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Paolo
Atti di Paolo

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1. ATTI DI PAOLO E TECLA *  

[1] Paolo a Iconio. Allorché Paolo, fuggito da Antiochia, saliva a Iconio, aveva come compagni di viaggio Demas ed Ermogene, il calderaio, i quali pieni di ipocrisia adulavano Paolo facendo mostra di volergli bene.

Paolo, non vedendo altro che la bontà di Cristo non nutriva verso di loro alcun sospetto, anzi dimostrava molto affetto, spiegava e rendeva ad essi gradite tutte le parole del Signore, sull'insegnamento e sull'interpretazione del vangelo, sulla nascita e sulla risurrezione del prediletto, narrando parola per parola tutte le grandezze di Cristo, come gli erano state rivelate.

[2] Un uomo, di nome Onesiforo, avendo udito che Paolo si avvicinava a Iconio, uscì per andargli incontro con i suoi figli Simia e Zerro e con la moglie Lettra per offrirgli ospitalità. Era stato Tito, infatti, a descrivergli l'aspetto di Paolo, non conoscendolo egli fisicamente, ma solo spiritualmente.

[3] Egli percorreva la via regia che conduce a Listra, si fermava ad attenderlo e osservava attentamente i passanti in base alla descrizione di Tito. Scorse Paolo che stava venendo: era un uomo di bassa statura, la testa calva, le gambe arcuate, il corpo vigoroso, le sopracciglia congiunte, il naso alquanto sporgente, pieno di amabilità; a volte infatti aveva le sembianze di un uomo, a volte l'aspetto di un angelo.

[4] Quando vide Onesiforo, Paolo sorrise. Onesiforo gli disse: "Salve, ministro di Dio benedetto!". Ed egli a lui: "La grazia sia con te e con la tua famiglia!". Ma Demas ed Ermogene, ingelositi, divennero ancora più ipocriti, tanto che Demas esclamò: "Noi non siamo forse del Benedetto, che tu non ci hai salutati allo stesso modo?". Onesiforo rispose: "Non vedo in voi alcun frutto di giustizia. Se tuttavia anche voi siete dei loro, venite a casa mia e ristoratevi".

[5] Quando Paolo entrò nella casa di Onesiforo, ci fu una gioia grande: le ginocchia si piegarono, fu spezzato il pane e fu annunciata la parola di Dio sulla continenza e sulla risurrezione. Paolo diceva:

"Beati i puri di cuore, poiché essi vedranno Dio.

Beati quelli che custodiscono casta la carne, poiché essi diverranno tempio di Dio.

Beati i continenti, perché Dio si intratterrà con essi.

Beati quelli che hanno rinunziato a questo mondo, poiché essi saranno graditi a Dio.

Beati coloro che hanno la moglie come se non l'avessero, poiché essi erediteranno Dio.

Beati quelli che hanno il timore di Dio, poiché essi saranno angeli di Dio.

[6] Beati quelli che temono le parole di Dio, poiché essi saranno consolati.

Beati quelli che accolgono la sapienza di Gesù Cristo, poiché essi saranno chiamati figli dell'Altissimo.

Beati quelli che hanno custodito il battesimo, poiché essi troveranno riposo presso il Padre e il Figlio.

Beati quelli che hanno la conoscenza di Gesù Cristo, perché essi saranno nella luce.

Beati quelli che si sono liberati dell'aspetto esteriore del mondo per amore di Dio, poiché essi giudicheranno gli angeli e saranno benedetti alla destra del Padre.

Beati i misericordiosi, poiché essi troveranno misericordia e non vedranno l'amaro giorno del giudizio.

Beati i corpi delle vergini, poiché essi saranno graditi a Dio e non perderanno la ricompensa della loro castità: la parola del Padre sarà infatti per essi opera di salvezza nel giorno del suo Figlio ed avranno riposo nei secoli dei secoli".

[7] Tecla, Paolo e Tamiri. Mentre Paolo parlava così in mezzo all'adunanza nella casa di Onesiforo, seduta alla finestra della casa vicina, la vergine Tecla, la cui madre si chiamava Teoclia, fidanzata ad un uomo di nome Tamiri, ascoltava giorno e notte il discorrere di Paolo sulla castità: non si allontanava mai dalla finestra, ma, sostenuta dalla fede, vi restava con gioia inesprimibile. Vedendo inoltre che molte donne e vergini entravano da Paolo, bramava di poter essere anch'essa degna di stare al cospetto di Paolo e ascoltare la parola di Cristo: non aveva mai visto infatti le sembianze di Paolo, ma aveva udito soltanto la sua parola.

