Le gravi dispute sopra
l’economia sociale che da qualche tempo perturbano e non in una sola Nazione la
concordia degli animi, crescono ogni giorno e s’accalorano tanto da
impensierire giustamente e preoccupare anche gli uomini più prudenti. Furono i
falsi principi filosofici e morali, purtroppo largamente diffusi, che
originarono siffatte contese. Indi le invenzioni moderne dell’industria, la
rapidità delle comunicazioni e una infinità di macchine volte a diminuire
l’opera manuale e crescere il lucro inasprirono la questione. Da ultimo per le
mire colpevoli di uomini turbolenti, rincruditosi il conflitto tra i ricchi e i
proletari, le cose furono condotte a tal punto che gli Stati, già da spessi
sconvolgimenti commossi, minacciano di essere travolti in grandi sciagure.
Noi fin dagli esordi del
Nostro Pontificato avvertimmo la gravità del pericolo che indi sovrastava alla
società, e credemmo proprio del Nostro ufficio ammonir solennemente i Cattolici
dei gravi errori contenuti nelle teorie del socialismo, e delle
conseguenti rovine; rovine quanto mai funeste non meno alla prosperità della
vita, che alla probità dei costumi ed alla Religione. A ciò mirava l’Enciclica
"Quod Apostolici muneris", del 28 Dicembre 1878.
Sennonché, vedendo che i
medesimi pericoli s’aggravavano sempre più con danno maggiore tanto pubblico
che privato, Noi provvedemmo di nuovo, tornando con ogni impegno
sull’argomento. E con l’Enciclica "Rerum Novarum" del 15 Maggio 1891
trattammo ampiamente dei diritti e doveri su cui era spediente che convenissero
in reciproco accordo le due classi sociali dei capitalisti e dei lavoratori, e
mostrammo ad un tempo i rimedi derivanti dalle dottrine evangeliche, che Ci
sembrarono soprattutto efficaci a tutelare la causa della giustizia e della
Religione e a togliere ogni contesa tra i vari ordini di cittadini.
Né fallì, coll’aiuto di
Dio, la Nostra fiducia. Perché anche i dissidenti dai Cattolici, toccati dalla
verità dei fatti, non esitarono a dichiarare che alla Chiesa ben s’addice il
vanto di accorrere provvida alla salute di tutte le classi sociali e
principalmente dei diseredati dalla fortuna. I Cattolici poi colsero dai Nostri
ammonimenti frutti abbastanza copiosi. In effetti ne trassero incoraggiamento e
lena ad ottime imprese, e ne derivarono ancora la luce desiderata per
continuare con più sicurezza e più felicemente tal maniera di studi. Ond’è che
le lor dissensioni in parte cessarono, in parte si mostrarono più calme. Quanto
ai fatti, si riuscì con costanza di propositi a introdurre ed estendere utili
istituzioni, quali il segretariato del popolo, le casse rurali, le società di
mutuo soccorso e di previdenza, le operaie, ed altrettali società ed opere, con
che provvedere agl’interessi dei proletari particolarmente in quei luoghi ove
erano più negletti.
Così dunque, sotto gli
auspici della Chiesa s iniziò fra i cattolici una comunanza d’azione e
sollecitudine d’istituzioni in aiuto alla plebe, che tanto spesso lotta non
meno con le insidie e i pericoli che con la povertà e le sventure. Questa
specie di previdenza popolare non si usò da prima contraddistinguerla con
denominazioni particolari; perché quelle di socialismo cristiano, e di socialisti
cristiani introdotte da alcuni, caddero meritamente in disuso. Dipoi parve
bene a parecchi di dirla azione popolare cristiana; in qualche luogo
quelli che metton mano a siffatte opere si chiamano sociali cristiani;
altrove si prendono il titolo di democrazia cristiana, dicendo democratici
cristiani quelli che se ne occupano; per contrapporla alla democrazia
sociale, propugnata dai socialisti.
