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Pius PP. IX
Quo impensiore

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II.

Invero oggi siamo afflitti da un dolore anche più profondo, perché la sua dolcezza, la sua prudenza, la sua autorità non hanno potuto in alcun modo spezzare o mitigare l’audacia dei perversi. Egli stesso, appena approdato a Costantinopoli, memore della mitezza ecclesiastica, chiamò a sé i più importanti promotori della sedizione e tentò con paterni ammonimenti di ricondurli alla dovuta obbedienza. Poiché ebbe usato invano questo accorgimento, presentò in pubblico la Nostra Lettera con cui (fatto cenno anche al carattere straordinario dei più recenti avvenimenti) lodavamo il suo zelo, confermavamo la Nostra costituzione Reversurus pubblicata il 12 luglio 1867 in favore di una corretta elezione dei Vescovi, tentavamo di richiamare il clero secolare ai doveri del loro ministero e ammonivamo i Monaci e i Laici perché non varcassero i limiti a loro fissati dalla Chiesa; dimostravamo inoltre con chiarezza la vacuità delle richieste avanzate dai refrattari. In quella occasione lo stesso Venerabile Fratello Antonio Giuseppe minacciò le censure ecclesiastiche a quella parte del clero che avesse rifiutato di sottomettersi, entro i giorni stabiliti, alla legittima autorità. Ma poi, vedendo che quei giorni erano passati invano, decise di prorogare ancora il termine prestabilito e non colpì con la sospensione i recalcitranti prima di essersi reso conto che la pazienza era del tutto inutile e che occorreva prevenire con la severità il pericolo di un ulteriore inganno a scapito delle persone semplici.




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