[8] Siccome lei non si allontanava mai dalla finestra, sua madre mandò a cercare Tamiri. Questi giunse pieno di gioia, come se dovesse già prenderla in sposa.

Tamiri disse dunque a Teoclia: "Dov'è la mia Tecla?". Teoclia gli rispose: "Ho da dirti qualcosa di nuovo, Tamiri. Sono infatti tre giorni e tre notti che Tecla non si alza dalla finestra, né per mangiare, né per bere, ma come attratta dalla gioia è tutta presa da uno straniero che ammaestra con parole menzognere e seduttrici, ed io sono stupita che una vergine così modesta si lasci turbare in modo così penoso.

[9] Quest'uomo, Tamiri, sconvolge tutta la città di Iconio, e anche la tua Tecla. Poiché a tutte le donne e ai giovani che vanno da lui, egli insegna: "E' necessario temere l'unico Dio e vivere in castità". Anche mia figlia, incatenata come un ragno alla finestra dalle sue parole è sotto l'influsso di un desiderio nuovo e di una passione spaventosa; la fanciulla attratta dalle sue parole, non si lascia distogliere. Avvicinati dunque a lei e rivolgile la parola: lei infatti ti è promessa!".

[10] Pieno di amore per lei ma anche timoroso per la sua estasi, Tamiri si avvicinò e le disse: "Tecla, mia promessa sposa, perché resti seduta così? Quale passione ti trattiene in questa estasi? Volgiti al tuo Tamiri e vergognati!". Anche sua madre ripeteva la stessa cosa: "Figlia, perché te ne stai seduta così con gli occhi bassi, non rispondi nulla e sei fuori di te?". Essi piangevano amaramente: Tamiri per la donna perduta, Teoclia per la perdita della figlia, le serve per la perdita della padrona. In quella casa grande era dunque la confusione e l'amarezza. Durante tutto ciò, Tecla non si voltò, ma seguitava ad essere attratta dalla parola di Paolo.

[11] Tamiri, nel mentre, era uscito per la strada e osservava quanti entravano e uscivano da Paolo. Vide due uomini che lottavano acerbamente tra di loro e disse a essi: "Uomini, ditemi chi siete e chi è quel seduttore, là dentro, presso di voi, ingannatore di giovani e di vergini affinché non si sposino, ma restino come sono. Prometto di darvi molto denaro purché mi parliate di lui. Io, infatti, sono il primo della città".

[12] Demas ed Ermogene gli risposero: "Chi sia costui, non lo sappiamo. E' certo che allontana i giovani dalle donne e le vergini dagli uomini, dicendo: "Se non vi conserverete puri e lungi dal contaminare la vostra carne, se non la manterrete casta, non vi sarà per voi alcuna risurrezione".

[13] Tamiri disse loro: "Venite, uomini, a casa mia e ristoratevi con me!". Andarono così a un ricchissimo banchetto con molto vino, una quantità di dovizie e una splendida tavola. Pieno di passione per Tecla, che egli amava e voleva sposare, li fece bere, e mentre mangiavano Tamiri domandò loro: "Ditemi, uomini, qual è la sua dottrina, affinché anch'io la conosca. Non piccola è infatti la mia angoscia per Tecla a causa del suo amore per questo straniero, ond'io rischio di essere privato del matrimonio".

[14] Demas ed Ermogene risposero: "Conducilo davanti al governatore Castelio, sotto l'accusa che egli seduce la gente con il nuovo insegnamento dei cristiani e tu avrai Tecla in moglie. Noi ti insegniamo la risurrezione, che egli preannuncia: essa si è già avverata nei nostri figli e noi risorgiamo mediante la conoscenza del vero Dio".

[15] Dopo aver udito ciò, Tamiri fu pieno di gelosia e di collera. E fattosi giorno, andò in casa di Onesiforo con arconti, funzionari e una numerosa folla di popolani armata di bastoni e disse a Paolo: "Hai rovinato la città di Iconio e la mia promessa sposa, tanto che ella non mi vuole più: orsù, andiamo dal governatore Castelio!". Tutta la folla gridava: "Fa' fuori il mago! Ha rovinato infatti tutte le nostre donne!". E tutta la gente era d'accordo con lui.

