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Pius PP. IX
Singulari quadam

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Capp. IV-VI

4. E non è già questo un piccolo bene, Venerabili Fratelli, essendo come un primo passo verso la verità, ma vi sono pure molte cose ancora che distolgono e ritengono gli uomini dall’abbracciarla pienamente. Infatti vi sono molti tra i reggitori delle cose pubbliche i quali si spacciano per favoreggiatori e difensori della religione; la lodano altamente e la predicano per adattissima ed utilissima alla società umana, e nondimeno pretendono di regolarne la disciplina, di governare i sacri ministri, di frammischiarsi nell’amministrazione delle cose sacre e, in una parola, si sforzano di confinare la Chiesa entro i limiti dello Stato e d’imporre dominio a lei che pure è di sua natura indipendente, e che per divino volere non deve essere contenuta dai confini di nessun impero, ma bensì dilatarsi fino alle ultime regioni ed abbracciare tutte le genti e tutti i popoli per mostrare loro ed agevolare il cammino dell’eterna beatitudine.

5. Ed ohimè! nell’atto stesso che Noi diciamo questo, Venerabili Fratelli, nello Stato del Piemonte viene proposta una legge con cui si aboliscono gl’istituti regolari ed ecclesiastici, ed i diritti della Chiesa sono interamente calpestati, e se fosse possibile annientati. Però di quest’affare così grave tratteremo altra volta in questo stesso luogo. Ma, oh! conoscessero pur una volta codesti avversari della libertà della religione cattolica, quanto essa contribuisca al bene dello Stato, essa che ad ogni cittadino propone ed inculca, secondo la dottrina che ha ricevuto dal cielo, l’osservanza dei propri doveri, e si persuadessero alla fine di quel che un giorno scriveva a Zenone imperatore il Nostro Predecessore San Felice: "Nulla tornare più utile ai Principi, che il lasciare alla Chiesa il libero uso delle sue leggi, essendo in ciò riposta la loro salute; dove si tratta delle cause di Dio, si studino non già d’imporre, ma di sottoporre la regia volontà ai sacerdoti di Cristo".

6. Vi sono inoltre, Venerabili Fratelli, alcuni uomini insigni per dottrina i quali confessano bensì la religione essere un dono sopra tutti eccellentissimo, conferito da Dio ai mortali, ma nel tempo stesso tengono la ragione umana in sì gran pregio e tanto la esaltano che giungono con solenne follia a pareggiarla alla religione medesima. Quindi, a norma della loro sciocca opinione, si vogliono trattare le discipline teologiche non altrimenti che le filosofiche, benché quelle si fondino sui dogmi della fede, dei quali non v’è cosa più salda e più stabile, e queste invece si spieghino coi lumi dell’umana ragione, della quale nulla v’è di più incerto, variando essa secondo il variare degl’ingegni, ed andando soggetta ad innumerevoli fallacie ed inganni. E così rigettata l’autorità della Chiesa, si aprì larghissimo campo a difficilissime e recondite questioni d’ogni maniera, e l’umana ragione, confidando troppo e liberamente nelle sue deboli forze, cadde in turpissimi errori, i quali non abbiamo qui né spaziovolontà di riferire, essendo a Voi ben noti, e che ricaddero a danno, e danno gravissimo della Religione e dello Stato. Per la qual cosa, a costoro, che esaltano oltre il giusto le forze della ragione umana, bisogna mostrare che ciò è del tutto contrario a quella verissima sentenza del Dottore delle genti: "Se qualcuno ritiene di valere qualcosa pur essendo una nullità, egli stesso si perde". Bisogna dimostrare loro quanto sia arrogante proposito scrutare i misteri che il clementissimo Iddio degnò rivelarci, e osare di penetrarli e comprenderli con la mente umana così ottusa ed angusta, mentr’essi vincono di gran lunga le forze del nostro intelletto che, secondo il detto del medesimo Apostolo, si deve inchinare in fede ossequiosa.




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