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coppia colta in identità: il rapporto dialettico tra due identici in
quanto identici, ossia il rapporto dialettico a finalità identicativa, non ha
nulla che fare col rapporto tra due identici in quanto dotati nella loro
unificazione di quel fattore di eterogeneità di cui siamo alla ricerca, ossia
col rapporto dialettico a finalità cognitiva - dati i concetti A1 e
A2, connotati come nell’esempio immediatamente precedente, il
giudizio A1 =A2 è rapporto dialettico da A1 ad
A2 e da A2 ad A1, ma questo rapporto
dialettico si limita a stabilire la perfetta identità ed equivalenza dei due,
sostituendo al possibile errore del giudizio A1 ≠ A2
dedotto dai due giudizi “ B è A1” e “ A2 è C” la verità
che è A1 =A2; un rapporto dialettico non limitato alla
semplice identificazione di A1 con A2; un rapporto
dialettico non limitato alla semplice identificazione di A1 con A2
s’instaura non già tra A1 e A2, ma vincola la situazione
di A1 e di A2 nei giudizi “B è A1” e “A2 è
C” con il giudizio A1 =A2 secondo la proporzione: A1
(che è in B): A2 (che è C) = A1: A2,
donde A1 A2 (che è C) = A2 A1 (che
è in B), donde (A1 = A2) → (A2 = A1).-
Se, allora, consideriamo, l’unità dialettica che unifica due rappresentazioni
connesse per finalità cognitiva, possiamo notare che al di sotto dei numerosi
modi secondo cui tale unità, che è unificazione relazionale per movimento di
pensiero, si attua, sussiste un’unica modalità, che è l’essenza di tali modi e
insieme determina la loro univocità formale; questo schema formale è
l’unificazione sintetica di tre movimenti dialettici secondo i quali
l’attenzione del pensiero si sposta dalla sua concentrazione sul primo alla
concentrazione sul secondo e da questa a quella: il pensiero si muove
dall’attenzione concentrata sul primo all’attenzione concentrata sul secondo
per stabilire il diritto all’esistenza e alla pensabilità in generale cui
entrambi i rappresentati possono aspirare; lo stesso pensiero disloca
l’attenzione dal secondo per concentrarlo sul primo al fine di identificare il
diritto cui entrambi aspirano di vedere riconosciuta legittima la loro pretesa
di essere degli apodittici nell’esistenza o ((e??)) nella pensabilità; ancora
una volta il pensiero porta la sua attenzione dal secondo rappresentato al
primo per cogliere il diritto legittimante la pretesa del secondo rappresentato
ad offrire la propria connotazione come fonte di evidenza immediata, di
determinazione e di
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soluzione rispettivamente di ciò che di non immediatamente evidente,
indeterminato, aporetico turba la contemplazione della connotazione del primo
rappresentato: i due rappresentati si sono dati al pensiero ciascuno
proclamante delle sue pretese, il primo di garantire l’esistenza del secondo,
il secondo di garantire l’apoditticità al primo e di fornirgli l’evidenza la
determinazione l’esclusione di aporie; e il pensiero li ha unificati appunto
sulla base di tali pretese, che per un aspetto lo pongono nella necessità di
spostarsi dall’uno all’altro e dall’altro all’uno e per un aspetto diverso lo
pongono nella necessità di verificare la legittimità delle pretese; ma poiché,
a guardar bene, le tre pretese sono riconducibili tutte all’unico vanto dei due
rappresentati di essere degli identici o in tutto o almeno in quella parte
della loro connotazione che ha che fare con l’esistenza in genere, con la
necessità dell’esistenza, l’inevidenza l’indeterminatezza e l’aporeticità di
uno dei due, il diritto che legittima la pretesa sarà l’identità;
l’eterogeneità allora non sarà né nella forma né nella materia delle singole
connotazioni, sarà soltanto nella differenza di funzione che ciascuna
connotazione assume entro i tre rapporti, essendo la connotazione della prima
rappresentazione principio funzionale dell’esistenza generica della seconda,
essendo la connotazione della seconda principio funzionale dell’esistenza
apodittica e dell’intelligibilità della prima, sicché il pensiero viene a
patire in siffatta unità tre movimenti da eterogeneo a eterogeneo, un moto
dialettico unidirezionale e irreversibile dal primo al secondo per ciò che
riguarda la loro esistenza e la loro pensabilità in genere -potendo, è vero,
tale moto essere sostituito da altro analogo che parta da un primo
rappresentato in genere, ma dovendo siffatto moto darsi in uno o altro modo e
dovendosi sempre dare quando ad esso si uniscano gli altri due, nel senso che,
ad esempio, l’esistenza e la pensabilità in genere di “uomo” non sono funzioni
dell’esistenza e della pensabilità in genere di Aristotele più che di Maria, o
di Maria più che di Platone, ma sono necessariamente funzione di Aristotele e
