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Pius PP. VI
Ubi lutetiam

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Capp. IX-XII

9. Quando Rufo, Vescovo di Tessalonica, volle ricevere, in forza di questo canone di Nicea, i chierici ordinati dai Vescovi Fotiniani e, al riguardo, chiese consiglio a Sant’Innocenzo I, il Pontefice rispose: "Posso dire che questa prescrizione si riferisce solo ai Novaziani e che non può riguardare gli altri chierici eretici. Infatti, se avessero voluto comprendere tutti, avrebbero aggiunto ai Novaziani gli altri eretici pentiti per farli riammettere nel loro ordine".Senza dubbio il Santo Pontefice, in questa occasione, stabilì che non si può presentare con caratteristiche generali un condono applicato una volta tanto, ed è abbastanza evidente che fu quasi un atto amministrativo "come rimedio e necessità del momento".

10. Non fu diversa l’opinione di San Girolamo. Infatti, parlando al Sinodo di Rimini dei Vescovi caduti in errore, dichiarò che essi, spogliati delle prerogative episcopali, dovessero essere riportati allo stato laicale per piangere in eterno sul loro delitto. Tuttavia il Santo Dottore osservava che si poteva moderare alquanto questo rigore. Perché tale clemenza fosse accompagnata da regole precise, nel Sinodo di Alessandria, al quale intervennero S. Atanasio, S. Ilario di Poitiers S. Eusebio di Vercelli, si ritenne di stabilire che verso i principali delitti e i relativi responsabili, dei quali non si poteva scusare l’errore, si conservasse intatta l’antica regola e che gli altri pentiti sinceri si potessero associare alla Chiesa. Tutta la Chiesa Romana Occidentale diede il suo consenso, come conferma lo stesso San Girolamo.

11. Non ci discosteremo minimamente dall’equità e dall’indulgenza, accettate in seguito dalla Chiesa, se, rispondendo alla vostra domanda generica sulla facoltà di assolvere gli intrusi, distingueremo i preti e gli altri ecclesiastici di ordine inferiore dagli Arcivescovi e dai Vescovi di ordine superiore. Ai preti e agli altri ecclesiastici, in quanto spetti, da Noi inclusi nella quarta e quinta classe della lettera apostolica del 19 marzo scorso, concediamo per un anno, a ciascuno, diletti figli Nostri e Venerabili Fratelli, la facoltà di assolvere direttamente o per mezzo di preti da voi incaricati, tutti coloro che, ordinati sia illegittimamente, sia legittimamente, occuparono un’intera parrocchia o anche una sola parte e, delegati da Vescovi intrusi, vi esercitarono atti ufficiali, e di riportarli in seno alla Chiesa di modo che, rispettando l’indulgenza del predetto canone ottavo del Concilio di Nicea, possano rimanere nel clero.

12. E perché tali assoluzioni non siano elargite inconsultamente o non siano discordanti tra loro. Ci uniformeremo al suddetto Concilio di Nicea e ai principi più favorevoli della disciplina ecclesiastica: ordiniamo che nessuno degli intrusi sia assolto se prima non abbia sconfessato per iscritto il giuramento civico e gli errori contenuti nella Costituzione civile del clero francese e non abbia dichiarato specificamente che le ordinazioni ricevute o concesse dagli intrusi sono sacrileghe, che l’autorità da loro conferita non è valida, che l’intrusione è iniqua e nulla, così come gli atti che ne sono derivati, e non abbia promesso con giuramento di obbedire a questa Sede Apostolica e ai legittimi Vescovi, e infine che abbia realmente rinunciato alla parrocchia o alla parte di essa occupata; rinuncia e abdicazione debbono essere pubbliche così come fu pubblica la colpa, imponendo a ciascuno di essi "secondo ciò che suggeriranno il sentimento e la saggezzacome dicono i Padri Tridentinidelle soddisfazioni salutari e adatte alla qualità del delitto e alla condizione dei penitenti", in sostituzione dei gradi della penitenza pubblica che, vigente al tempo del Concilio di Nicea, è stata più tardi mitigata dalla benevolenza della Chiesa. Riserviamo a Noi la facoltà di permettere, a quelli che saranno assolti, di avere e di conservare i benefici e le parrocchie da loro occupati e posseduti illegalmente.




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