si dedicarono a dirimere, con l’autorità pontificia, tutte le
questioni sorte, su materie fondamentali, tra i Missionari di quelle regioni.
Non appena venne a conoscenza di tali problemi, nel 1701 Clemente XI nominò
Carlo Tommaso Tournon, Patriarca di Antiochia con potere di Legato a latere,
Commissario e Visitatore Apostolico delle Indie Orientali. Clemente XI
corroborò con la propria autorità i saggi decreti del Tournon, che Innocenzo
XIII, Benedetto XIII e Clemente XII solennemente confermarono, affinché fossero
diligentemente osservati. Poi benedetto XIV con la pubblicazione della
Costituzione Omnium sollicitudinum , rimosse le cause dei dubbi e,
aggiunte opportune spiegazioni, risolse la controversia che era stata
aspramente combattuta per quasi mezzo secolo.
Parecchio più tardi, mentre
i Pontefici romani si preoccupavano soprattutto del bene delle Indie, la
tranquillità della Chiesa fu sconvolta dalle turbolente vicende d’Europa. Tali
disordini impedirono l’incremento della fede anche fra gli Indiani. Per di più,
nelle province australi della penisola s’aggiunse un’altra grave piaga, per
colpa del tiranno Tipou Sahib, che vessò in molti modi la religione cattolica. Nonostante
in seguito i Missionari si fossero dati proficuamente da fare a favore della religione
cristiana, tuttavia Gregorio XVI, affrontando con coraggio e riflessione
l’intero problema, affermò che "quei territori, per le diverse
caratteristiche dei tempi, avevano bisogno che la Sede Apostolica andasse in
soccorso della religione, colà messa a rischio, e che organizzasse il sistema
ecclesiastico in modo tale da corrispondere all’esigenza di mantenere integra
la fede" . Affrontando subito il tema, egli prese per i cristiani
dell’India molte decisioni salutari, particolarmente utili a sviluppare la
religione in quei paesi. Quando scoppiò un funesto dissidio che sembrava
volgere al peggio, Pio IX, con il fedelissimo re Pietro, dedicò più volte le
cure della Sede Apostolica (sempre rivolte al bene comune, ma che molti
interpretavano diversamente) per individuare insieme gli interventi idonei a
risolvere il problema. Così nel 1857 fu raggiunta una convenzione; tuttavia
diversi ostacoli si frapposero all’attuazione delle condizioni fissate.
Quando poi, per la somma
benignità di Dio, Noi assumemmo il governo della Chiesa, riflettendo con la
massima attenzione su questo problema, abbiamo scritto ai ministri del regno
Lusitano, perché affrontassero nuovamente la materia con Noi e non si
rifiutassero di stendere le nuove condizioni che i tempi avevano suggerito.
Quando essi si sono dichiarati d’accordo, abbiamo esposto il Nostro disegno in
una lettera inviata il 6 gennaio di quest’anno al diletto Nostro Figlio re
Ludovico; accertato il suo senso di giustizia, unito all’impegno per la pace, abbiamo
concluso una formale convenzione sottoscrivendo congiuntamente molti utili
accordi che, com’è consuetudine, sono stati scambiati per lettera . In primo
luogo viene definito secondo un criterio equo il giuspatronato dei re di Lusitania;
l’Arcivescovado di Goa viene arricchito della dignità patriarcale, mentre alle
sue Diocesi designate come suffraganee vengono riconosciuti altri diritti.
Inoltre viene stabilito che i governatori della Lusitania assegnino
pubblicamente una rendita alle Diocesi sopra citate, a sostegno dei Canonici,
del Clero e dei Seminari; inoltre, insieme ai Vescovi, s’impegneranno ad
assicurare scuole per i bambini e case protette per gli orfani, e a dar vita ad
altre pie istituzioni che risultino utili per la salvezza dei cristiani e per
la rimozione della superstizione degli indigeni.
