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Giordano Bruno Cavagna
(n. 1921 - m.1966)
Metaf. class. e metaf. cristiana

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parole il fine di un organismo è quello di esistere secondo certi modi che sono suoi in funzione di un rapporto tra fine ed organismo che è di identità sicché il venir meno dell’uno segue il venir meno dell’altro; tra fine dell’universo in quanto totalità delle determinazioni e l’universo stesso non c’è identità, essendo il fine la realizzazione di un certo numero di differenziazioni ed essendo l’universo la realizzazione di un numero di tali differenziazioni che può oppure no coincidere con il numero ideale senza che per questo l’universo debba rispettivamente esistere o cessare di esistere; mentre in un organicismo l’organismo in quanto esistente condiziona l’esistenza da fine e viceversa, e l’organismo è strumento necessario e ineliminabile del perseguimento e della realizzazione del fine, con la conseguenza che il fine c’è se c’è l’organismo e l’organismo c’è se realizza il fine, nel punto di vista aristotelico la strumentalità dell’universo rispetto al fine della realizzazione di tutte le possibili differenziazioni ontiche è puramente contingente, nel senso che l’universo è strumento apodittico per la realizzazione del fine solo nei confronti della generalità di questo, con la conseguenza che la realizzazione della totalità particolareggiata del fine non è condizione esclusiva dell’esistenza dell’universo stesso, il qual rapporto è poi quello che in genere  un aristotelismo pone tra la potenza o l’atto in seno alla sostanza; l’universo quindi esiste  anche se non realizza tutto il fine; il che è negazione dell’organicità dell’universo -; da ultimo neppure la terza condizione è presente in una teoria di tipo aristotelico, in quanto la porzione del totalmente determinato dipende per il proprio esistere non tanto dalla simultanea coesistenza di tutta la restante parte di totalmente determinato, quanto dalla simultaneità di esistenza e di se stessa e di quelle parti di totalmente determinato che sono ragioni sufficienti della sua stessa esistenza, esistenza che non coincide con la differenza tra il tutto ed essa stessa. Ora, la conseguenza dell’assenza di tutt’e tre le condizioni toglie all’universo del totalmente determinato il carattere di unità assoluta e gli lascia solo l’aspetto di un ‘unità relativa, di un uno cioè che è tale se ricondotto o al principio della sua razionalità o a un pensiero conoscente in genere secondo i modi di questa razionalità, ma che in sé è pluralità. Ma se il totalmente

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determinato è in sé un plurale, una molteplicità di parti ciascuna autonoma nella propria astratta esistenza, le parti componenti non solo possono ma debbono essere sempre relate sia coi livelli di minor determinatezza che soli costituiscono la ragion sufficiente del suo esistere sia con la restante parte del totalmente determinato alle quali tali parti debbono essere ricondotte onde il fine per cui si realizza la determinazione del principio risulti perseguito in generale sia con le varie porzioni di tale restante parte onde risulti determinatamente la realizzazione del fine che è ragion sufficiente dell’esistere delle singole determinazioni massime; ma la necessità della rapportazione è negazione. Si deve concludere che per una teoria metafisica di tipo aristotelico la negazione è reale a tutti i livelli di esistente, cessando di esistere solo a livello del totalmente determinato in quanto però unità per altro, sicché anche a siffatto livello in sé la negazione è reale: per questo il supremo canone resterà sempre per Aristotele il principio di contraddizione. Non è qui nostra intenzione ricercare quanto il fatto della negazione abbia influito sul quadro che delle cose han cercato di farsi Platone, Aristotele e quanti si son rifatti o a questo o a quello per assumere i canoni metodici generali; non può tuttavia sfuggire che, qualora ci si rifaccia alle due metafisiche per dedurne non una fenomenologia della negazione  ma le ragioni sufficienti che ne giustifichino l’esistere e le modalità di esistenza, l’una e l’altra teoria acquistano particolari aspetti che altrimenti o sfuggirebbero o risuonerebbero di una totalità diversa: in primo luogo, un orientamento platonico è portato da un’innata tendenza ad estromettere la negazione dal reale come qualcosa che la ragione patisce a titolo di condizione contingente e fenomenica, a titolo di fenomeno con tutto quel che di umbratile ed evanescente questo termine racchiude; per questo, un platonismo sulla base dell’identificazione del reale col razionale puro attribuisce realtà assoluta e perfetta al supremo categorico dell’intera piramide concettuale dentro il quale s’aduna la totalità del’intelligibilità con una possibilità di autopredicazione che esclude il negativo, non già per il fatto generico che un qualsiasi rapporto di un pensato con se stesso si pone di diritto e di fatto come inerenza del pensato nel pensato, quanto piuttosto per il fatto che qualsivoglia connessione di inerenza tra un pensabile e il categorico supremo è verificata dal simmetrico