[16] Paolo davanti al proconsole. Tamiri, giunto davanti al tribunale prese a gridare a gran voce: "Proconsole, non sappiamo donde viene costui, che induce le vergini a non sposarsi. Esponga ora davanti a te il motivo per cui insegna queste cose". Demas ed Ermogene dissero a Tamiri: "Dì che è cristiano e così lo rovinerai". Ma il governatore seguì il proprio consiglio, e chiamato a sé Paolo, gli domandò: "Chi sei tu? Che cosa insegni? Non è infatti leggera l'accusa che adducono contro di te".

[17] Paolo alzò la voce e rispose: "Poiché oggi debbo rendere ragione di ciò che insegno, ascolta, governatore! Il Dio vivo, il Dio della vendetta, il Dio geloso, il Dio che non ha bisogno di nulla e desidera la salvezza degli uomini, mi ha mandato affinché io li strappi dalla perdizione e dalla contaminazione, dal piacere e dalla morte, affinché più non pecchino. Per questo Dio ha mandato il suo proprio Figlio, che è appunto colui che io predico, ad insegnare agli uomini la speranza in lui, che fu il solo ad avere pietà del mondo traviato, affinché gli uomini non siano più sotto la condanna, abbiano invece la fede e il timore di Dio, conoscano la santità e amino la verità. Se dunque insegno ciò che mi è stato rivelato da Dio, in che cosa sono ingiusto, proconsole?". Il governatore, udito ciò, ordinò che Paolo fosse incatenato e condotto in prigione, per poterlo ascoltare fino a fondo a tempo opportuno.

[18] Tecla in prigione da Paolo. Nella notte Tecla si tolse i braccialetti, li diede al custode, il quale le aprì la porta di ingresso alla prigione; offrì al carceriere uno specchio d'argento ed entrò da Paolo: sedutasi ai suoi piedi ascoltava le grandezze di Dio. Paolo non temeva nulla e si comportava con la franchezza di Dio. Baciando le sue catene, la fede di lei aumentava.

[19] I suoi parenti e Tamiri non trovando Tecla e, pensando che si fosse perduta, la cercavano per le strade, quando uno schiavo, compagno del custode rivelò che era uscita durante la notte. Interrogarono allora il custode il quale manifestò loro che era andata a trovare il prigioniero in carcere. Essi seguirono questa indicazione e la trovarono incatenata, per così dire, dall'amore.

Usciti di là assembrarono la folla e rivelarono l'accaduto al governatore.

[20] Questi ordinò di condurre Paolo davanti al tribunale. Frattanto Tecla si raggomitolava nel luogo ove Paolo, seduto nella prigione, l'ammaestrava. Il governatore ordinò che fosse condotta anche lei davanti al tribunale: ed ella partì felice, piena di gioia. Mentre Paolo era condotto per la seconda volta, la folla gridava ancora più forte: "E' un mago! Toglilo di mezzo!". Tuttavia il governatore ascoltava con piacere Paolo che parlava delle opere sante. In seguito, dopo aver radunato il suo consiglio, fece chiamare Tecla e le disse: "Perché non ti sposi con Tamiri, secondo la legge dei cittadini di Iconio?". Ma lei teneva gli occhi fissi su Paolo. Siccome non rispondeva, sua madre Teoclia esclamò: "Brucia questa iniqua! Brucia questa nemica del matrimonio in mezzo al teatro, affinché tutte le donne, ammaestrate da costui, ne abbiano spavento".

[21] Tecla condannata al rogo. Il governatore pur soffrendone violentemente, fece flagellare Paolo, lo scacciò dalla città e condannò Tecla a essere bruciata. Poi il governatore si alzò subito e andò al teatro; anche tutta la folla era andata a contemplare lo spettacolo. Ma, come un agnello nel deserto alza lo sguardo verso il pastore, così Tecla cercava Paolo; e rimirando tra la folla, vide il Signore seduto, nelle sembianze di Paolo, e disse: "Quasi che io fossi incapace di resistere, Paolo è venuto a osservarmi!". E mentre lei era tutta protesa verso di lui, egli salì in cielo.

[22] Nel mentre, i giovani e le vergini portavano legna e paglia per bruciare Tecla; ma quando lei fu introdotta nuda, il governatore scoppiò in lacrime, stupito dalla sua forza. Gli aguzzini sistemarono la legna e le ordinarono di salire sul rogo. Lei si mise in forma di croce, salì ed essi vi appiccarono il fuoco. Ma, nonostante divampasse una grande fiamma, il fuoco non la toccò: Dio infatti, commosso, causò un fragore sotterraneo, mentre, dall'alto, una nube carica di pioggia e di grandine oscurò il teatro e vi rovesciò tutto il suo contenuto. Molti si trovarono in gran pericolo e perirono, mentre il fuoco si spense e Tecla fu salva.

