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Plinio Corrêa de Oliveira
Nobiltà ed élites tradizionali analoghe…

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Allocuzione del 14 gennaio 1945

 

Ancora una volta, diletti figli e figlie, in mezzo agli sconvolgimento, ai lutti, alle inquietudini d'ogni sorta, che travagliano la umana famiglia, voi siete venuti ad offrirCi i devoti auguri, che il vostro illustre interprete Ci ha presentati con nobiltà di sentimenti e delicatezza di espressione. Noi ve ne ringraziamo di cuore, come anche delle preghiere, con le quali, in un tempo così agitato, Ci assistete nel compimento dei formidabili doveri che gravano sulle Nostre deboli spalle.

Come dopo tutte le guerre e le grandi calamità vi sono sempre piaghe da sanare e rovine da riparare: così dopo le grandi crisi nazionali vi è tutto un adattamento da effettuare per ricondurre un Paese turbato e danneggiato nell'ordine generale, per fare ad esso riconquistare il posto che gli spetta, riprendere il cammino verso quel progresso e quel benessere, che la sua condizione e la sua storia, i suoi beni materiali e le sue facoltà spirituali gli assegnano.

Questa volta l'opera di restaurazione è incomparabilmente più vasta, delicata e complessa. Non si tratta di reintegrare nella normalità una sola Nazione. Il mondo intero, si può dire, è da riedificare; l'ordine universale è da ristabilire. Ordine materiale, ordine intellettuale, ordine morale, ordine sociale, ordine internazionale, tutto è da rifare e da rimettere in movimento regolare e costante. Questa tranquillità dell'ordine, che è la pace, la sola vera pace, non può rinascere e perdurare che a condizione di far riposare la società umana su Cristo, per raccogliere, ricapitolare e ricongiungere tutto in Lui: instaurare omnia in Christo (Eph. 1,10): con la unione armoniosa dei membri tra loro e la loro incorporazione all'unico Capo che è Cristo (Eph. 4,15).

Ora tutti generalmente ammettono che questa riorganizzazione non può essere concepita come un puro e semplice ritorno al passato. Un simile regresso non è possibile; pur nel suo moto spesso disordinato, sconnesso, senza unità coerenza, il mondo ha continuato a camminare; la storia non si arresta, non può arrestarsi; essa avanza sempre, proseguendo la sua corsa, ordinata e rettilinea ovvero confusa e contorta, verso il progresso ovvero verso una illusione di progresso; nondimeno essa cammina, corre, e volere semplicemente “far marcia indietro”, non vogliamo dire per ridurre il mondo alla immobilità su posizioni antiche, ma per ricondurlo a un punto di partenza malauguratamente abbandonato a causa di deviamenti o di falsi scambi, sarebbe vana e sterile impresa. Non in ciò consiste - come osservammo l'anno passato in questa medesima occasione - la vera tradizione. Come non si potrebbe concepire a modo di una ricostituzione archeologica la ricostruzione di un edificio, che deve servire ad usi odierni, così essa neppure sarebbe possibile secondo disegni arbitrari, anche se fossero teoricamente i migliori e i più desiderabili; occorre tener presente la imprescindibile realtà, la realtà in tutta la sua estensione.

Non intendiamo con ciò di dire che bisogna contentarsi di veder passare la corrente, ancor meno di seguirla, di vogare secondo il suo capriccio, a rischio di lasciar la barca urtare nello scoglio o precipitare nell'abisso. L'energia dei torrenti, delle cateratte, è stata resa non soltanto inoffensivo, ma utile, feconda, benefica, da coloro, che, invece di reagire contro di essa o di cedere, hanno saputo dirigerla mediante chiuse, sbarramenti, incanalamenti, derivazioni. Tale è l'ufficio dei dirigenti, i quali, con lo sguardo fisso agli immutabili principi dell'operare umano, debbono sapere e volere applicare queste indefettibili norme alle contingenze dell'ora.

In una società progredita, come la nostra, che dovrà essere restaurata, riordinata dopo il grande cataclisma, l'ufficio di dirigente è assai vario: dirigente è l'uomo di Stato, di governo, l'uomo politico; dirigente l'operaio, che senza ricorrere alla violenza, alle minacce, alla propaganda insidiosa, ma col suo proprio valore, ha saputo acquistare autorità e credito nella sua cerchia; dirigenti, ciascuno nel suo campo, l'ingegnere e il giureconsulto, il diplomatico e l'economista, senza i quali il mondo materiale, sociale, internazionale, andrebbe alla deriva; dirigenti il professore universitario, l'oratore, lo scrittore, che mirano a formare e guidare gli spiriti; dirigente l'ufficiale, che infonde nell'animo dei suoi militi il senso del dovere, del servizio, del sacrificio; dirigente il medico nell'esercizio della sua missione salutare; dirigente il sacerdote che addita alle anime il sentiero della luce e della salvezza, comunicando loro gli aiuti per camminarvi e avanzare sicuramente.

Qual'è, in questa moltiplicità di direzioni, il vostro posto, il vostro ufficio, il vostro dovere? Esso si presenta in un duplice aspetto: ufficio e dovere personale, per ognuno di voi, ufficio e dovere della classe a cui appartenete.

