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Plinio Corrêa de Oliveira
Trasbordo ideol. inavvertito e Dial.

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d) La discussione pura e semplice e la polemica sono da disprezzare?

Questa nota di combattività intellettuale, volitiva o emotiva costituisce un male in se stessa? La discussione pura e semplice e la polemica sono da disprezzare? E' necessario rispondere a questa domanda, perché è in base alla erronea risposta che molti le danno, che si sviluppa lo stratagemma della parola-talismano "dialogo".

Non ci occuperemo del problema della liceità della nota di combattività nella discussione-dialogo, ove essa è quasi impercettibile.

Prima di tutto vedremo quanto si riferisce alla discussione pura e semplice.

a) Il problema in relazione col peccato originale

In se stessi gli scontri di ordine ideologico, volitivo o emotivo sono frutto del peccato originale. Sarebbe auspicabile che tra gli uomini non vi fossero mai dissensi, discussioni o lotte.

Presupposto tuttavia il peccato originale, è legittima ed utile la discussione pura e semplice? In via di principio, sì.

b) La logica, mezzo per conquistare la verità e il bene

In effetti, se si ammette la esistenza oggettiva della verità e dell'errore, del bene e del male, e l'idoneità della logica a portare l'uomo alla conoscenza della verità e a liberarlo dalle catene dell'errore, per portarlo ad amare il bene e per allontanarlo dagli artigli del male, si deve necessariamente riconoscere l'utilità di questa forma di discussione. Perché per mezzo di essa una persona può procurare all'altra il maggiore dei benefici, che è quello di trarla dall'errore e dal male, e di darle il possesso della verità e del bene.

c) L'influenza dei fattori emotivi

Dirà, tuttavia, qualcuno: la discussione pura e semplice non deve essere sempre fredda e apatica, nel senso etimologico del termine?

Pensiamo di no. Ogni uomo ha un naturale attaccamento alle proprie convinzioni, e perciò, in generale, si discosta da esse solo con dispiacere. Questo attaccamento è ancor più accentuato per il fatto che certe convinzioni danno origine, logicamente, a tutto un complesso di abitudini, a tutto un modo d'essere, a tutto un genere di vita, e il cambiarle determina per l'uomo la necessità di accettare, in certi punti sensibili, dolorose trasformazioni. Spinto dal nobile, ordinato e forte amore che ha per la verità e il bene, o dal miserabile, tormentoso e violento amore verso l'errore e il male, l'uomo, discutendo, non si comporta come una mera, fredda macchina raziocinante. Per il fatto stesso di essere uomo, mentre discute si impegna interamente non solo con tutto l'apporto della sua intelligenza, ma anche con tutto il vigore della sua volontà e il calore delle sue passioni, buone o cattive che siano.

Così ingaggiata, la discussione pura e semplice, benché conservi sempre il primato del raziocinio, dal quale le viene la sua principale ragion d'essere e il meglio della sua dignità, non consiste nella mera argomentazione. Per un incontestabile diritto della virtù, cosi come per una frequente interferenza del peccato, è comprensibile che si presenti, molte volte, con una nota saliente di combattività emotiva.

In tal modo, se è vero che in certe circostanze la discussione pura e semplice si eleva permeandosi di una nobile e superiore compostezza, vi sono altre occasioni in cui è feconda solo se è illuminata dal fuoco dello zelo per la verità e per il bene.

d) Fattori di persuasione collaterali all'argomentazione

A volte, l'animo umano comincia, con grande naturalezza, a percepire l'esattezza di una tesi trovandola amabile o bella. Siccome tra la bontà, la bellezza e la verità v'è una profonda reversibilità, l'amore molte volte facilita la percezione della verità. E la forza di persuasione della persona che discute non è solamente nel raziocinio, ma anche in tutto il suo modo di essere e di parlare, che spesso consente di apprezzare la bellezza o la bontà della causa che sostiene. Orbene, esaltando il bene e il bello è presente naturalmente un fattore emotivo che facilmente porta la discussione pura e semplice a crescere in ardore, giungendo, a volte, fino alla polemica.

e) Legittimità dell'ira nella discussione pure e semplice

Però, potrebbe obiettarsi, gli argomenti sopra esposti schiudono le porte all'ira che non dovrebbe mai entrare nella conversazione.

