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Pius PP. IX Maxima quidem IntraText CT - Lettura del testo |
Inoltre con somma sfacciataggine non dubitano di asserire che la divina rivelazione non solo a niente giova, ma addirittura nuoce alla perfezione dell’uomo, e che la medesima rivelazione divina è imperfetta e perciò sottoposta al continuo ed indefinito progresso, il quale corrisponda al progresso della ragione umana. Quindi non arrossiscono di spacciare che le profezie ed i miracoli esposti e narrati nelle sacre Scritture sono favole da poeti, ed i sacrosanti misteri della nostra divina fede un compendio di speculazioni filosofiche, e che nei divini libri dell’uno e dell’altro Testamento si contengono invenzioni mitiche, ed anzi lo stesso Signor nostro Gesù Cristo (orribile a dirsi!) anch’Egli è un mito. Per la qual cosa codesti spacciatori di perverse dottrine bestemmiano che le leggi morali non hanno bisogno di sanzione divina, né occorre che le umane leggi si conformino al diritto di natura o prendano da Dio il potere di obbligare; di qui argomentano che non esiste nessuna legge divina. Inoltre osano negare qualsivoglia azione di Dio sopra gli uomini e sopra il mondo, e temerariamente affermano che la ragione umana, senza nessun riguardo a Dio, è unico giudice del vero e del falso, del bene e del male, e che la stessa ragione è legge a se medesima, e con le sue forze naturali è bastante a procacciare ogni bene degli uomini e dei popoli. E poiché iniquamente osano derivare dalla virtù naturale della ragione umana tutte le verità religiose, così a ciascun uomo attribuiscono un tale quasi primario diritto per il quale egli sia libero di pensare e di parlare a suo giudizio di religione, e rendere a Dio quell’onore e quel culto che a suo piacimento giudica migliore.