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Pius PP. VI Ubi lutetiam IntraText CT - Lettura del testo |
5. È tuttavia necessario, prima di ogni cosa, considerare che da ciò che avete puntualmente appreso da Noi nella prima e nella seconda occasione, è evidente che fra le facoltà contenute nell’indulto generale Noi non intendevamo affatto includere quella di assolvere gli ecclesiastici intrusi. L’omissione di questa facoltà non può essere riferita a una dimenticanza. Infatti, rivedendo personalmente la Nostra lettera del 13 aprile 1791, nella quale si faceva menzione non solo del delitto di prestato giuramento civile, ma si era anche parlato dell’altro crimine del quale si erano macchiati gli invasori delle sedi vescovili e parrocchiali, non Ci potevano sfuggire gli aspetti pertinenti sia al primo che al secondo delitto. Se nel primo articolo citato fu da Noi ricordato chiaramente l’uno, e passato sotto silenzio l’altro, si può benissimo arguire che la concessione riguardava il caso di cui avevamo parlato e che quello passato sotto silenzio era riservato unicamente a Noi.
6. D’altra parte non lo cederemo mai ad altri, ma riserveremo solo a Noi il potere di assolvere gl’intrusi; il principale motivo senza dubbio è quello che fra l’una e l’altra infamia si frappone quel divario che è stato avvertito dai vostri stessi confratelli e che è evidente agli occhi di tutti. In realtà, per quanto sia grave il delitto imputato a quelli che, mettendo in mezzo anche il vincolo della Religione, si obbligarono ad osservare una costituzione che, stando al parere di tutto il corpo episcopale francese, così come alla Nostra solenne dichiarazione, è in parte eretica e in parte scismatica, tuttavia un’infamia molto maggiore e ben più grave è perpetrata da chi, deliberatamente e consapevolmente, si accinge ad eseguire ciò che aveva promesso sotto giuramento (cioè sacrilegamente o consacrato secondo il rito, se vescovo; sacrilegamente od ordinato secondo il rito, se prete) ed esercita così una missione e un’autorità illegittime e invade le chiese vescovili o parrocchiali; a tal punto separato da questa Sede Apostolica e dai Vescovi legittimi, accumula giorno per giorno, con velocità inaudita, tanti peccati quanti sono gli atti che compie secondo una giurisdizione illegittima; profana inoltre i più alti Sacramenti; induce miseramente le popolazioni nell’errore; porta nel regno una nuova chiesa costituzionale diversa dalla Chiesa di Gesù Cristo, sia nella sostanza che nelle leggi e nel nome; infine traccia di propria mano un’amplissima strada allo scisma. Per rimuovere questo stato di cose, era giusto e doveroso ricorrere alla Santa Sede come quella che più di ogni altro subisce ingiustizia, e che può inoltre usare le opportune misure d’indulgenza che non si potrebbero facilmente e regolarmente applicare se la facoltà di assolvere fosse affidata all’arbitrio di molti.
7. Certamente non vi è ignoto, Venerabili Fratelli, quanta severità usava la Chiesa contro i responsabili di tali delitti. Facendo in ogni caso attenzione alla diversità esistente fra quelli che per loro sfortuna discendevano da genitori eretici o scismatici e quelli che, nati da genitori cattolici, passavano volontariamente dalla parte degli eretici, di fronte a quelli nati nell’eresia e nello scisma e a quelli diventati eretici e scismatici, sempre trattò questi ultimi molto più duramente in quanto considerati maggiormente responsabili. Questa severità di comportamento è stata rivolta in modo ancor più rigido contro gli ecclesiastici, tanto che conosciamo le minacce che furono fatte contro di loro, cioè che se qualcuno si fosse rivolto intenzionalmente ad un eretico e ne avesse ricevuto l’ordinazione, sarebbe stato respinto dalla Chiesa.
8. Questa severissima regola della Chiesa ci è ricordata da Sant’Innocenzo I. Scrivendo a Rufo e agli altri Vescovi della Macedonia, egli insegna che il Vescovo o il chierico ordinato nell’eresia o nello scisma o anche che vi sia caduto in seguito, può usufruire solo della comunione laica, secondo le antiche regole che, tramandate dagli Apostoli e dai loro discendenti, la Chiesa Romana custodisce. Anche se i Padri del primo Concilio di Nicea, usato un certo riguardo verso i Novaziani, concessero benevolenza al canone ottavo stabilendo che se i chierici fossero tornati alla Chiesa avrebbero continuato a far parte del clero, e chi era considerato Vescovo nella sua comunità avrebbe mantenuto l’incarico di prete, sempre che al vero Vescovo non fosse piaciuto confermargli la dignità della carica, tuttavia stabilirono che, prima di tutto, avrebbero dovuto, con argomenti più che convincenti, sconfessare il loro errore; inoltre decretarono che da loro fossero rispettate alcune regole, e cioè, in primo luogo: riconoscere, accogliere e seguire tutte le disposizioni e i dogmi della Chiesa cattolica e apostolica; in secondo luogo: riguardo a quelli che nel corso della persecuzione continuarono a cadere in errore fossero osservati gli spazi fissati e i tempi stabiliti per fare la prova del loro ravvedimento, cioè quei quattro gradi di penitenza che, secondo le norme allora vigenti, dovevano precedere la riconciliazione e la riammissione ai Sacramenti; infine, che abbandonassero le chiese occupate e le lasciassero ai legittimi Vescovi. È infatti cosa certa, come dissero i già citati Padri, che solo al Vescovo titolare deve essere riconosciuta la dignità vescovile e che nella stessa città non possono coesistere due vescovi.