Abbiamo visto poco innanzi che le passioni dell'uomo hanno un posto legittimo nel confronto delle idee. Dal punto di vista morale ciò si spiega facilmente, perché in se stessa nessuna passione è cattiva: sono tutte indifferenti e possono legittimamente influenzare la discussione pura e semplice purché non siano intemperanti. L'ira non è altro che una di queste passioni. E, nei limiti della temperanza, ben può conferire la sua impronta specifica al confronto delle idee. Aggiungasi a ciò, inoltre, che la santa ira contro l'errore e il male, invece di offuscare la vivacità dell'ingegno, in molti casi l'aumenta, e con ciò contribuisce alla lucidità della discussione pura e semplice.

f) Il contrasto e la combattività necessari per dimostrare la verità

Dimostrare quanto vera, buona e bella sia una tesi, è compito assai spesso arduo. Abbiamo parlato poc'anzi degli effetti del peccato originale, delle abitudini e delle passioni nello spirito umano, così come delle crisi che certi cambiamenti di opinione possono causare all'uomo. Al vertice di tali crisi, questi allora esita. La contraddizione tra le idee di cui ha intravisto la giustezza e la vita che conduce, gli sembra insopportabile. La famosa alternativa formulata da Paul Bourget gli sbarra il cammino: dovrà conformare le sue idee ai suoi atti, o i suoi atti alle sue idee?

E' chiaro che, in situazioni così oscure e dolorose, bisogna por mano a tutti gli espedienti dell'argomentazione realmente convincenti. E una di esse è senza dubbio il contrasto.

San Tommaso insegna che uno dei motivi per cui Dio permette l'errore e il male è perché, per contrasto, risalti maggiormente lo splendore della verità e del bene. Nel discutere, non è lecito in nessun modo disdegnare il contrasto, questo espediente del Divino Pedagogo, così prezioso che nei piani della Provvidenza in qualche modo compensa gli innumerevoli inconvenienti derivanti dall'esistenza dell'errore e del male nel mondo. Ora, come far valere il contrasto, se non attraverso la denunzia aperta e categorica di tutto quanto l'errore contiene di falso, e il male di censurabile? Perché non basta lodare la verità e il bene. E' legittimo, nella discussione pura e semplice, sviluppare in tutta la misura del possibile, l'elemento di combattività. Così si legittima l'attacco tanto alle false idee quanto alle persone.

- ... sia per quanto si riferisce alle idee
Attacco alle idee false, in primo luogo: mostrando ciò che esse hanno di erroneo, di contraddittorio, di immorale, si produce un salutare conflitto nell'animo di chi le professa. Tutto un complesso di preconcetti e passioni disordinate può, a mezzo di esso, risultare spezzato. E così la luce della verità, il profumo della virtù, possono penetrare nell'anima infelice, che poco prima era interamente attanagliata dall'errore.

- ...sia per quanto si riferisce alle persone
Attacco alle persone, in secondo luogo. Quando questo attacco è fatto in modo da mostrare nella persona attaccata soltanto l'errore e il peccato in cui si trova, senza estendersi inutilmente ad altri punti, si può aprirle gli occhi per mostrarle lo stato in cui si trova, invitandola efficacemente a tornare alla verità e al bene, Se l'attacco ha luogo in presenza di terzi, non solo si neutralizza in questi l'effetto dello scandalo, ma si ottiene altresì l'effetto di aumentare, per contrasto, il loro amore alla verità e al bene. E' ovvio che tali attacchi sono legittimi solo allorché sono realmente necessari, e si devono fare secondo le regole della giustizia e della carità, in modo che, per quanto più siano aperti e vadano al fondo delle cose, non intacchino, nella persona attaccata, la sua dignità di uomo, ed eventualmente, di cristiano.

