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Pius PP. IX
Respicientes ea

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V.

Stando così le cose e godendo il Nostro popolo una tranquilla pace, il re subalpino e il suo governo, colta l’occasione di una grande guerra scoppiata fra due potentissime Nazioni d’Europa, con una delle quali avevano pattuito che avrebbero mantenuto inviolato lo stato presente del dominio ecclesiastico e che non lo avrebbero lasciato turbare da uomini di partito, decretarono immediatamente di invadere le altre terre del Nostro dominio e persino la Nostra Sede e di assoggettarle al loro potere. E quali cause si accampavano per questa invasione nemica? Certamente tutti conoscono le cose che sono trattate in una lettera del re dell’8 Settembre scorso diretta a Noi e trasmessaCi dal suo ambasciatore presso di Noi, lettera nella quale con lungo e subdolo giro di parole e di pensieri, ostentandosi figlio rispettoso e buon cattolico e sostenendo la causa dell’ordine pubblico e della salvezza del Pontificato stesso e della Nostra persona, Ci domandava di non prendere il rovesciamento del Nostro potere temporale come un atto di ostilità e di ritirarsi spontaneamente da tale potere fidandoCi delle futili garanzie che egli Ci faceva con le quali, diceva, i desideri dei popoli italiani verrebbero conciliati con il supremo diritto e la libertà dell’autorità spirituale del Romano Pontefice. Noi, naturalmente, Ci siamo molto meravigliati vedendo come la violenza che stavamo per subire di momento in momento si volesse coprire e dissimulare, e Ci addolorammo intimamente della triste sorte del re che, spinto da cattivi consigli, ogni giorno infligge nuove ferite alla Chiesa e, avendo più rispetto per gli uomini che per Dio, non pensa che vi è in Cielo il Re dei Re e il Signore dei Signori, il quale "non escluderà nessuno, non temerà la grandezza di nessuno, poiché egli fece il piccolo e il grande e tormenti più forti sovrastano ai più forti" (Sap. VI, 8-9). Per quel che riguarda poi le richieste che Ci sono state rivolte, crediamo di non dover esitare, obbedendo alle leggi del dovere e della coscienza, a seguire gli esempi dei Nostri Predecessori, e soprattutto di Pio VII di felice memoria, del quale bisogna qui che esprimiamo e facciamo Nostri i sentimenti d’animo invitto da lui dimostrati in una circostanza assolutamente simile a questa: "Ricordammo, con Sant’Ambrogio, che il Santo uomo Naboth possessore della sua vigna, avendogli il Re domandato di cedergli la sua vigna dove sradicate le viti avrebbe seminato dei volgari ortaggi, rispose: non cederò mai ad altri l’eredità dei miei padri. Di conseguenza giudicammo che a Noi fosse assai meno lecito cedere tanto antica e sacra eredità (cioè il dominio temporale di questa Santa Sede posseduto per tanta serie di secoli dai Romani Pontefici Nostri Predecessori per palese volere della Divina Provvidenza), o tacitamente acconsentire che chiunque si impadronisse della capitale del Mondo cattolico, dove sconvolta e distrutta la santissima forma di governo che fu da Gesù Cristo lasciata alla sua Santa Chiesa e regolata dai sacri canoni fondati sullo spirito di Dio, sostituirebbe a questa un codice contrario assolutamente, non solo ai sacri canoni, ma anche ai precetti evangelici e introdurrebbe, secondo il solito, quel nuovo ordine di cose che tende apertamente ad associare ed a confondere con la Chiesa cattolica tutte le superstizioni e le sette. Naboth difese le sue viti anche col suo sangue. Potevamo Noi, qualunque cosa stesse per accaderCi, esimersi dal difendere i diritti e possessi della Santa Romana Chiesa, dal momento che per mantenerli secondo tutte le Nostre possibilità fummo vincolati da un sacro solenne giuramento? O dal difendere la libertà della Sede Apostolica, che è così legata alla libertà e utilità di tutta la Chiesa? Ancorché mancassero altri argomenti, le cose che ora accadono dimostrano fin troppo efficacemente quanta realmente sia la convenienza e la necessità di questo Principato temporale che garantisce al capo supremo della Chiesa il sicuro e libero esercizio di quel potere spirituale che per volontà divina gli fu dato su tutto il mondo" (Lett. Apost. 10 Giugno 1809).




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