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Plinio Corrêa de Oliveira
Trasbordo ideol. inavvertito e Dial.

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c) Effetti diretti della parola-talismano

Preliminarmente, consideriamo il primo gruppo di effetti. Sono in numero di cinque.

a) Primo effetto. Il dialogo risolve tutto

Sull'irenista preparato come abbiamo mostrato sopra (punto A), comincia ad agire la parola-talismano. Gli hanno parlato di dialogo. In base a quanto osserva, questo termine viene impiegato in un senso nuovo e assai particolare, solo indirettamente in relazione con il significato corrente. La parola "dialogo" splende così innanzi ai suoi occhi con un contenuto che ha qualcosa di moderno e di elegante. Persone di rilievo la utilizzano come se fosse una formula nuova per mutare convinzioni, semplice, irresistibile. Non dialogare equivale a condursi in maniera retrograda in campo ideologico, in piena era atomica. Dialogare significa essere aggiornato, significa distinguersi per efficacia e modernità. L'irenista allora si mette a pensare: il dialogo risolve ogni problema. Niente discussioni, né polemiche; è necessario unicamente dialogare con quelli che pensano in maniera diversa, anche nel caso siano comunisti. Il dialogo, per la affabilità che lo caratterizza, ha la virtù di disarmare ogni prevenzione. Assicura a chi lo usa la gloria di convincere tutti gli oppositori.

b) Secondo effetto. Una costellazione di impressioni ed emozioni unilaterali

Fondato tutto ciò nel timore unilaterale ed ossessivo di irritare gli oppositori con la discussione e con la polemica, come pure nella certezza che mediante il dialogo non v'è chi non si possa convincere, il nostro paziente giunge a formare pari passu tutta una costellazione di impressioni ed emozioni unilaterali, tra le quali menzioneremo solo qualcuna. Sono quelle che si riferiscono al cattolico che discute o polemizza. Secondo l'irenista, un tale cattolico adotta metodi di apostolato anacronistici e controproducenti. Agisce così perché è irascibile, bilioso, vendicativo, e non ha carità per quelli che giacciono nell'errore. Li tratta con una severità ingiusta e nociva, e in ultima analisi è il vero colpevole del fatto che quelli rimangano fuori dell'ovile.

- Odio verso i cattolici più ferventi

Questa impressione unilaterale determina un'emozione, un'antipatia contro l'apologista o il polemista cattolico, che può giungere perfino all'odio. Tale antipatia, per il fatto che deriva dal presupposto per cui ogni controversia ideologica è cattiva, coinvolge ipso facto e indistintamente tutti coloro che discutono o polemizzano, sia che lo facciano debitamente sia che lo facciano indebitamente.

Per assurdo che sia, l'apologista o polemista comincia ad esser visto con odio dal suo. stesso fratello di Fede. Questo va sempre più considerando quello come un cattolico settario e non caritatevole, e vede il suo "errore" come l'unico per il quale non è possibile perdono. E' il tremendo "errore" d'essere "ultracattolico". Contro la persona accusata di tale errore tutte le armi sembrano lecite, la congiura del silenzio, l'ostracismo, la diffamazione, gli insulti. E per provare le accuse che gli si fanno, tutto è consentito: gli indizi più lievi e più vaghi e perfino le semplici apparenze servono di prova. Per lui, vero paria della società in cammino verso l'utopia, e per nessun altro, è definitivamente vietata la partecipazione al dialogo.

Vengono decimati così in scala sempre maggiore, nella Chiesa Militante, i più ferventi tra i suoi figli, ossia, i più disinteressati, i più coerenti, i più perspicaci, i più valenti.

Non è neanche necessario rilevare quanto vantaggio da ciò traggano i suoi avversari.

- Ammirazione e fiducia incondizionate per quanti sono fuori della Chiesa

Questa decimazione si accompagna con una ammirazione e una fiducia crescente verso quelli che sono fuori della Chiesa. Non è raro che questi sentimenti si trasformino in un "complesso" capace di condurre a un vero e proprio incondizionalismo categorico. Ciò che, del resto, è logico. Ebbene, se tutti i nostri fratelli separati possono essere convertiti col sorriso, ciò accade perché, in ultima analisi, solo alcuni equivoci e risentimenti li tengono lontani da noi. La loro buona volontà è piena e senza macchia.

Quando viene rettamente praticato il dialogo con quelli che sono fuori della Chiesa, occorre tenere in mente sia ciò che ci separa da essi, sia ciò che ci unisce. E, con la destrezza della carità, è necessario saper trarre partito da ciò che ci unisce, per creare, nella misura del possibile, un ambiente di cordialità trattando, in modo obiettivo e con tatto, ciò che ci separa.

