- 36 -
[pag.36 F 1]
inerenza tra i due enti che poi entreranno nella negazione come a sua
ragione sufficiente, ma in sé non verifica né l’effettualità di siffatto stato
né quindi la propria legittimità, il medesimo rapporto di inerenza pensato però
come legittimo o diritto rimanda allo stato di inerenza interconcettuale e
impone la verifica dell’esistenza dello stato e della propria legittimità, la
verifica offre la cognizione o di rapporto che non è di inerenza o di una
separazione tra i due concetti con la conseguenza che nel caso che appaia noto
un rapporto interconcettuale altro dall’inerenza questo è ragion sufficiente
dell’affermazione della sua realtà e quindi del pensamento dei due concetti
secondo la connessione stabilita dal rapporto in atto, il qual pensamento è
affermazione e giudizio, mentre nel caso che si dia da conoscersi la
separazione interconcettuale questa si dà come ragione dell’impossibilità di un
loro pensamento in connessione e quindi della loro introduzione in
un’affermazione o giudizio; quest’ultimo complesso, costituito dal vincolo che
lega lo stato di relazione non -inerenziale o lo stato di separazione di fatto
tra i due concetti al pensamento della loro effettiva connessione determinata o
della loro effettiva separazione, che sono rispettivamente coesistenza in un
giudizio o appartenenza costante a giudizi differenti, è il punto di arrivo
positivo, ossia di conoscenza legittima e fornitrice di nozioni materiali
concrete, cui rimanda la ricerca operata sul rapporto di inerenza ideale o di
diritto con la conseguente separazione tra que ((questa??)) e il rapporto di
inerenza di fatto e che fa da simmetrico alla conoscenza meramente negativa -
siano dati i due concetti A e B, l’affermazione di fatto dell’inerenza di B in
A (=A è B) pretende come ragione l’inerenza di B in A (=A è A1 A2
A3...An, in cui A1=B), l’affermazione di
diritto dell’inerenza di B in A (=A è B, apodittico e vero) verifica l’inerenza
di B in A e trova o A ≠ B o trova che A: B ≠ A (= A1 A2
A3...An): B (=A1) e deduce che {(A ≠ B)
o [(A: B ≠ A (=A1 A2 A3...An):
B (=A1)] } ≠ {[(A ≠ B) o (A: B ≠ A (= A1 A2
A3...An): B (=A1)] →(A è B) } e
che { (A ≠ B) o [(A: B ≠ A (= A1 A2 A3...An):
B (=A1)] } = { (A ≠ B) o [(A: B ≠ A (= A1 A2
A3... An): B (=A1)] → (A ≠ B) o (A
è C (= A1 ≠B)]; donde
[pag.36 F2]
risulta noto che { [(A= A1 A2 A3...An).
B (= A1)→ A è B] ≠ { [A ≠B] o [A: B ≠ A (= A1
A2 A3...An): B (= A1)] ≠ [(A
≠ B) o (A: B ≠ A (= A1 A2 A3...An):
B (= A1) → (A è B)] } e che { (A ≠ B) o [A: B ≠ A
(= A1 A2 A3..An): B (=A1)]
→ [(A ≠ B) = [ (A è non B)((forma cancellata))] }, essendo la prima
risultante la separazione di (A è B), in quanto di fatto, da (A è B), in quanto
di diritto, la seconda risultante (A ≠ B) o [A è C (= A1)] la
conoscenza verace da sostituirsi, nell’ordine di fatto, a (A é B) -; il fatto
che la separazione del rapporto di inerenza di fatto dal rapporto di inerenza
di diritto rimandi alla nozione di separazione dei due concetti o alla nozione
di una condizione relazionale altra da quella di inerenza, argomenta come il
concetto di separazione sia principio di conoscenza per l’eventuale concetto di
separazione dei due concetti. In sintesi, il termine di assenza come segno di
separazione nell’esistenza in genere indica immediatamente, nel caso che il
concetto da esso designato entri nella definizione della negazione, la
separazione assoluta del rapporto di inerenza tra i due concetti, termini di
negazione, in quanto pensato di fatto dal medesimo rapporto di inerenza in
quanto pensato di diritto e solo mediatamente indica la separazione dei due
concetti come quella che in quanto assoluta è conseguenza, meramente possibile
e non necessaria, della separazione precedente; e poiché la separazione dei due
rapporti di inerenza riguarda non la loro connotazione materiale, che è per
entrambi identica, ma la loro rispettiva denotazione che per il primo rapporto
è dalla nota di effettualità e per il secondo dalla nota di legittimità e che
quindi è fatto puramente formale, l’assenza in quanto separazione
nell’esistenza tocca le condizioni formali dei due rapporti le quali sono del
tutto eterogenee, l’effettualità restando sempre al di fuori della classe della
legittimità e la legittimità connotando un rapporto di inerenza altro da quello
effettuale. Sicché, a guardare ben in fondo le cose, la separazione si articola
su quattro rapporti di inerenza, il rapporto di inerenza tra i due concetti,
termini della negazione, in quanto di fatto, il rapporto di inerenza tra i
medesimi due concetti in quanto di diritto, il rapporto di inerenza tra uno dei
due concetti e un terzo concetto in quanto di fatto, il rapporto di inerenza
tra uno dei
[pag.36 F3]
due concetti e il terzo concetto in quanto di diritto; l’identità o
identificazione tra quest’ultimo rapporto in quanto di fatto e il medesimo rapporto
in quanto di diritto, viene assunta dalla separazione tra i due primi rapporti
come propria ragion sufficiente - dati i concetti A (= A1 A2 A3...An)
e B, e dato il rapporto (A=B) = (B = A1), il rapporto è di fatto se
(B= A1) è tesi, il rapporto è di diritto se (B=A1) è
ipotesi; indichiamo con a (alfa) il rapporto (A è B) di fatto e con b (beta) il
rapporto (A è B) di diritto; se dato (A= A1 A2 A3...An)
si dà (C=A1), l’ipotesi (C=A1)pone che (A=C);indichiamo
con g
(gamma) il rapporto (A = C) di diritto, e con d (delta) il rapporto (A = C) di fatto; l’ipotesi (C=A1)
porrà pure che [(C = A1)→(B ≠ A1)], che { [(C
=A1)→ (B ≠ A1)] → (A ≠ B) }, che
[(C=A1)→ d (delta)], che [(C=A1)→ g
(gamma)], che [(C= A1)→ (g (gamma) = d
(delta) ) = (d
(delta)= g
(gamma))], che [(A ≠ B)→ non -b (beta)], che [(A ≠
B)→ (a
(alfa) ≠ b
(beta))] -.
