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Pius PP. VI
Quod aliquantum

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Capp. XXXVI-XL

36. Quando l’Imperatore Carlo Magno trasmise al Papa Adriano I un’opera intorno alle sacre immagini per sottoporla al suo esame, il Pontefice si valse di questa opportunità per esortarlo a far sì che molte Chiese di Francia, le quali un tempo rifiutavano di uniformarsi alla tradizione della Sede Apostolica nel salmeggiare, l’abbracciassero con ogni premura ed esattezza per essere in questo modo conformi alla stessa Sede nel salmeggiare, come le erano conformi nel credere. Le parole di Carlo Magno, che sono piuttosto diffuse, si possono leggere presso il Giorgi nell’opera Liturgia del Romano Pontefice. Il medesimo Imperatore volle inoltre che nel Monastero Centulese si istituisse una scuola di cantori simile a quella che istituì in Roma San Gregorio Magno, e vi si mantenessero cento giovanetti, i quali, divisi in tre cori, servissero ai Monaci in aiuto al salmeggiare e al cantare. Ed è certo – come recentemente è stato confermato dal monaco Colomanno Sanfel, bibliotecario nel Monastero di Sant’Emmerano di Ratisbona in una sua Dissertazione (a Noi dedicata) sopra un prezioso ed antichissimo Codice Evangeliario manoscritto del medesimo Monastero – che "fino dai primi tempi i Vescovi Francesi e Spagnoli curarono con gran premura che in ogni Provincia si osservasse un Rito uniforme nei Divini Uffici. Esistono vari Decreti intorno a ciò tanto presso i Francesi, che presso gli Spagnoli. Insigne è fra le altre una Costituzione del Concilio IV di Toledo (tenuto nell’anno 531), i cui Padri, dopo aver esposto ciò che è da credersi per fede cattolica, nessun’altra cosa ebbero maggiormente a cuore quanto d’introdurre una maniera uniforme di salmeggiare".1 Questo così antico Rito viene indicato anche dal Mabillon nella sua disquisizione De cantu Gallicano.

37.Dunque, fino dai più antichi secoli la Chiesa Gallicana si adoperò tanto per introdurre il canto e stabilirlo, affinché i suoi Ecclesiastici costituiti nel grado di Canonici decorosamente si impiegassero nei Sacri Uffici, e perché i fedeli attratti da sì decorose funzioni accorressero maggiormente alle Chiese per contemplare i divini Misteri e ottenere la riconciliazione con Dio mediante la sua grazia. Al presente, l’Assemblea Nazionale col suo Decreto, non senza grave scandalo di tutti, ha improvvisamente tolto, atterrato e abolito tutto ciò, seguendo in questa parte (come in tutti gli altri articoli del Decreto) le massime degli Eretici, e particolarmente i deliri dei Wicleffisti, dei Magdeburghesi Centuriati e di Calvino, i quali tutti si sono scagliati con furore contro l’antichità e l’uso del canto ecclesiastico; ampiamente li confuta il P. Martino Gerbert, Abate del Monastero e della Congregazione di San Biagio della Selva Nera, il quale quando nell’anno 1782 Noi andammo per motivi di Religione a Vienna, fu più volte da Noi, e si dimostrò persona ben meritevole dell’insigne credito e della fama che si è universalmente acquistati.

38. Ma gli autori del Decreto debbono attentamente riflettere a ciò che nel Sinodo di Arras dell’anno 1025 storicamente e dogmaticamente viene pronunziato contro i nemici della salmodia ecclesiastica, perché si ricoprano di sempre maggiore confusione:"Chi può dubitare che Voi non siate agitati dallo spirito immondo, mentre ciò che è stato promulgato e istituito per ispirazione dello Spirito Santo, vale a dire l’uso di salmeggiare nella Santa Chiesa, lo rigettate, e quasi fosse un culto superstizioso lo imputate ad errore? L’Ordine Ecclesiastico ha preso questa forma di salmeggiare non già da ridicole o giocose costumanze, bensì dai Padri dell’Antico e Nuovo Testamento... Onde è ben chiaro che debbono essere cacciati dal grembo di Santa Chiesa coloro i quali giudicano che questa maniera di salmeggiare non appartenga al culto divino... Manifesta cosa è dunque che questi tali non discordano dal loro capo, cioè dal diavolo, il quale è capo di tutti gl’iniqui, ed avendo ben cognizione della Santa Scrittura tenta di rovesciarla a forza di sinistre interpretazioni".Per ultimo se in codesto Regno cadranno il decoro e il culto della Casa di Dio, ne deriverà per necessaria conseguenza che diminuirà il numero degli Ecclesiastici, e succederà ciò che Sant’Agostino dice essere accaduto al Popolo Ebreo: "Il quale, dappoiché cominciò a non aver più profeti, diventò indubbiamente peggiore, proprio in quel tempo in cui sperava di divenire migliore".

