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La devozione e l’affetto di
cui sono improntate le parole che a nome del Sacro Collegio ella, Signor
Cardinale, Ci ha rivolto, e i voti fatti per la Nostra conservazione e
prosperità, non possono non commuoverci vivamente. Ci torna di consolazione e
di conforto il sapere che il Sacro Collegio prende la più sincera parte alle
Nostre gioie e ai Nostri dolori: gioie e dolori che si alternano sempre nella
vita, ma che con più vivo contrasto si manifestarono in questo ultimo anno.
Siamo immensamente debitori al Signore per la singolare assistenza prestataci,
non solo in questo, ma in tutti gli undici anni di pontificato già trascorsi:
ed al cominciare dell’ottantesimo anno di età, sentiamo più che mai il bisogno
che le Nostre deboli forze siano potentemente sostenute dall’alto. Tanto più
che le difficoltà del governo della Chiesa, in tempi così critici, esigono, da
chi ne porta il peso, cure molteplici e gravissime e di tutti i momenti.
Le condizioni generali
d’Europa e del mondo, il Sacro Collegio ben lo conosce, sono oltremodo incerte
e paurose; e si ripercuotono dolorosamente sulla Santa Sede. Priva di una vera
sovranità che le assicuri l’indipendenza, e sottoposta al potere altrui, non
può non risentire le incertezze, i pericoli, i danni cui è esposta l’Italia al
di dentro e al di fuori. Onde è che ogni agitazione che sorga all’interno e
particolarmente a Roma, ogni disastro che la minacci dall’estero, fa nascere
nei cattolici di tutto il mondo apprensioni, ansietà e timori per la sorte del
loro Capo. A questa, che può dirsi fondamentale cagione delle Nostre
sollecitudini, altre se ne aggiungono parimenti gravissime, per il lamentevole
stato delle cose religiose in Italia. Si è detto, ed anche in altro luogo si è
ripetuto, che la Chiesa in Italia gode della maggior libertà e di una
condizione la più invidiabile. Ma come ascoltare senza giusta indignazione
simili enormezze? Il solo fatto di avere, coll’occupazione del principato
civile, tolto alla Santa Sede la sua sovrana indipendenza, è già tale offesa
che le altre comprende ed abbraccia. Questa offesa tocca direttamente il Capo
supremo della cattolicità, e la libertà della sua azione nel mondo: questa
violata o comunque impedita, tutto il governo della Chiesa conviene che ne
soffra. Ma oltre questa, altre offese abbiamo a deplorare contro il Nostro
spirituale potere in Italia. Qui l’esercizio del ministero episcopale nei nuovi
pastori che Noi nominiamo soffre indugi od impedimenti pel così detto Exequatur,
che per sistema si differisce sempre di molti mesi, e diviene per l’autorità
laica il mezzo di assoggettare le persone, da Noi con diligentissima
ponderazione prescelte, ad inquisizioni fiscali, talora anche della più bassa
specie. Né è nuovo il caso che a persone degnissime, giudicate da Noi adatte
agli speciali bisogni di alcune diocesi, sia negato il possesso della mensa; la
qual cosa, oltre la privazione dei mezzi necessari alla vita, porta pure
funesti effetti su molti atti della giurisdizione episcopale, indispensabili al
governo di una diocesi. Ma non basta; ché per alcune nomine s’impongono vincoli
anche più forti coi pretesi diritti di patronato, prima abbandonati e non
esercitati per più anni, poi ripresi e mantenuti duramente: i quali peraltro
non potendosi da Noi in alcun modo ammettere per mancanza di ogni fondamento
giuridico e delle condizioni volute dai canoni per esercitarli, avrebbero per
effetto di lasciare indefinitamente senza pastori un numero non piccolo di
diocesi. E infatti ve ne sono al presente non poche, vacate da qualche anno, e
tutte sommamente desiderose di avere in mezzo a loro i Vescovi da Noi da lungo
tempo nominati.
Né basta ancora:
ricordiamo, solo accennando, e le difficoltà opposte alla recluta del giovane
Clero e alle vocazioni ecclesiastiche; e la sottrazione di tanti operai
evangelici per la dispersione degli Ordini religiosi; l’esclusione della Chiesa
dal pubblico insegnamento; le disposizioni del nuovo codice penale contro il
Clero; la confisca di una gran parte della sostanza ecclesiastica; gli atti già
consumati e gli altri che si minacciano a danno delle Opere pie, dei pii
sodalizi e di qualsiasi istituzione cattolica; il favore accordato alle sette,
nemiche giurate del nome cristiano. Sarebbero queste per avventura le prove
della sconfinata libertà, di cui gode ora la Chiesa in Italia?
Questo stato di cose, se
nuoce alla Chiesa, è funestissimo all’Italia, e le fa correre tutti i danni di
cui è causa alle nazioni l’oblio e il disprezzo della religione. Abbiamo
ricordato, non ha guari, il grande interesse che vi è per le nazioni di non
allontanarsi da Cristo e dalla sua Chiesa, senza la cui sovrumana virtù invano
si spera di contenere i popoli nel dovere e di assicurar loro i benefici
inestimabili della pace. Ciò vale in modo tutto proprio per l’Italia, che fatta
centro per Roma della religione divina e favorita dalla Provvidenza più di ogni
altra nazione, dovrebbe provare tanto più gravemente le conseguenze del suo
allontanamento da Cristo, quanto maggiore sarebbe la sua ingratitudine. Le
nazioni, come gl’individui, quando si scostano dalla via tracciata loro dalla
Provvidenza, vanno miseramente in decadenza ed a certa rovina. È follia sperare
che l’Italia possa godere prosperità, facendo guerra alla religione di Cristo.
È follia sperare che l’Italia possa aver pace, sicurezza, tranquillità, finché
si mantiene viva la lotta contro il Papato, se ne conculcano le ragioni, e gli
si nega quella condizione di vera sovranità, che è efficace tutela della sua
indipendenza. Vegga pertanto il popolo italiano e riconosca alfine dove e quali
siano i suoi veri amici; e seguendo l’impulso dell’indole sua, profondamente
religiosa e cristiana, s’ispiri sempre alle gloriose tradizioni dei suoi tempi
migliori.
Intanto Noi, tra le
difficoltà che Ci circondano, confidati negli aiuti del cielo e nella santità
della causa che sosteniamo, sicuri della costante cooperazione del Sacro
Collegio, proseguiremo animosi l’opera Nostra, aspettando ed affrettando colla
preghiera il momento della misericordia per la Chiesa e per la società. Ed
attestando nuovamente al Sacro Collegio il Nostro grato animo, a pegno di
specialissimo affetto, impartiamo ad esso e ai singoli suoi membri, come pure
ai Vescovi e Prelati e a quanti sono qui presenti, l’Apostolica Benedizione.
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