[23] Tecla ancora da Paolo. Paolo, e con lui Onesiforo, sua moglie e i figli digiunavano in un sepolcro aperto lungo la strada che va da Iconio a Dafne. Dopo essere rimasti alcuni giorni digiuni, i ragazzi dissero a Paolo: "Abbiamo fame". Ma non avevano nulla per comprare il pane; Onesiforo infatti, con tutta la sua famiglia, aveva abbandonato le cose del mondo per seguire Paolo. Paolo allora si tolse il mantello e disse: "Su, figlio, va', compra parecchi pani e portali". Mentre il ragazzo comperava, vide Tecla, la sua vicina; si stupì e le disse: "Tecla, dove vai?". Lei rispose: "Salvata dal fuoco, cerco Paolo". E il ragazzo a lei: "Vieni, ti conduco da lui. Egli infatti è angosciato per te, prega e digiuna ormai da sei giorni".

[24] Giunta al sepolcro, mentre Paolo pregava inginocchiato: "Padre di Cristo, che il fuoco non tocchi Tecla! Assistila, perché è tua", in piedi, dietro di lui, gridò: "Padre, che hai fatto il cielo e la terra, Padre di Gesù Cristo, tuo Figlio diletto, ti benedico di avermi salvata dal fuoco affinché potessi vedere Paolo".

Paolo si alzò e appena la vide, esclamò: "Dio che conosci i cuori, Padre del nostro Signore Gesù Cristo, ti benedico, perché ti affrettasti ad ascoltare ed esaudire la mia domanda".

[25] Dentro il sepolcro molto era l'amore: Paolo, Onesiforo e tutti erano pieni di gioia. Avevano cinque pani, legumi, acqua e sale, e si rallegravano delle opere sante di Cristo.

E Tecla disse a Paolo: "Mi faccio tagliare i capelli e ti accompagnerò ovunque tu vada". Ma egli rispose: "I tempi sono cattivi e tu sei graziosa. Ti potrebbe arrivare un'altra prova, peggiore della prima alla quale tu non potresti resistere, mostrandoti codarda". E Tecla a lui: "Dammi soltanto il sigillo in Cristo e non mi toccherà prova alcuna". Paolo le rispose "Abbi pazienza, Tecla, riceverai l'acqua".

[26] Tecla condannata alle fiere. Paolo inviò Onesiforo e tutta la sua famiglia a Iconio e, presa con sé Tecla, andò in Antiochia.

Appena giunti in Antiochia, alla vista di Tecla, un siro, di nome Alessandro, uno dei primi della città, se ne invaghì e cercava di conquistarsi Paolo con denaro e doni. Ma Paolo gli disse: "Non conosco la donna di cui parli, non è mia"

Ma essendo molto potente, egli la abbracciò sulla strada; ma essa, non sopportando questa cosa, cercava Paolo e gridava amaramente: "Non fare violenza a una straniera, non fare violenza a una serva di Dio! Sono una delle prime di Iconio e sono stata scacciata dalla città, perché non ho voluto sposare Tamiri".

Afferrò poi il mantello di Alessandro lo lacerò e gli tolse la corona dal capo, rendendolo ridicolo.

[27] Ma egli, sia perché era innamorato, sia perché aveva subito l'onta di quanto era accaduto, la trasse dal governatore. Lei confessò ogni cosa ed egli la condannò alle fiere.

Le donne della città divennero furiose e gridavano davanti al tribunale: "Sentenza malvagia! Sentenza empia!". Tecla domandò al governatore di restare inviolata fino alla lotta contro le fiere.

Una donna ricca, di nome Trifena, la cui figlia era morta, la prese in custodia e l'ebbe come conforto.

[28] Quando furono fatte sfilare le bestie, Tecla fu legata a una feroce leonessa; la regina Trifena l'accompagnava. La leonessa però leccò i piedi di Tecla che era seduta su di essa, mentre tutta la folla era fuori di sé. Il motivo della condanna era su di un'iscrizione: "Rea di sacrilegio".

Donne e bambini presero a gridare nuovamente: "Quali empietà, o Dio, si commettono in questa città".

Dopo questa sfilata, Trifena la prese nuovamente con sé, poiché sua figlia Falconilla, che era morta, le aveva detto in sogno: "Al mio posto, madre, prenderai Tecla, straniera abbandonata, affinché preghi per me ed io possa passare nel luogo dei giusti".