non di Maria o di Maria e non di Aristotele, ecc., nel caso che il moto
dialettico da Aristotele o da Maria a uomo si affianchi al moto dialettico che
da uomo porta a Maria o ad Aristotele
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secondo gli altri due modi, perché non è possibile che Aristotele
debba vivere come uomo se la sua esistenza in generale non coinvolge in
generale quella di uomo -; un secondo moto dialettico unidirezionale e
irriversibile dal secondo rappresentato al primo per ciò che riguarda la
necessità della loro esistenza e della loro pensabilità e l’evidenza
determinatezza inaporeticità delle loro connotazioni materiali e formali; un
terzo moto dialettico bidirezionale, reversibile, convertibile dal primo
rappresentato al secondo e da questo a quello per ciò che riguarda l’identità
assoluta, parziale o totale, delle loro rispettive connotazioni. Nel caso che uno
di questi tre movimenti trovi nelle connotazioni che caratterizzano i due
rappresentati all’atto della loro unificazione a fini cognitivi modi tali che
contravvengono alle condizioni sovraordinate all’attuazione di ciascun moto
dialettico, e nel caso che ciononostante il pensiero proceda lo stesso
all’unificazione gnoseologica, l’ideale di conoscenza non è attuato: se si
verifica che le due connotazioni siano in sé, nella loro forma o nella loro
materia o in entrambe, eterogenee, avremo un assurdo che potrà essere velato da
una surrezione o da un qualsivoglia altro sofisma adatto alla bisogna del
momento, ma che sarà comunque un impensabile perché da una rappresentazione non
è possibile inferire o l’esistenza generica o la pensabilità generica o la esistenza
o((e??)) pensabilità necessarie o l’evidenza determinatezza inaporeticità di
un’altra se non nel caso che le due risultino e siano dimostrate identicamente
connotate; qualora si dia il caso che le due connotazioni non risultino né
siano argomentate eterogenee ma neppure sia possibile fissare e argomentare la
loro completa connotazione, con particolare riguardo per quelle note che
consentono l’inferenza della loro esistenza e pensabilità generiche e
apodittiche e per quelle note che rendono evidenti determinate inaporetiche
entrambe le connotazioni, nel caso cioè che ciascuna delle due connotazioni
sia estensivamente o qualitativamente
inadeguata all’altra, si verificherà non già che manchi una loro identità e che
sia illegittima l’inferenza dei due moti altri dialettici, ma che l’uno dei due
altri moti dialettici o entrambi
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diverranno bidirezionali, riversibili, convertibili, dovendosi il
pensiero spostare dal primo rappresentato al secondo e dal secondo al primo per
garantire ad entrambi il diritto all’esistenza e alla pensabilità in genere, o
dal secondo al primo e dal primo al secondo per fissare il diritto che tutt’e
due pretendono di avere all’apodissi nell’esistere e nell’esser pensati o alla
evidenza determinatezza inaporeticità e che nessuno dei due può avere di per
sé, oppure dal primo al secondo e dal secondo al primo per entrambi gli scopi;
quando le due connotazioni confrontate risultano inadeguate, non già per una
loro identità totale bensì per una loro deficienza che impedisce l’identificazione,
a tal punto che l’una rimanda all’altra, sicché il moto dialettico
identificativo risulta impossibile e illegittimo per deficienza di ragioni e
non già per insussistenza di ragioni, per impotenza ad omogeneizzare le due
rappresentazioni e non per impossibilità ad identificarle, è logico allora che
l’insufficienza dell’una rimandi all’altra e viceversa, con un moto eternamente
alterno che affetta e condiziona l’alternità immutabile dei due altri moti
dialettici, quello esistenziale o di pensabilità, e quello di apodissi o di
intelligibilità, imponendo tale alternità che il pensiero non trovi
soddisfazione nell’uno rappresentato e la cerchi nell’altro, per poi dover
abbandonare questo e portarsi nell’altro a cercarvi ciò che questo non gli ha
dato. Qui, allora, abbiamo quella situazione di vera tautologia, ossia di
enunciazione e rappresentazione di due che non sono identici nella connotazione
o materiale o formale, ma nell’insufficienza della forma o della materia
connotante e nell’appello all’altro per ritrovarvi quella competenza che essi
non hanno e che neppure l’altro possiede: per questo i turismi ((??purismi??))
sono veramente giochetti di parole, quando non sono tautologie, perché il dire
che il morire è un non vivere o che l’esser fatto non può diventare un non
fatto o che ciò che ho scritto ho scritto lasciano il pensiero fuori dalla
sfera in cui le finalità gnoseologiche son poste e perseguite, alla condizione
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