Di queste due ultime
denominazioni, se non la prima di sociali cristiani, certo l’altra, di democrazia
cristiana, suona male a molti tra i buoni, perché vi veggon sotto un che di
ambiguo e pericoloso. Ne temono per più di una ragione: cioè perché credono che
così si possa coprire un fine politico per portar al potere il popolo,
promovendo questa forma di governo in luogo di altre; che per tal modo, mirando
al bene della plebe, e mettendo in disparte gl’interessi delle altre classi,
sembri rimpicciolirsi l’azione della Religione cristiana; e che finalmente
sotto la speciosità del nome si voglia in certo modo nascondere il proposito di
sottrarsi alle legittime autorità nell’ordine civile ed ecclesiastico. Ora
considerando che qua e là si eccede in tali dispute fino all’acrimonia,
sentiamo il dovere di imporre un limite alla presente controversia, e di
regolare il pensiero dei Cattolici sopra un tale argomento: intendiamo inoltre
dettare alcune norme che rendano la loro azione più larga e assai più salutare
alla società.
Non può sorgere alcun
dubbio intorno agl’intenti della democrazia sociale e intorno a quelli a cui
convien che miri la democrazia cristiana. Infatti la prima, sia pur che non
tutti trascorrano ai medesimi eccessi, da molti è portata a tanta malvagità da
non tenere in alcun conto l’ordine soprannaturale, cercando esclusivamente i
beni corporali e terreni, e collocando tutta la felicità umana in tale acquisto
e in tale godimento. Vuol quindi che il governo venga in mano della plebe,
affinché livellando quant’è possibile le classi, le torni facile il passo
all’eguaglianza economica; tende perciò a sopprimere ogni diritto di proprietà,
e a mettere tutto in comune, il patrimonio dei privati e perfino gli strumenti
per guadagnarsi la vita. Al contrario la democrazia cristiana, per ciò
stesso che si dice cristiana, ha necessariamente per sua base i principi
della Fede; e provvede al vantaggio dei ceti inferiori, ma sempre in ordine ai
beni eterni per cui son fatti. Per essa adunque nulla deve essere più
inviolabile della giustizia; il diritto di acquisto e di possesso deve volerlo
integro, e tutelare le diverse classi, membra necessarie di una società ben
costituita; esige in una parola che l’umano consorzio ritragga quella forma e
quel temperamento che le diede il suo autore Iddio. Resta dunque non esservi
tra la democrazia sociale e la cristiana nulla in comune, e correre tra loro
tal differenza quale è tra la setta del socialismo e la professione del
cristianesimo.
Non sia poi lecito di dare
un senso politico alla democrazia cristiana. Perché, sebbene la parola democrazia,
chi guardi alla etimologia e all’uso dei filosofi, serva ad indicare una forma
di governo popolare, tuttavia nel caso nostro, smesso ogni senso politico, non
deve significare se non una benefica azione cristiana a favore del popolo.
I precetti della natura e del Vangelo, in quanto trascendono di proprio diritto
i fatti umani, è necessario che non dipendano da alcuna forma di governo
civile, ma possano convenire con tutti, sempre inteso che non ripugnino
all’onestà e alla giustizia. Essi pertanto sono e restano fuori dei partiti e
della mutabilità degli eventi, di guisa che, in qualunque modo la società si
regga, i cittadini possano e debbano tenersi agli stessi precetti, secondo i
quali ci è ingiunto di amar Dio sopra tutte le cose e il prossimo come noi
stessi. Questa è la disciplina costante della Chiesa; così gli Stati,
indipendentemente dal governo lor proprio. Ciò posto, l’intendimento e l’azione
dei Cattolici che mirano a promuovere il bene dei proletari non deve punto
proporsi di preferire e preparar con ciò una forma di governo invece
d’un’altra.
In somigliante modo bisogna
rimuovere dal concetto della democrazia cristiana l’altro inconveniente,
cioè che, mentre essa mette ogni impegno nel cercare il vantaggio delle classi
più basse, non sembri trascurare le superiori, che pure non valgono meno alla
conservazione e al perfezionamento della società. Al che provvede quella legge
di carità cristiana, di cui abbiam ora ragionato, e che comanda di abbracciare
indistintamente tutti gli uomini in quanto sono parte di una sola e medesima
famiglia e figli di un solo benignissimo Padre, e redenti dallo stesso
Salvatore e chiamati alla medesima eredità eterna. Appunto come ne ammaestra e
ammonisce l’Apostolo: "Un solo corpo e un solo spirito, come siete
ancora stati chiamati ad una sola speranza della vostra vocazione. Un solo
Signore, una sola fede, un solo battesimo. Un solo Dio e Padre di tutti, che è
sopra di tutti e per tutte le cose e in tutti noi". Quindi per
l’unione naturale della plebe con le altre classi, resa anche più stretta dallo
spirito di fratellanza cristiana, tutto ciò che di bene si fa per sollevare la
plebe, ridonda anche a vantaggio di quelle; tanto più che per raggiungere
l’intento è conveniente e necessario il loro concorso, come diremo appresso.
