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b=c, b=e, essendo (a =a1. a2) e (b=b1.b2)
in cui a1 = b1 e a2 ≠ b2 non
per a e per b, ma per il pensiero conoscente a e b, sicché [(a = a1).
(b = b1 )→ (a = b)], e si dà che A = B C....U V Z. Ma il potenziale di Aristotele è un ontico
in sé eterogeneo da quell’ontico che è l’attuale, giacché il potenziale è il
reale indeterminato e orientato a determinarsi, mentre l’attuale è il reale
determinato - che il discorso qui non si faccia chiaro per due motivi, che il
potenziale risulta un definibile solo negativamente che mutua la sua
insufficienza logica da una deficienza di realtà sicché si avrebbe un ontico
contraddittorio per una sua ontità che deve vedere realizzate tutte le
condizioni dell’ontità essenziale e insieme sussiste alla sola condizione di
non realizzare tutte queste condizioni, e si avrebbe pure un reale la cui
contraddittorietà si farebbe ancor più grave per la sua immanenza e identità
con l’attuale che è reale ad esso contrario, ha a sua ragion sufficiente
l’inintelligibilità del dualismo con cui Aristotele affetta il reale al fine di
inquadrare negli schemi della razionalità per identità sia il reale
intelligibile e quindi determinatore del razionale identico sia quanto di reale
è differente da questo -; ma il reale indeterminato non è un mero resto
risultante dal depauperamento operato sull’ontico in genere con la cassazione
della determinazione; ammesso che del potenziale ci si possa dare un’immagine
questa non è il panorama del reale ricco di tutte o molte o poche
determinazioni dal quale ad una ad una sono state tolte le determinazioni
lasciandone per dir così i contorni, quasi che fra attuale e potenziale passi
quella stessa differenza che nei libriccini dei bimbi divide la pagina col
disegno a colori dalla pagina in cui il bambino dovrà riprodurre gli stessi
colori con opportuna scelta e con accurata attenzione a non sbavare di schizzi
differenti aree esteriori; il potenziale cioè non è quella rappresentazione a
cui lo stesso Aristotele si rifà quando parla di cause impedienti o di violenza
dall’esterno, una rappresentazione che, dopo aver spartito l’universa realtà
esistente in due sfere separate da una membrana permeabile, descriva la prima
come una zona di enti, rapportati ciascuno
nei suoi componenti e ciascuno nei nessi che lo legano a tutti gli
altri, statica immutabile destinata a restare quel che è dal momento in cui è,
e ricava la seconda dalla prima facendone un doppione entro il quale però i
rapporti entro gli enti e fra gli enti attendone ((??))per realizzarsi l’azione
causatrice che da uno o più degli enti della prima zona si diparte per estendersi
entro la seconda, sicché l’unica sostanziale distinzione tra i due sarebbe
quella di un’energia che è presente nella prima sfera con l’unica capacità però
di agire sui cittadini della seconda
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quella di una completa deficienza di energia motrice dalla seconda;
siffatto modo di guardare alla potenza non è che il riflesso delle componenti
presenti negli impulsi e nei presupposti razionali che han portato al concetto
stesso di potenza: se il presupposto che mena alla potenza è l’esigenza di
ritrovare entro un diveniente un vincolo che connetta l’antecedente al
susseguente, è naturale che la natura razionale del presupposto imponga al
vincolo un contenuto razionale ossia una sorta di identità che consenta al
pensiero di trascorre((re??)) dal prima al poi e dal poi al prima senza
imbattersi entro uno dei due in dati talmente contraddittori da impedire a un
pensiero che opera dialetticamente sulla base di un’identità sotterranea ai
dialettizzati di scivolare senza urti di assurdità nell’altro; per il pensiero
che dialoga l’antecedente e il susseguente patiscono di differenze trascurabili
o eliminabili, le si chiami poi contingenti o accidentali o kata sumbebhkwV,
quali sono la differenza tra una cattiva volontà che al rapporto giustiziale di proprietà del kosmoV (kata sumbebêkôn) sostituisce la relazione
violenta confondente il mio col tuo e la volontà buona che dal rapporto
giustiziale della proprietà ricava l’esatta separazione tra il mio e il tuo,
differenza per la quale il giudice risale dall’ aitia allo stato cosmico con
l’eliminazione della volontà cattiva la quale non è in grado in alcun modo di
modificare l’essenziale relazione di giustizia che distingue e insieme
necessariamente connette funzionalmente il mio e il tuo, oppure la differenza
che passa tra un’energia che scaturisce da sé e un’energia che scaturisce da
altro dal momento che l’energia modificatrice null’altro fa che far esistere
dei rapporti senza né decidere della forma del rapporto né scegliere tra gli
infiniti esistenti quelli da calare entro le branche del rapporto. Tuttavia, se
guardando dal punto di vista dell’energia motrice la sfera dell’attuale non
viene a differenziarsi dalla zona del potenziale in null’altro se non nella
varietà colorata e nell’immobilità che divengon caratteri dei rapportati,
spostando l’angolo di visuale dalla sfera dell’attualità, il quale costringe a
individuare il potenziale traguardandolo attraverso la molteplicità
differenziata ed eterogenea degli attuati, e portandosi al di là della membrana
permeabile che consente l’osmosi dei due reparti in modo che l’occhio della
mente non colga altro che l’ontico potenziale, saranno date le vere e legittime
condizioni
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di una conoscenza del potenziale per sé o di una sua definizione in sé:
