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Plinio Corrêa de Oliveira Trasbordo ideol. inavvertito e Dial. IntraText CT - Lettura del testo |
6.
- Inutilità della potenza termonucleare nella espansione del comunismo mediante
la violenza
Da questa impotenza nella
persuasione ideologica esplicita e nella produzione economica che abbiamo
esaminate, derivano naturalmente per il marxismo, nella realizzazione del suo
piano di egemonia mondiale, difficoltà innumerevoli, che riducono a proporzioni
ancora più modeste lo spettro del suo irresistibile potere. In un punto, in un
solo punto, il pericolo comunista può apparire grande agli occhi di tutti i
popoli. E consiste nello sbandierare la minaccia di una ecatombe termonucleare
di ampiezza forse mondiale. Se il comunismo è nulla in quanto forza
costruttiva, è qualcosa come forza distruttiva.
E' notorio che il potenziale atomico sovietico è inferiore a quello nordamericano. Però, per sua propria indole, l'URSS costituisce per il mondo, come potenza termonucleare, un pericolo maggiore di qualunque altra nazione. In effetti, per realizzare i propri piani, le forze del disordine e della rivoluzione, per loro stessa natura, hanno meno riguardi (quando ne hanno) nel ricorrere alla distruzione, delle forze dell'ordine. La tendenza normale di un assalitore in agguato su una strada, consiste nell'aggredire. Quella della sua vittima non consiste nel lottare, ma nel fuggire. E così è maggiore il pericolo che un'ecatombe atomica sia scatenata dai sovietici o dai cinesi, che da qualche nazione dell'Occidente.
Quest'unico punto di "superiorità", intrinsecamente negativo, che valore ha per l'espansione comunista? Saranno superati per mezzo di esso gli ostacoli che, come abbiamo visto, si oppongono a questa espansione?
A quali risultati condurrebbe, per gli stessi comunisti, un conflitto termonucleare? Vittoriosi, forse, all'inizio, sarebbero essi le principali vittime della ecatombe che avrebbero scatenata. Dunque, essendo la loro potenza inferiore a quella dell'avversario, subirebbero probabilmente, immediatamente dopo l'aggressione, rappresaglie maggiori del danno causato. E infine perderebbero la guerra.
Niente, infatti, è meno probabile della loro vittoria. E, se la conseguissero, che resterebbe loro nelle mani, se non un mondo nel quale gli Stati Uniti e l'Europa sarebbero ridotti a un immenso cumulo di rovine? Come innalzare su queste rovine fumanti e informi l'edificio del socialismo che Marx, Lenin, Stalin e Kruscev avrebbero voluto vedere costruito sulla base della tecnica più perfetta, più avanzata e, in una parola, più capace di emulare quella nordamericana? Ancora recentemente, la Pravda, organo del Comitato Centrale del Partito Comunista della Unione Sovietica, affermava: - Accade con frequenza, in politica, che le sconfitte subite in un campo, non equivalgano necessariamente a vittorie nel campo opposto. L'esempio più sorprendente è quello della guerra termonucleare, che nulla varrebbe per il blocco socialista, anche se in essa l'imperialismo fosse letteralmente polverizzato ("Pravda", edizione del 6 gennaio 1965, apud comunicato AFP della stessa data, speciale per "O Estado de Sáo Paulo"). E' la confessione della radicale nocività, per le stesse nazioni comuniste, di una ipotetica vittoria termonucleare sovietica sull'Occidente.