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che le nozioni di morire e di non vivere, di esser fatto e di non poter
non essere non fatto, ecc., siano non già perfettamente identiche in una
connotazione data nella forma e nella materia, ma equivalenti e
nell’incompiutezza materiale e formale delle rispettive connotazioni e nell’impasse
in cui si è messo il pensiero di pretendere di riempire ciò che manca all’una
con dati tratti da ciò che l’altra non fa conoscere; in caso diverso i turismi
((???tunismi??purismi??))divengono giudizi cognitivamente validi al pari di un
qualsiasi altro in cui parole diverse stian lì a garantire l’apparente non
tautologia, oppure ancora questi stessi giudizi in cui la diversità verbale
sembrerebbe garantire una non-tautologia, sono nulla più che tunismi ((??)) nel
caso che le differenti parole rimandino a due concetti egualmente noti solo in
parte; è facile osservare che in identica situazione vengono a trovarsi i
circoli viziosi, le petizioni di principio, le surrezioni, le definizioni
verbali le quali sono tutte unità cognitive di due rappresentati ciascuno dei
quali rimanda all’altro o per l’esistenza e pensabilità generiche o apodittiche
o per l’evidenza o per la determinatezza o per la soluzione di aporeticità, a
causa della loro rispettiva connotazione insufficiente; è facile, infine,
osservare che si avranno situazioni tautologiche apodittiche, come nel caso
delle petizioni di principio, quando i due rappresentati siano inidentificabili
per deficienza di connotazione e insieme necessariamente unificandi in un
rapporto dialettico a finalità cognitiva, o si avranno situazioni tautologiche
apodittiche arbitrarie, come nelle definizioni o verbali o insufficienti o
contraddittorie, quando nulla imponga di relazionare i due rappresentati a
connotazione inidentificabile per deficienza in un rapporto dialettico con
finalità cognitiva. Ora, possiamo inferire da questo lungo discorso che la
nostra originaria definizione della negazione era tautologica, per deficienza e
non per verbalità.
Abbiamo cominciato col definire la negazione come affermazione di
assenza di un fenomenico in un fenomenico e abbiamo determinato il concetto di
assenza come separazione del rapporto di inerenza tra i due fenomenici in
quanto posto di fatto dal medesimo rapporto in rapporto in quanto posto di
fatto dal medesimo rapporto in rapporto in quanto posto di diritto. La
definizione tuttavia è tautologica in quanto il predicato, anche determinato
continua a presentare un
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concetto povero e insufficiente quanto lo è quello del soggetto, tant’è
vero che i due termini equiparati danno vita a un palleggio di attenzione,
riportandosi il pensiero dal soggetto al predicato per attingere da questo
l’intelligibilità che per ipotesi non ha ed essendo poi costretto a ritornare
al soggetto per ricavare da questo quella conoscenza totale che nel predicato è
monca; che vi sia una parziale ignoranza della connotazione del predicato sì
che esso non ha significato fuor dalla proposizione, nel senso che solo legato
al concetto di negazione acquista una completezza cognitiva almeno potenziale,
è dimostrato anche da questo che il medesimo predicato può benissimo
qualificare un altro concetto, quale quello di differenza ad esempio o di
disuguaglianza, che nulla ha che fare con la negazione; e se un carattere della
validità non tautologica di un predicato definitorio o descrittivo di un
concetto reso suo soggetto è quello di porsi a predicato di una sottoclasse
denotata dal concetto-soggetto, la presenza di invalidità per tautologia del
concetto determinato di assenza in quanto predicato del concetto di negazione è
attestata da questo che la determinazione di assenza nell’essere del rapporto
di inerenza legittimo nel rapporto di inerenza effettuale non rende
intelligibile nessuna sottoclasse della negazione, quale può essere la nozione
designata da un aggettivo qualificativo indefinito o la nozione designata da un
termine negativo per composizione con un suffisso privativo: infatti, la
pienezza cognitiva della qualificazione di un concetto altrimenti
inintelligibile è argomentata aposteriori dalla sua attitudine a sostituire la
connotazione del concetto qualificato qualunque sia la nuova e differente
situazione formale in cui la connotazione è posta dalla dialettica del
pensiero, il che è tra l’altro argomento della necessaria equivalenza ed
omogeneità totali come ideale di un rapporto predicativo tra due concetti l’uno
dei quali attende conoscenza dalla connessione predicativa con cui lo si
vincola all’altro; l’impossibilità di siffatta sostituzione, comprovata con
tanto maggior forza quanto più la sottoclasse tende ad avvicinarsi
all’intuizione fenomenica e a porsi come intellezione immediata di questa, in
quanto l’intuizione fenomenica è chiamata tanto più facilmente in campo a
verificare la presenza in se stessa dell’intelligibile che come predicato pretende