si vedrà allora un ontico inerziale che esiste con tutto l’esistibile ad
eccezione dell’energia instauratrice di rapporti; e, ammesso che sia lecito il
pensamento di un reale inenergetico, tra gli esistenti potenziali non dovranno
comparire neppure i rapporti, di qualsivoglia tipo, di causalità, di finalità,
di identità, di somiglia((nza??)), di differenza, di contrarietà, di
sostanzialità, di inerenza, di denotazione, di connotazione, ecc.; ma tolti
tutti i rapporti, vengon meno gli stessi rapportati, che fuoriescono da qualsivoglia
distinzione reciproca, e quindi autodeterminazione; resta una bruma incolore che non è né cosa né
spazio né tempo, che non fa ma subisce, che deve essere ma non ha del
necessario, che può essere ma non ha quel non essere che è principio del poter
essere e non ha non-essere pel semplice motivo che nulla esclude da sé in
quanto nulla di determinato ha in sé: si dirà che siffatta rappresentazione è
segno ((?? segna??)) di parole che pretende di essere nozione di un reale e che
nessun reale fa conoscere, al che si risponde che è il tentativo da noi fatto
di connotare in un qualsivoglia modo un potenziale che per Aristotele è un
ontico in sé, non già per la sua identità con la materia, bensì per la sua
necessaria e insuperabile eterogeneità dall’altro ontico dell’attuale; si dirà
che la nostra descrizione non tien conto del fatto che il potenziale è un
costante fattore componente dell’attuale, e che solo relativamente al soggetto
pensante è lecita la distinzione assoluta ed ontica tra un ideale e un materiale,
essendo di fatto l’ontico una sintesi immancabile di attuale e di potenziale
per la quale l’unità di subordinazione del potenziale all’azione causatrice
dell’attuato fa del potenziale o un’appendice dell’attuale o un implicito entro
l’esplicito dispiegamento dell’attuale, e a questo si risponde che la validità
di siffatto rapporto non elide l’eterogeneità tra potenziale e attuale secondo le differenze ontiche
suddette, tutt’al più lascia a chi la sostiene il compito di indicarne le
ragioni e delinearne le condizioni di intelligibilità. Una volta ridotti
attuale e potenziale a due ontici eterogenei, il primo dei quali indeterminato
inerziale e mobile, il secondo determinato energetico immutabile, la
contraddittorietà si trasferisce dal reale al conoscere, facendo dell’uno un
incognito non solo per l’intelletto ma anche per l’intuizione - il che
s’intende pone la questione dell’argomentazione di un esistente incognito - e
dell’altro un conosciuto secondo i modi dell’intuizione e dell’intendimento: la
conoscenza del potenziale diviene un
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fenomeno mediato, nel senso che è sempre inferibile dalle
manifestazioni nuove, intuite od intellette
((intelletto??)), che insorgono a lato di manifestazioni precedenti e
in relazione apodittica con esse, per la quale risulti evidente la comune
coessenzialità alle vecchie e alle nuove manifestazioni in forza dell’attributo
identico per entrambe di inerenti o immediate o mediate a un sostanziale, e
quindi nel senso di ente la cui esistenza è argomentata dalla realtà di fatto
di noti dati e dalla necessità di relazione che lega la prima alla seconda, e i
cui modi di esistenza si argomentano dalle modalità dei nuovi esistenti come
dei genuinamente orientati verso siffatte modalità - la potenza dell’uomo esiste
perché alle intuizioni che di un individuo si danno si connettono
necessariamente entro l’unità e autosussistenza del medesimo ulteriori
intuizioni posteriori nel tempo alle seconde, ed esiste come generica
attitudine ad assumere i modi ultimamente intuiti perché le intuizioni ultime
dell’individuo sono in un certo modo e non in un altro; il potenziale del
concetto di animale esiste perché tale concetto vede le proprie note di
automotricità e riproduttività in connessione apodittica con le note o di vertebralità
o di invertebralità, ed esiste come universale ma indeterminata attitudine a
muoversi senza motore dall’esterno e a riprodursi con il sussidio indifferente
di un ‘impalcatura o esterna all’automobile riproducentesi che ne è sorretto o
inserita nell’automobile riproducentesi che ad essa s’appoggia, perché le
uniche modalità che dall’indefinita possibilità con cui l’attuale del concetto
si vincola scaturiscono sono l’esteriorità o l’interiorità dell’impalcatura. Ma
la definizione del potenziale come indeterminato incognito e conoscibile per
medi e dell’attuale come determinato conosciuto e conoscibile immediatamente
investe i rapporti di attualità e potenzialità che strutturano una gerarchia
concettuale secondo quella certa legislazione di cui sopra, e li determina come
rapporti di negazione: se una specie sta a uno dei suoi generi come un
intelligibile a maggior grado di attuazione e a minor grado di potenzialità sta
a un intelligibile a minor grado di attuazione e a maggior grado di
potenzialità, se cioè la specie differisce da uno dei suoi generi per quel
tanto di potenziale che in questo è rimasto tale e in essa è passato all’atto,
l’equivalenza tra potenziale e indeterminato da un lato e potenziale e
intuitivamente incognito dall’altro consentirà di riportare la specie al
genere, ai fini dell’intellezione della prima, solo per quelle note che si
danno in atto sia nell’una che nell’altro, e porrà illegittimo il moto
dialettico dalla prima al secondo per tutte le note che sono in atto in quella
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