Guardisi parimenti ognuno
dal ricoprire sotto la denominazione di democrazia cristiana il
proposito d’insubordinazione o di opposizione alle legittime autorità. Già la
legge, tanto naturale che cristiana, ingiunge il rispetto ai diversi poteri
civili e l’obbedienza ai loro giusti comandi. Il che conviene fare sinceramente
e per sentimento di dovere, cioè per coscienza, come ben s’addice ad uomo e
cristiano; come insegna lo stesso Apostolo là dove dice: "Ogni anima
sia soggetta alle potestà superiori". Si comporta poi tutt’altro che
cristianamente chi ricusa di sottostare a coloro che sono rivestiti di autorità
nella Chiesa; e da prima ai Vescovi, che salva l’universale autorità del
Pontefice Romano, "lo Spirito Santo pose a pascere la Chiesa di Dio,
acquistata da lui col proprio sangue". Chi pensa ed opera diversamente
mostra di aver dimenticato quel solenne precetto dello stesso Apostolo: "Siate
obbedienti ai vostri prelati, e siate ad essi soggetti. Imperocché vegliano
essi, come dovendo render conto delle anime vostre". Parole queste che
tutti i fedeli devono profondamente imprimere nel cuore e cercar di mettere in
pratica nella loro condotta; più che mai i sacerdoti, considerandole con ogni
diligenza, non cessino di inculcarle agli altri, non solo con la predicazione, ma
più ancora con l’esempio.
Ora, dopo aver richiamato
questi punti di dottrina che altre volte all’uopo abbiamo più dichiaratamente e
di proposito trattato Ci ripromettiamo che cessi qualsiasi discordia sul nome
di democrazia cristiana e ogni sospetto di pericolo sul suo significato.
E ce lo ripromettiamo a buon diritto. Perché, prescindendo da quelle opinioni,
sulla natura e sugli effetti della democrazia cristiana, che non mancano di
qualche esagerazione o errore, nessuno certo troverà di riprovar un’azione che
mira, come vuole la natura e la divina legge, a quest’unico fine di ricondurre
a condizioni men dure quelli che campano del lavoro manuale, sì che riescano
gradatamente a provvedere alle necessità della vita. Possano quindi in famiglia
e in pubblico liberamente soddisfare ai doveri morali e religiosi; sentano di
non esser bestie ma uomini, non pagani ma cristiani; quindi e più facilmente e
con più ardore si volgano a ciò che solo è necessario, vale a dire al sommo
bene per cui siamo nati. Tale vuoi essere il programma, tale lo scopo di coloro
che desiderano con animo veramente cristiano arrecare un opportuno sollievo
alla plebe e salvarla dalla peste del socialismo.
E a bello studio Noi abbiam
qui toccato dei doveri morali e religiosi. Spacciano infatti alcuni e fanno
credere a molti che la così detta questione sociale sia soltanto
economica, laddove sta con ogni certezza che essa è principalmente morale
e religiosa, e che perciò bisogna scioglierla a tenore delle leggi
morali e religiose. Raddoppiate pure la mercede all’operaio, diminuitegli le
ore di lavoro, abbassategli il prezzo dei generi; ma se voi lo lasciate, come
troppo accade, imbeversi di certe dottrine, e specchiarsi in certi esempi che
lo attirino a spogliarsi del rispetto di Dio e corrompere i costumi, fatiche e
sostanze gli andranno in rovina. Una quotidiana esperienza c’insegna che gran
parte degli operai, sebbene lavorino meno e ricevano più larga mercede, se
tengono una condotta depravata e priva di Religione, vivono d’ordinario in una
deplorevole miseria. Togliete dagli animi quei sentimenti che sono il frutto di
una educazione cristiana; togliete la previdenza, la moderazione, la
parsimonia, la pazienza e somiglianti virtù morali che la stessa ragione ci
detta, e vedrete che ogni maggiore sforzo per ottenere gli agi del vivere cadrà
in nulla. E quest’è veramente la causa onde Noi non abbiamo mai esortato i
cattolici a fondar società ed altrettali istituzioni per un miglior avvenire
della plebe, senza raccomandare ad un tempo di fondarle sotto gli auspici della
Religione e avvalorarle del suo costante aiuto.