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rapporto di diritto, indipendentemente da qualsivoglia altra predicazione d inerenza sia stata posta o sia per porsi tra il medesimo soggetto ed altro predicato: per questo un platonismo toglie il primato canonico al principio di contraddizione e lo attribuisce al principio di identità, dovendo addirittura pervenire, se vuol essere del tutto coerente, a negare una qualsiasi portata canonica al principio di contraddizione stesso: infatti, l’onnirazionalità del categorico supremo fattasi principio di intelligibilità per qualsivoglia pensato esclude la liceità di negare di esso, in quanto soggetto, un genere di cui il pensato non sia sottoclasse, in quanto tale genere una volta predicato col genere sommo entra in questo in vincolo di unità con il genere opposto di cui il pensato è specie e quindi sussume sotto di sé pel medio del supremo categorico anche ciò che non sia sua sottoclasse; il che è d’altro canto indirettamente argomentato dalla convertibilità, legittima in un platonismo, di tutti i giudizi categorici, della quale è ragion sufficiente la genesi dal razionale sommo di realtà od ontità piuttosto che di intelligenza; il che, invece, non si verifica in una metafisica determinata di tipo aristotelico, per la quale la distinzione tra una razionalità pura e una razionalità di tipo umano ossia fenomenica non è in funzione del rovesciamento del rapporto tra il categorico e lo speciale, rapporto che per il razionale in sé sarebbe di tutto a parte e per il razionale fenomenico o per altro sarebbe di parte a tutto - per un platonismo, difatti, l’eterogeneità tra razionale puro ed assoluto o in sé e razionale fenomenico e relativo o di tipo umano o per altro affetta la denotazione, la quale per il primo s’instaura dalla specie al genere e per il secondo dal genere alla specie-, ma è in funzione di una differente ricchezza ontica che nel razionale puro ed assoluto è totalmente data nei due modi del potenziale e dell’attuale, mentre nel razionale fenomenico e relativo è data sola ((solo??)) relativamente alle specie che risultano note - in realtà, il razionale puro di tipo aristotelico  è ricco di tutta la sua ontità in sé fuor da qualunque rapporto, sicché ogni membro che lo costituisce è, preso nella sua assoluta intelligibilità, totalmente dato e non ha bisogno per riempirsi dell’intelligibilità che gli è propria di rapportarsi a nessuna sua sottoclasse dalla cui attualità inferire la propria potenzialità; il razionale fenomenico, invece, sempre di tipo aristotelico si offre nella sua astratta intelligibilità solo con quella connotazione che gli è fornita dalla coessenzialità con una qualsiasi delle sue specie e attende da una sua

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connessione con la totalità delle specie sottoordinate la connotazione della sua zona potenziale; onde si deve concludere che per un aristotelismo razionale puro e razionale fenomenico-umano sono eterogenei ma nella connotazione; ora, per siffatta differenza la struttura del razionale puro viene a distinguersi dalla struttura del razionale fenomenico in modo ben più tenue e meno sconvolgente, giacché, se è vero che il razionale fenomenico sarà sempre meno ricco di contenuto dell’altro, è pure vero che nella struttura formale non differiscono in quanto il potenziale o presente, come nel razionale ontico, o assente, come nel razionale noto, non genera del reale, ma si limita a segnare le linee per dir così programmatiche del reale, attendendo da questo la propria realtà; perciò, come  nel pensiero umano la ricchezza totale del conoscere si a livello delle specie infime le quali attendono dalla scala sovraordinata da razionale un semplice faro di universalità e necessità che d’altra parte non sarà neppure totale perché quell’universale e necessario che coincide con le loro differenze specifiche dovrà trarre luce di intelligibilità da se stesso, così nella sfera ontica i livelli sovraordinati di razionale dovranno limitarsi a donare ai sottoordinati tanto di ontità universale e necessaria quanto già ne posseggono in sé allo stato di atto, e saranno costretti a mutuare dai sottoordinati quell’ontità universale e necessaria che questi  hanno attuato in sé traendolo dal potenziale del sovraordinato, il che tradotto in termini di conoscenza e di predicazione equivale alla situazione del pensiero fenomenico nel quale la specie è conosciuta e predicata dal genere per ciò che riguarda quanto di coessenziale hanno in comune, ma illumina e denota il genere quando si tratta di apprendere quali intelligibili possono affettare l’essenziale del genere, ossia quali dei generi paralleli e simultanei a questo nella denotazione della specie possono essere assunti a determinare il generico essenziale stesso; in conseguenza di ciò, per una metafisica aristotelica la coincidenza tra reale e razionale non distingue un razionale puro da un razionale fenomenico e, essendo limitata la differenza tra un razionale puro e un razionale fenomenico alle connotazioni degli intelligibili che li compongono, la realtà verrà affermata coincidente col razionale in cui non sia più lecita distinzione alcuna, in cui la connotazionne sia unica ed univoca per un razionale in genere, il che appunto si solo a livello delle specie infime, in quanto connotate




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