Poiché, con queste
premesse, a buon diritto confidiamo che la concordia degli animi si manterrà
serena e salda fra i popoli cristiani dell’India, riteniamo che sia venuto il
momento di strutturare tutto l’apparato cattolico nella penisola al di qua del
Gange, affinché le genti che colà salgono il monte preparato come casa del
Signore sentano i benefici di un regime stabile e ben ordinato.
Il territorio settentrionale
dell’India forma tre Vicariati – poiché l’originaria Missione Indostana fu
divisa in due da Gregorio XVI nell’anno 1845 , e recentemente Noi l’abbiamo
divisa in tre – e abbraccia Agra, Patna e Punjab, considerate separate come
regioni ecclesiastiche. La prima comprende il vecchio territorio, eccetto le
parti assegnate alle altre. La seconda comprende le regioni chiamate Nepal Behar,
la piccola provincia di Sikkim, l’antico regno di Ayadhya, il Bundelkand e gli
altri principati confinanti. La terza comprende la regione del Punjab, alla
quale in seguito è stato aggiunto il regno del Cashmire.
A queste regioni è
subordinata, vicina al fiume Indo, la Missione di Bombay, che nel 1854 Pio IX
divise in due parti, staccando la regione australe – ossia quella di Poona –
dalla boreale. Quest’ultima, oltre alle isole di Bombay e Salsette, conta le
province e i regni di Broak, Ahmedabad, Baroda, Guzerate, Marwar, Catch, Sindhi,
Beluchistan, fino a Kabul e al Punjab. La regione australe riunisce i regni e
le province di Konkàn, Kandeish e Dekkan, fino ai confini con i regni di Nizam,
di Maissour e del Kanarak settentrionale, esclusi (sia dall’una sia dall’altra)
i territori e le province recentemente attribuiti all’Arcidiocesi di Goa e
all’Arcidiocesi di Daman, detta anche di Cranganore. Lungo la costa di Kanarak
e Malabar, oltre all’Arcidiocesi di Goa ci sono tre Vicariati, situati fra i
monti Ghates e il mare occidentale, e precisamente: quello del Mangalore,
separato nel 1853 da quello Verapolitano o Malabarico , che si estende nella
provincia di Kanarak fino al fiume Ponany; quello Verapolitano, dal fiume
stesso fino ai confini della Diocesi di Cochin da Noi recentemente ricostituita,
e quello di Quilon, che si estende dai confini meridionali della predetta
Diocesi fino al promontorio Comorino, con l’eccezione delle parrocchie
assegnate alla Diocesi di Cochin.
Alla parte orientale della
penisola appartengono dieci Missioni. Nel Golfo del Bengala, tre sorgono sulla
foce del fiume Gange; poi ci sono il Vicariato occidentale, che ha sede nella
città di Calcutta, e quello orientale, entrambi derivati, nel 1850 dall’unico
Vicariato del Bengala . Quelli che furono dichiarati appartenenti alla
giurisdizione del Vescovo di Meliapore sono da togliere dal numero dei sudditi
di entrambi i Vicariati. Ad essi si aggiunge, nel centro della provincia civile
del Bengala, la Prefettura Apostolica, fondata nel 1855. Confinante con il Vicariato
occidentale del Bengala c’è la vastissima Missione chiamata di Vizagapatam, che
comprende tutto il territorio tra i confini del Vicariato di Bombay ed il mare
del Bengala, fino al fiume Godavery, e che nel 1850 fu separata dalla Missione
di Madras . La vicina Missione è quella di Hyderabad, che si estende attraverso
il regno di Nizam e la provincia di Masulip verso il fiume Krichna; su
designazione di Gregorio XVI nel 1851 essa fu eretta alla dignità di Vicariato
.
