- 42 -
[pag. 42 F1]
il genere sommo è qualcosa di solare gonfio di tutte le distinzioni in
compresenza e di tutte le determinazioni in simultaneità che posson desiderarsi
da un soggetto contemplante, ma allora in questo caso la dicotomia o ((e??)) il
processo scalare dello specificarsi è un impoverirsi, un degenerare di cui quel
genere sommo non dovrebbe esser principio vista la solare sua divinità, oppure,
infine, non c’è bisogno di nessuna giustificazione per la dicotomia e per tutte
le incongruenze dialettiche che ne derivano, perché il genere sommo non è un
intelligibile né un intelletto, ma è un essere, nel senso più povero della
parola cioè un esistere fuor di ogni conoscere, compreso in primo luogo il
conoscere umano, il quale riportandosi ad esso lo potrà conoscere solo come
categoria eccelsa tra le eccelse e dovrà trattarla come un concetto, che tra
l’altro è denotato dall’attitudine a trasferirsi nelle cose, con la conseguenza
che finisce necessariamente per diventare un genere (i tre corni del trilemma
sono altrettanti mezzi per cavarsi fuori dalle pastoie del formalismo platonico
e tutti li ritroviamo nei platonismi più coerenti, da quello di Plotino a
quello di Cusano); ma lo stesso trasferimento è comprovato
dall’inintelligibilità del processo attuativo di Aristotele, per il quale si
ripresenta il trilemma: o il genere supremo è un intelligibile nel pieno senso
della parola, ricco di tutte le distinzioni e determinazioni, e allora in esso
non c’è da trovarsi né del potenziale né dell’impulso all’atto e con ciò allo
specificarsi (il che è d’altra parte quel che deve argomentarsi dal fatto che l’ente
primo o Dio è anche l’intelligibile sommo e quindi deve far tutt’uno con la
categoria suprema tra le somme), essendo elisa la discesa alle speci che
divengono degli assurdi, o le specie ci sono e allora hanno la loro
giustificazione nella potenzialità che sarà somma nella categoria suprema ed
equivarrà in questa a tutto ciò che di attuato si dà nelle specie subordinate e
quindi a tutta la potenza dell’universo ad eccezione delle sole due note che
connotazione ((??connotano??)) il genere sommo, ma in questo caso la negazione
non può non esistere neppure per lo stesso pensiero del pensiero il quale deve
pur riconoscere che ciò che è in potenza nel genere resta pure in potenza nella
specie subordinata che ha attuato una sfera di potenziale altra da quella che è
rimasta potenza, e per ciò deve inserire una eterogeneità qualificativa nella
sua intuizione onnicomprensiva che altro non è se non la negazione della povera
mente che è pensiero di altro,
[pag.42 F2]
oppure infine il genere supremo è un supremo ma non un genere, ossia è
un oggetto di pensiero per un pensiero che con l’oggetto coglie se stesso e che
contempla fuor di quelle pastoie dialettiche che affettano solo un pensiero di
condizioni umane, ma allora in questo caso cade non solo la negazione ma il
sistema stesso dei concetti con la sua scala di dislivelli generici e
specifici, senza dire tra l’altro che quest’ultimo corno è l’unica soluzione
possibile per un universo intelligibile che non può racchiudere della materia,
neppure del materiale intellettivo, soluzione la quale però toglie al genere
sommo la sua natura di genere e insieme di intelligibile e con ciò priva il
pensiero divino della sua essenza presente, rimandando così se stessa alle
stesse conclusioni cui la corrente platonica arriva quando vuol liberare la
dottrina del maestro da ogni contraddizione; e quel che qui mi colpisce è che
tanto più grande si fa il numero delle contraddizioni che affettano una
metafisica quanto più forte è la sua tendenza a tutto dire del primo
nell’essere mediante predicazioni che son tratte del fenomenico -. Quel che
comunque caratterizza il pensiero aristotelico e in fondo finisce per
distinguerlo dal platonico è questo che in esso la negazione è fatto di natura
intelligibile e razionale, metafisico cioè, promanante quindi dall’alto e
destinato a diventare tanto più legittimo e ineluttabile pel pensiero quanto
più il pensiero deve immergersi nell’analisi di un reale che ripete le
condizioni che generano in seno stesso
al metafisico sommo o sommo tra i sommi la negazione e in esso sono
l’antecedente necessario del negativo, mentre nella teoria platonica la
negazione è fatto di natura inintelligibile e irrazionale, antimetafisico
quindi se s’instaura un’equivalenza tra metafisico, ontico, razionale ed
intelligibile: nella descrizione platonica del nesso formale che lega il genere
alla specie, è per la verità lecito supporre un’eterogeneità cognitiva tra un
genere e le specie subordinate, in quanto il genere è non già o meglio non solo
un tutto di cui le specie sono o metà o metà della metà secondo una diminuzione
che segue i gradi di una progressione geometrica, ma dev’essere pensato come
una totalità entro cui qualcosa urge alla autoseparazione e all’autoscissione,
un qualcosa che nelle specie dev’essere venuto meno almeno in parte, per quella
parte che ha costretto il genere a diventare le sue specie, un qualcosa che