Prendiamo ora in considerazione la definizione di negazione da cui
siam partiti. Non intendo qui, e mi si perdoni, condurre un’analisi completa,
almeno relativamente al mio pensiero indagante se non all’oggetto, del fenomeno
della tautologia: è certo che il concetto che comunemente ci viene offerto come
indicato da siffatta parola è molto indeterminato, a tal punto che tutti i
fatti del conoscere diverrebbero sussumibili sotto di esso, venendo così meno
quella portata di invalidità gnoseologica che noi siam soliti attribuire a uno
stato mentale tautologico; dire che si ha tautologia quando date due
rappresentazioni a pretesa di intelligibilità esse si danno connotate dal
medesimo concetto, indipendentemente dalla qualità e quantità delle parole
usate per esprimerlo, significa semplicemente dire che tutto il nostro
conoscere è una tautologia, perché noi conosciamo giustapponendo sempre due
intelligibili che debbono essere estensivamente e intensivamente uguali,
corrispondendo a una assenza di questa uguaglianza un’assenza di conoscenza
secondo un rapporto rigidamente proporzionale tra le due; l’ideale del
conoscere è la convertibilità universale delle due rappresentazioni correlate
nel rapporto funzionale rappresentativo, la liceità e apoditticità di una
sostituzione onnicomprensiva della seconda alla prima e della prima alla
seconda, e tale convertibilità non si può avere se non quando il volume
concettuale dei due rappresentati è assolutamente identico; di conseguenza,
dire che si ha una tautologia quando si abbia l’identità concettuale fra i
termini correlati per finalità cognitiva - ed è questa la descrizione che
comunemente vien data per la
[pag. 36 F 4]
tautologia, oppure esprimere lo stato tautologico con la formula che
per il Couturat ne esprime la legge -aa =a, a ∪ ((leggi: segno della
quantità breve)) a = a -, e insieme lasciare alla situazione tautologica tutta
la sua portata spregiativa non vuol dire altro che estendere il medesimo senso
spregiativo all’ideale gnoseologico; e a nulla serve tentare di salvaguardare
un qualche valore alla tautologia, dicendo o che la situazione tautologica si
dà solo quando la convertibilità universale è pure affermativa - in questo caso
non si tiene presente che la conversione di due termini universali, l’uno dei
quali negativo, è formalmente legittima, ma gnoseologicamente non lecita,
essendo vero che tutti gli uomini sono il non di quel che sono, ma non che il
non di quel che sono coincida con tutti gli uomini, sicché una conoscenza per
negazione, sia pur solo parziale, non è sempre convertibile dal punto di vista
formale, ma dal punto di vista gnoseologico lo diviene solo surrettiziamente -,
o che la tautologia in quanto enunciato dell’identità assoluta tra i due
correlati è affermazione della loro identità necessaria e formale - infatti,
poiché la tautologia sottintende una ripetizione, l’identità in quanto
eguaglianza di una rappresentazione con la propria ripetizione pone un’identità
necessaria sì, ma non solo formale bensì anche materiale col che nulla insegna;
che se invece l’identità necessaria è puramente formale, allora siam fuori da
una situazione tautologica -, o che una tautologia non esiste di fatto perché
anche la pur più assoluta delle ripetizioni riempie il secondo rappresentato di
un contenuto che non ha il primo, ossia vi è qualcosa di indipendente dal
trascorrere del tempo, il permanere immutabile dell’identico con se stesso - e
anche questo è vero, fuor però di una posizione veramente tautologica, fuor
cioè di una ripetizione pura e semplice, in quanto in siffatto caso il secondo
membro appare una mera ripetizione del primo, che può essere anche verbale,
come quando diciamo “ Socrate muore perché Socrate è Socrate, oppure: Dio e
Dio, ma in realtà non si ha per niente una ripetizione volendosi attribuire,
mediante il secondo rappresentato, un valore al primo che di per sé non aveva
-; tutte queste giustificazioni, a parte il fatto che finiscono per sostituire
all’oggetto che esse pretendono assumere in esame e difendere, l’ente reale
tautologia, qualche altro reale che nulla ha di tautologico in sé, si rifanno
sempre per l’interpretazione della loro pretesa
|