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Plinio Corrêa de Oliveira
Nobiltà ed élites tradizionali analoghe…

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3. Le guide assenti - il male dell'assenza

 

a)           Assenteismo e omissione. peccati delle élites

 

Una tendenza, purtroppo non così rara fra i componenti della nobiltà e delle élites tradizionali del nostro tempo, consiste nell'isolarsi dagli avvenimenti. Pensando di essere al riparo dalle vicissitudini in virtù di una sicura situazione patrimoniale, assorti nel ricordo dei giorni che furono, parecchi di loro si allontanano dalla vita reale, si chiudono in se stessi e lasciano trascorrere i giorni e gli anni in una vita spensierata, spenta e senza scopi terreni precisi. Si cerchino i loro nomi nei campi dell'apostolato, delle attività caritatevoli, della diplomazia, della vita universitaria, della politica, delle arti, delle armi, dell'economia: invano. Eccettuati certi casi, più o meno rari secondo i luoghi e i tempi, saranno assenti. Perfino nella vita sociale, nella quale pure sarebbe naturale brillare, il loro ruolo a volte è nullo. Può accadere che, nell'ambito di un Paese, di una provincia, di una città, tutto avvenga come se non esistessero.

Come mai quest'assenteismo? Per via di un insieme di qualità e di difetti. Si esamini da vicino la vita di queste élites: essa è il più delle volte dignitosa, onesta, perfino esemplare, poiché si ispira alle nobili memorie di un passato profondamente cristiano. Tuttavia questo passato sembra non aver più significato se non per se stessi. Si attaccano dunque ad esso con un'ostinazione minuziosa estraniandosi dalla vita presente. Non si accorgono che, nel cumulo di reminiscenze di cui vivono, vi sono cose che non possono essere adatte ai nostri giorni. 113 Eppure, questo passato emana valori, ispirazioni, tendenze, direttive che potrebbero influenzare favorevolmente e a fondo le “assai diverse forme di vita” del “nuovo capitolo [che] è stato aperto”. 114

Questo prezioso complesso di valori spirituali, morali, culturali e sociali - di grande importanza sia nella sfera pubblica che in quella privata - questa vita, che nasce dal passato e deve orientare il futuro, è la tradizione. Conservando perennemente questo valore inestimabile, la Nobiltà e le élites analoghe devono svolgere un'azione di presenza profonda e con direttiva nella società per assicurarne il bene comune.

 

b) Assenteismo delle élites: una potenziale complicità

 

Si capiscono quindi, ancora meglio, le responsabilità derivanti dall'omissione compiuta da quelle élites che sono perennemente assenti:

“Meno malagevole è oggi invece di determinare, fra i differenti modi che si offrono a voi, quale debba essere la vostra condotta.

“Il primo di tali modi è inammissibile; è quello del disertore, di colui che fu ingiustamente chiamato l'Emigré à l'intérieur; è l'astensione dell'uomo imbronciato o corrucciato, che, per dispetto o per scoraggiamento, non fa alcun uso delle sue qualità e delle sue energie, non partecipa ad alcuna delle attività del suo Paese e del suo tempo, ma si ritira – come il Pelide Achille115 nella sua tenda, presso alle navi del rapido tragitto, lontano dalle battaglie, - mentre sono in giuoco i destini della patria.

“Anche men degna è l'astensione, quando è l'effetto di una indifferenza indolente e passiva. Peggiore, infatti, del cattivo umore, del dispetto e dello scoraggiamento, sarebbe la noncuranza di fronte alla rovina, in cui fossero per cadere i propri fratelli e il proprio popolo. Invano essa tenderebbe di celarsi sotto la maschera della neutralità; essa non è punto neutrale; è, volere o no, complice. Ciascuno dei fiocchi leggieri, che riposano dolcemente sul pendio della montagna e l'adornano della loro bianchezza, contribuisce, mentre si lascia trascinare passivamente, a far della piccola massa di neve, staccatasi dalla vetta, la valanga che porta il disastro nella valle e vi abbatte e vi seppellisce le tranquille dimore. Soltanto il saldo blocco, che fa corpo con la roccia fondamentale, oppone alla valanga una resistenza vittoriosa, e può arrestarne o almeno frenarne la corsa devastatrice.

“In tal guisa l'uomo giusto e fermo nel suo proposito di bene, di cui parla Orazio in una celebre Ode (Carm, III, 3), che non si lascia scuotere nel suo incrollabile pensiero né dal furore dei cittadini, che danno ordini delittuosi, né dal cipiglio minaccioso del tiranno, rimane impavido, anche se l'universo cadesse in frantumi sopra di lui: 'si fractus inlabatur orbis, impavidum ferient ruinae'. Ma se quest'uomo giusto e forte è un cristiano, non si contenterà di restare ritto, impassibile, in mezzo alle rovine; egli si sentirà in dovere di resistere e d'impedire il cataclisma, o almeno di limitare i danni. Che se non potrà contenerne l'opera distruttrice, egli sarà ancora per ricostruire l'edificio abbattuto, per seminare il campo devastato. Tale conviene che sia la vostra condotta. Essa consiste - senza dover rinunziare alla libertà delle vostre convinzioni e dei vostri giudizi sulle umane vicissitudini - nel prendere l'ordine contingente delle cose tale quale è, e nel dirigere la sua efficienza verso il bene, non tanto di una determinata classe, quanto della intera comunità. 116

Come si vede, in queste ultime parole il Papa insiste sul principio secondo cui l'esistenza di una élite tradizionale corrisponde all'interesse dell'intero corpo sociale, purché essa compia il suo dovere.

 

 




113 “Una pagina della storia è stata voltata; un capitolo è stato chiuso; è stato messo il punto, che indica il termine di un passato sociale ed economico”, avvertì Pio XII (PNR 1952, p. 457).



114  PNR 1952p. 457.



115 Secondo la narrazione di Omero nell'Iliade, Achille, il più celebre degli eroi della guerra di Troia, incolleritosi contro Agamennone, che capeggiava l'esercito greco, si ritirò nella sua tenda, provocando quasi la sconfitta nella guerra.



116 PNR 1947pp. 368-369.






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