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Pius PP. VI Quod aliquantum IntraText CT - Lettura del testo |
51. Ma codesta Assemblea non solo ha imitato Enrico II, ma anche l’Ottavo, il quale avendo usurpato a proprio favore il Primato della Chiesa Anglicana, ne trasferì tutto il potere a Cromwell, seguace di Zuinglio, e lo dichiarò suo Vicario generale nelle cose spirituali, affidando a lui la visita di tutti i Monasteri del Regno. Questi poi ne diede l’incarico nella sua Provincia a Cranmer, suo strettissimo amico e del suo stesso pensiero, usando intanto ogni mezzo perché venisse stabilito questo Primato ecclesiastico del Re, e si riconoscesse in lui tutto quel potere che dal Re del Cielo Cristo Signore era stato dato e affidato alla sola ed unica Chiesa. Si eseguivano le visite dei Monasteri, e queste consistevano nella loro soppressione e nel sacrilego saccheggio dei beni ecclesiastici; nel tempo stesso si cercava di sfogare l’odio contro il Romano Pontefice e di soddisfare al desiderio dell’altrui roba, e all’avarizia. Come allora Enrico VIII finse che la formula del giuramento proposta dai Vescovi non altro importasse che una civile, secolare ubbidienza e fedeltà, quando peraltro nei fatti veniva a comprendere l’abolizione dell’Autorità Pontificia, così al presente il partito maggiore dell’Assemblea Nazionale di Francia nell’assegnare a quel suo Decreto il titolo "Sopra la Costituzione Civile del Clero" ha realmente abrogato tutta la potestà del Capo della Chiesa, vietando ai Vescovi di avere con Noi qualsiasi rapporto, se non il solo di avvertirci di quanto è già stato fatto e compiuto senza il Nostro intervento. Chi non giudicherà che quei membri dell’Assemblea non abbiano avuto in mente, e si siano proposti di adottare nella loro Costituzione i Decreti dei Re d’Inghilterra Enrico Secondo, ed Ottavo? Poiché, diversamente, come mai avrebbero potuto usare la medesima ed espressa forma di quelli? Con una differenza tuttavia: che i recenti Decreti sono alquanto peggiori di quelli antichi.
52. Ma dopo aver già compiuto il confronto di ciò che fecero i due Enrico e l’Assemblea Nazionale, verremo ora a fare parimenti il confronto fra il Vescovo di Autun e gli altri Colleghi suoi. Per non stancarci nel seguire tutto minutamente, basterà tener sotto l’occhio il Decreto stesso dell’Assemblea, sulle cui parole egli ha prestato il giuramento senza alcuna eccezione. In questo modo sarà più facile giudicare del diverso credito da dare al Vescovo di Autun e agli altri Vescovi. Questi, camminando senza macchia nella via della legge del Signore, hanno dimostrato una somma fermezza d’animo nel mantenere il Dogma e la Dottrina dei loro Predecessori, nello stare uniti alla prima Cattedra di Pietro, nell’esercitare e sostenere i loro Diritti, nell’opporsi alle novità, nell’aspettare la Nostra risposta, da cui poter conoscere come comportarsi. La voce di tutti loro è stata una sola, e una sola la confessione, come una sola è la Fede, una sola la tradizione, una sola la disciplina. Noi per verità siamo sorpresi nel vedere che da tali esempi e dal comportamento dei Vescovi, quello di Autun non è rimasto affatto colpito. Un simile confronto lo fece ai suoi tempi il vescovo di Meaux, Bossuet, autore presso voi celeberrimo e per nulla sospetto) fra i due Tommasi, cioè l’Arcivescovo di Canterbury l’uno, l’altro il Cranmer; questo confronto da lui fatto stimiamo bene inserirlo qui, appunto perché chiunque leggerà queste cose, vegga quanto il caso è simile al Nostro d’adesso. "San Tommaso di Canterbury resistette a iniqui Monarchi; Tommaso Cranmer prostituì loro la sua coscienza e lusingò le loro passioni. Quegli, bandito, privato dei suoi beni, perseguitato nei parenti e nella sua propria persona, afflitto in ogni maniera, comprò la gloriosa libertà di dire la verità come egli la credeva, con un coraggioso disprezzo della vita, e di tutti i propri comodi. L’altro, per piacere al suo Principe, passò la vita in una vergognosa simulazione, e operò sempre contro la propria fede. Quegli combatté fino al sangue per i più piccoli diritti della Chiesa, e sostenendo le sue prerogative, tanto quelle acquistatele da Gesù Cristo con il suo sangue, quanto quelle donatele dalla pietà dei Re, egli difese anche la parte esterna della Santa Città. Questi consegnò ai Re della terra il più intimo deposito, la parola, il culto, i Sacramenti, le chiavi, l’autorità, le censure, la fede stessa: tutto infine fu messo sotto il giogo, ed essendo stata riunita al Trono Reale tutta la potestà ecclesiastica, non rimase alla Chiesa altra forza e potere che quanto piace al secolo di lasciarle. Quegli, infine, sempre intrepido e sempre pio nel corso della sua vita, lo fu anche maggiormente nell’ora estrema. Questi, sempre debole e sempre tremante, lo fu più che mai nell’avvicinarsi alla morte; all’età di sessantadue anni sacrificò a un miserabile resto di vita la sua fede e la sua coscienza. Così egli non ha lasciato che un nome odioso fra gli uomini, e tale che nel suo stesso partito per scusarlo ricorrono a ingegnosi raggiri, che sono smentiti dai fatti. Ma la gloria di San Tommaso di Canterbury vivrà quanto la Chiesa, e le sue virtù, ammirate a gara dalla Francia e dall’Inghilterra, non saranno dimenticate giammai".