Attacchi di tal natura, portati nel momento adeguato, e con linguaggio elevato, hanno prodotto nel corso della storia un gran bene, anche quando siano stati diretti contro i potenti della terra, abituati a essere trattati con particolari riguardi: un gran bene, spesso, per le persone cui si dirige, e sempre una notevole edificazione per il popolo. Sono celebri, per esempio, gli attacchi del profeta Natan contro David, di Sant'Ambrogio contro l'imperatore Teodosio, di San Gregorio VII contro Enrico IV, o di Pio VII contro Napoleone. Quante e quali dolci grazie ne sono derivate, sia nel senso di allontanare le anime dall'errore e dal male, sia in quello di attrarle alla verità e al bene!

Cambiano i tempi, però l'ordine intimo delle cose non cambia. Neanche dei despoti totalitari del nostro secolo, benché senz'altro più intrattabili dei potenti di un tempo, può affermarsi che lo siano tanto da non poter trarre per niente profitto da attacchi di questo tipo,

g) Artificiosità dell'abolizione della discussione pura e semplice

Come già si disse, la discussione pura e semplice non è un mero scontro di argomenti. Sotto qualche aspetto è uno scontro di personalità. In essa si determina un contatto di anima ad anima, nel quale per mezzo dell'insistenza, della ripetizione (che Napoleone considerava la migliore figura retorica), dell'attrazione di un contendente verso l'altro, o della ripulsa, si esercita tra le parti un'autentica influenza. Il gioco di tali fattori contribuisce ancor più a dare a questa maniera di conversare una reale somiglianza con un torneo, e perfino con una lotta.

Tutte queste considerazioni dimostrano che la discussione pura e semplice risponde a necessità naturali e profonde della convivenza umana. E che proscriverla, per ridurre le forme di questa convivenza al mero dialogo in senso stretto (o alla discussione-dialogo), sarebbe artificiosità grave e pericolosa.

h) Artificiosità, causa di confusione e di lotta

Diciamo pericolosa, poiché lo è ogni artificiosità. In effetti, le forze della natura violentate ed estromesse tornano con raddoppiato vigore. E' quanto dice Orazio in forma lapidaria: "Naturam expelles furia, tamen usque recurret" (Epist., I, 10, 24). Non temendo di cadere nella artificiosità, per un malinteso amore della concordia, si lascia da un canto un mezzo indispensabile, nella convivenza umana, per l'illustrazione della verità. Con ciò, si scivola verso la confusione, che è uno dei fattori più sinistri e profondi di perturbazioni, alterchi e lotte prolungate, insolubili e pregne di odio. Come si sa, niente pregiudica di più la vera pace, che è la tranquillità dell'ordine (cfr. Sant'Agostino, De Civitate Dei, XIX, e. 13), quanto il fatto che si spengano tra gli uomini la verità e il bene, fondamento unico di questo stesso ordine. Chi nega la liceità della discussione pura e semplice, immaginando a volte di adoperarsi per la concordia, di fatto stabilisce il regno della discordia.

i) La discussione pura e semplice pregiudica forse la carità?

Leggendo queste considerazioni, più di un lettore, influenzato dall'irenismo dei nostri giorni, sentirà salire dal fondo dell'anima un'apprensione: non sarà per caso imprudente da parte nostra l'elogio, che qui facciamo, della discussione pura e semplice? Pur avendo ragione sul piano astratto dei principi, è tale la possibilità di abusare di questa forma di colloquio, che sarebbe meglio proscriverla del tutto. "Abusus non tollit usum", rispondiamo con il vecchio adagio giuridico. Se la discussione pura e semplice è lecita in se stessa, e ha una funzione specifica nell'ordine naturale delle cose, per ciò stesso occupa un ruolo nei piani della provvidenza. "Tempus tacendi, et tempus loquendi" (Ecele. 3, 7): applicando il principio della Scrittura, possiamo dire che vi sono circostanze in cui è opportuno non discutere, ma che ve ne sono altre in cui si ha il diritto e perfino l'obbligo imprescindibile di farlo. Di ciò ci ha dato esempio il Divino Maestro (cfr. Gv. 8 e segg.). Perciò, peggio che il discutere a volte male, è il non discutere affatto.

