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Mossi dalla consapevolezza
del dovere pastorale e dall’amore del prossimo, con le lettere a Noi
indirizzate nello scorso anno vi siete proposti d'informarci sul frequente
ricorso, fra la vostra gente, a quei particolari combattimenti che prendono il
nome di duelli. Con espressioni di dolore mettevate in evidenza che codesto
tipo di combattimento, quasi fosse un diritto consacrato dalla consuetudine,
viene praticato anche fra i cattolici; nello stesso tempo chiedevate che anche
la Nostra voce s’impegnasse per distogliere gli uomini da un simile,
riprovevole comportamento.
Certamente codesta
aberrazione è oltremodo dannosa, e non si ferma entro i confini delle vostre
popolazioni, ma si spinge ben più lontano, tanto che risulta difficile trovare
un popolo immune da questo male. Apprezziamo pertanto il vostro impegno e,
quantunque sia noto e risaputo ciò che il pensiero cristiano, in pieno accordo
con la natura razionale, dispone al riguardo, è opportuno ed utile che per mezzo
Nostro esso sia riproposto brevemente, dal momento che questa malvagia prassi
dei duelli è particolarmente favorita dalla dimenticanza dei precetti
cristiani.
È assodato infatti che
entrambe le leggi divine, sia quella che è stata proposta con il lume della
ragione, sia quella che è stata promulgata con gli scritti divinamente
ispirati, vietano a chiunque, nel modo più assoluto, di uccidere o di ferire un
uomo in assenza di un giusto motivo pubblico, a meno che non vi sia costretto
dalla necessità di difendere la propria vita. Coloro invece che provocano un
combattimento privato o ne accettano la proposta, lo fanno, e indirizzano la
mente e le forze a questo fine, senza esservi costretti dalla necessità, per
uccidere, o almeno per ferire, l’avversario. Le due leggi divine citate
proibiscono anche ad ogni uomo di mettere a repentaglio la propria vita,
esponendosi ad un grave ed evidente pericolo, senza alcuna giustificazione
riconducibile al dovere o alla carità eroica. Questa cieca temerarietà, che è
disprezzo della vita, si ravvisa intera nella natura del duello.
Nessuno può quindi essere
all’oscuro o dubitare che coloro che partecipano ad un combattimento privato
sono rei del duplice delitto dell’altrui rovina e del volontario pericolo della
propria vita. Non vi è infine alcun’altra calamità che contrasti maggiormente
con le norme della vita civile e che sconvolga il legittimo ordine della
società, quanto il concedere ai cittadini la facoltà di avere in proprio la
forza e il potere di tutelare il proprio diritto e di vendicare una presunta
violazione dell’onore.
Per queste ragioni la
Chiesa di Dio, custode e garante sia della verità come della giustizia e
dell’onore, nel cui armonioso intreccio sono contenuti la pace e l’ordine
pubblico, non ha mai tralasciato di riprovare con forza, e di colpire con le
maggiori pene possibili, i rei di combattimento privato.
Le Costituzioni di
Alessandro III, Nostro predecessore, inserite nei libri del Diritto canonico,
condannano e respingono come esecrabili questi combattimenti privati. Il Sinodo
Tridentino si indirizzò, con una straordinaria severità di pene, contro tutti
coloro che li sostenevano o in qualunque modo vi partecipavano e, oltre a tutto
questo, li bollò anche con il marchio dell’infamia, li giudicò estromessi dal
seno della Chiesa e quindi, se fossero caduti in combattimento, indegni
dell’onore della sepoltura ecclesiastica. Il Nostro predecessore Benedetto XIV
ampliò e chiarì le sanzioni del Tridentino nella Costituzione promulgata il 10
novembre 1752 che inizia Detestabilem. In tempi assai più recenti Pio
IX, di felice memoria, nella Lettera Apostolica Apostolicae Sedis che riduce
di numero le censure "latae sententiae", dichiarò senza mezzi termini
che le pene ecclesiastiche colpiscono non solo quelli che si affrontano in
duello, ma anche i cosiddetti padrini, i testimoni e coloro che ne sono al
corrente.
La saggezza di queste
disposizioni risulta ancora più evidente, se si considera l’inadeguatezza degli
argomenti che si è soliti addurre per difendere e per giustificare l’inumana
prassi del duello. Infatti ciò che viene ripetuto fra la gente, cioè che questi
combattimenti sono per loro natura destinati a lavare le macchie che l’altrui
calunnia, o l’insulto, ha gettato sull’onore dei cittadini, è tale da poter
trarre in inganno soltanto lo stolto. Ammesso pure che esca vincitore dal
combattimento colui che lo ha voluto a motivo dell’ingiuria ricevuta, il
giudizio di tutte le persone assennate sarà questo: dall’esito di questo
scontro è accertato che lo sfidante è sicuramente migliore nella lotta o nel
maneggio delle armi, ma non è certo superiore per nobiltà d’animo. E se lo
stesso vi troverà la morte, a chi non risulterà dissennato un simile modo di
difendere l’onore? Pensiamo siano veramente pochi quelli che commettono questo
delitto ingannati dal falso ragionamento.
È sempre il desiderio di
vendetta che spinge le persone superbe e crudeli a chiedere la pena. Se, al
contrario, frenassero la superbia dell’animo e volessero sottomettersi a Dio
(che comanda agli uomini di amarsi con sentimenti fraterni, vieta di commettere
violenza verso gli altri, condanna nel modo più assoluto la bramosia della
vendetta nei privati cittadini e avoca unicamente a sé il potere di stabilire
le pene) si allontanerebbero senza fatica dalla barbara consuetudine dei
duelli.