Il dovere personale richiede che voi, con la vostra virtù, con la vostra applicazione, vi studiate di divenire dirigenti nella vostra professione. Ben sappiamo infatti che la gioventù odierna del vostro nobile ceto, consapevole dell'oscuro presente e dell'ancor più incerto avvenire, è pienamente persuasa che il lavoro è non solo un dovere sociale, ma  anche una garanzia individuale di vita. E Noi intendiamo la parola professione nel senso più largo e comprensivo, come avemmo già ad indicare lo scorso anno; professioni tecniche o liberali, ma anche attivitità politica, sociale, occupazioni intellettuali, opere d'ogni sorta, amministrazione oculata, vigilante, laboriosa, delle vostre sostanze, delle vostre terre secondo i metodi più moderni e più sperimentati di coltura per il bene materiale, morale, sociale, spirituale, dei coloni o delle popolazioni, che vivono in esse. In ciascuna di queste condizioni voi dovete porre ogni cura per ben riuscire come dirigenti, sia a causa della fiducia che mettono in voi coloro i quali sono rimasti fedeli alle sane e vive tradizioni, sia a ragione della diffidenza di molti altri, diffidenza che voi dovete vincere, guadagnandovi la stima e il rispetto loro, a forza di eccellere in tutto nel posto in cui vi trovate, nell'attività che esercitate, qualunque sia la natura di quel posto o la forma di quell'attività.

In che cosa deve dunque consistere questa vostra eccellenza di vita e di azione, e quali sono i suoi caratteri principali?

Essa si manifesta innanzi tutto nella finitezza dell'opera vostra, sia essa tecnica o scientifica o artistica o altra simile. L'opera delle vostre mani e del vostro spirito deve avere quell'impronta di squisitezza e di perfezione, che non si acquista dall'oggi al domani, ma che riflette la finezza del pensiero, del sentimento, dell'anima, della coscienza, ereditata dai vostri maggiori e incessantemente fomentata dall'ideale cristiano.

Essa si palesa altresì in ciò che può chiamarsi l'umanesimo, vale a dire la presenza, l'intervento dell'uomo completo in tutte le manifestazioni della sua attività anche speciale, in tal guisa che la specializzazione della sua competenza non sia mai una ipertrofia, non atrofizzi mai veli la coltura generale, a quel modo che in una frase musicale la dominante non deve rompere l'armonia opprimere la melodia.

Essa si mostra inoltre nella dignità di tutto il portamento e di tutta la condotta, dignità però non imperiosa, e che lungi dal dare rilievo alle distanze, non le lascia, al bisogno, trasparire che per ispirare agli altri una più alta nobiltà di anima, di spirito e di cuore.

Essa apparisce infine soprattutto nel senso di elevata moralità, di rettitudine, di onestà, di probità, che deve informare ogni parola e ogni atto. Una società immorale o amorale, che non sente più nella sua coscienza e non dimostra più nelle sue azioni la distinzione fra il bene e il male, che non inorridisce più allo spettacolo della corruzione, che la scusa, che vi si adatta con indifferenza, che l'accoglie con favore, che la pratica senza turbamentorimorso, che la ostenta senza rossore, che vi si degrada, che deride la virtù, è sul cammino della sua rovina. L'alta società francese del secolo decimottavo ne fu, fra molti altri, un tragico esempio. Mai società non fu più raffinata, più elegante, più brillante, più affascinatrice. I godimenti più svariati dello spirito, una intensa coltura intellettuale, un'arte finissima di piacere, una squisita delicatezza di maniere e di linguaggio, dominavano in quella società esternamente così cortese ed amabile, ma ove tutto - libri, racconti, figure, arredi, abbigliamenti, acconciature - invitava a una sensualità che penetrava nelle vene e nei cuori, ove la stessa infedeltà coniugale non sorprendeva scandalizzava quasi più. Così essa lavorava alla sua propria decadenza e correva verso l'abisso scavato con le sue stesse mani. Ben altra è la vera gentilezza: essa fa risplendere nelle relazioni sociali una umiltà piena di grandezza, una carità ignara di ogni egoismo, di ogni ricerca del proprio interesse. Noi non ignoriamo con quale bontà, dolcezza, dedizione, abnegazione, molti e specialmente molte di voi, in questi tempi d'infinite miserie ed angosce, si sono chinati sugl'infelici, hanno saputo irradiare intorno a , in tutte le forme più progredite e più efficaci, la luce del loro caritatevole amore. E questo è l'altro aspetto della vostra missione.

Poichè, nonostante ciechi e calunniosi pregiudizi, nulla è tanto contrario al sentimento cristiano e al vero senso e scopo del vostro ceto, in tutti i Paesi, ma particolarmente in questa Roma, madre di fede e di vivere civile, quanto lo stretto spirito di casta. La casta divide la società umana in sezioni o compartimenti separati da pareti impenetrabili. La cavalleria, la cortesia, è d'ispirazione soprattutto cristiana; è il vincolo che unisce tra loro, senza confusione disordine, tutte le classi. Lungi dall'obbligarvi a un superbo isolamento, la vostra origine vi inclina piuttosto a penetrare in tutti gli ordini sociali, per comunicar loro quell'amore della perfezione, della coltura spirituale, della dignità, quel sentimento di compassionevole solidarietà, che è il fiore della civiltà cristiana.

Nella presente ora di divisioni e di odi, quale nobile ufficio vi è stato assegnato dai disegni della Provvidenza divina! Adempitelo con tutta la vostra fede e con tutto il vostro amore! Con tale augurio e inattestato dei Nostri paterni voti per l'anno già cominciato, impartiamo di cuore a voi e a tutte le vostre famiglie la Nostra Apostolica Benedizione (Discorsi e Radiomessaggi di Sua Santità Pio XII, Tipografia Poliglotta Vaticana, 14/1/1945, pp. 273-277).

 

 

 




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