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quando si voglia procedere all’equiparazione relativa non sarà lecito
affermare che ciò che è in potenza nell’uno sia pure in potenza nell’altro e
che ciò che è attuale nell’uno sia pure attuale nell’altro, ma sarà lecito e
necessario affermare che ciò che è potenziale per l’uno è attuale per l’altro e
ciò che è in atto nell’uno è in potenza nell’altro. Ma sappiamo che la
negazione non è che l’esclusione di un rapporto di genere a specie tra due
intelligibili e con ciò l’esclusione dell’inerenza di un intelligibile entro
l’altro: si deve allora concludere che in una interpretazione di tipo
aristotelico dell’intelligibilità in genere a) la negazione è la mera
differenza tra l’attuale presente in un intelligibile e l’attuale dato in un
altro intelligibile, b) la negazione è l’identità tra ciò che di attuale si dà
in un intelligibile e ciò che di potenziale si dà in un altro intelligibile, c)
differendo il potenziale dall’attuale solo per la modalità di esistenza e non
per l’esistenza, in quanto entrambi sono
ma il primo per un essere allo
stato di indeterminatezza e di indifferenza che impedisce contemplazione e
conoscenza a una cognitività di tipo umano che per un classico è cognitività di
tipo universale e quindi apoditticamente unica ed univoca, e il secondo per un
essere allo stato di determinatezza e di evidenziale differenza, unici modi
corrispondenti alle condizioni della cognitività umano-universale e quindi
consenzienti la contemplazione e la rappresentazione, la negazione attinge il
piano ontologico non per l’essere perché tutto è in tutto, ma per il modo di
esistere, d) essendo due i modi di esistere e trattandosi di scegliere tra essi
quale sia principio dell’altro nel processo dialettico che conduce alla
negazione, non è possibile che l’attuato e attuale sia il primo nella genesi
della negazione perché l’atto è l’esistere nella totalità delle determinazioni
che un esistere in genere è atto ad assumere per necessità universale e, se la
negazione è separazione di determinato da indeterminato, là dove ci sia atto e
solo atto non ci sarà neppure separazione, bensì è necessario che la negazione
abbia a sua ragione il potenziale come quello che elide da sé la determinazione
e quindi l’evidenziale cognizione, sicché negazione e potenza divengono
equivalenti, equivalendo ogni negazione ad una predicazione di potenzialità al
negato, e) essendo potenziale e negativo equivalenti formali ed identici
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essenziali, si ha massimo di negazione nel genere sommo, minimo di
negazione in ciascuna specie infima, zero di negazione nella totalità delle
specie infime, giacché 1) il genere sommo è in potenza tutto ciò che di essere
si squaderna nell’universo ad eccezione di quel minimo di atto che deve
conservarsi ineluttabilmente ed eternamente in atto onde si abbia quel minimo
di essere determinato e causatore che consente l’essere come esistere, 2)ogni
specie infima realizza in sé quanto di più attualmente esistenziale si dà come
causatole da un ‘attualità generica, 3) la totalità delle specie infime
costituisce la totalità della causabilità dell’attualità generica, totalità che
fa tutt’uno con la totalità dell’universo in quanto determinato. Concludiamo,
allora, opponendo recisamente l’interpretazione aristotelica alla platonica:
una teoria metafisica di tipo aristotelico, come quella che pone a proprio distintivo
formale un nesso relazionale tra principio di intelligibilità e determinazioni
che ne conseguono che è di omogeneità ontica sia per ciò che riguarda il
rapporto tra principio e determinazioni nella loro totalità sia per ciò che
riguarda il rapporto tra principio e ciascuna determinazione astrattamente
presa - l’essere del principio in quanto sfera di reale in genere nulla di più
né di meno né di diverso è dall’essere che ritroviamo o nella sfera di tutte le
determinazioni derivate dal principio o nella sfera parziale di ogni singola
determinazione - e che è insieme di eterogeneità nelle modalità dell’ontità sia
rispetto al rapporto tra principio e complesso intero delle determinazioni sia
rispetto al rapporto tra principio e una determinazione astrattamente presa -
l’essere del principio, in quanto modulato secondo le apodittiche
differenziazioni che l’essere stesso in genere emana da sé, possiede solo
quelle differenziazioni prime che debbono affettare l’essere onde questo possa
porsi a principio di se stesso in quanto determinato, mentre da un lato
l’essere dell’intera sfera delle determinazioni promananti dal principio è
ricco di tutte le differenziazioni apodittiche dell’essere in genere, e
dall’altro l’essere di una singola determinazione è variegato da quelle
differenziazioni che sono uno dei molteplici effetti della causalità di cui la
differenziazione originaria e genericissima è capace -, limita la negazione al
livello di tutti gli esistenti ad eccezione dell’esistente di massima
determinazione, e con ciò capovolge la situazione qual era stata prospettata
dalla
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metafisica platonica; infatti, per siffatta metafisica aristotelica il