avendosi che fare con
[pag. 42 F3]
elementi del conoscere dev’essere esso pure un elemento del conoscere,
identificato con facilità con l’insoddisfazione di un implicito indifferenziato
che cerca se stesso e la propria pace gnoseologica nell’esplicitazione e nella
determinazione differenziante; ma una tale eterogeneità non è in fondo un
fattore essenziale e perde di necessità fino a diventare un sostanzialmente
inesistente quanto più si riporta il genere a ciò che esso è per definizione,
un intelligibile: quanto più sul piano metafisico conserviamo alla categoria
assolutamente prima la sua essenza di concetto, o meglio la forma che le
compete in quanto simmetrico assoluto di un concetto, quanto meno sul medesimo
piano metafisico allontaniamo la categoria somma dalla forma che le compete per
la sua essenziale idealità intelligibile, tanto più l’eterogeneità che separa
la categoria, come implicito indifferenziato, dalle specie, come sue
esplicitazioni per determinazioni, si fa apparente e relativa, valida più sul
piano dell’essere che sul piano del conoscere, il che è appunto quel che si dà
per Hegel la cui Idea si rifrange nel
mondo non per esplicitare tutto il proprio connotante indifferenziato come le
cose nella notte, ma per realizzare tutto di se stessa con un atto che è pure a
finalità cognitiva ma solo indiretta e solo al fine di dar esistenza a quella
sua nota che è il suo autoconoscersi, ché se tale nota avesse potuto attuarsi
nella sua pienezza entro la connotazione originaria la conoscenza di sé da
parte dell’Idea null’altro né di meno né di più né di diverso sarebbe stata da
quella che l’Idea ha di sé dispiegata; la categoria somma quindi è un esplicito
e un determinato in sé, una connotazione articolata la cui unità è essa stessa
e l’universo, e le cui note sono tutte le specie e classi che ((si??))
divaricano nel grande delta del mondo, e ignora la negazione perché il pensiero
che la potesse pensare non riterrebbe lecito né separare nessun rapporto
inerenziale tra una sua nota e la categoria in quanto di fatto dal medesimo
rapporto in quanto di diritto né escludere i due rapporti come illegittimi né
espellere dal perimetro del legittimo intellettivo un solo reale dell’universo
in quanto connotante il genere primo: ed è questo appunto che Cusano afferma
con la sua coincidentia oppositorum; la negazione insorge non appena dal genere
sommo passiamo alle specie immediatamente sottoordinate
[pag.42 F 4]
per il primo atto di autodicotomia: al darsi delle specie prime e dei
generi sommi secondi trova corrispondenza l’illiceità sia di predicare il
genere primo nella sua interezza ad ognuna delle due specie sia di sussumere
ciascuna specie, presa isolatamente dall’altra, sotto il genere primo sia di
assumere ogni connotante quest’ultimo a denotante di ognuna delle due specie;
al che conseguono l’illiceità dell’identificazione di un qualsiasi rapporto
inerenziale tra il genere e ognuna delle due specie in quanto di fatto con
identico rapporto in quanto di diritto, la necessità di separare l’uno
dall’altro uno o più tra i rapporti inerenziali di fatto da uno o più tra i
rapporti inerenziali di diritto, l’apodittica condanna per illegittimità di uno
o più tra i rapporti inerenziali di fatto e di diritto, e infine la separazione
tra una o alcune note del genere sommo e questa o quella delle due specie con
la correlativa esclusione per illegittimità della denotazione, esclusione di
cui la negazione sarà segno. E il fenomeno dialettico complesso che ha a suo
termine la negazione non solo si ripete ad ogni scendere del pensiero ad un
livello inferiore di specie, ma diviene sempre più esteso fino a diventare
necessariamente attuato tante volte quante note del genere primo si trovano
escluse per la catena degli scismi succedentisi da ognuna delle specie infime
il cui numero sarà la risultante dell’applicazione della formula della
progressione geometrica stabilente la quantità determinata di ogni elemento in
funzione della ragione invariabile “due” e del posto occupato dall’elemento
nella progressione: che se poi ad ogni specie infima vuol confrontarsi
l’intuizione sensoriale che le è simmetrica, allora il numero delle negazioni
si fa indefinito per l’irrazionalità che, introdotta dalla materia e dallo
spazio, interrompe la continuità razionale e determinata di sviluppo dal grado
superiore all’inferiore. Di conseguenza, deve dirsi che ogni metafisica
platonica, la quale pone a proprio qualificativo formale l’eterogeneità tra il
principio e le sue determinazioni in funzione di una differenza qualitativa e
quantitativa che investe però solamente il nesso relazionale tra il principio e
ciascuna determinazione in quanto però astrattamente presa, sicché nessuna
eterogeneità insorge tra principio e determinazioni nella loro totalità, limita
la negazione al livello della determinazione, in quanto tale, nega la negazione
sia al livello del principio sia alla determinazione stessa in quanto
apoditticamente relazionata al principio. Vedremo
|