|
Abbiamo ricevuto di recente
un certo opportuno conforto dalle remote terre d’America e del pari dagli
Svizzeri. Infatti, ciò che i cattolici insistentemente chiedevano, cioè che
fosse loro permesso di aprire grandi Università per istruire la gioventù, è
stato da poco ottenuto grazie alla loro tenacia con l’istituzione di sedi per
lo studio delle maggiori discipline a Washington, Ottawa e Friburgo. In esse
sarà considerato come legge inviolabile il proposito di coniugare l’incolumità
della fede con la finezza della dottrina, e di educare gli adolescenti alle
nobili arti non meno che alla religione. Perciò comprendiamo assai bene quanta
riconoscenza sia dovuta anzitutto alla saggezza e alla costanza dei Vescovi,
nonché alla cooperazione dei privati. Agli uni ed agli altri deve essere
attribuito il merito, in quanto, concordando nelle opinioni e nell’impegno,
hanno recato un memorabile beneficio di cui non solo la Chiesa ma anche la
cittadinanza potrà fruire a vantaggio proprio. Infatti, Venerabili Fratelli,
prevediamo già i futuri frutti di tali iniziative; e frattanto non poco Ci
allieta il pensiero che il cattolicesimo, tutelato dalle leggi e dalla
giustizia degli uomini, possa liberamente svilupparsi nelle città che abbiamo
ricordato.
Questi fatti abbastanza
lieti all’estero rendono più amaro il senso degli avvenimenti che accadono in
patria. Qui infatti gli avversari non desistono dal combattere la Chiesa: anzi,
con audacia ogni giorno crescente, manifestano il loro animo ostile e non
temono inoltre di perseguire la gloria del peccato. Sono abbastanza eloquenti
le parole pronunciate testé da un uomo pubblico, quando in un affollato comizio
appositamente convocato, dichiarò esplicitamente quali fossero i propositi e la
volontà dei governanti italiani circa la Chiesa e il Pontificato romano. E nel
mese di giugno furono udite in Roma voci non dissimili, nei giorni in cui, con
espressioni inusitate e altisonanti, si poneva innanzi non tanto l’onore di un
apostata quanto l’ignominia della Chiesa. Appare così evidente che in entrambi
i casi tali affermazioni mirano allo stesso scopo, e che esiste il comune
proposito di coltivare l’avversione nei confronti della religione avita e di
sottrarre all’abbraccio della Chiesa, se fosse possibile, tutto il popolo
italiano, sotto gli auspici e la guida delle malvagie sette. Vi sono note,
Venerabili Fratelli, quelle affermazioni, piene di audaci insolenze. Ci si
compiacque di contestare i diritti dei Pontefici Romani nella città di Roma e
di sminuirli nella opinione altrui a tal punto da definirli d’importanza pari
alle regole che generalmente governano le case reali. Ciò che a Noi fu
sottratto è rivendicato, dai nuovi possessori, come fermo e perpetuo diritto,
come se dalla forza e dalla offesa potesse nascere il diritto. A questo punto è
certamente superfluo ricordare i titoli del tutto particolari in forza dei
quali la Sede Apostolica rivendica e rivendicherà il proprio diritto nell’Urbe.
Parimenti non occorre rammentare la natura del principato civile dei Romani
Pontefici, il quale è rivolto a tutelare, con efficace vigilanza, la dovuta
libertà e dignità del ministero Apostolico e perciò ha unicamente in sé la
propria ragione d’essere e di conseguenza differisce non poco dal comune
fondamento degli Stati. Ma non possiamo né dobbiamo neppure tacere del tutto,
dal momento che la forza nemica si rivolge contro la Sede Apostolica con questo
impeto rinnovato. Tanto più che nella difesa del Nostro diritto non Ci proponiamo
come fine la tutela di alcun bene effimero, ma guardiamo a beni ben più grandi
e sublimi. Certo vogliamo che sia conservata integra la fede cristiana, come è
doveroso; infatti la sua incolumità corre pericolo quando i governanti
assegnano allo Stato la funzione di rivendicare la supremazia della ragione
umana senza limiti, senza legge; e ciò, messo da parte ogni equivoco, non
significa altro che respingere dalle fondamenta quanto ci è stato tramandato da
Dio e separarsi del tutto dalla Chiesa. Pertanto non si tratta solo di far sì
che la cittadinanza non preferisca qualche religione, e si conceda ai singoli
individui l’eguaglianza del diritto senza alcuna discriminazione (per cui la
stessa uguaglianza diventa ingiusta e assai dannosa); si tratta piuttosto di
sfidare il cattolicesimo con pubblica dichiarazione di guerra e di associare le
forze e le intelligenze con i peggiori nemici di Gesù Cristo. Sembra appena
credibile che si sia giunti a tal punto e per di più nei confronti degli
Italiani che per grazia di Dio hanno contemplato assai presto la luce della
verità cristiana e hanno avvertito e custodito religiosamente i sommi e
singolari benefici della bontà divina per diciannove secoli. La questione è
davanti ai nostri occhi. Essi non minacciano a parole più di quanto non
facciano; ché anzi con ogni mezzo si sforzano di raggiungere lo scopo e perciò
di rivolgere il corso delle istituzioni e delle leggi a danno della Chiesa.