Tanto più poi Ci sembra
degna di lode la benefica azione dei cattolici verso i proletari, perché essa
si svolge nel medesimo campo in cui la carità, accomodandosi alle esigenze dei
tempi, lavorò, mai sempre attiva e con buon esito sotto l’amorosa ispirazione
della Chiesa. La qual legge di scambievole carità ch’è quasi un perfezionamento
di quella di giustizia, non solo impone di dare a ciascuno il suo, e di non
attraversare i diritti di alcuno, ma anche di favorirsi l’un l’altro, "non
in parole e colla lingua, ma coll’opera e con verità"; memori della
sentenza che Cristo rivolge amorosamente ai suoi. "Un nuovo
comandamento do a voi, che vi amiate l’un l’altro, come io vi ho amati. Da
questo conosceranno tutti che siete miei discepoli, se avete amore l’uno per
l’altro". E tale studio di reciproco aiuto, benché importi soprattutto
una sollecitudine del bene non caduco delle anime, non deve poi dimenticare i
bisogni e i conforti della vita. Al qual proposito è da ricordarsi che
allorquando i discepoli del Battista domandarono a Cristo: "Sei tu
quegli che sei per venire, ovvero si ha da aspettare un altro?", Egli
per dimostrare il motivo della missione affidatagli tra gli uomini, trasse
argomento dalla carità, richiamandoli al vaticinio d’Isaia: "I ciechi
vedono, gli zoppi camminano, i lebbrosi sono mondati, i sordi odono, i morti
risorgono, si annunzia ai poveri il Vangelo". E ragionando del
giudizio finale e della distribuzione dei premi e delle pene, dichiarò che avrà
uno speciale riguardo a quella carità con che gli uomini si saranno
reciprocamente trattati. Né può non destar meraviglia com’egli abbia trapassato
qui in silenzio le opere di carità spirituali, rammentando soltanto quelle
della beneficenza corporale: "Ebbi fame e mi deste da mangiare; ebbi
sete e mi deste da bere; fui pellegrino e mi ricettaste; ignudo e mi
rivestiste; ammalato e mi visitaste; carcerato e veniste da me".
Cristo a questi
ammaestramenti di duplice carità spirituale e corporale aggiunse i propri
esempi, e ognuno sa quanto sieno luminosi. E torna grato il rammentar qui quel
grido uscito dal suo cuore paterno: "Misereor super turbam"; e
il pronto divisamento di soccorrere anche con un miracolo. Onde di tanta sua
misericordia rimane l’encomio: "Fornì sua carriera facendo del bene e
sanando tutti coloro che erano oppressi dal diavolo". Gli Apostoli con
religiosa diligenza seguirono fin da principio questa sua scuola di carità; e
quelli che abbracciarono in appresso la Fede trovarono istituzioni di varie
maniere per sollevare le miserie del prossimo. Istituzioni che, continuamente
aumentando, sono effettivamente un ornamento illustre e proprio del Cristianesimo
e della civiltà che ne deriva; cosicché gli uomini retti non si saziano
dall’ammirarli, specialmente perché si è tanto inclinati a cercar il proprio
comodo e a non curare l’altrui.
Né vuolsi escludere da
questi modi di beneficenza l’offerta del danaro in elemosina; onde Cristo
disse: "Fate elemosina di quel che vi avanza". I socialisti la
riprovano e vorrebbero sopprimerla, come ingiuriosa all’ingenita nobiltà
dell’uomo. Ma, se si fa secondo le norme del Vangelo e l’uso cristiano, no
certo che non ingenera burbanza in chi la dà, né vergogna in chi la riceve. È
poi tanto lungi dal vero che sia indecorosa all’uomo, che anzi serve a
stringere i vincoli della società umana, fomentando una scambievole
amorevolezza.