Nella regione di Coromandel
la principale città è Madras, che ottenne fin dal 1834 il Vicario Apostolico,
con giurisdizione dal fiume Krichna a Palar, tra il confine della Missione di
Bombay e il mare, con esclusione del territorio che di recente Noi abbiamo
assegnato alla Diocesi di Meliapore. L’antico Vicariato del territorio di Coromandel,
verso i confini meridionali, nel 1850 fu diviso in tre Missioni , e cioè quella
di Pondicherry, tra il fiume Palar a nord ed il fiume Cavery a sud; quella di Mayssour,
nella parte occidentale della regione, comprendente il regno di questo nome e
le province di Coorg, Colegal, una parte di Winad e Salem; infine, quella di Coimbatour,
che si stende tra le missioni di Verapoli, Mangalore e Madura ad est dei Monti Ghates.
Nell’estremo sud della penisola si estende la Missione di Madura, delimitata
dal mare di Coromandel, dai monti Ghates e dai fiumi Cavery e Vettar, con
l’eccezione di quei territori che abbiamo assegnato al Vescovo di Meliapore;
Gregorio XVI costituì anch’essa in Vicariato nel 1846, pochi giorni prima di
morire .
L’isola di Ceylon è divisa
in tre Vicariati: quello di Colombo, quello di Jaffnen e quello di Kandyen. Dei
tre responsabili di essi – in sostituzione dell’unico che c’era prima – due
furono designati da Pio IX nel 1849: uno per le province occidentale e
meridionale, l’altro per i restanti territori dell’isola; il terzo fu nominato
da Noi nel 1883, dopo aver separato dagli altri il territorio centrale
dell’isola .
Poiché dunque in tutte le
Missioni dell’India che abbiamo ricordate, grazie all’impegno e alla fatica dei
messaggeri del Vangelo il cristianesimo è così sviluppato che non solo si può
invocare in piena libertà il nome del Nostro Salvatore, ma si contano molte
Chiese che si avvalgono sapientemente e utilmente di molte istituzioni, in
primo luogo Noi ringraziamo vivamente Dio ottimo massimo per aver donato tanta
prosperità alla cattolicità. Poscia, poiché dai Nostri Predecessori è stata
sommamente desiderata la costituzione della gerarchia ecclesiastica in India e
nell’Isola di Ceylon, Noi ci apprestiamo a fare ciò. Con l’aiuto di Dio
confidiamo che da questa deliberazione discenderanno molti e rilevanti beni, in
particolare l’aumento della concordia e della carità; l’omologazione e la
saldezza della disciplina, un più stretto rapporto dei popoli con i Vescovi e
massimamente con il Pontefice romano; una più celere diffusione del
cattolicesimo, insieme ad un più ampio rispetto delle virtù cristiane.
Chiesto il parere – come
l’importanza della materia esigeva – del sacro Consiglio dei Nostri Venerabili
Fratelli Cardinali di Santa Romana Chiesa preposti alla diffusione del
cristianesimo; elevate preghiere, nell’umiltà del Nostro cuore, a Dio
onnipotente; implorata la protezione dell’Immacolata Madre di Dio, dei santi
Apostoli Pietro e Paolo, di San Tommaso Apostolo e di San Francesco Saverio,
che un tempo portarono tra quelle genti la luce del Vangelo e che ancor oggi le
difendono e proteggono con il patrocinio celeste; motu proprio, con
certa scienza e Nostra matura deliberazione, nella pienezza della potestà
Apostolica, a maggior gloria del nome di Dio e ad incremento della fede
cattolica, con l’autorità di questa Lettera istituiamo in tutte le Missioni
delle Indie orientali la gerarchia episcopale, secondo quanto fissato dalle
leggi canoniche.
Inoltre, fedeli al
tracciato dei Nostri Predecessori, che eressero dapprima l’Arcidiocesi di Goa e
le attribuirono come suffraganee le sedi di Cochin, Meliapore e Cranganore,
sulla base delle motivazioni espresse nella convenzione recentemente firmata
con l’illustre e fedelissimo re del Portogallo e dell’Algarve, confermiamo
nuovamente e ribadiamo che le stesse debbono costituire un’unica provincia
ecclesiastica. Inoltre, con la Nostra autorità Apostolica, ai sensi della
presente deliberiamo che i Vicariati Apostolici di tutta la penisola e
dell’isola di Ceylon, così come sopra descritti, oltre che la Prefettura
situata nel centro della provincia del Bengala, vengano eretti in Chiese
Episcopali.
