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Plinio Corrêa de Oliveira
Nobiltà ed élites tradizionali analoghe…

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8. La legge non può abolire il passato

 

Si comprende così perché, a dispetto della proclamazione della Repubblica nell'Italia del 1946, il Santo Padre Pio XII abbia mantenuto il Patriziato e la Nobiltà romana come insigne memoria di un passato che dev'essere conservato negli aspetti che assicurano la continuità di una tradizione benefica e illustre:

“È ben vero che nella nuova Costituzione d'Italia 'i titoli nobiliari non sono riconosciuti' (salvo, naturalmente, a norma dell'articolo 42 del Concordato per ciò che riguarda la Santa Sede, quelli conferiti o da conferirsi in avvenire dai Sommi Pontefici) 81; ma la Costituzione stessa non ha potuto annullare il passato, né la storia delle vostre famiglie”. 82

Nel riferimento esplicito e diretto fatto da Pio XII all'abolizione dei titoli nobiliari compiuta dalla Repubblica italiana, non appare alcun giudizio di valore. Il Papa semplicemente constata il fatto dell'abolizione. Ma, pari passu, egli afferma con nobile disinvoltura che la Chiesa, invece di seguire l'esempio dell'Italia repubblicana, riserva per sé tutta la validità dei titoli nobiliari da essa conferiti in passato, o che volesse conferire in futuro, e che questa validità continua ad essere in vigore, anche nel territorio della Repubblica italiana, in virtù dell'art. 42 del Trattato Lateranense. 83 Il che è evidente,in quanto un articolo della Costituzione italiana non poteva interrompere unilateralmente la validità dei titoli nobiliari pontifici, riconosciuti da un atto bilaterale qual'è il Concordato del 1929. 84

Continua quindi a permanere per il Patriziato e la Nobiltà romana un grave e magnifico dovere, risultante dal prestigio che amici e nemici debbono riconoscere loro:

“Quindi anche ora il popolo - sia esso a voi favorevole o contrario, abbia per voi una rispettosa fiducia o sentimenti ostili - guarda ed osserva quale esempio voi date nella vostra vita. A voi dunque spetta di rispondere a tale attesa e di mostrare in qual modo la vostra condotta e i vostri atti siano conformi a verità e a virtù, particolarmente nei punti che abbiamo sopra ricordati nelle Nostre raccomandazioni”. 85

È considerando ciò che la Nobiltà fu nel passato, e vedendo in questa memoria non qualcosa di morto ma un “impulso per l'avvenire”, che Pio XII, “mosso da motivi di onore e di fedeltà”, 86 conserva per essa, perfino nelle circostanze attuali, un trattamento speciale di distinzione e invita l'uomo moderno ad associarsi a questo atteggiamento:

“Noi salutiamo in voi i discendenti e i rappresentanti di famiglie, che si segnalarono già nel servizio della Santa Sede e del Vicario di Cristo e rimasero fedeli al Pontificato Romano, anche quando questo era esposto ad oltraggi ed a persecuzioni. Senza dubbio, nel corso del tempo, l'ordine sociale ha potuto evolversi e il suo centro spostarsi; i pubblici uffici, che una volta erano riservati alla vostra classe, possono ora essere attribuiti ed esercitati sopra una base di eguaglianza; tuttavia ad un tale attestato di riconoscente memoria - che deve altresì valere d'impulso per l'avvenire – anche l'uomo moderno, se vuole essere di retti ed equanimi sentimenti, non può negare comprensione e rispetto”. 87

 

 




81 Cfr. Capitolo II, 1.



82 PNR 1949p. 346.



83 Cfr. Capitolo II, 1.



84 A proposito dell'abolizione radicale e sommaria di una così antica e benemerita istituzione qual'è quella nobiliare, evidentemente fatta sotto la forza d'urto dell'ugualitarismo che ha soffiato in tanti Paesi, nel secondo dopoguerra come nel primo, bisogna lamentarsi del fatto che non sia stato preso in nessuna considerazione quest'insegnamento di alta sapienza di san Tommaso d'Aquino, che si trova nella Summa Theologica (I-II, q. 97, a. 2) sotto il titolo Se la legge umana deve modificarsi ogni volta che si prospetta un bene maggiore”:

“Sta scritto nelle Decretali che 'è un assurdità ed un affronto estremamente abominevole tollerare la distruzione delle tradizioni ricevute fin dall'antichità dai nostri antenati'.

“Come abbiamo già detto, la legge viene modificata a buon diritto solo se questo mutamento contribuisce al bene comune. Infatti, il semplice mutamento di una legge costituisce già, per se stesso, un danno al bene comune. Il costume contribuisce molto all'adempimento delle leggi, a tal punto che si ritengono gravi tutte le cose stabilite contro i costumi, nonostante che siano lievi in se stesse. Perciò, quando viene modificata una legge, il suo potere coattivo viene sminuito, nella misura in cui contraddice al costume. Ne deriva che non bisogna modificare una legge umana, a meno che vi sia d'altra parte una compensazione proporzionata in favore del bene comune, correlativa alla parte derogata dalla legge. Questo accade o quando la nuova disposizione di legge provoca un vantaggio molto grande e notorio, oppure in caso di estrema necessità, oppure quando la legge vigente conteneva una evidente iniquità e la cui applicazione era sommamente nociva. Dice pertanto il Giureconsulto che, 'nello stabilire nuove norme, la loro utilità deve essere evidente, perché sia giustificato abbandonare ciò che per molto tempo fu considerato come equo”'.



85 PNR 1949p. 346.



86 PNR 1950p. 357.



87 PNR 1950p. 357.






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