39. Proseguendo ora il cammino iniziato, veniamo agli stessi Regolari, i cui beni l’Assemblea Nazionale si è attribuita, sotto un titolo però meno odioso, cioè per potersi servire delle loro entrate: il che, peraltro, in realtà, quanto poco si discosta dalla vera proprietà di dominio! Col Decreto cioè del 13 febbraio 1790, confermato dopo sei giorni con la Regia Sanzione, furono soppressi tutti gli Ordini dei Regolari, con proibizione altresì che se ne ammettessero altri in avvenire. Ma di quanta utilità siano alla Chiesa tali Istituti, lo deduce dalla stessa esperienza il Concilio di Trento: "Poiché il Santo Concilio non ignora quanto di splendore e di vantaggio ridondi nella Chiesa di Dio dai Monasteri piamente fondati e bene a dovere governati".Invero gli Ordini dei Regolari furono con somme lodi celebrati da tutti i Padri della Chiesa, e fra questi massimamente da San Giovanni Crisostomo, il quale contro gli oppositori dei Religiosi scrisse tre interi libri pieni di forza e di energia. E dopo che San Gregorio Magno ebbe ammonito l’Arcivescovo di Ravenna, Mariniano, "Che non facesse aggravio alcuno a danno dei Monasteri, ma li dovesse difendere, e con ogni suo mezzo accrescerli di Religiosi", convocò un Concilio di Vescovi e di Preti e in esso fece questo Decreto: "Che nessuno dei Vescovi o dei Secolari osi in avvenire, trattandosi di entrate, di robe, o carte dei Monasteri, di celle, o di ville, che ad essi appartengono, operarne la minima diminuzione in qualunque maniera, o in qualsivoglia occasione, o per frode, o di fare alcun atto violento per occuparle". Sorse poi nel secolo XIII Guglielmo del Santo Amore, il quale con un libro intitolato Dei pericoli degli ultimi tempi si adoperò con il maggior impegno per dissuadere le persone dal convertirsi e dall’abbracciare lo stato religioso: ma questo libro, essendo stato esaminato dal Pontefice Alessandro IV, fu definito iniquo, scellerato, esecrabile e indegno.

40.Contro il suddetto Guglielmo scrissero, e lo confutarono, i due Dottori della Chiesa San Tommaso d’Aquino e San Bonaventura. E poiché questa medesima condannata opinione fu rinnovata da Lutero, soggiacque anch’egli alla condanna che ne fece il Pontefice Leone X. Parimenti in uno dei Concilii di Rouen dell’anno 1581 i Vescovi furono esortati a difendere i Regolari che servivano loro di sussidio, ad averli cari, e a sostentarli come loro coadiutori, a considerare tutte le ingiurie ed offese fatte ad essi come proprie e a cercare di preservarli. Saranno sempre memorabili i pii desideri di San Ludovico IX Re di Francia, il quale aveva in animo che i due figliuoli nati nel tempo della spedizione d’Oriente, giunti che fossero agli anni della ragione, venissero educati in Monastero, uno presso i Domenicani, l’altro presso i Frati Minori, affinché fossero istruiti nei sacri studi, e s’innamorassero della pietà e della religione, ardentemente sperando che ammaestrati con salutari insegnamenti, ove fosse piaciuto al Signore di chiamarli, a suo luogo e tempo si facessero religiosi in quegli Istituti. Recentemente gli autori dell’opera intitolata Nuovo Trattato di Diplomatica, nel confutare i nemici delle esenzioni dei Regolari, hanno così esclamato: "Quale attenzione possono dunque meritarsi le declamazioni che fa lo storico del Diritto pubblico Ecclesiastico Francese, contro i privilegi accordati ai Monasteri? Privilegi, egli dice, ed esenzioni che non si sono potuti accordare senza rovesciare la Gerarchia, senza ledere i diritti del Vescovato, e che sono veri abusi, e ne hanno prodotto dei molto rilevanti? Che temerità è questa d’inveire in tal guisa contro una disciplina così antica, e così autorizzata nella Chiesa, e nello Stato!".




1 Vedasi il Canone 2.




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