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Pius PP. VI
Quod aliquantum

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Capp. XXXI-XXXV

31. Veniamo ora all’usurpazione dei beni ecclesiastici, che è l’altro errore di Marsilio da Padova e di Giovanni Gianduno, condannato da Giovanni XXII con una sua Costituzione, e molto prima dal Pontefice Bonifacio I con un Decreto riferito da parecchi scrittori. "Sia noto e manifesto a tutti che tutto ciò che viene consacrato a Dio, siano uomini, siano animali, siano terreni, o qualsivoglia altra cosa, una volta consacrato sarà sempre sacrosanto ad onore del Signore e di diritto dei Sacerdoti. Pertanto sarà inescusabile chiunque toglie, devasta, o invade le cose che competono al Signore o alla Chiesa, e fintanto che egli non si ravvederà e non darà alla Chiesa la dovuta soddisfazione, sia considerato sacrilego; se poi non vorrà emendarsi, sia scomunicato". Così determinò il VI Concilio di Toledo. Tale decreto viene illustrato da Loaise alla lettera D nel seguente modo: "Che gran delitto sia togliere o distrarre le cose donate con sincera fede dai Cristiani alle Chiese, chiaramente dimostrano molte opere di dottissimi scrittori, che ometto per amore di brevità. Aggiungerò solamente una cosa che trovo scritta nelle Costituzioni Orientali, ed è che Niceforo Foca, libro I, abolì del tutto le donazioni e i lasciti fatti ai Monasteri e alle Chiese, come pure vietò con altra legge che la Chiesa potesse arricchirsi con beni immobili, sostenendo che i Vescovi malamente gettavano ciò che distribuivano ai poveri, mentre i soldati erano in ristrettezze. Una leggetemeraria e piena d’empietà fu tolta dall’Imperatore Porfirogenita Basilio il Giovane con un’altra legge, la quale ho creduto degna di essere qui riportata". Egli dice: "Il nostro potere discende da Dio. Avendo inteso da Monaci di pietà e virtù specchiatissima, e da molti altri, che la legge intorno alle Chiese di Dio e ai sacri Templi, o piuttosto contro le Chiese di Dio e i sacri Templi, fatta dall’allora Dominante Niceforo, il quale invase l’Impero, è stata la causa e la radice dei presenti mali e di questa universale confusione e sovversione (come fatta ad ingiuria e vituperio non solo delle Chiese e dei sacri Templi, ma anche di Dio medesimo) e massimamente avendo ciò toccato con mano per esperienza, perché dal tempo in cui quella legge è stata osservata, fino all’odierno giorno della nostra vita non è accaduto nulla di bene, ma anzi non sono mai mancate calamità e disgrazie d’ogni sorta, ordina e vuole con la presente Bolla d’oro che la predetta legge cessi da questo giorno, e da qui in poi rimanga nulla e di nessun valore, ed abbiano vigore e si osservino le altre leggi che sono state fatte intorno alle Chiese di Dio e ai sacri Templi e alle Case di Religione".

32. Questo fu pure l’antichissimo e costante desiderio sia della nobiltà, sia del popolo dei Franchi. Nell’anno 803 essi presentarono infatti a Carlo Magno preghiere di questo tenore: "Noi tutti genuflessi preghiamo la Maestà Vostra che i Vescovi per l’avvenire non siano vessati per causa di guerra coi nemici, ma quando Voi e noi andiamo contro i nemici, essi risiedano nelle proprie Parrocchie... Desideriamo peraltro che a Voi e a tutti sia noto che noi non domandiamo questo per desiderio che noi si abbia della loro roba o del loro denaro (quando ad essi non piaccia di farcene parte spontaneamente) o che le loro Chiese ne restino prive; ché anzi, se il Signore ci concederà di poterlo fare, desideriamo di dar loro molto di più, perché essi, e Voi e noi siamo più salvi, e meritiamo di piacere maggiormente a Dio col suo aiuto. Sappiamo bene che le cose della Chiesa sono consacrate a Dio e sono oblazioni dei Fedeli e prezzo dei peccati; pertanto se qualcuno toglie tali cose alle Chiese, alle quali sono state donate dai Fedeli e consacrate a Dio, infallibilmente commette un sacrilegio. Pertanto è cieco chi non vede codeste cose. Quindi chiunque di noi consegna cose sue alla Chiesa, le offre e le dedica a Dio Signore e ai suoi Santi, e non ad altri, dicendo così, e così facendo; perciò fa una scrittura delle cose stesse che desidera dare a Dio, e questa scrittura la tiene in mano dinanzi all’Altare, o sopra di esso, dicendo intanto ai Sacerdoti e ai Custodi di quel sacro luogo: Io offro e dedico a Dio tutto ciò che è scritto in questa carta in remissione dei peccati miei, dei genitori, dei figli... Perciò chiunque in appresso toglie tali cose, che altro fa se non un sacrilegio? Se dunque è furto il portar via qualche cosa a un amico, il defraudarla o toglierla alla Chiesa è indubitabilmente sacrilegio... Perché dunque tutte queste cose da Voi, e da noi, o dai Successori Vostri e dai nostri siano osservate per i tempi futuri senza alcuna dissimulazione, ordinate che esse vengano registrate tra le scritture ecclesiastiche, e comandate che siano messe fra i Vostri Capitoli".