di inerire in tutte le classi che la denotano e quindi nella stessa intuizione
che vede la denotazione
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trasfigurarsi in connotazione essenziale, può manifestare a propria
ragion sufficiente la sostanziale eterogeneità intercorrente fra tutte le note
denotanti l’intuizione e quindi le classi generiche sovraordinate e ciascuna
nota denotante il concetto del predicato qualificatore, e in questo caso ci
troviamo di fronte ad una serie di giudizi falsi, ma può anche manifestare a
propria ragione quella stessa parzialità di conoscenza intrinseca nel predicato
la quale provoca un disagio gnoseologico motore di un immediato moto dialettico
dal predicato al soggetto, che riproduce a livello della sottoclasse la
polarità dialettica che già si era data a livello della classe. Se è vero che
un sillogismo di per sé, avulso dall’intero quadro dialettico-processuale del
pensiero che lo costruisce e lo giustifica, non ha nessuna validità ai fini del
conoscere, è pure vero che l’usufrutto di un sillogismo ha sempre una funzione
verificativa della verità della premessa maggiore, in quanto, rimandando esso o
immediatamente o per medi prosillogistici a una specie infima che è nozione
intelligibile simmetrica di una intuizione percettiva impone al pensiero di riscontrare
in atto o di attendere dalle modificazioni future della percezione che sia
riscontrata l’immanenza di quelle componenti fenomenico-sensoriali che hanno a
loro intelligibile simmetrico il predicato della conclusione del sillogismo
stesso o dell’ultimo dei prosillogismi cui il sillogismo rimanda per portarsi
al livello intellettivo complanare al livello sensoriale; è vero che il
sillogismo o il polisillogismo dovrebbero proprio risparmiare al pensiero
siffatto riscontro, tanto più se la premessa maggiore da cui si è partiti abbia
la fortuna di essere conclusione di un episillogismo a premessa maggiore più universale o di un polisillogismo
l’ultimo prosillogismo del quale sia il sillogismo che ha la premessa maggiore
nostro principio e conclusione; ma è altrettanto vero che basta abbandonare la
sfera delle rappresentazioni intellettive, fossero pur anche queste fatte di
immagini individuale-fenomeniche “supposte” da meri sostantivi comuni, per
portarsi entro la sfera delle rappresentazioni sensoriali e intuitivi per fare
del sillogismo o del polisillogismo non più un argomentante, ma un argomentato,
e un argomentato in quella sua premessa maggiore che pretende di porsi a
principio di argomentazione; in fondo
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il concetto di induzione limitata e insieme costantemente correggibile
non è soltanto un canone metodico della scienza o un principio della canonica
newtoniana, ma è la norma che la ragione automaticamente e irriflessivamente
accetta nella sua operosità giornaliera. Ma il salto dialettico
dall’intellettivo al sensoriale è puramente verificativo, ossia si limita a
riconoscere che alcuni dei modi componenti la percezione, o sensazioni o
rapporti tra sensazioni che siano, si danno con quel primato logico, quella
costanza ed uniformità, che sono simmetriche fenomeniche delle note
intelligibili predicate alla specie infima della classe indicata dalla premessa
maggiore del sillogismo o del polisillogismo, alla sola condizione che le note
del predicato siano fonte di conoscenza
reale e non apparente del soggetto e quindi della percezione sensoriale stessa,
la quale si limiterà a fissare la loro verità o falsità in quanto
qualificazioni predicative e, per ciò, ad argomentare la verità o falsità della
premessa maggiore, divenendo tuttavia fonte di conoscenza intelligibile sia per
la specie infima sua corrispondente simmetrica sia per tutte le sottoclassi che
a questo si sovraordinano fino alla classe che è suo genere prossimo, solo nel
caso che, riscontrata la falsità della conclusione del sillogismo o dell’ultimo
prosillogismo dell’episillogismo e quindi la falsità della premessa maggiore
originaria, il pensiero promuova un processo induttivo con un atto che è però
volontario libero e contingente, almeno per ciò che riguarda il nesso che lo
relaziona al risultato negativo del controllo del sillogismo o del
polisillogismo entro il sensoriale. Ma nel caso delle specie tautologiche non
insuperabilmente e assolutamente sofistiche, nel caso ad esempio delle
definizioni e descrizioni parziali e insufficienti, il passaggio dialettico
dall’intellettivo al sensoriale non soltanto diviene esso stesso necessario dal
momento che la polarità del moto dialettico, dimostrando l’insufficienza
correlativa di entrambi i concetti identificati, ed esigendo un superamento dell’inutile
perpetuità dell’oscillazione, non può trovare altra via d’uscita che la discesa
all’analisi diretta e immediata della situazione percettiva corrispondente alla
specie infima raggiunta o raggiungibile dal sillogismo o dal polisillogismo, ma
anche impone come
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