Perché nessuno è tanto
ricco che non abbisogni di alcuno, e nessuno è tanto povero che non possa in
alcuna cosa giovare altrui: sta in natura che gli uomini con confidenza e con
benevolenza reciprocamente si domandino e portino aiuto. Per tal modo infatti la
giustizia e la carità, con l’equità e mitezza di Cristo, abbracciano di
concerto e meravigliosamente l’organismo dell’umana società, e ne guidano
provvidenzialmente i membri al conseguimento del bene individuale e comune.
Vuolsi parimenti ascrivere
a lode di siffatta carità, se non pensa solo ai soccorsi del momento, ma anche
ad istituzioni permanenti; così i bisognosi ne avranno un vantaggio più stabile
e sicuro. Ed è anche più commendevole il voler informare ad uno spirito di
parsimonia e previdenza gli artieri e gli operai, in modo che possano
coll’andar degli anni provvedere almeno in parte ai propri bisogni. Cosa che da
un lato alleggerisce i doveri dei ricchi verso i proletari, e dall’altro mette
in un certo decoro i proletari stessi; perché mentre li stimola a prepararsi un
avvenire men disagiato, li allontana dai pericoli, li contiene dalle
intemperanze delle passioni e li avvia ad una buona condotta morale.
Ricavandosene adunque una utilità di sì gran rilievo e sì adatta ai tempi,
conviene davvero che la carità dei buoni vi cooperi con ogni sforzo destra ed
accorta.
Resti fermo adunque che
questa azione dei cattolici a favore e sollievo della plebe consuona appieno
con lo spirito della Chiesa e ne rispecchia ottimamente i perpetui esempi. Poco
poi importa che questo complesso di opere passi sotto il nome di azione
cristiana popolare o assuma quello di democrazia cristiana, purché
si osservino col dovuto ossequio e nella loro integrità gli ammonimenti da Noi
dati. Invece importa molto che in cosa di sì grave momento si conservi tra i
Cattolici unità d’intenti e concordia di volontà e d’azione. E non importa meno
che questa stessa azione, moltiplicando aiuti d’uomini e di cose, ingrossi e si
dilati. Bisognerà principalmente procurar la benevola cooperazione di coloro
che per nascita, per censo, per ingegno e per educazione godono di maggiore
autorità tra i cittadini. Se manchi questa cooperazione, troppo poco si potrà
intraprendere di ciò che conduce al conseguimento dei desiderati vantaggi del
popolo. Certo la via sarà tanto più sicura e breve, quanto più sarà molteplice
e intensa la cooperazione dei cittadini più ragguardevoli. E vorremmo che essi
considerassero che non si trovano liberi di curare o meno la sorte degl’infimi,
ma che vi sono veramente obbligati. Perché il cittadino non vive soltanto a sé,
ma anche alla comunità; cosicché quel contributo che alcuni non possono portare
al ben comune, lo portino altri con maggiore larghezza. Della gravità in
siffatto dovere ne avverte la stessa superiorità dei beni ricevuti, alla quale
seguirà senza dubbio un conto più rigoroso da rendersi a quel Dio che li largì;
ne avverte la colluvie dei mali, che potrebbe diventare più tardi rovinosa a
tutte le classi, se a tempo non vi si porti rimedio; di guisa che chi non si dà
pensiero di sostenere la causa dei miseri agisce da imprevidente tanto per sé
che per la comunità.
Né è da temere invero che,
se quest’azione sociale e di spirito largamente attecchisce e schiettamente
prospera, abbiano a inaridirsi altre istituzioni che ci provengono dalla pietà
e dalla previdenza degli avi e durano da molto tempo e sono in fiore, oppure
che scompaiano assorbite dalle istituzioni nuove. Che anzi le altre, per essere
mosse da uno stesso spirito di Religione e di carità e non per essere punto di
lor natura ripugnanti, possono di leggieri accordarsi e combinare sì bene da
poter ancor meglio ovviare, gareggiando nelle benemerenze, alle necessità della
plebe e ai pericoli che diventano ogni giorno più gravi.