Presentare, per misura di prudenza, la discussione pura e semplice come sempre illecita, sempre pericolosa, sempre nociva agli spiriti, costituisce una vera e propria frode dottrinale.

Se chi deve discutere è un cattolico, v'è in questa frode, per di più, un sintomo di accentuato naturalismo. Perché se discutere è per lui un diritto e perfino un dovere, come ammettere che gli sia impossibile, con l'abbondanza delle grazie che la Chiesa dispensa, farlo secondo i principi della giustizia e della carità? Per lui non vale più l'"omnia possum in eo qui me confortat" (Fil. 4, 13)?

j) Conseguenza: la discussione pura e semplice non deve essere necessariamente disprezzata

No. E' inammissibile condannare in via di principio la discussione pura e semplice, e attribuirle un carattere necessariamente spregevole.

k) Nemmeno la polemica deve essere necessariamente disprezzata

Tutto quanto abbiamo detto della discussione pura e semplice vale anche per la polemica. Questa possiede, nel più alto grado, la combattività inerente a quella, e perciò - quando è cattiva - può possedere in grado superlativo tutto ciò che di censurabile hanno gli inasprimenti della discussione pura e semplice. Per analogo motivo, anche la polemica, quand'è buona, possiede in sommo grado tutte le qualità inerenti alla discussione pura e semplice ben condotta. Ciò è quanto abbiamo avuto occasione di sostenere più estesamente nel libro che si intitola "Em Defesa da Acào Catòlica" (Editora Ave Maria, San Paolo, 1943), che fu oggetto, nel 1949, di una significativa lettera di elogio, scritta a nome dell'indimenticabile Papa Pio XII dall'illustre Sostituto della Segreteria di Stato, Monsignor Giambattista Montini, oggi Santo Padre Paolo VI, gloriosamente regnante.

A quanti sembrerà strano ciò che affermiamo intorno alla buona polemica, ricordiamo semplicemente che, per palese disegno della Provvidenza in vista del bene delle anime, lo Spirito Santo suscitò nella Chiesa polemisti eccelsi, che godono degli onori degli altari, e le cui opere costituiscono legittima gloria della Chiesa e della cultura cristiana. Citiamo, tra tanti, S. Gerolamo, S. Agostino, S. Bernardo, S. Francesco di Sales.

l) La discussione pura e semplice, la polemica e l'opinione pubblica

Non potremmo considerare chiuse queste considerazioni senza fare un'osservazione circa la vera dimensione dei problemi sollevati a proposito della discussione pura e semplice e della polemica. In generale, questi problemi sono trattati unicamente in considerazione degli interlocutori che discutono o polemizzano. Nella realtà, quando, in relazione all'argomento, la discussione pura e semplice e la polemica interessano molte persone, e hanno luogo con adeguata pubblicità, hanno una portata sociale, perché provocano una miriade di controversie analoghe tra coloro che di esse prendono conoscenza. L'ampiezza del fenomeno può portare alla formazione di due o più correnti d'opinione nel seno della società. Dal vociare confuso delle dispute individuali vanno emergendo allora, in un campo e nell'altro, voci più alte, più ricche di pensiero, e più cariche di forza espressiva, che a loro volta suscitano tra loro controversie di grande rilievo. Nelle une e nelle altre si compendia, si determina, acquista maggiore densità di pensiero, spicca volo ed è portato fino alle estreme conseguenze tutto ciò che nei diversi campi si va affermando.

Così, le correnti di opinioni si pongono di fronte e si esprimono in diverse gamme, e le discussioni e le polemiche, raccolte dai grandi, a loro volta si ripercuotono nuovamente sui minori, li ispirano e orientano.

Nella sua forma più illustre, e storicamente più importante, la discussione pura e semplice e la polemica nascono, si sviluppano e si presentano avanti agli occhi di moltitudini sulle quali esercitano un'azione orientatrice della più grande portata. In funzione di queste moltitudini raggiungono la loro piena dimensione.