[29] Dopo la sfilata, Trifena l'accolse dunque, sia perché era addolorata che il giorno appresso dovesse combattere con le fiere, sia perché l'amava molto come la figlia Falconilla, e le disse: "Tecla, mia seconda figlia, vieni, prega per mia figlia affinché viva nell'eternità. Questo infatti è quanto ho visto in sogno".

Tecla non indugiò ed elevò la voce dicendo: "Dio dei cieli, Figlio dell'Altissimo, concedile quanto desidera, che cioè sua figlia Falconilla viva nell'eternità". All'udire queste parole, Trifena era desolata al pensiero che tanta bellezza stava per essere gettata alle fiere.

[30] Al sorgere del giorno, Alessandro venne a prelevarla - era lui infatti che offriva i giochi al circo - dicendo: "Il governatore è seduto e il popolo tumultua contro di noi, dammi la condannata alle fiere, affinché la conduca via". Ma Trifena si mise a gridare tanto da farlo fuggire; diceva: "Il lutto per la mia Falconilla si abbatte per la seconda volta sulla mia casa! Non c'è alcuno che mi aiuti! Non un figlio, essendo lei morta, non un parente, essendo io vedova. Il Dio di mia figlia Tecla, soccorra Tecla!".

[31] Il governatore però mandò soldati a prendere Tecla. Trifena tuttavia non l'abbandonò. La prese per mano e la condusse, dicendo: "Ho condotto alla tomba mia figlia Falconilla, e conduco te, Tecla, a combattere contro le fiere"

Tecla allora pianse amaramente e, sospirando verso il Signore, disse: "Signore, Dio nel quale io credo e nel quale mi sono rifugiata, che mi hai strappato al fuoco, ricompensa Trifena per la pietà che mi ha usato e per avermi conservata pura".

[32] Si udì un tumulto, le fiere ruggivano, il popolo e le donne sedute insieme gridavano, l'uno: "Fate entrare la sacrilega!", le altre invece: "Perisca la città a causa di questa iniquità! Uccidi tutte noi proconsole! E' uno spettacolo atroce, una sentenza malvagia!".

[33] Tecla, tolta dalle mani di Trifena, fu spogliata e, rivestita di una corta sottana, fu gettata nello stadio, lanciando contro di lei leoni e orsi. Allora una feroce leonessa andò a gettarsi ai suoi piedi, mentre la folla delle donne lanciava alte grida. Un'orsa si lanciò contro di lei, ma la leonessa si precipitò contro l'orsa e la sbranò.

Un leone, ammaestrato nella lotta contro l'uomo e appartenente ad Alessandro, si lanciò contro di lei, ma si precipitò anche la leonessa, lottò contro di lui e morirono insieme. Il dolore delle donne divenne ancora più grande, poiché era morta la leonessa che la proteggeva.

[34] Introdussero allora molte fiere, ma lei stava sempre in piedi con le mani stese in preghiera. Ma quand'ebbe finito la preghiera, si voltò, vide una grande fossa piena d'acqua e disse: "Ora è tempo ch'io mi lavi"; e vi si gettò dentro con le parole: "Nel nome di Gesù Cristo io mi battezzo nell'ultimo giorno". A questa vista le donne e tutta la moltitudine esclamarono: "Non ti gettare nell'acqua!". Tanto che anche il governatore versava lacrime al pensiero che tanta bellezza fosse divorata dalle foche.

Essa dunque si gettò in acqua nel nome di Gesù Cristo e le foche, alla vista dello splendore di un lampo, galleggiarono morte alla superficie. Attorno a lei si stese una nube di fuoco, tanto che né le fiere potevano toccarla, né poteva essere mirata la sua nudità.

[35] Quando furono lanciate fiere ancora più feroci, le donne ripresero a urlare: alcune gettarono foglie, altre nardo, altre cassia ed altre balsamo, sicché si formò una grande varietà di profumi, e le fiere lanciate, quasi attanagliate dal sonno, non la toccarono.

Alessandro disse allora al governatore: "Ho dei tori terribilmente feroci; attacchiamo a essi la condannata alle fiere". Malvolentieri il governatore acconsentì, dicendo: "Fa' ciò che tu vuoi". Fu allora legata per i piedi tra i tori e, per renderli più furiosi e perché l'ammazzassero, furono posti ferri roventi sugli organi genitali. Essi balzarono in avanti, ma la fiamma che ardeva tutt'intorno bruciò le funi e lei rimase come se non fosse stata legata.