La triste realtà grida, e
grida alto, che fa d’uopo di coraggio e di unione, perché già ci sta di fronte
un cumulo troppo ampio di sventure, e incombono paurose minacce di
sconvolgimenti esiziali, massime per l’ingrossare dei socialisti. Copertamente
s’insinuano nel cuore degli Stati; tra le tenebre di occulte congreghe ed in
pubblico, colle conferenze e con gli scritti, aizzano le moltitudini alle
sommosse; rigettando ogni freno di Religione, tacciono dei doveri e non
esaltano se non i diritti, ed infiammano così turbe sempre più grosse di
bisognosi, che per la loro miseria più facilmente cedono all’inganno e son
trascinate all’errore. — Si tratta qui dei sommi interessi della società e
della Religione; tutti i buoni devono come cosa sacra, tutelare l’onore
dell’una e dell’altra.
Affinché poi l’accordo
degli animi abbia la desiderata stabilità è necessario ancora astenersi da
tutte quelle questioni che urtano e dividono. Si schivino quindi, in articoli
di giornali e nelle conferenze popolari, certe controversie molto sottili e di
quasi nessuna utilità, le quali difficilmente approdano ad una soluzione,
mentre poi richiedono per bene intenderle conveniente capacità e non volgare
coltura. Già è proprio della umana debolezza il rimanere nel dubbio di molte
cose e il discordare in molte opinioni; ma quelli che cercano il vero con retto
cuore conviene che nella incertezza della disputa serbino equanimità, modestia
e scambievoli riguardi, affinché, se discordano le opinioni, non si facciano
discordi anche le volontà. Qualunque poi sia l’opinione che alcuno porta in una
questione ancor dubbia, abbia sempre l’animo disposto a piegarsi con religioso
ossequio alle decisioni della Sede Apostolica.
E questa azione dei
cattolici eserciterà certo un più largo influsso se tutte le società, pur
serbando la propria autonomia, muovansi sotto l’impulso di un’unica direzione.
E in Italia questa direzione vogliamo che spetti all’Opera dei Congressi e Comitati
cattolici, che più volte si meritò le Nostre lodi; alla quale il Nostro
Predecessore e Noi medesimi affidammo l’incarico di dirigere il movimento
cattolico sempre sotto gli auspici e la guida dei Vescovi. Altrettanto si
faccia presso le altre nazioni, che abbiano qualche simile società principale,
a cui legittimamente siasi affidato un tale incarico.
Di per sé poi si fa
manifesto quanto i sacri ministri debbano adoperarsi in tutto questo movimento
di cose che legano direttamente insieme gl’interessi della Chiesa e del popolo
cristiano, e quanto valgano allo scopo i molteplici mezzi della loro dottrina,
prudenza e carità. Noi stessi, e non una volta, parlando ad Ecclesiastici,
abbiamo creduto bene di affermare essere opportuno ai nostri giorni di andare
al popolo e farsela salutarmente con esso. Più spesso poi con Lettere, anche da
non molto tempo dirette a Vescovi e ad altre persone ecclesiastiche (Al
Generale dell’Ordine dei Frati Minori, il 26 Novembre 1898) lodammo cotesta
amorosa sollecitudine per il popolo, chiamandola tutta propria dell’uno e
dell’altro clero. Però tutti nel compiere tali opere si diportino con grande
cautela e prudenza, ponendo mente all’esempio dei Santi. Il poverello ed umile
Francesco, il padre degl’infelici Vincenzo de’ Paoli, ed altri molti in tutte
le età della Chiesa, seppero così regolare le assidue lor cure verso il popolo,
che senza uno stemperato affaccendarsi e senza dimenticare se stessi, attesero
con pari ardore alla perfezione dello spirito. E qui Ci piace di mettervi
innanzi alquanto più esplicitamente un modo d’azione in cui non solo gli
Ecclesiastici, ma tutti gli amici della causa del popolo, possono diventarne
senza grande difficoltà assai benemeriti. E consiste nell’inculcare con
fraterna amorevolezza nell’animo del popolo questi ammonimenti. Cioè che si
guardino affatto dalle rivolte e dai rivoltosi; che rispettino inviolabilmente
i diritti altrui; che prestino volenterosi e col dovuto ossequio l’opera loro
ai padroni; che non sentano disgusto della vita domestica, pur feconda di tanti
beni; che pratichino anzitutto la Religione, e ne traggano il più valido
conforto nelle difficoltà della vita. E ad ottener meglio l’intento servirà
certo l’additare il singolar modello della Santa Famiglia Nazarena e
commendarne la protezione, il proporre l’esempio di coloro che dalla stessa lor
misera sorte seppero trar buon partito per sollevarsi alla cima delle virtù, e
da ultimo l’alimentare la speranza del premio riservatoci in una vita migliore.
