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Testamenti dei Dodici Patriarchi

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II.

 

[1] "Ascoltate, figlioli miei, Simeone, vostro padre. Voglio dirvi che cosa tengo nel mio cuore. [2] Nacqui da Giacobbe, secondo figlio a mio padre, e mia madre Lia mi chiamò Simeone, perché il Signore aveva ascoltato la sua preghiera. [3] Io ero fortissimo, non avevo paura ad agire non temevo nulla [4] il mio cuore era forte, il mio fegato irremovibile,

le mie viscere senza compassione

[5] Perché anche il coraggio é dato agli uomini dall'Altissimo, sia quello dello spirito, sia quello fisico]. [6] Quando ero giovane, ero molto invidioso di Giuseppe, perché mio padre lo amava più di tutti gli altri. [7] Indurii il mio fegato contro di lui, da ammazzarlo, perché il signore dell'inganno e lo spirito dell'invidia mi aveva accecato la mente, cosicché

non lo potevo più guardare come fratello, né risparmiare mio padre, Giacobbe. [8] Ma il suo Dio e Dio dei nostri padri mandò il suo angelo e lo protesse dalle mie mani.

[9] Quando andai a Sichem a portare unguenti per i greggi e Ruben (andò) a Dothaim, dove erano tutti i nostri strumenti e le nostre provviste, mio fratello Giuda lo vendette agli Ismaeliti. [10] Quando Ruben lo seppe, se ne addolorò, ché avrebbe voluto riportarlo al padre. [11] Io, invece, quando seppi la cosa, mi adirai contro Giuda, perché lo aveva lasciato andare vivo: per cinque mesi restai adirato contro di lui. [12] Ma il Signore mi tenne legato e mi impedì di usare le mani, perché la mia mano era diventata per sette giorni mezza secca. [13] Allora io riconobbi, figlioli, che ciò mi era capitato a causa di Giuseppe. Feci penitenza e piansi; pregai il Signore Iddio che la mia mano guarisse e fossi libero da ogni contaminazione e invidia, nonché da ogni stoltezza. [14] Riconobbi infatti di aver meditato un'azione cattiva davanti al Signore e davanti a Giacobbe mio padre, a causa di Giuseppe mio fratello, perché lo avevo invidiato.

 

 




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