Tra le nuove Diocesi,
quelle che seguono – e precisamente le Chiese di Agraen, Bombay, Verapoli,
Calcutta, Madras, Pondicherry e Colombo – eleviamo all’onore della dignità
arcivescovile. Per quanto riguarda la designazione di Chiese provinciali o suffraganee,
spetta del tutto a Noi stabilire ciò che sembrerà più opportuno.
I singoli Arcivescovi e
Vescovi riferiranno a tempo debito sullo stato della propria Chiesa alla Nostra
Congregazione di Propaganda Fide, la quale anche in futuro si occuperà
specificamente, come ha fatto finora, di tali regioni, e verrà tenuta al
corrente di tutto ciò che i Responsabili religiosi proporranno in relazione al
loro ruolo.
L’Arcivescovo di Goa ed i
suoi Vescovi Suffraganei riferiranno dello stato delle chiese alla Sacra
Congregazione per gli affari straordinari della Chiesa. Essi stessi si
preoccuperanno di dar vita ad istituzioni pie e di assistenza, come previsto
dalla ricordata convenzione, e di proteggere ed ampliare con ogni mezzo la fede
cattolica, ciascuno nella propria giurisdizione.
Resta integro per tutti i
Vescovi dell’India decidere le cose che, secondo il diritto comune e secondo i
tempi, possono realizzare, nonché tutte quelle cose che sono permesse
all’autorità dei Vescovi secondo la disciplina della Chiesa. Noi e questa Sede
Apostolica saremo vicini ai Vescovi nello svolgimento dei loro compiti con
l’impegno, con l’autorità, con il consiglio e con quanto sembri razionalmente
utile ed opportuno per la salvezza delle anime.
Inoltre esortiamo vivamente
il Clero e tutto il popolo a mantenersi concordi e a servire senza
tentennamenti la carità, contenti ed operosi nell’obbedire, in ogni atto della
vita, ai Vescovi ed in particolare a questa Sede Apostolica; così ornati ed
arricchiti di virtù cristiane, contribuiscano a far sì che coloro che ancora
miseramente sono lontani dalla verità li prendano ad esempio verso la
meravigliosa luce ed il regno di Cristo.
Infine deliberiamo che
questa Nostra Lettera non possa mai essere contraddetta od impugnata per surrezione
od orrezione, ovvero per difetto della Nostra intenzione o per qualunque altro
motivo; che rimanga sempre valida e vigente; che mantenga presso tutti il suo
effetto e debba essere rigorosamente osservata, nonostante quanto deciso nei Concilii
Apostolici, Sinodali, Provinciali ed universali, con sanzioni generali o
speciali, e quant’altro contrario, anche se degno di particolare menzione. A
tutto ciò che osta a quanto sopra detto, Noi espressamente deroghiamo.
Dichiariamo irrito e nullo ciò che chiunque, con qualunque autorità,
scientemente o per ignoranza, volesse compiere contro queste decisioni.
Vogliamo inoltre che le copie di questa Lettera, anche a stampa, sottoscritte
di pugno di un pubblico Notaio e munite del sigillo di persona investita di
dignità ecclesiastica, vengano tenute nella stessa considerazione che avrebbe
questo documento se venisse mostrato, in quanto espressione della Nostra
volontà.
A nessuno sia dunque lecito
distruggere questa pagina della Nostra erezione, costituzione, istituzione,
restituzione, dismembrazione, soppressione, assegnazione, aggiunta,
attribuzione, decreto, mandato e volontà; ovvero temerariamente disobbedirle.
Se qualcuno avrà osato farlo, sappia che incorrerà nell’ira dell’onnipotente
Iddio e dei Suoi beati Apostoli Pietro e Paolo.
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