Chiudiamo ora insistendo di
nuovo sopra un avvertimento già dato. Tanto gli individui quanto le società,
nell’attuare qualsivoglia deliberazione al presente scopo, si rammentino che
devono una piena obbedienza all’autorità dei Vescovi. Non si lascino ingannare
da un certo zelo di carità irrompente, il quale se tenta di menomare il dovere
dell’obbedienza, non è sincero, né fecondo di solida utilità, né grato a Dio.
Iddio si compiace di coloro che, sacrificando le proprie opinioni, ascoltano i
prelati della Chiesa, come Lui medesimo, e propizio assiste alle loro imprese
ancorché ardue e benignamente le conduce al desiderato compimento. A ciò
corrispondano esempi di virtù specialmente di quelle, onde il cristiano si
addimostra nemico dell’ignavia e dei piaceri, benevolo dispensatore del
soverchio a vantaggio altrui, costantemente invitto ai colpi di sventura.
Perché questi esempi hanno gran forza ad eccitare salutarmente gli animi del
popolo, forza che è tanto maggiore quanto sono più ragguardevoli i cittadini in
cui si ammirano.
Ecco, o Venerabili
Fratelli, quanto vi esortiamo ad eseguire secondo l’opportunità dei luoghi e
delle persone con tutta la diligenza e la sollecitudine che vi è propria; su di
che vogliamo ancora che nelle consuete vostre adunanze conferiate insieme. E la
vostra vigilanza e la vostra autorità si faccia sentire regolando, frenando,
resistendo; specie affinché sotto pretesto di bene non si rilassi il vigore
della disciplina ecclesiastica, e non si turbi l’ordine onde Cristo informò la
sua Chiesa. — Nell’opera adunque retta, concorde e progressiva di tutti i
cattolici appaia più splendidamente che la tranquillità dell’ordine e la vera
prosperità dei popoli fioriscono principalmente sotto la direzione e col favore
della Chiesa, a cui s’appartiene il santissimo ufficio di ammonire secondo i
precetti cristiani ognuno del suo dovere, di avvicinare in fraterna carità i
ricchi e i poveri, di rialzare e rinvigorire gli animi nelle avverse vicende.
L’esortazione, sì piena di
carità apostolica, che San Paolo rivolgeva ai Romani, ravvalori gli ammonimenti
e i desideri Nostri: "Io vi scongiuro... Riformate voi stessi col
rinnovamento della vostra mente... Chi fa altrui parte del suo, lo faccia con
semplicità; chi presiede, sia sollecito; chi fa opere di misericordia, lo
faccia con ilarità. Dilezione non finta: aborrimento del male, affezione al
bene: amandovi scambievolmente con fraterna carità: prevenendovi gli uni gli
altri nel rendervi onore. Per sollecitudine non tardi: lieti per la speranza:
pazienti nella tribolazione: assidui nell’orazione: entrando a parte dei
bisogni dei santi: praticando ospitalità. Rallegrarsi con chi si rallegra,
piangere con chi piange: avendo gli stessi sentimenti l’uno per l’altro: non
rendendo male per male: avendo cura di ben fare, non solo agli occhi di Dio ma
anche a quelli di tutti gli uomini".
Auspice di tali beni discenda sopra di voi, o
Venerabili Fratelli, sopra il clero e il popolo a voi affidati, l’Apostolica
Benedizione che con effusione d’animo v’impartiamo nel Signore.
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