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Pius PP. VI
Quod aliquantum

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Capp. VI-X

6. Richiameremo inoltre alla vostra memoria anche il conforme parere di Pio VI di felice memoria, che in un Breve spedito al Primate, agli Arcivescovi e ai Vescovi del Regno di Polonia in data 5 marzo 1755 tratta di un opuscolo, tradotto e stampato in lingua polacca dalla francese, del quale era stata fatta la prima edizione col titolo Principi sopra l’essenza, la distinzione e i limiti delle due potestà spirituale e temporale. Opera postuma del Padre la Borde dell’Oratorio. In tale libro l’autore assoggettava il ministero ecclesiastico alla potestà secolare in modo che, a suo parere, questa poteva per proprio diritto esaminare e giudicare sul governo esteriore e sensibile della Chiesa. Parlando di questo opuscolo, Benedetto dice: "Un sistema empio e pernicioso, già molto prima dalla Sede Apostolica riprovato ed espressamente condannato come eretico, è appunto quello che, con fallaci ciance e con stile specioso mascherato da religione, e con autorità di Scritture e di Padri affatto stravolti, l’impudente scrittore presenta al fine d’ingannare più facilmente i semplici e gl’incauti". Quindi Benedetto proibì tale opuscolo, lo condannò come fraudolento, falso, empio, ed eretico, e vietò solennemente di leggerlo, di conservarlo, di utilizzarlo ad ogni e qualunque Cattolico, ancorché degno di speciale ed individua menzione, sotto pena della scomunica da incorrersi ipso facto, dalla quale nessuno possa essere assolto se non in punto di morte, e non da altri che dal Romano Pontefice pro tempore. E a dire il vero, quale mai giurisdizione possono avere i laici sulle cose ecclesiastiche, al punto che gli Ecclesiastici debbano assoggettarsi ai loro decreti? Certamente nessuno, che sia cattolico, può ignorare che Gesù Cristo nell’istituire la sua Chiesa diede agli Apostoli e ai loro successori un potere soggetto a nessun altro della terra, come tutti d’accordo riconobbero i Santi Padri sull’ammonimento dato da Osio e da Sant’Atanasio con queste parole: "Non ti ingerire nelle cose ecclesiastiche, né imporre a Noi precetti sopra di esse, ma tu piuttosto apprendili da Noi; Iddio ha dato a te l’Impero, a Noi le cose ecclesiastiche, e siccome chi togliesse l’Impero a te contraddirebbe al divino comando, così preoccupati anche tu di non farti reo di un maggiore delitto traendo a te le cose ecclesiastiche".E fu per questo che San Giovanni Crisostomo, a comprovare quanto ciò sia vero, ricordò quanto era successo ad Oza, "il quale, avendo con la mano sostenuto l’Arca, che altrimenti sarebbe caduta, immediatamente morì perché volle usurpare un ministero che a lui non competeva affatto. Il violare dunque il giorno del Sabato, e semplicemente toccare l’Arca pericolante, mosse Iddio a tanto sdegno, che i rei di questi falli non poterono ottenere da lui alcuna remissione? e poi chi corrompe gli adorabili e santi dogmi, potrà essere scusato, e ottenere perdono? Ciò non è possibile, no, non sarà mai".

7. Questo stesso è stato il parere che hanno espresso nei loro decreti i sacrosanti Concilii, e su ciò convennero anche i vostri Re, fino all’avolo del Regnante, cioè Luigi XV, il quale il 10 agosto 1731 formalmente dichiarò di riconoscere "come suo primo dovere quello d’impedire che in occasione di dispute si mettano in discussione i sacri diritti di un Potere che solo da Dio ha ricevuto il diritto di decidere le questioni appartenenti alla dottrina intorno alla Fede o intorno alla Morale; di fare dei Canoni o delle regole di disciplina riguardanti la condotta dei ministri della Chiesa e dei fedeli nell’ordine della religione; di sistemare i suoi ministri o deporli conforme alle medesime regole, e di farsi ubbidire nell’imporre ai fedeli, secondo l’ordine canonico, non solamente penitenze salutari, ma vere pene spirituali per mezzo di giudizi o di censure, che i primi Pastori hanno il diritto di proferire". Eppure contro un’affermazione così certa e ferma nella Chiesa Cattolica, codesta Assemblea Nazionale si è arrogata la potestà della Chiesa, giungendo a stabilire tante e sì strane cose, le quali sono contrarie sia al Dogma, sia alla disciplina ecclesiastica, costringendo i Vescovi e gli Ecclesiastici tutti a giurare di eseguire quanto essa ha decretato. Di ciò peraltro non deve stupirsi chiunque rileva dalla Costituzione stessa dell’Assemblea che questa a null’altro mira né altro cerca se non l’abolizione della Religione Cattolica e, con questa, anche dell’ubbidienza dovuta ai Re. Con tale disegno appunto si stabilisce come un principio di diritto naturale che l’uomo vivente in Società debba essere pienamente libero, vale a dire che in materia di Religione egli non debba essere disturbato da nessuno, e possa liberamente pensare come gli piace, e scrivere e anche pubblicare a mezzo stampa qualsiasi cosa in materia di Religione.

