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Giordano Bruno Cavagna
(n. 1921 - m.1966)
Metaf. class. e metaf. cristiana

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  • Prot. 1 - 50
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della riducibilità o irriducibilità delle dieci categorie aristoteliche, resta pur sempre che l’arresto dell’analisi del pensiero o a tutte esse o a quelle di esse che son vere categorie è un atto arbitrario perché dev’essere di diritto proseguita a quelle nozioni trascendentali per contemplazione, le quali saranno degne di non essere trattate alla stessa stregua degli altri concetti, ma o sono concetti reali e validi e allora sono le vere categorie supreme di tutte le categorie sussumenti sotto di sé tutti i concetti, o sono miraggi del pensiero e allora non si vede come il pensiero possa pensare in generale un concetto che non è intelligibile se non è pensato almeno come uno, esistente, vero; tralasciamo i trascendentali dell’unità e della verità che sono esclusivamente funzionali e quindi possono anche pensarsi come denotazioni che in nulla toccano le altre note del resto della connotazione di un concetto, ma il trascendentale dell’esistente riguarda sia il semplice pensamento del concetto in quanto rappresentazione entro il fenomenico intuito sia la modalità di apodittico secondo cui vien pensato e quindi l’apoditticità dell’intera connotazione e, per ciò, l’intero concetto stesso in quanto esistente secondo certi modi qualificativi che son suoi e non del pensiero che lo pensa; ma la trascendentalità della nozione di esistenza non è che un nome dato alla sua funzione di denotante comune dell’intera classe dei concetti, alla sua funzione di classe delle classi intelligibili, e questa sua funzione stabilisce una relatezza tra tutti i concetti possibili, relatezza cha sarà sì indeterminata e ignota e resterà tale in eterno per il pensiero, ma neppure consentirà mai al pensiero di porre come assolutamente irrelati due concetti, dovendo esso argomentare per entrambi un’unità di relazione, ignota e indeterminata, che estesa a tutti i concetti fa di questi il regno ((segno??)) dell’unità del pensiero e dell’unità dell’universo; se questa è falsa, sarà falsa la categorialità dell’esistente, ma sarà pure falsa e illegittimita l’intepretazione, qualsivoglia sia, dell’universo stesso; s’imporrà il silenzio su di esso -; in secondo luogo, la disgiunzione dei due concetti non nasce dai due concetti stessi, ciascuno preso sic et simpliciter: la separazione tra la nozione del rapporto lato-diagonale in un quadrato e la nozione di commensurabilità non ha luogo tra i due concetti presi secondo un punto di vista identico, sotto condizioni identiche, secondo metodi di analisi identici, in una identica considerazione del loro modo

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di essere e del loro essere; i due concetti vengono separati, essendo però quello che nella proposizione prima, quella attestante la loro relazione di inerenza, aveva funzioni di soggetto, assunto nella sua intera connotazione, o nota o conoscibile, o parziale o totale, tuttavia articolata in tutte quelle note entro il cui novero è lecito trovare o l’altro concetto o almeno le condizioni per il suo inerire, essendo invece l’altro concetto, quello con funzioni di predicato, entro la proposizione prima assunto come denotato dalla sua nota essenziale, quella che fa di esso ciò che esso è, che impone ad essa di essere secondo i suoi modi, che eretta a genere si pone come l’indeterminato, ma fondamentale, di cui il resto delle note è determinante, ma contingente ai fini di una mera intellezione del concetto stesso; la separazione tra √2 ((leggi:” radice di 2”)) e commensurabilità è separazione tra A (= √2), in quanto A1, A2, A3,...An, e B (=commensurabilità) in quanto B1 (=genere essenziale di B = nota di multiplo rispetto a un dato quantitativo, denotante contemporaneamente due enti quantitativi); ora, la separazione non è di fatto tra i due perché altrimenti non sarebbe mai stata neppure sostituita, sia pure temporaneamente, da un loro rapporto relazionale: nessuno che conosca tutti i molteplici di una sintesi, che li enumeri in serie, pensa all’inerenza di un ente, differente da ciascuno dei molteplici e non esistenti a lato di tutti i molteplici nella sintesi, entro la sintesi stessa; la separazione tra due concetti che sono separati non è neppure posta; nessuna mente di geometra pone la separazione tra diametro e poligono, muovendo dal semplice darsi dei due concetti. E’ necessario che qualcosa d’altro si offra al pensiero come un pensato e precisamente il rapporto di inerenza tra la denotazione essenziale dell’un concetto e la connotazione complessiva dell’altro concetto; il che non va affatto a finire dove è cominciato, già sopra; il nostro discorso sulla negazione; e allora la separazione si tra il rapporto di inerenza in quanto pensato di fatto e quindi proclamante la propria produttività di cognizione e di intelligenza e il medesimo rapporto di inerenza in quanto pensabile di diritto e quindi ritrovante in checchessia la ragion sufficiente delle sue pretese. Qui manca l’unica