53. Ma è motivo di maggior stupore come il Vescovo di Autun non rimanesse colpito dalla dichiarazione che fece il Capitolo della sua Cattedrale il I dicembre dell’anno scorso, e come non arrossisse di essersene tirato addosso il biasimo e di dover prendere istruzione dal suo Clero, al quale era stato parificato: dal suo Clero al quale avrebbe dovuto essere di guida nell’esempio e nella dottrina. In quella sua dichiarazione il Clero di Autun, richiamandosi agli autentici principi della Chiesa, inveisce in questo modo contro gli errori contenuti nel Decreto: "Il Capitolo d’Autun dichiara: 1. di aderire formalmente all’esposizione dei principi sulla Costituzione del Clero data dai Vescovi deputati all’Assemblea Nazionale il 30 ottobre passato. Dichiara: 2. che senza mancare ai doveri della sua coscienza non può partecipare né direttamente né indirettamente all’esecuzione del piano della nuova Costituzione del Clero, e specialmente a ciò che riguarda la soppressione delle Chiese Cattedrali, e che in conseguenza esso continuerà le sue funzioni sacre e canonicali, come pure l’adempimento delle numerose fondazioni, di cui la sua Chiesa è gravata, finché sia ridotto all’assoluta impossibilità di soddisfarle. Dichiara: 3. che come conservatore dei beni e dei diritti del Vescovato, e in virtù della giurisdizione spirituale che è devoluta alle Chiese Cattedrali durante la vacanza del seggio episcopale, non può acconsentire ad alcuna nuova circoscrizione che venga fatta della Diocesi di Autun dalla sola autorità temporale".
54. Intanto non vogliamo che il Vescovo di Autun e chiunque altro lo abbia seguito nello spergiuro ignorino che i Vescovi intervenuti al Concilio di Rimini, ingannati dall’equivoca e fraudolenta formula inventata dagli Ariani e atterriti anche dalle minacce dell’Imperatore Costanzo, sottoscrissero, benché fossero stati avvertiti della sentenza del Pontefice Liberio che se avessero persistito nell’errore "sarebbero stati puniti col rigore spirituale della Chiesa Cattolica". Per opera altresì di Sant’Ilario, Vescovo di Poitiers, fu cacciato dalla Chiesa d’Arles il Vescovo Saturnino, perché ostinatamente persisteva nella concezione dei Vescovi Ariani. Finalmente la sentenza di Liberio fu confermata per mezzo di San Damaso con una lettera sinodica emanata in un Concilio di novanta Vescovi, affinché anche gli Orientali potessero pubblicamente dichiararsi pentiti del loro errore, se volevano essere considerati Cattolici ed esserlo realmente. "Crediamo poi [così dicesi in quella lettera] che se saranno restii a ritrattarsi, non si tarderà a separarli dalla Nostra comunione e a toglier loro il nome di Vescovo, perché respirino i Popoli liberati dall’errore dei propri Pastori".