33. A simili preci così rispose l’Imperatore: "Noi ora concediamo a tenore di quanto Ci avete domandato... Sappiamo dunque che molti Regni, e i loro Re, sono andati in rovina per questo, perché spogliarono le Chiese e devastarono, alienarono o portarono via le cose di esse; tolsero ai Vescovi e ai Sacerdoti e quel che è peggio alle loro Chiese... E perché più religiosamente queste cose si osservino in avvenire, ordiniamo che nessuno, tanto ai tempi Nostri che nei futuri, osi domandare a Noi, o ai Nostri Successori, in qualunque tempo, senza il consenso e la volontà dei Vescovi nelle cui Parrocchie sono beni di Chiese, o di invaderli, o devastarli, o in qualunque maniera alienarli. Se qualcuno farà ciò tanto ai Nostri tempi, quanto in quelli dei Nostri Successori, soggiaccia alle pene del sacrilegio, e da Noi, dai Nostri Successori, dai Nostri Giudici o Conti sia legalmente punito come sacrilego, omicida o ladro, e dai Nostri Vescovi sia scomunicato".

34. Ma chiunque è interessato in questa usurpazione, legga attentamente la vendetta che il Signore fece su Eliodoro e sui suoi complici che avevano tentato di rapire i tesori dal Tempio; contro loro "lo Spirito dell’Onnipotente Dio si fece vedere e conoscere chiaramente, in modo che tutti quelli che ebbero il coraggio di ubbidire ad Eliodoro, rovesciati a terra per divina virtù, rimasero privi di forze e pieni di spavento. Infatti apparve loro un cavallo, che portava un terribile cavaliere, magnificamente vestito; quello diede furiosamente dei calci coi piedi anteriori ad Eliodoro; il cavaliere che lo montava pareva avesse armi d’oro. Comparvero ancora due altri giovani di virile beltà, maestosi, ornati di vaghe vesti, i quali, stando l’uno da un lato, l’altro dall’altro, accanto ad Eliodoro, lo battevano senza pausa, dandogli molte sferzate. Eliodoro improvvisamente cadde per terra; avvolto com’era da densa caligine, lo pigliaron di peso e in una sedia portatile lo misero fuori": così si legge nel secondo Libro dei Maccabei. Eppure si trattava di danaro che non serviva per le occorrenze dei Sacrifici, né proprio era del Tempio, ma ivi si conservava per sicurezza a sostentamento dei pupilli, delle vedove, e di altri; nondimeno, tenuto conto della violata maestà e santità del Tempio, e della usurpazione dell’altrui roba, il Signore inflisse una pena così grave su Eliodoro e i suoi compagni. Atterrito da questo esempio, l’Imperatore Teodosio desistette dal mettere le mani sul deposito di una vedova, che veniva custodito nella Chiesa di Pavia, come racconta Sant’Ambrogio.

35. E qui chi saprà mai persuadersi che mentre vengono occupati i beni delle Chiese e degli Ecclesiastici Cattolici, per contro i fondi dei Protestanti, fondi che essi avevano invaso quando si ribellarono contro la Religione, vengono preservati in nome delle Convenzioni? Cioè, presso l’Assemblea Nazionale hanno avuto valore le Convenzioni fatte con i Protestanti, ma non l’hanno avuto affatto le Sanzioni canoniche e i Patti di questa Santa Sede col Re Francesco I; si è voluto compiacere ai Protestanti in una materia in cui si rovinava il Sacerdozio di Dio. Ma chi non comprende che in questa occupazione dei beni ecclesiastici, fra le altre cose si ha in animo e si persegue lo scopo di profanare i sacri Templi, di rendere i ministri della Chiesa spregevoli a tutti, e di dissuadere altri in avvenire dallo scegliere il divino ministero? Infatti, non appena si è cominciato ad usurpare i beni ecclesiastici, subito è seguita l’abolizione del culto divino, si sono chiusi i Templi, rimosse le sacre suppellettili, e si è fatto cessare nelle Chiese il canto dei divini uffici. Fino ad ora la Francia aveva potuto vantarsi che fossero stati in fiore i Collegi, o Capitoli dei Chierici Secolari, già fin dal VI secolo, come si può vedere presso Gregorio di Tours, e come risulta da altri documenti riferiti dal Mabillon negli antichi Analecti, e dal Concilio III d’Orléans tenuto nell’anno 538. Ma adesso la Francia medesima è costretta a deplorarne l’abolizione, che con tanta ingiustizia e indegnità è stata determinata dall’Assemblea Nazionale. La principale occupazione dei Canonici era di cantare assieme, ogni giorno, nelle Chiese le divine lodi, come si apprende dalle Vite dei Vescovi di Metz presso Paolo Diacono, ove si legge "che il Vescovo Crodegando comandò che il Clero, ammaestrato benissimo nella legge divina e nel canto romano, osservasse le usanze e il rito della Chiesa Romana".




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