Il prossimo primo gennaio,
come sapete, entrerà in vigore un nuovo diritto penale. Su tale argomento, lo
scorso anno, i legislatori hanno deliberato; Noi sulla stessa materia non
tralasciammo di contestare doverosamente quei capitoli che col pretesto di
punire gli abusi, di fatto mirano a limitare la giusta libertà del Clero e ad
ostacolarne l’opera. Abbiamo affermato che in tal modo molte prerogative
sarebbero state sottratte alla Chiesa poiché essa, per diritto proprio, è divinamente
ordinata in forma di società perfetta e non deve sottostare ad alcuna autorità
umana nell’adempimento della sua missione. Al tempo stesso Ci siamo lamentati
che si recasse offesa a tutto l’ordine sacerdotale poiché contro di esso, senza
alcun motivo plausibile, disprezzata l’autorità del diritto sacro, si
adottarono leggi particolari con particolare severità. Tali leggi poi sono
state approvate e promulgate con lievi emendamenti del testo. Noi pertanto,
memori del Nostro dovere Apostolico, rinnoviamo le richieste che avanzammo dopo
il primo affronto, ora che questo si è aggravato.
Ma voi vedete che un’altra
calamità incombe sulla Chiesa: sappiamo di una legge sulle Opere Pie che fu or
ora approvata con una frettolosa votazione e che è considerata come un passo
verso altri provvedimenti idonei a cancellare ogni traccia di religione dalle
istituzioni statali. Infatti lo spirito della legge è coerente con tale
proposito: la sua forza anzitutto consiste in parte nell’abolire tutte le
istituzioni fondate sulla carità, in parte nel trasformarle in una realtà di
diversa natura così che, in un rivolgimento tanto grande, appaia evidente e
prossima la distruzione delle istituzioni religiose. Ma principalmente non è
conforme alla carità né alla giustizia considerare caduchi e vani quasi tutti
quei beni che sono stati fondati o lasciati per testamento, o per motivi di
culto divino, o a suffragio dei defunti, o per dotare le fanciulle che
desiderano farsi monache e destinarli ad altri scopi. È evidente che in tal
modo si viola la volontà dei donatori, poiché essi hanno devoluto il loro
danaro per gli scopi già ricordati, e a nessun patto per altri: scopi che hanno
attinenza con la religione, con il conforto delle anime pie dei defunti, con la
perfezione della virtù e perciò sono per natura tanto immutabili e perpetui
quanto i diritti e i doveri che uniscono l’uomo a Dio.
Ma invero non possiamo
neppure passar sotto silenzio che è lecito eleggere nei consigli di
amministrazione delle istituzioni assistenziali quasi tutti, donne comprese,
con esclusione dei Parroci. Con ciò piacque loro ricordare la ben nota ostilità
verso i loro Vescovi e il Romano Pontefice: in modo che non vi fosse alcun
dubbio circa l’intenzione e la causa per cui hanno escogitato la legge di cui
stiamo parlando. Dicono che la beneficenza deve essere assolutamente laica
perché riesca più gradita; dicono infatti che si è soliti ricevere con
vergogna, e che gl’infelici si perdono d’animo quando sono assistiti dalla
carità cristiana. Ma è segno di meschinità ravvisare nei cristiani coloro che
errano del tutto nel modo di considerare quella virtù che è la prima e la
sovrana di ogni altra. Invero, una sincera volontà di giovare agli uomini non
può nascere se non da intimo amore, che occorre sia radicato unicamente e
profondamente nell’animo di coloro che considerano gli individui quasi altri se
stessi e li amano come fratelli, coloro che sanno che gli altri, al pari di se
stessi, sono stati creati da Dio come da un padre e che del pari sono stati
redenti dal sangue di Gesù Cristo, e sono perciò chiamati alla stessa felicità
nei cieli. Anzi, Gesù Cristo abbraccia con tanto amore i poveri e gl’infelici,
da ritenere che la beneficenza raccolta per essi sia collocata presso di Lui, e
che Egli si consideri vincolato al beneficio. La carità associata a questi
sentimenti è assai lontana dal mortificare l’animo degli sventurati; se mai, lo
eleva a tanta dignità personale, quanta l’uomo, senza il lume della dottrina
celeste, non può neppure immaginare.
