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Pio XII
Divino afflante Spiritu

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13. All'interprete cattolico che si accinge all'opera di intendere e spiegare le divine Scritture, già i Padri della Chiesa, e in prima linea Sant'Agostino, grandemente raccomandavano lo studio delle lingue antiche e il ricorso ai testi originali (Cfr. per es. S. Hieron., Praef. in IV Evang. ad Damasum, PL. XXIX, col. 526-527; August., De doctr. christ. II, 16; P.L. XXXIV, col. 42-43). Tuttavia tali erano a quei tempi le condizioni degli studi, che non molti, e quei medesimi soltanto in grado imperfetto, possedevano la lingua ebraica. Nel medio evo poi, mentre era in sommo fiore la Teologia Scolastica, anche la conoscenza del greco era da grande tempo scemata in Occidente, sicché anche i più grandi Dottori di quel tempo nello spiegare i Sacri Libri non si potevano basare che sulla versione latina della Volgata. Ai giorni nostri al contrario non soltanto la lingua greca, che col Rinascimento risorse, per così dire, a novella vita, è pressoché familiare a tutti i letterati e studiosi della antichità, ma anche dell'ebraico e di altre lingue orientali è diffusa la conoscenza fra le persone colte. Si ha poi adesso tanta abbondanza di mezzi per imparare quelle lingue, che un interprete della Bibbia, il quale trascurandole si precluda da sé la via di giungere ai testi originali, non può sfuggire alla taccia di leggerezza e di ignavia.




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