55. Non si può negare in nessun modo che il Vescovo di Autun e i suoi seguaci si sono posti da se stessi in uno stato simile a quello di coloro che soggiacquero, come si è detto, alla sentenza di Liberio, d’Ilario e di Damaso, e perciò se non ritratteranno quel giuramento che hanno dato, sappiano fin da ora che cosa dovranno aspettarsi. Ciò che abbiamo asserito ed esposto fin qui, non abbiamo ricavato dalla Nostra mente, ma dalle più pure fonti della sacra Dottrina, come vedete. Ora poi ci rivolgiamo a voi, Fratelli Nostri carissimi e desideratissimi, allegrezza Nostra e Nostra corona, benché non abbiate bisogno dello stimolo di alcuna esortazione, giacché Noi stessi in voi ci gloriamo per la vostra Fede in mezzo a tutte le angustie, persecuzioni e tribolazioni che avete fin qui coraggiosamente sostenute, e altresì per le egregie istruzioni pubbliche da voi fatte, che apertamente attestano il giusto dissenso che voi fate ai Decreti di codesta Assemblea; nondimeno, poiché siamo giunti a tempi sì miseri e calamitosi, che coloro a cui pare di essere ben fermi nella via del Signore debbono diligentemente e in ogni cosa essere vigilanti e guardinghi, perciò, come richiede il dovere della cura pastorale a Noi affidato sebbene senza alcun merito Nostro, esortiamo con la maggiore e possibile efficacia voi Diletti a conservare con tutto il fervore degli animi la concordia fra voi medesimi, perché tenendo unite le premure, l’opera e i consigli, con un solo spirito possiate per divina mercé difendere la Religione Cattolica dalle insidie e dai tentativi dei nuovi Legislatori. Poiché ad aprire largo campo agli avversari non può esservi cosa più favorevole che la divisione degli animi vostri, fra loro discordi, così a chiudere a quelli ogni ingresso e ad atterrarne tutte le macchinazioni non vi è cosa tanto opportuna ed efficace quanto la concordia e l’unanime vostro consenso. Queste sono quasi le stesse parole con cui San Pio V, Nostro predecessore, esortò il Capitolo e i Canonici della Chiesa di Besançon, i quali si trovavano in situazioni simili. Siate dunque d’animo forte e costante, non desistete dall’impresa, anche di fronte a pericoli o minacce, e ricordatevi come Davide rispose da impavido al Gigante, gli intrepidi Maccabei ad Antioco, e così Basilio a Valente, Ilario a Costanzo, Ivone di Chartres al Re Filippo. Noi dal canto Nostro, rinnovammo già pubbliche preghiere; esortammo il Re a non voler apporre la sua sanzione; avvisammo i due Arcivescovi che erano accanto al Re su come dovevano comportarsi, e al fine di potere, per quanto era da Noi, disarmare e ammorbidire il furore di codesto che chiamano Terzo Stato, demmo ordine che interinalmente si sospendessero le esazioni di quelle tasse, che in forza di antiche convenzioni e della perpetua consuetudine sono dovute ai Nostri uffici per i trattati con la Francia. Da tale Nostra liberalità abbiamo riportato per amarissima ricompensa il dolore procuratoci dalla ribellione degli Avignonesi alla Sede Apostolica: ribellione eccitata e alimentata da alcuni dell’Assemblea e contro la quale Noi e questa Sede Apostolica non cesseremo di protestare. Ci siamo fin qui astenuti dal dichiarare separati dalla Chiesa Cattolica gli autori della malaugurata Costituzione Civile del Clero. Infine abbiamo fatto e sofferto di tutto per evitare, con la Nostra dolcezza e la Nostra pazienza, un deplorabile scisma e per invocare la pace per voi e la vostra Nazione. Anzi, inerendo ai principi di Paterna Carità con cui Ci siamo fin qui diretti e ai quali voi stessi vi siete ispirati, così come abbiamo compreso dai sentimenti con i quali chiudete il vostro esposto, vi chiediamo e vi supplichiamo a volerci significare e dichiarare che cosa giudichiate doversi fare presentemente da Noi, perché si ottenga la riconciliazione degli animi. A tanta distanza dai luoghi, Noi non possiamo conoscere ciò con chiarezza; ma da voi, che siete presenti, può forse esserci prospettata qualche soluzione (per niente aliena dal Dogma cattolico e dalla disciplina generale) che possiamo esaminare e sulla quale decidere. Non Ci resta altro che pregare Dio perché serbi a Noi e alla sua Chiesa, sani e salvi per lunghissimo tempo, così veglianti e saggi Pastori, e accompagniamo questo Nostro desiderio con l’Apostolica Benedizione, che diamo a voi tutti, o Diletti Figli e Venerabili Fratelli Nostri, dall’intimo del Nostro cuore e col più tenero affetto.