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Pius PP. VI
Quod aliquantum

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Capp. XXVI-XXX

26. Ma nel Decreto dell’Assemblea viene poi un’altra cosa che sembra anche peggiore, cioè vi si determina che i Vescovi eletti dai propri Dipartimenti si presentino al Metropolitano o al Vescovo seniore per ottenerne la conferma; nel caso in cui questi ricusasse di accordarla, si prescrive che egli debba mettere per iscritto il motivo di tale rifiuto e intanto gli esclusi possono interporre appello d’abuso dinanzi ai Magistrati civili, ai quali apparterrà il potere di giudicare sul giudizio stesso espresso dai Metropolitani o dai Vescovi, che pur sono coloro presso i quali risiede il potere di giudicare sui costumi e sulla dottrina e che, come dice San Girolamo, sono stati stabiliti per tenere lontano il Popolo dall’errore. Ma perché si vegga più manifesto quanto sia illegittimo e incompetente quest’appello ai laici, si vuol richiamare alla mente il celeberrimo esempio dell’Imperatore Costantino. Essendo concorsa molta gente a Nicea per la celebrazione del Concilio, i Vescovi credettero cosa opportuna che vi assistesse di persona l’Imperatore, e ricevesse egli medesimo le accuse contro gli Ariani. Ma l’Imperatore, ricevuti i Libelli che gli erano stati presentati, disse: "A me, che sono semplice uomo, non conviene assolutamente arrogarmi l’esame di simili cose, poiché sia gli accusatori, sia gli accusati sono Sacerdoti". Si potrebbero addurre molti altri esempi di questo genere, ma Noi non vogliamo diffonderci in una cosa così manifesta. Se si volesse produrre in contrario il comportamento tenuto dal figlio dell’Imperatore, Costanzo "nemico vero della Chiesa Cattolica", il quale si arrogava quell’autorità che suo Padre aveva confessato di non avere, è facile rilevare dalle opere dei Santi Atanasio e Girolamo quanto essi detestassero siffatto comportamento.

27. Infine, che altro ha inteso fare l’Assemblea con questi Decreti, se non rovesciare e ridurre al nulla il Vescovato medesimo, quasi in odio di Colui del quale i Vescovi sono Ministri? Ad essi inoltre viene per decreto assegnato uno stabile Consiglio di Preti, che debbono chiamarsi Vicari, e questi si vuole che debbano essere sedici nelle città che contano diecimila anime, e dodici dove il numero degli abitanti fosse minore. I Vescovi vengono inoltre obbligati a prendere altri aggiunti, cioè coloro che erano Parroci delle Parrocchie soppresse, e questi si debbono chiamare Vicari di Gius pieno; in forza di ciò sono esenti dalla subordinazione e soggezione a quei Vescovi a cui sono addetti. Per quanto si riferisce ai primi, sebbene se ne lasci l’elezione all’arbitrio dei Vescovi, nondimeno si inibisce a questi di procedere a qualsiasi atto di giurisdizione (fuorché provvisoriamente) senza il consenso di quelli, e non possono rimuovere nessuno di loro dal Consiglio se non a pluralità di voti del Consiglio stesso. Ma che altro è questo, se non un volere che ciascuna Diocesi venga governata dai Preti, i quali annientino la giurisdizione del Vescovo? E non si viene in questa maniera a contraddire apertamente alla Dottrina, che si legge negli Atti degli Apostoli: "Lo Spirito Santo ha costituito i Vescovi a governare la Chiesa d’Iddio acquistata da lui col proprio Sangue"? Non si sconvolge in tal guisa e non si perturba ogni ordine della sacra Gerarchia? I Preti vengono equiparati ai Vescovi: errore che fu per la prima volta insegnato dal prete Aerio, poi seguito da Wicleff, da Marsilio da Padova, da Giovanni Gianduno, e ultimamente da Calvino, giusta ciò che ha in breve raccolto Pio VI nella sua opera Sinodo Diocesano. Anzi, i Preti sono anteposti agli stessi Vescovi, giacché questi non possono rimuovere nessuno di quelli dal Consiglio, o determinare alcuna cosa se non a pluralità di voti dei Vicari soprannominati. Eppure i Canonici stessi che compongono i Capitoli legittimamente costituiti e formano il Senato delle Chiese, quando sono chiamati a Consiglio non possono dare altro voto che quello che dicesi consultivo, come dimostra Pio VI con l’autorità di due Concilii Provinciali di Bordeaux.

28. Quanto poi ai Vicari del secondo tipo, che vengono chiamati di Gius pieno, è davvero cosa da stupirne, e assolutamente inaudita, che i Vescovi siano tenuti a valersi dall’opera di Preti per rifiutare i quali potrebbero avere validi motivi; tali sostituti tengono il posto di coloro che non sono inabili; inoltre non stanno subordinati agli stessi Vescovi nel servizio di cui si tratta.