Neppure può fornire una
valida giustificazione – a coloro che accettano la proposta del combattimento –
il timore di essere considerati vili se non accettano la sfida. Infatti, se gli
obblighi delle persone dovessero essere misurati in base alle fallaci
convinzioni del volgo e non all’immutabile norma del bene e del giusto, non vi
sarebbe alcuna sostanziale e vera distinzione fra le azioni oneste e quelle
malvagie. Anche i saggi pagani ritennero e tramandarono che le ingannevoli
convinzioni del volgo dovessero essere disprezzate dall’uomo forte e fermo di
carattere. Al contrario è giusto e santo il timore che trattiene l’uomo da
un’ingiusta uccisione, e lo fa essere preoccupato della propria vita e di
quella dei fratelli.
Chi disprezza
gl’inconsistenti giudizi del volgo, e preferisce subire i colpi delle ingiurie
piuttosto che venire meno al proprio dovere, viene giudicato di animo migliore
e più elevato di chi fa ricorso alle armi quando è colpito da un insulto. Anzi,
se lo si volesse definire con un giudizio rispondente al vero, è il solo che
mette veramente in luce quella fortezza che merita il nome di virtù ed al quale
spetta un onore non simulato e ingannevole. La virtù, infatti, consiste nel
bene coerente con la ragione: il buon nome che non trova riscontro
nell’approvazione di Dio è del tutto insensato.
Da ultimo, è così evidente
la turpitudine del duello, anche se gode dell’approvazione e del sostegno di
molti, da indurre pure i legislatori del nostro tempo a reprimerlo con la forza
del pubblico potere e con l’imposizione di pene. Ed è oltremodo pericoloso e fuorviante
che, nella realtà, le leggi scritte vengano disattese, e che ciò si verifichi
spesso sotto gli occhi e nel silenzio di chi ha il dovere di punire i colpevoli
e di far rispettare la legge. E così avviene che, un po’ alla volta, diventa
possibile arrivare impunemente agli scontri privati nel disprezzo della maestà
delle leggi.
È inoltre altrettanto
infondata e indegna di una persona saggia l’opinione di coloro che, mentre
ritengono sia necessario impedire questo genere di combattimento ai civili,
sono tuttavia del parere di permetterlo ai militari, perché con tale pratica si
potenzia il valore dei soldati. Si deve anzitutto precisare che gli atti onesti
e quelli disonesti sono differenti per natura, né possono cambiar di genere, in
alcun modo, a seconda dello stato delle persone. Tutti gli uomini senz’ombra di
dubbio, qualunque sia la loro condizione di vita, sono soggetti, in pari
misura, alle leggi naturale e divina. La ragione di quest’indulgenza nei
confronti dei militari potrebbe essere ricercata nella pubblica utilità, ma
questa non potrà mai essere di tale importanza da soffocare, per poterla
perseguire, la voce del diritto naturale e divino. Che altro, quando la stessa
giustificazione dell’utilità si rivela apertamente infondata? Infatti i mezzi
per accrescere il valore militare hanno lo scopo di rendere la società più
preparata ad opporsi ai nemici. Sarà forse possibile ottenere ciò ricorrendo ad
una consuetudine che, per sua natura, in presenza di un contrasto sorto tra
militari (e non sono rare le cause che lo provocano) finisce con la morte di
uno dei due difensori della patria?
Da ultimo, il nostro tempo,
che si vanta di superare di gran lunga i secoli passati in forza di una civiltà
più umana e della raffinatezza dei costumi, si è assuefatto a tenere in scarsa
considerazione le antiche consuetudini e a respingere tutto ciò che non si
accorda con lo stile di vita dell’odierna sensibilità. Per quale motivo allora,
in questa pretesa di così alta civiltà, si trattiene dal respingere questa
ignobile reliquia del passato, qual è l’usanza del duello?
Sarà vostro compito,
Venerabili Fratelli, inculcare con ogni cura, negli animi dei vostri popoli, le
cose che Noi abbiamo succintamente trattate, perché non accettino su questo
punto, in modo irresponsabile, le false opinioni, e non permettano di lasciarsi
trascinare dal giudizio degli stolti. Ciascuno di voi operi perché i giovani
maturino la convinzione di dover valutare e giudicare il duello in sintonia con
la filosofia naturale, come lo valuta e lo giudica la Chiesa, e di trarre da
tale pensiero una norma costante di azione. Anzi, come già si è consolidata in
certi luoghi la prassi che i cattolici, in modo particolare i giovani, si impongono
spontaneamente di non iscriversi mai ad associazioni moralmente riprovevoli,
allo stesso modo riteniamo opportuno e assai utile che diano vita ad una specie
di patto, con la promessa di non cimentarsi mai, e per nessun motivo, in un
duello. Chiediamo a Dio, con accenti di supplica, di rendere efficaci, con la
sua potenza, i nostri comuni sforzi e di concedere benignamente quanto
desideriamo per l’integrità dei costumi e della vita cristiana.
Auspice poi dei divini favori e, in pari
tempo, della Nostra benevolenza, con i sentimenti del più vivo affetto nel
Signore, impartiamo a voi, Venerabili Fratelli, l’Apostolica Benedizione.
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