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Plinio Corrêa de Oliveira
Nobiltà ed élites tradizionali analoghe…

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7. Perennità della nobiltà e delle élites tradizionali

 

Come le foglie morte cadono per terra, così accade, sotto il turbine della Rivoluzione, agli elementi morti del passato. Tuttavia la nobiltà - in qualità di specie del genere élites - può e deve sopravvivere in quanto provvista di una permanente ragion d'essere:

“Il soffio impetuoso di un nuovo tempo avvolge coi suoi vortici le tradizioni del passato. Ma tanto più esso palesa ciò che, come foglia morta, è destinato a cadere, e ciò che invece tende con genuina forza vitale a mantenersi e a consolidarsi.

“Una nobiltà e un patriziato, che, per così dire, si anchilosassero nel rimpianto dei tempi trascorsi, si voterebbero ad un inevitabile declino.

Oggi più che mai, voi siete chiamati ad essere una élite non solo del sangue e della stirpe, ma anche più delle opere e dei sacrifici, delle attuazioni creatrici nel servizio di tutta la comunanza sociale.

“E questo non è soltanto un dovere dell'uomo e del cittadino, a cui niuno può sottrarsi impunemente, ma anche un sacro comandamento della fede, che avete ereditata dai vostri padri e che dovete, dopo di loro, lasciare, integra ed inalterata, ai vostri discendenti.

Bandite dunque dalle vostre file ogni abbattimento e ogni pusillanimità: ogni abbattimento, di fronte ad una evoluzione dei tempi, la quale porta via con se molte cose, che altre epoche avevano edificate; ogni pusillanimità, alla vista dei gravi eventi, che accompagnano le novità dei nostri giorni.

Essere romano: significa essere forte nell'operare, ma anche nel sopportare.

Essere cristiano: significa andare incontro alle pene e alle prove, ai doveri e alle necessità del tempo, con quel coraggio, con quella fortezza e serenità di spirito, che attinge alla sorgente delle eterne speranze l'antidoto contro ogni umano sgomento.

Umanamente grande è il fiero detto di Orazio: 'Si fractus illabatur orbis, impavidum ferient ruinae' [Anche se il mondo si frantumasse, le sue rovine ferirebbero l'uomo, ma non lo scuoterebbero] (Od. 3, 3).

“Ma quanto più bello, più fiducioso e beatificante è il grido vittorioso, che sgorga dalle labbra cristiane e dai cuori traboccanti di fede: 'Non confundar in aeternum!',(Te Deum)”. 80

 

 




80 PNR 1951, pp. 423-424.






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