8. Che queste affermazioni, certamente strane, discendano propriamente e derivino dall’uguaglianza degli uomini fra di loro e dalla libertà naturale, lo ha dichiarato la stessa Assemblea. Ma quale stoltezza maggiore può immaginarsi quanto ritenere tutti gli uomini uguali e liberi in tal modo che nulla venga accordato alla ragione, di cui principalmente l’uomo è stato fornito dalla natura e per la quale si distingue dalle bestie? Quando Dio ebbe creato il primo uomo e lo collocò nel Paradiso terrestre, non gli intimò nello stesso tempo la pena di morte se avesse gustato i frutti dell’albero della scienza del bene e del male? Con questo primo precetto non ne pose egli tosto in freno la libertà? E dopo che l’uomo con la sua disubbidienza si era fatto colpevole, non aggiunse Iddio molti altri precetti, che vennero da Mosè promulgati? "Benché egli avesse lasciato l’uomo in potere delle proprie decisioni, onde fosse poi capace di meritare premio o pena, nondimeno gli aggiunse leggi e comandamenti, affinché volendoli fedelmente osservare gli valessero per sua salute".Ove è dunque quella libertà di pensare e di operare, che i decreti dell’Assemblea attribuiscono all’uomo vivente in società come un diritto immutabile della natura? Dunque, per ciò che risulta da tali decreti, a tenore di essi converrà contraddire al diritto del Creatore, per mezzo del quale noi esistiamo, e dalla cui liberalità si deve riconoscere tutto ciò che siamo e che abbiamo. Oltre ciò, chi non sa che gli uomini sono stati creati non semplicemente per vivere ciascuno come singolo, ma per vivere anche ad utilità e giovamento degli altri? Pertanto, debole come è l’umana natura, è scambievole il bisogno dell’altrui opera per la propria conservazione; ed è per questo che Iddio fornì gli uomini di ragione e di parola, perché sapessero e potessero chiedere aiuto e, richiesti, porgerlo. Pertanto, dalla natura stessa furono indotti ad accomunarsi e ad unirsi in società. Ora, siccome all’uomo appartiene l’uso della ragione, in modo che egli non solo riconosca il Supremo suo creatore, ma lo rispetti e lo veneri con ammirazione, e riconosca che egli stesso e tutte le sue cose derivano da Lui, ed è necessario che fin dal principio del suo vivere egli stia soggetto ai suoi maggiori, che lo possano regolare e ammaestrare, onde gli sia agevole il conformare il tenore della sua vita ai lumi della ragione, ai principi della natura e alle massime della Religione, deriva che il nascere stesso che fa ciascun uomo al mondo prova ad evidenza essere vana e falsa quella così vantata eguaglianza fra gli uomini, e la libertà. "State soggetti, dice l’Apostolo, ché questo è di necessità". Ma perché gli uomini potessero unirsi in civile società, fu inoltre necessario stabilire una forma di governo, per mezzo del quale quei diritti di libertà sono stati vincolati dalle leggi e dalla suprema potestà dei Regnanti; da ciò consegue direttamente ciò che insegna Sant’Agostino dicendo: "È un patto generale della società umana ubbidire ai propri Re".Pertanto, questa potestà non deriva tanto dal contratto sociale, quanto da Dio stesso, autore del retto e del giusto. Ciò pure affermò l’Apostolo nella lettera ai Romani, cap. 13: "Ogni uomo stia soggetto alle Potestà superiori; imperciocché non v’è Potestà che non provenga da Dio, e quelle Potestà che sono qui in terra sono da Dio ordinate. Perciò chi resiste alla Potestà resiste all’ordine di Dio; e coloro che vi resistono si tirano addosso la dannazione".

9. A questo proposito Ci piace riportare un Canone del secondo Concilio di Tours tenuto nell’anno 567, con le cui parole viene scomunicato non solo chiunque presume di contravvenire ai Decreti della Sede Apostolica, ma anche, "ciò che è peggio, chiunque presume d’insegnare in qualsivoglia maniera diversamente dal sentimento proferito per bocca del Vaso di elezione Paolo Apostolo, ispirato dallo Spirito Santo, dato che Paolo stesso, dallo Spirito Santo ispirato, espressamente dice: sia scomunicato chiunque predicherà diversamente da quello che io ho predicato".

10. Ma per confutare una così assurda invenzione di libertà può anche essere sufficiente dire che questo appunto fu lo stolto pensiero dei Valdesi e dei Beguardi condannati da Clemente V con universale approvazione del Concilio Ecumenico Viennese; errore che fu poi seguito dai Wicleffisti e, ultimamente, da Lutero, al quale appartengono le parole "Noi in tutto, e per tutto siamo liberi". Peraltro, ciò che abbiamo detto intorno all’ubbidienza dovuta alle legittime Potestà, non vogliamo affatto che venga preso come se Noi l’avessimo affermato con l’intenzione di attaccare le nuove leggi civili, le quali, come appartenenti al suo governo secolare, il Re stesso poté benissimo approvare. Nell’esporre quanto abbiamo riferito, Noi non abbiamo avuto in animo che costì si ristabilisca il precedente stato civile, sebbene alcuni calunniatori vadano così interpretando e divulgando per rendere in tal guisa odiosa la Religione. In realtà sia Noi, sia voi stessi non altro cerchiamo e ci adoperiamo se non perché i sacri diritti della Chiesa e della Sede Apostolica si mantengano illesi.




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