29. Ma è necessario che ci inoltriamo più avanti. Quando in codesta Assemblea si è giunti al punto di fissare una legge riguardo al governo dei seminari, quel potere che essa ha concesso ai Vescovi di eleggersi essi stessi dei Vicari dal Corpo del Clero, non lo ha lasciato loro per quanto si riferisce all’elezione dei Superiori o Rettori dei seminari, poiché vuole che questa venga fatta dal Vescovo insieme con i Vicari a pluralità di voti, e proibisce la rimozione dei detti Superiori o Rettori dalla loro carica, quando la maggior parte dei Vicari, come si disse, non vi acconsenta. Qui, chi non vede quanta diffidenza si viene in tal modo a mostrare nei confronti dei Vescovi, a cui appartiene la cura dell’educazione e della disciplina di coloro che poi si dovranno scegliere e destinare all’ubbidienza e al ministero della Chiesa? Nulla peraltro vi è di così certo ed indubitato, quanto questo: che il Vescovo è Capo e Supremo Amministratore dei seminari; e sebbene il Concilio di Trento comandi che alla Disciplina ecclesiastica degli alunni sopraintendano due Canonici, la scelta nondimeno di questi viene rimessa all’arbitrio dei Vescovi, "conforme sarà loro suggerito dallo Spirito Santo", né il Concilio li obbliga affatto a condividere il giudizio o il consiglio di detti Canonici. Presentemente, poi, quale fiducia potranno avere i Vescovi in persone non elette da loro, ma da altri, e questi forse anche appartenenti al numero di coloro che hanno giurato ubbidienza ai Decreti tanto infetti dell’Assemblea Nazionale? Per ridurre infine i Vescovi all’ultima depressione e all’universale avvilimento e compatimento, si dispone che ogni tre mesi venga loro corrisposto, quasi come a mercenari, un sì limitato assegno, che non è più loro possibile sollevare l’indigenza e la miseria dei poveri, che pur formano una gran parte del Popolo, e tanto meno sostenere il grado e il decoro della dignità vescovile. Questo nuovo assegno di congrua ai Vescovi è del tutto diverso da quello che era stato fatto in addietro ai medesimi Vescovi e Parroci in tanti fondi stabili, che essi dovevano amministrare, e dai quali dovevano ritrarre i frutti come padroni. È perciò che noi troviamo destinato anticamente alle Chiese un così detto Manso, come si legge nei Capitolari di Carlo Magno e del Re Lotario: "Vogliamo, ivi si dice, che secondo l’ordine del Signore, e Padre Nostro, si dia un podere di dodici bunnari di terreno lavorato". E poiché le doti assegnate ad alcune Mense vescovili non erano sufficienti, venivano accresciute con l’unione di fondi d’Abbazie, come spesse volte in Francia è avvenuto, ed anche durante il Nostro stesso Pontificato. Ma da ora innanzi l’assegno per il sostentamento dei Vescovi sarà in potestà dei laici che amministrano l’erario, e che potranno anche diminuire la dovuta mercede a chi si opporrà ai perversi decreti di cui si è detto. V’è di più, che essendo stato assegnato a ciascun Vescovo una determinata somma in denaro, nessuno di essi potrà più in avvenire, quando la necessità lo richieda, trovarsi un Suffraganeo, o Coadiutore, perché non avrà di che somministrargli dei frutti della sua Chiesa per il necessario mantenimento adeguato alla dignità. Per certo Noi sappiamo che la necessità di dover prendere un Coadiutore non è un caso così raro ad aversi nelle Diocesi, o per l’età troppo avanzata del Vescovo, o per la cagionevole salute. Per tale motivo un Arcivescovo di Lione chiese ed ottenne dal Papa un Suffraganeo, al quale fu assegnata la congrua sulle entrate della mensa arcivescovile.

30. Abbiamo veduto finora, o Diletti Figli e Venerabili Fratelli Nostri, con indicibile Nostra sorpresa che costì è stata decretata una grande modifica dei principali articoli della Disciplina ecclesiastica, in materia di soppressione, di divisione, di erezione di Sedi Vescovili e di sacrileghe elezioni dei Vescovi; abbiamo altresì veduto i molti danni che ne derivano. Non si dovrà forse dire lo stesso delle soppressioni delle Parrocchie, come Voi stessi nella vostra esposizione avete già rilevato? Ma Noi non possiamo fare a meno di aggiungere che oltre lo stupore per il fatto che è stato affidato alle Assemblee delle Province il compito di dividere le Parrocchie e fissarne i confini, come loro parrà, Ci ha sommamente sorpreso la soppressione di innumerevoli Parrocchie, dato che l’Assemblea Nazionale ha già decretato che nelle città o nei borghi ove non abitano più di seimila persone debba esservi una sola Parrocchia. E come mai potrà un solo Parroco bastare al governo spirituale di un Popolo così numeroso? In proposito Ci sembra molto opportuno riferire che avendo Gregorio IX delegato il Cardinale Corrado a presiedere un Sinodo di Colonia, ed essendo presente al Sinodo un Parroco il quale aspramente insisteva che non si lasciassero colà introdurre i Religiosi dell’Ordine dei Predicatori, il Cardinale lo interrogò: "Quanti sono i tuoi parrocchiani?". Avendogli quello risposto che erano novemila, il Cardinale sbalordito e adirato gli disse: "Chi sei tu, miserrimo, che basti a governare debitamente tante migliaia di sudditi? Non sai, sciaguratissimo fra quanti altri vi sono, che nel tremendo Giudizio tu devi dar conto di tutti questi davanti al Tribunale di Cristo? E ti lamenti se puoi avere tali Coadiutori (cioè i Frati Predicatori) i quali gratuitamente ti alleggeriscono il carico, sotto il quale senza avvedertene tu vai a perire? Poiché dunque con questa doglianza tu stesso ti sei giudicato indegno di cura d’anime, perciò ti privo di ogni pastorale beneficio". E sebbene colà si trattasse di un numero di novemila popolani, mentre qui il Decreto dell’Assemblea non ne assegna più di seimila per ciascun Parroco, chi vorrà nondimeno negare che anche un tal numero eccede di troppo le forze di un solo Parroco, e perciò necessariamente ne deriverà che molti parrocchiani resteranno privi degli aiuti spirituali, né per averli potranno ricorrere ai Regolari, che già sono stati soppressi?




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