negativo affetta assolutamente il principio di intelligibilità e tutto ciò che
ne promana fin che le determinazioni generate dal principio non siano pervenute
a quel massimo di differenziazioni in cui è escluso ogni indeterminato; quivi
il negativo scompare in assoluto e resta solo in relativo ossia limitatamente
al rapporto in cui una porzione del totalmente determinato può essere fatto entrare o con i livelli di
minor determinazione o con la restante parte del totalmente determinato o con
altre porzioni di quest’ultima restante parte; d’altra parte il totalmente determinato
avrebbe unità assoluta in sé all’una di queste tre condizioni, o che in ognuna
delle sue parti fosse dato in completa differenziazione la totalità dell’essere
con tutte le differenziazioni di cui l’essere in genere è sorgente attitudinale
- in questo caso il totalmente determinato si presenterebbe come una sorta di
molteplicità di enti ciascuno dei quali è la riproduzione perfetta di tutti gli
altri singolarmente presi, sicché basterebbe uno solo degli enti componenti il
totalmente determinato per avere in essere il totalmente determinato stesso, e
potrebbe benissimo annullarsi l’intero totalmente determinato tranne uno solo
dei suoi componenti senza che nessuna differenza o deficienza provenisse da ciò
all’essere - o che ognuna delle parti del totalmente determinato fosse una
porzione atta a relazionarsi col suo tutto come un organo al tutto di un
organismo - in questo caso il corpo dell’intero determinato dovrebbe
presentarsi come un tutto ricco esso solo di tutte le possibili e necessarie
sue funzioni, inescludibili al suo esistere, tutte ripartite tra le varie parti
in modo tale che nessuna potesse assumere neppure potenzialmente le funzioni
delle altre se non alla condizione di perdere la propria e di diventare
quell’altra parte di cui assumere le funzioni, e inoltre in modo tale che ciascuna
fosse necessaria all’esistenza del tutto - o, infine che ciascuna parte
ritrovasse entro il tutto stesso del totalmente determinato la propria ragion
sufficiente in modo tale che essa non potesse esistere fuori del tutto di cui
partecipa - in questo caso ogni parte dovrebbe trovare la propria connotazione
correlata alla connotazione complessiva del totalmente determinato secondo il
rapporto di genere a specie, secondo un rapporto cioè per il quale il
totalmente determinato verrebbe ad essere una determinazione della parte
stessa, o secondo il rapporto di specie a genere, secondo un rapporto cioè per
il quale il totalmente determinato verrebbe assunto
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dalla parte come un qualcosa che essa deve arricchire di particolari
differenziazioni e senza il quale essa non potrebbe esistere come quella che,
in sé, ricca solo delle sue differenziazioni, ha bisogno di esso per
applicargliele -; ma nessuna di queste tre condizioni può darsi in una
metafisica di tipo aristotelico: non si dà in essa l’identità assoluta delle
porzioni costitutive il totalmente determinato, perché ciascuna di esse è lo
sbocco di un canale intellettivo irripetibile sicché ha in sé allo stato di
atto tutto ciò che di potenziale si dà nelle restanti parti, e perché, se è
vero che tutte le porzioni sono necessarie per il totalmente determinato,
questa necessità è in funzione dell’intelligibilità di esso non dell’esistenza
di esso, in funzione cioè del compito che è demandato al totalmente determinato
di elevare al livello dell’esistenza la gamma intera delle differenziazioni
dell’essere, non in funzione di un’autonomia dell’esistenza del totalmente
determinato; di qui deriva, che ogni porzione del totalmente determinato agli
effetti dell’esistere è autonoma dalla
restante zona complanare e per esistere non ha bisogno di questa così come
questa non dipende per l’esistenza da essa, sicché la scomparsa di una zona del
totalmente determinato significa una deficienza di ragion sufficienti di
esistere per le differenziazioni corrispondenti a tale zona, non per le
restanti differenziazioni, e viceversa; la scomparsa dei dinosauri è
impoverimento nell’esistere della totalità delle possibili differenziazioni
ontiche, ma non è scomparsa di ragion sufficiente per l’esistere delle restanti
differenziazioni ontiche -; ma neppure la seconda delle condizioni, quella di
una struttura organicistica del totalmente determinato si verifica, giacché, se è vero che ogni
porzione di questo è un necessario per l’esistenza della totalità delle
differenziazioni, è altrettanto vero che siffatta necessità riguarda la
totalità delle differenziazioni non già in quanto in atto, bensì in quanto in
potenza, il che significa che, se un’unica finalità di esistenza è data a tutto
l’universo determinato, tale finalità consiste non nell’esistenza dell’universo
stesso, nel qual caso la scomparsa di una singola porzione segnerebbe la fine
di tutto l’universo ma nell’esistenza di tutte le differenziazioni ontiche,
scopo questo che nulla ha che fare con l’esistenza in sé del totalmente
determinato - in altre
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