[36] In piedi, all'ingresso dell'arena, a quella vista, Trifena svenne tanto che le ancelle che l'accompagnavano dissero: "La regina Trifena è morta". Il governatore allora intimò la fine e tutta la città rimase nell'angoscia. Alessandro cadde ai piedi del governatore e disse: "Abbi pietà di me e della città! Libera la condannata alle fiere, affinché non perisca anche la città. Se Cesare, infatti, avrà notizia di queste cose, subito manderà in rovina noi e la città, essendo morta all'ingresso dell'arena la regina Trifena, sua parente".

[37] Il governatore allora chiamò di mezzo alle fiere Tecla e le disse: "Chi sei tu? E che cosa hai attorno a te, che neppure una fiera ti ha toccato?". Lei rispose: "Sono un'ancella del Dio vivo. Quanto è attorno a me è l'aver io creduto nel Figlio, oggetto della compiacenza divina: per mezzo suo neppure una delle fiere mi ha toccata. Lui solo infatti è la via della salvezza e la base della vita immortale. Egli è il rifugio di coloro che sono sbattuti dalla tempesta, il ristoro dei tribolati, il riparo dei disperati. In una parola: chi in lui non crede, non vivrà, ma morrà per l'eternità".

[38] Udito ciò, il governatore ordinò che fossero portati dei vestiti e le disse: "Indossa questi abiti". Lei rispose: "Colui che mi ha vestito quando ero nuda in mezzo alle fiere, costui mi rivestirà con la salvezza nel giorno del giudizio". Prese gli abiti e li indossò.

Il governatore emise allora subito un decreto in questi termini: "Tecla, pia ancella di Dio, io vi lascio libera".

Le donne allora gridarono tutte a gran voce e quasi con un'unica bocca diedero lode a Dio dicendo: "Vi è un solo Dio, quello che salvò Tecla". Questo grido scosse tutta intera la città.

[39] Informata della lieta notizia, Trifena le andò incontro con una folla, abbracciò Tecla e disse: "Ora credo che i morti risorgono! Ora credo che mia figlia vive! Entra da me e ti faccio erede di tutte le mie sostanze".

Tecla entrò dunque da lei, si ristorò in casa sua per otto giorni insegnandole la parola di Dio. Lei credette e così la maggioranza delle sue ancelle e grande fu la gioia di quella casa.

[40] Tecla a Mira da Paolo. Ma Tecla desiderava ardentemente Paolo. Lo cercava inviando persone ovunque, e le fu riferito che era a Mira. Prese allora con sé dei giovani e delle giovani, si cinse i fianchi, cucì la tunica trasformandola in un mantello secondo la foggia degli uomini, e andò a Mira ove trovò Paolo che predicava la parola di Dio e gli si avvicinò.

Quando Paolo vide lei e la folla che l'accompagnava si stupì pensando che la minacciasse qualche altra prova. Ma lei comprese e gli disse: "Ho ricevuto il lavacro, Paolo! Colui infatti che ti diede energia per il vangelo, a me diede l'energia per il lavacro".

[41] Presala per mano, Paolo la condusse in casa di Ermia: udì da lei ogni cosa e ne fu molto stupito. I presenti ne furono corroborati e pregarono per Trifena. Poi Tecla si alzò e disse a Paolo: "Vado a Iconio". Paolo le rispose: "Va' e insegna la parola di Dio".

Trifena inviò poi molte vesti e dell'oro, di modo che ne pohé lasciare anche a Paolo per il servizio dei poveri.

[42] Tecla dalla madre. Essa dunque andò a Iconio ed entrata in casa di Onesiforo, si gettò a terra, là ove Paolo soleva sedere insegnando le parole di Dio, e pianse dicendo: "Mio Dio, e Dio di questa casa ove brillò per me la luce, Gesù Cristo, Figlio di Dio, mio aiuto nella prigione, aiuto davanti ai governatori, aiuto nel fuoco, aiuto tra le fiere! Tu sei Dio, a te la gloria per l'eternità. Amen".

[43] Trovò che Tamiri era morto, ma sua madre viveva ancora: la fece chiamare e le disse: "Teoclia, madre mia, puoi tu credere che il Signore vive nei cieli? Se tu desideri ricchezze, il Signore te le darà per mezzo mio, se desideri la tua figlia, eccomi presso di te". Resa questa testimonianza, partì per Seleucia e, dopo aver illuminato molti per mezzo della parola di Dio, si addormentò in un dolce sonno.

 

 




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