Ma nel clima irenico la preoccupazione del "dialogante" cattolico è un'altra. Egli vede solo ciò che lo unisce a quanti sono all'esterno, e niente di ciò che lo separa da essi. Così, si aspetta tutto dalla consistenza e dalle concessioni, e nulla dalla lotta. La sua tattica è dunque ingenua, blanda e arrendevole nei confronti di quelli che sono fuori dell'ovile. La sua intransigenza, la sua energia e la sua diffidenza sono solo per quelli che, dentro la Chiesa, resistono al clima irenico.

c) Terzo effetto. Simpatia e notorietà prodotti dalla risonanza pubblicitaria della parola "dialogo"

Se in forza di questa costellazione di impressioni e emozioni, l'apostolo che discute o polemizza è odiato e vilipeso, nello stesso tempo il modo in cui il pubblico vede abitualmente l'apostolo del dialogo irenico è diametralmente opposto.

Siccome, oggi forse più che mai, il pubblico desidera tutto ciò che può incoraggiare l'ottimismo e le aspirazioni alla tranquillità e al benessere, esso è predisposto ad ammirare enfaticamente l'apostolo irenista.

L'uomo medio crede di vedere in lui un'intelligenza duttile e lucida, che gli permette di considerare fino in fondo il male insito nella discussione e nella polemica, e le inesauribili possibilità apostoliche del dialogo. Benevolo e affabile, il "dialogante" irenico l'impressione di essere dotato di una simpatia irresistibile e quasi magica. Moderno, egli si presenta come perfetto e agile conoscitore delle tattiche di apostolato più attuali, e perciò destro nel maneggio del dialogo. In una parola, nulla gli manca per apparire assolutamente simpatico. Allegro, gioviale, preannuncia un avvenire roseo, propiziato da un susseguirsi di successi facili ed inebrianti.

La simpatia e l'ottimismo aprono al nostro "dialogante" le porte della notorietà. Si ha piacere di parlare di lui, di ripetere le sue parole, di elogiare le sue azioni. Sembrerebbe che egli possieda il dono di saper risolvere con un sorriso le questioni più intricate, di dissipare come se fosse un sole, con semplici colloqui, i preconcetti e i rancori più inveterati. Per questo, si trova naturalmente situato al centro degli eventi, nel punto di convergenza degli interessi del pubblico. La stampa, la radio, la televisione lo mettono in evidenza di buon grado, sicuri di far così cosa gradita al pubblico stesso.

d) Quarto effetto, Si desta il miraggio dell'era della buona volontà

Tutto ciò va aprendo così, nell'animo della persona sottoposta al procedimento che studiamo, indefiniti orizzonti. Al limite estremo di essi si innalza un miraggio al quale già abbiamo fatto allusione in questo capitolo (capo 2, da A a C). Miraggio generalmente molto impreciso, certamente, però quanto radioso e attraente!: l'era della buona volontà, cioè di un ordine di cose "evoluto" in cui la simpatia, e la pienezza di essa che è l'amore, non solo sarebbero capaci di disarmare tutte le contese, ma perfino di prevenirle, mediante l'eliminazione delle loro cause psicologiche, e inoltre delle loro cause istituzionali! Oh, quanto guadagnerebbero la concordia e la pace dalla soppressione di ciò per cui da millenni vanno lottando gli uomini - patrie, interessi nazionali, beni di fortuna, prestigio di classe, attributi di comando! Oh, se l'amore giungesse ad eliminare le parole "mio" e "tuo" per sostituirle, a mo' di superamento, con la parola "nostro", alla fine regnerebbe la pace tra gli uomini, scomparirebbero le guerre, i crimini, le pene e le carceri! Il Pubblico Potere non sarebbe altro che un'immensa cooperativa di attività spontanee e armoniche a pro della prosperità, della cultura e della salute. Il completo benessere terreno delle società sarebbe la meta unica di tutti gli sforzi umani nell'era della buona volontà.

Questo miraggio, la cui affinità con il mito anarchico inerente al marxismo già abbiamo segnalato (capo 2, B), dotato, come abbiamo detto (capo 2, I), di tutta la forza di suggestione corrispondente alle più profonde aspirazioni dell'uomo, è idoneo a svegliare in innumerevoli anime una emozione deliziosa, che le riempie interamente, e dalla quale, come da un tossico, non vogliono separarsi in nessun modo.

Da ciò deriva il fatto che la parola "dialogo", quando viene utilizzata in questa prospettiva, si riveste di scintillii particolarmente magici e affascinanti. Come un vero talismano, comunica automaticamente il suo prestigio e il suo brillio a quelli che la adottano.

e) Quinto effetto. La tendenza ad abusare della elasticità della parola "dialogo"

Da questi diversi fattori psicologici proviene una tentazione, sempre più accentuata, di esagerare la naturale elasticità del termine in questione.

In realtà, se con l'impiego di una parola si consegue un determinato effetto, questo sarà tanto maggiore quanto più la si impieghi.

Da ciò la tendenza a usare la parola "dialogo" per qualsiasi motivo. Il suo uso può diventare quasi un vizio, di modo che un'intervista, un articolo, un discorso non sembrano completi se non contengano un riferimento al dialogo.




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