Considerato tutto questo, già si vede che la strategia apostolica non può essere concepita e realizzata solo in relazione alle persone e alle correnti d'opinione ristrette con le quali il cattolico discute, ma anche in relazione al pubblico talvolta immenso che segue, come interessato spettatore, la discussione pura e semplice o la polemica. Orbene, se l'adozione della conversazione squisitamente piacevole (discussione-dialogo) può con frequenza essere conveniente per attrarre e convincere l'altro interlocutore, le legittime esigenze dello spirito pubblico imporranno, a volte, che si confuti e si fustighi con veemenza l'errore e il male. Perché in determinate circostanze si correrebbe il rischio che una inopportuna pacatezza nei difensori della buona causa, possa produrre nel pubblico una vera e propria atonìa del sentimento cattolico, o della sensibilità morale. In ciò sta un argomento in più per provare che la discussione pura e semplice e la polemica sono, in certi casi, indispensabili.

In questo senso è indicativa la lotta due volte millenaria della Chiesa contro i sistemi religiosi e filosofici che le sono opposti. In questa lotta, il dialogo va comportando, con più o meno intensità, la discussione pura e semplice e la polemica, prendendosi in considerazione queste circostanze non solo al livello dei contatti individuali, ma anche al livello di gruppi, al livello delle nazioni, o di tutto il genere umano.

m) La discussione pura e semplice, la polemica e il carattere militante della Chiesa

La prescrizione sistematica di ogni discussione pura e semplice e di ogni polemica, e la riduzione di ogni contatto tra le parti a mere discussioni-dialoghi (cioè, discussioni grandemente serene e cordiali), avrebbero per la Chiesa conseguenze di una importanza che non sarà mai sufficientemente messa in risalto.

Tali dialoghi non basterebbero mai a sopperire a tutte le necessità tattiche della Chiesa Militante. In effetti, qualcosa di autenticamente militante, nel vero senso della parola, è inerente all'"inimicitias ponam" (Gen. 3, 15) e alla condizione terrena della Chiesa. Essa non finirà mai di avere di fronte nemici - nel vero e proprio senso della parola - mossi da un'ostilità che va, secondo i casi, dalla semplice antipatia fino al colmo dell'odio. Questi nemici non saranno mai soltanto idee astratte, meri fattori sociali o economici avversi: saranno anche uomini in carne ed ossa, che costituiranno fino alla fine del mondo la razza del Serpente. E la Sposa di Cristo non potrà mai smettere di combatterli.

Ciò non vuol dire che in ogni persona o istituzione non cattolica la Chiesa debba vedere solo nemici. Ma è utopistico immaginare che Essa possa imbattersi, in qualche epoca storica, tra quanti sono estranei al suo grembo, unicamente in uomini pieni di simpatia, che la consultino col sorriso sulle labbra su un punto o l'altro sul quale non sanno darsi spiegazione, e che di sorriso in sorriso, senza maggiori complicazioni, finiscano sempre per convertirsi.

Inoltre porterebbe molto avanti l'utopismo chi, in questo secolo fatto di campi di concentramento e di cortine di ferro, di bambù o che so altro, immaginasse che la Chiesa ha di fronte a sé solo gente tanto sprovveduta e gioconda.

Del resto, questa semplicistica discriminazione dei non cattolici in due categorie, una di avversari, l'altra di quanti potremmo chiamare ignoranti benevoli, è priva di consistenza. In realtà sono pochi, tra i non cattolici, quelli che portano all'estremo l'odio per la Chiesa così come pure quelli che risultano immuni da ogni antipatia verso di Essa. La maggior parte appartiene simultaneamente, e in proporzioni variabili all'infinito, ad entrambe le categorie cui si è alluso, in maniera che la benevolenza, l'antipatia e l'ignoranza si mescolano in ciascuno in un modo peculiare, per ciò che si riferisce alla Chiesa. E questo porta necessariamente ciascun cattolico ad adottare, in proporzioni ugualmente diverse all'infinito, il linguaggio proprio ai diversi tipi di conversazione. Lo zelo ingegnoso qui non consiste nell'escludere qualcuno d'essi, ma nell'utilizzare ciascuno d'essi, combinandolo o no con gli altri, se e nella misura in cui il caso concreto lo impone.

 




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