Ora, una carità di tal
natura invano la si può cercare al di fuori della chiesa di Dio, la sola che Gesù
Cristo lasciò erede della sapienza, della disciplina, dei carismi suoi; la
Chiesa che in ogni tempo diede le più sublimi testimonianze di quanto abbia
saputo ubbidire ai precetti del suo divino Autore ed imitarne gli esempi.
Esiste forse un dolore che la Chiesa non abbia tentato di alleviare non solo
con materna pietà ma anche con particolare, vigilante prudenza? Così,
soprattutto con la sua opera e con la sua autorità, o almeno con la sua
saggezza, con la sua disponibilità e con la sua protezione si è recato ovunque
opportuno conforto alle diverse sventure delle genti, ma ancor più in quei
luoghi ove più fiorente è la Chiesa e più diffusa la pratica delle virtù
cristiane. Insigne per tale merito è l’Italia, che nel conservare inalterata la
fede cattolica nella prospera e nell’avversa sorte, fu straordinariamente
feconda in ogni età di siffatte opere benefiche. Tanto più è disumano e indegno
della gente italica l’aver voluto sottrarre alla Chiesa la facoltà di
esercitare la pubblica beneficenza. Avevano addotto come pretesto i proventi
carpiti o malamente impiegati; ma la luce della verità scaturì da dove meno
avrebbero voluto. La questione amministrativa ha chiaramente confutato l’accusa
falsamente inventata.
Tra le altre cose, l’audace
confisca giunse a moltiplicare le offese per cui coloro che hanno il potere
civile si impadronirono della stessa amministrazione dei sacri beni. Voi ben
comprendete, Venerabili Fratelli, dove è indirizzato il discorso: proprio a
quei provvedimenti che hanno colpito in questi ultimi mesi il Venerabile
Fratello Luigi, Vescovo titolare Troadense, Ordinario di Acquaviva e di Altamura.
Voi tutti conoscete le azioni compiute; dapprima al vescovo Troadense furono
interdetti i beni di entrambe le Chiese; poi lo si rimosse dall’incarico; lo si
sfrattò dalla sede; contemporaneamente fu attribuito ad un altro il governo di
quelle Chiese, come se si trattasse soltanto di un affare amministrativo, del
tutto soggetto all’autorità ed all’arbitrio del potere civile. Per questo
fatto, non soltanto sono state infrante le leggi della Chiesa, ma sono anche
stati violati gli stessi originali diritti del Nostro primato pontificio.
Pertanto, non senza grande angoscia, deploriamo tale affronto; nello stesso
tempo condanniamo e con l’autorità Apostolica respingiamo i suddetti
provvedimenti, adottati e applicati con la forza.
Per quanto riguarda il
Clero e il popolo di quelle Chiese, invitiamo entrambi, nel nome del Signore,
di adempiere seriamente al dovere loro richiesto. Come è giusto che ascoltino i
dettami del potere politico in questioni di natura civile, così nei problemi che
riguardano il potere delle anime non possono essere sottoposti legalmente a nessun’altra
autorità se non alla Nostra, se non intendono (che Dio non voglia!) separarsi
da questo centro dell’unità cattolica.
Ora, prima che siano
designati i Vescovi da mettere a capo delle sedi delle Chiese vacanti, a
maggior gloria di Dio e a vantaggio della Chiesa nominiamo Cardinali di Santa
Romana Chiesa due prestigiosi uomini, i cui nomi tuttavia, per giusti motivi,
tratteniamo in pectore e renderemo noti a Nostro arbitrio. Con le
dispense, le deroghe e le clausole necessarie e opportune. Nel nome del Padre,
del Figlio e dello Spirito Santo. Così sia.
|