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relatezza possibile, quella di identità tra i due, perché l’uno è un pensato con autoconsapevolezza di una pretesa che deve avere altro a propria ragione e che non ha a propria ragione se non se stessa, cioè il suo esistere di fatto, e l’altro è il medesimo pensato con autoconsapevolezza dell’illiceità della pretesa a farsi ragion sufficiente di se stessa: il modulo del confronto non è l’irrelatezza dei due concetti, ma l’irrelatezza dei due rapporti tra i due concetti, quello di diritto e quello di fatto, che dovrebbero essere identici e identicamente denotati e invece sono eterogenei ed eterogeneamente denotati - il rapporto tra √2 ((leggi: radice di due)) e commensurabilità pensata di fatto, se non altro per deduzione dalla postulata commensurabilità di tutte le relazioni tra quantitativi, e il medesimo rapporto pensato di diritto sono stati dichiarati eterogenei e quindi separati, disgiunti, irrelativizzati l’uno dall’altro; s’intende che il processo indagativo che ha condotto a dichiarare inidentici i due rapporti è quello che sfocia nella negazione di commensurabilità di √2, ma è evidente che siffatto sfocio consiste anzitutto in una separazione tra il concetto ideale e il concetto reale del reciproco rapporto, che è rapporto di inerenza dell’uno nell’altro, dei medesimi concetti.- Che poi alla separazione dei due rapporti consegua la separazione dei due concetti, è fenomeno del pensiero di fatto e non del pensiero di diritto, come abbiamo dimostrato: la liceità di pensare sempre due concetti qualsivogliano o addirittura presi a casi secondo una certa connessione reciproca imposta di una relazione determinata di intelligibilità può essere apriori o aposteriori e, nel caso che sia apriori, è la semplice inferenza formale dall’universale condizione di relatezza in cui tutti i concetti debbono essere posti per lo stato di unità da cui l’intero ordine degli intelligibili è qualificato, mentre nel caso che sia aposteriori, è l’enunciazione formale di un effettivo stato di relatezza in cui i due concetti vengono immediatamente e materialmente appresi; ora a parte il fatto che la connessione relazionale tra due concetti non è unica ed univoca, sicché quel rapporto di inerenza nel quale i due concetti, termini della negazione, sono dal pensiero nel suo primo momento pensati di fatto non è che uno dei vari modi di connessione tra intelligibili, resta sempre che in quel medesimo primo momento la relazione di inerenza è posta di fatto come immediata o almeno come immediatamente intuibile senza che con ciò si voglia ecludere che ad un più approfondito esame l’inerenza possa apparire mediata da un numero

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più o meno grande di inerenze intermedie; il primo momento quindi del processo sfociante nella negazione è l’affermazione di un rapporto di inerenza immediata tra un concetto e un altro, affermazione che verbalmente si traduce nel’enunciato che ha il primo concetto a predicato e il secondo a soggetto, anche se apriori si deve sempre ammettere uno stato di relazione tra due concetti qualsivogliano, qualora l’intuizione non offra aposteriori siffatto stato come connessione di inerenza od offra una relazione di altro tipo, diverrà necessario per il pensiero separare il rapporto di inerenza tra i due concetti della negazione che diverrà ente puramente effettivo o di fatto, dal rapporto di diritto tra essi medesimi il quale come ente di diritto sarà o problematico o apodittico, sempre comunque non di inerenza, imponendo la differenza una separazione assoluta che non instaura contraddizione tra la relatezza dei due concetti che è generica e la separazione dei due loro rapporti che sono rapporti di inerenza. Che se poi ci si chiede come sia possibile al pensiero stabilire siffatta separazione tra il rapporto inerenziale ideale o di diritto e il rapporto connettivo di fatto, il quale può essere sì un rapporto di altra classe, nel qual caso l’eterogeneità è ragione immediata e sufficiente della separazione, ma può anche essere connessione qualsivoglia puramente possibile e quindi nel campo dell’intuizione effettiva irrelatezza, basterà tener presenti le operazioni, che il pensiero compie secondo le modalità stabilite dal principio di ragione, su tutti gli enti che vengono accolti come enti intelligibili apodittici e quindi legittimi e quindi anche di fatto; apparirà allora come la ragion sufficiente di una connessione relazionale tra due concetti sia o l’effettivo stato di relazione tra essi immediatamente intuito o la conseguenza di una serie di condizioni più o meno vasta che interessano entrambi i concetti e che consentono od escludono la connessione, la quale conseguenza vien sempre a coincidere con l’effettivo stato di relazione, questa volta soltanto argomentato; il rapporto di inerenza ideale o di diritto esige siffatta ragione, ma vede alla sua esigenza corrispondere o una separazione insuperabile, almeno entro i limiti del conoscere in atto, tra i due concetti, o una connessione altra però da quella che esso pone come unica possibile ragione, mentre il rapporto di inerenza asserito di fatto pretende di godere di fatto di una ragione identica a quella richiesta dal rapporto ideale: di qui la seguente struttura di connessione: il rapporto di inerenza affermato di fatto dal pensiero nella sua prima fase rimanda allo stato di




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